Omeopatia musicale: pillole per attenuare il male dell'insensibilità culturale dilagante.
Curarsi con la musica senza necessariamente ricorrere al suono...

mercoledì, giugno 23, 2021

Sergiu Celibidache: Ricordo di un incontro...

Si stava provando, sotto la direzione di Sergiu Celibidache, il "Cappello a tre punte" di De Falla e io dovevo intervistare il celebre direttore d’orchestra rumeno che mi aveva accordato tale privilegio. Sono andata, perciò, nel suo mondo, tra la sua musica, per assistere, prima dell’intervista, alle prove che si tenevano alla Sala Verdi del Conservatorio di Milano. Celibidache si rivolge ai professori con ferma gentilezza: può accadere, talvolta, che la sua voce si indurisca, ma solo quando l’orchestra non lo segue nella interpretazione dello spartito.
Lo avevo trovato un po’ affaticato: infatti, contrariamente al solito, dirigeva stando seduto. La partitura però non aveva segreti per lui e dirigeva a memoria senza perdere l’effetto della più sottile sfumatura relativa alla colorita suite spagnola. Al termine delle prove l’orchestra ha dato segni di stanchezza, ma Celibidache era come rinnovato.
Sono ricevuta nel suo piccolo camerino e subito mi colpisce la sua non comune affabilità e la gentilezza dei suoi modi: non sembra di avere di fronte un grande musicista, ma un vecchio amico.
Tutto in lui è eccezionale: il carattere forte e dolce, il fisico, lo sguardo penetrante, le mani lunghe, morbide e nervose, l’aperto sorriso che gli illumina il volto incorniciato da capelli brizzolati. Mi invita a parlare dando così inizio alla intervista.

D. Lei si considera una eccezione positiva o negativa del nostro tempo?
R. Positiva, perché la mia missione è di chiarire gli errori e le degenerazioni dell'interpretazione musicale.
D. Quale potere pensa di avere sull'orchestra?
R. Penso di possedere il prestigio che viene dal fatto di essere considerato un esperto in materia, un profondo conoscitore dei principi che cerco di realizzare. Dal lato psicologico ho una tale prontezza di riflessi che mi permette il controllo quasi simultaneo di tutte le parti. Io tratto ognuno secondo il proprio temperamento e le proprie condizioni specifiche.
D. Pensa di dirigere con umanità?
R. Certamente: la musica interessa l'essere umano, i suoi limiti e quello che può dare al di fuori di se stesso attraverso la sua sensibilità.
D. Allora, anche in un direttore d’orchestra è necessaria l'umanità?
R. Pensando a freddo è necessaria, ma quando si dirige ci si rende conto se si è o meno nell'umanità.
D. La musica è per lei l’unica via da seguire?
R. No, dal lato personale m’interessa molto di più il Buddhismo.
D. Il Celibidache direttore ed il Celibidache uomo si identificano in una stessa persona? Lei, cioè, dirige com'é?
R. Sì, esattamente.
D. Che cosa ammira più in un uomo?
R. Il carattere, la linea, l'intransigenza.
D. Qual’e il suo difetto maggiore?
R. L’intolleranza.
D. Mi dicono che lei sostiene di aver raggiunto un raro equilibrio interiore: Cosa può dirmi al riguardo?
R. Ho raggiunto un grado di equilibrio stabile e rifletto molto, anche se sono attratto dai piaceri. Il mio simbolo è tuttavia sempre l'intransigenza.
D. Si trova bene in questa epoca?
R. No, leggo del passato, dell’India. Penso che questa epoca sia decadente e materialista ed io sono nemico del materialismo diretto.
D. Cosa cambierebbe se questo fosse in suo potere?
R. Combatterei la bugia, le convenzioni sociali, la politica, tatto quello che fanno gli uomini.
D. Crede lei nell'amore?
R. Sì, ogni giorno ci prova l’esistenza dell'amore.
D. Lei sostiene che ogni musica rinasce nel momento stesso in cui si esegue. E' vero?
R. La musica vive quando la si esegue, ma molto dipende dall'orchestra che è un organismo imperfetto.
D. Lei ha la possibilità di ricreare e di far rivivere la musica: credo che lei cada in contraddizione quando sostiene anche di essere ormai cristallizzato.
R. Non sono cristallizzato perché sono combattivo e cerco sempre di operare.
D. Per me lei dirige con amore: perché tanti si ostinano a vedere in lei l`esibizionista?
R. Per mancanza di musicalità, di competenza e per le profonde lacune di cultura.
D. Perché ama circondarsi di tanta gente?
R. Perché ho raggiunto altezze musicali e cerco di dare agli altri quello che possiedo in me, in quanto pochi hanno idee chiare.
D. Questo, per amore degli altri o per amore di se stesso?
R. Per fare uscire dal buio gli altri e fare rintracciare la verità dentro cui tutti corriamo, ma non per auto-venerazione o come scopritore di nuovi principi.
D. A Siena lei mi ha colpito per la sua semplicità: fa parte della sua natura?
R. Fa parte della mia natura: io non sogno la carriera internazionale, non incido dischi, non partecipo a festivals, non vado negli Stati Uniti ove fanno poche prove: non desidero dirigere in quella nazione.
D. Ho considerato Celibidache al servizio della musica e non la musica al servizio di Celibidache: mi dica qualcosa in merito.
R. Servo la musica che vorrei fosse eseguita come fu creata dall'autore. Putroppo questo, oggi, è andato un po’ perso.
D. Si considera il più grande direttore di questi tempi?
R. No, neppure lontanamente. Ripeto che se in me c’è qualcosa di unico, questo va riferito alla tendenza di eseguire la musica come è stata creata. Nessuno ha raggiunto la perfezione nella identificazione di questi elementi.
D. In quale misura pensa abbia influito, nel suo successo, la sua prestanza fisica?
R. All'inizio della mia carriera, enormemente: il mio fisico faceva presa su tutti e interessava di più il mio fisico che non il mio modo di dirigere. Oggi, molti si sono accorti della mia vera natura. Ad ogni modo quello che faccio e che voglio non è questione del pubblico, ma dei musicisti.
D. Per me lei è un mistero, forse perché non lo conosco a fondo; ma è possibile conoscerla a fondo?
R. Ognuno al di fuori costituisce un problema filosofico per chi lo vuole conoscere a fondo: io non sono mai lo stesso con le persone perché con la gente che amo sono come mi vogliono, con quella che non apprezzo sono il contrario. Nessuno mi ha mai rivelato come sono senza obbligarmi indirettamente. Ma io so di essere enormemente adattabile, ma anche immutabile nelle mie posizioni, per questo, a volte, posso dare una falsa impressione. Sono adattabile perché mi trovo bene sia con i contadini, sia con i letterati.
D. Lei è sincero con se stesso e con gli altri?
R. Sì, sono sincero con tutti.
D. Lei ama la natura, specialmente quella selvaggia: allora lei è un primitivo?
R. Non è l'oggetto dell’amore che rende primitivi, ma il modo di amare.
D. Teme la incomprensione degli uomini?
R. Non la cerco. Da piccolo ero molto strano: fino all'età di otto anni non ho parlato e questo creava una barriera fra me e chi mi stava intorno, ma a quattro anni suonavo bene il pianoforte.
D. Ritiene di essere autosufficiente?
R. Non sono autosufficiente, ma cosciente di quello che faccio o non faccio.
D. Lei parla molte lingue?
R. Si, parecchie, anche se non ho talento ma spirito pratico.

Celibidache ha risposto con sicurezza alle mie domande ed anche le più forti non lo hanno imbarazzato. Ecco un’altra impressione: l’enorme sicurezza che egli ha di se stesso. Celibidache è un uomo perfetto, come è perfetto tutto ciò che scaturisce dalla volontà, dalla serietà, dalla incrollabilità di questo straordinario insieme di musica, di filosofia, di matematica.
Esco dal camerino accompagnata dal suo sorriso e con la convinzione che il mondo di Sergiu Celibidache è limpido come e limpida la sua musica. Sono, altresì, convinta della purezza dei suoi ideali che fa vivere nelle note musicali: è un uomo, un direttore eccezionale, un musicista preparato e completo.
Jolanda D’Annibale
("Rassegna Musicale Curci", anno XL n.1 - gennaio 1987)

sabato, giugno 12, 2021

Sine nomine

Ottaviano, amore mio,
se leggi queste righe significa che hai infine trovato la chiave: fa' quel che devi. Il clavicembalo mi sembra l'unico posto sicuro. Nel sacchetto accanto alla busta troverai la gemma che ti serve. Avevi ragione: è stata Floria a rubarla. Una notte per caso ho visto mentre la nascondeva dentro la statua dell'Arpocrate. Tu avevi capito fin da subito che era stata lei, avrei dovuto ascoltarti. Sei partito e speravi che con la tua assenza lei si decidesse a restituirtela. Ma senza risultati. Per questo ho deciso di prenderla. La notte scorsa ho forzato la statua e ho recuperato la gemma. La chiudo qui nel clavicembalo: Floria non sa dell'esistenza di questa biblioteca, ma forse potrà arrivarci la polizia e non voglio che la trovino per caso frugando in qualche cassetto. So che non puoi aprire il clavicembalo senza la chiave perché ti è proibito far forza a qualsiasi cosa abbia a che fare con questa gemma. Danneggiando questo coperchio la gemma andrebbe in polvere. Vorrei poter custodire questa perla per te, ma non mi è possibile. Floria mi sta pressando, ha scoperto che la perla non è più al suo posto, credo mi abbia fatta seguire. Non ho più un posto per dormire tranquilla. La mia famiglia vuole portarmi lontano da Venezia. Non riesco più a pensare, non ne ho più il tempo. Volevo nascondere la chiave a Torcello, dove ci siamo sposati; la troveresti subito, ma sfortunatamente anche Floria. Ho deciso nasconderla invece nel nostro posto segreto, là dove ci incontravamo di nascosto prima di sposarci. Spero di essere in tempo. Poi lascerò Venezia e quando sarò al sicuro ti chiamerò o ti scriverò per dirti dove l'avrò messa. Non dimenticarmi..
Elsa
Sara Elisa Stangalino-Schulze
("Sine nomine", Diastema, aprile 2020)

martedì, giugno 01, 2021

Futurismo e Futurismi

La mostra Futurismo e Futurismi, che ha inaugurato il nuovo centro di cultura a Palazzo Grassi di Venezia, ci ha offerto il destro per riconsiderare l’intero movimento futurista, specificatamente sotto l’aspetto musicale. Il Futurismo comprese tutte le espressioni artistiche, dalla pittura alla scultura, dalla letteratura alla poesia, dal teatro al cinematografo e contemplò anche la moda, l’arredamento, l'oggettistica e perfino la cucina.
Il grande slancio riformistico impresso dal fondatore Filippo Tommaso Marinetti ebbe quale data di nascita il Manifesto, uscito sulle pagine del Figaro il 20 febbraio 1909, nel quale erano contenute, ancora in germe, tutte le enunciazioni, teoriche della nuova arte: rottura con il passato, polemica contro l’accademismo, celebrazione del dinamismo e della civiltà meccanica, esaltazione per l’energia e l'aggressività ("guerra, sola igiene del mondo", proclamava Marinetti) e distruzione in letteratura della sintassi tradizionale per una ricerca di immediatezza e di sincerità di espressione.
La musica ebbe anch'essa la sua parte, con le proclamazioni di principio e i programmi riformatori; tuttavia le effettive testimonianze furono esigue e il movimento - per l’aspetto musicale - si accontentò per lo più di affermazioni di fede e di teorie, quasi che alla pura enunciazione di nuove formule o alla negazione delle vecchie, non fosse necessario creare opere che di queste teorie fossero le testimonianze.
In effetti, la realizzazione pratica dei progetti si giovò non tanto della collaborazione di musicisti affermati quanto di artisti generici, spesso autodidatti o dilettanti su parecchi dei quali mancano notizie precise.
Dobbiamo a Francesco Balilla Pratella (1880-1955) la stesura del Manifesto dei musicisti futuristi (1910) intriso di anatemi contro il melodramma, i conservatori, le grandi editrici musicali e la critica al quale faceva seguito l’anno successivo il Manifesto tecnico della musica futurista.
"Noi futuristi proclamiamo che i diversi modi di scala antichi, che le varie sensazioni di maggiore, minore, eccedente, diminuito e che pure i recentissimi modi di scala per toni interi non sono altro che semplici particolari di un unico modo armonico ed atonale della scala cromatica". In più si prendeva a definire il "modo enarmonico", secondo l’idea antica dei teorici medievali che ammettevano l’impiego di intervalli di grandezza inferiore al semitono (e non nell'altro significato di due note diverse di nome ma di identica altezza). Anche l’elemento ritmico veniva sistemato con un terzo manifesto nel 1912, La distruzione della quadratura, profetizzante la completa libertà di ritmo.
La prima manifestazione futurista fu puramente teorica e si concretò in un’azione dimostrativa effettuata alla Scala "Pompei del teatro italiano" con un lancio di manifestini effettuato durante la rappresentazione del Rosenkavalier di Richard Strauss.
Fu Luigi Russolo - un pittore - che, ispirato dal culto della macchina, formulò nel nuovo proclama L'arte dei rumori una musica dal linguaggio mediato dal rumore anziché dal suono.
Nel corso di una serata futurista al teatro Storchi di Modena venne presentato nel 1913 uno "scoppiatore" (che riproduceva il rumore di un motore a scoppio dal grave all'acuto) e, più tardi, al teatro dal Verme di Milano si passò addirittura a un concerto con orchestra di 18 intonarumori, ormai perfezionati e suddivisi in gorgogliatori, crepitatori, ululatori, rombatori, scoppiatori, sibilatori, ronzatori, stropicciatori e scrosciatori, in modo da consentire un’idea di partitura. I "tempi"del concerto hanno titoli descrittivi volutamente bizzarri: "Il risveglio di una grande città", "Si pranza sulla terrazza del Kursaal", "Convegno di automobili e di aeroplani", che ci consentono di congetturare una serie di effetti prossimi a quella che noi oggi chiameremmo colonna sonora.
Ma fino a questo momento mancava ai grandi programmi e alle roboanti affermazioni di principi l’applicazione pratica, il vero "opus" futurista.
A questo provvide Pratella con l’opera breve L’aviatore Dro, rappresentata a Lugo di Romagna nel 1920 e composta qualche anno avanti, nella quale convergono stilisticamente un po’ tutte le esperienze musicali precedenti (Debussy, Puccini, Pizzetti e i veristi) e che si ascrive all'esperienza futurista per tre scene nelle quali gli intonarumori - adottati per la descrizione del volo e per la caduta finale del pilota - si mischiano all'orchestra.
Connubio che chiaramente dimostra l’impossibilità di una vera musica soltanto futurista e la limitazione stessa degli "strumenti", per forza di cose costretti alla funzione pura di descrittori ausiliari, simili ai vari pigolii di uccelli, campanacci da vacche, colpi di cannone, già adottati in infinite altre musiche rievocative di atmosfere o di ambienti. L’aviatore Dro termina con un "lampo enorme", preceduto da ululato di sirena, che solcherà cielo mare e terra prima della fine di tutto e del ritorno al "caos primordiale". Altri elementi sconvolgenti avrebbero dovuto essere le sostituzioni delle indicazioni di tempo con situazioni di stati d’animo ("vivo spasimo", "gioia sfolgorante" o anche "impotenza", "lussuria" ecc.).
Sulla scia di Pratella altri compositori si cimenteranno nel tentativo di rinnovamento, nomi che oggi ci dicono poco come Luigi Grandi, Nuccio Fiorda, Aldo Giuntini. Tutti tentarono di affermare con apporti esterni (jazz, varietà, cinematografo) il proprio credo futurista. Fra questi il più vicino ai modelli tradizionali fu Franco Casavola, un musicista di rilievo che dopo la ventata futurista (Danza dell'elica, 1924) rientro nell'ordine con una produzione tradizionale di lavori che apparvero nei maggiori teatri italiani.
La vicenda dei futuristi vedrà la fine con l’avvento del fascismo; il nuovo corso segnerà una sorta di ritorno all'ordine che andrà concretandosi contemporaneamente alla stabilizzazione del regime. Del resto, nella retorica e nel patriottismo di Marinetti era già presente lo spirito nazionalistico e guerriero che il fascismo non fece che accogliere e inquadrare, raccogliendo fermenti e idee precedenti la prima guerra mondiale. Marinetti, diventato accademico d’Italia, si scaglierà a suo tempo contro il jazz, chiamato negrismo musicale, con i suoi "lazzi nevrastenici di mani pederastiche per meccanizzare la falsa allegria dei suonatori".
Interessanti sono le relazioni che i futuristi ebbero con la Francia e di conseguenza anche con Diaghilev e Stravinskij che con i ballets russes operavano a Parigi negli anni dieci.
A Fortunato Depero, un artista autodidatta - pittore, scultore e poeta - dobbiamo le notevoli anticipazioni di moduli pittorici che vennero in voga successivamente. I suoi progetti scenografici non vennero in Francia mai realizzati. Il più noto fra questi, Le chant du rossignol di Stravinskij (che venne poi realizzato da Benois) segnò uno dei contatti fra futuristi e ballets russes. Una serata al "Costanzi" di Roma, nel corso della quale Stravinskij diresse L’oiseau de feu e Feu d’artifice con scenografie di Balla (che si firmava Futurballa) e coreografie di Diaghilev, viene ricordata per un altro particolare. Ci si attendeva prima dell’inizio l’inno nazionale russo, ma avendo lo zar appena abdicato parve impossibile eseguire "Dio salvi lo zar". Così Stravinskij fu indotto ad orchestrare, dettandone la partitura ad Ansermet in una sola notte, il Canto dei battellieri del Volga, che per l’occasione diventò l’inno russo di transizione tra zarismo e comunismo.
Nello stesso 1917 i musicisti Casella e Malipiero prestarono alcune loro composizioni ai Balli plastici di Depero, eversivi e provocatori, dai fantocci multicolori e dalla viva scenotecnica che ispirarono l’avanguardia tedesca degli anni ’20.
A Napoli, novità assoluta per il 1921, si vide un’orchestra sparpagliata fra palchi e pubblico nonché provocazioni atte allo scambio di insulti e scontri fra interpreti e spettatori. Un’ideazione del poeta Francesco Cangiullo, da effettuarsi a cura della compagnia del Teatro della Sorpresa. Trattandosi di Napoli non è difficile supporre che il classico "pernacchio" avrà primeggiato quale strumento solista. Sempre del Cangiullo si ricordano le serate di "poesia pentagrammata", con lettura dei versi scritti sul pentagramma e una specie di intonazione musicale (ma non sarà stata una sorta di sprechgesang?) con Marinetti che talvolta si produceva al pianoforte. L’assoluta necessità dell’improvvisazione musicale è teorizzata in un successivo manifesto marinettiano del 1921 e nello stesso anno Mario Bartoccini e Aldo Mantia si esibiscono in "discussioni fra pianoforti improvvisatori" con aggiunta di canto estemporaneo.
Fra le tante altre citazioni che si potrebbero fare ricordiamo anche le azioni "mimico-sinottiche" di Balla con una specialissima composizione chiamata giustamente Inferno da realizzarsi con 300 fischietti e 300 campanelli.
Il rientro nei ranghi del periodo fascista corrispose per la maggior parte dei musicisti a un ritorno alla musica scritta sul pentagramma, del resto mai abbandonata completamente.
Marinetti aderì, dopo il 1943, alla repubblica di Salò, nelle cui teorie sociali vedeva forse un ritorno alle prime concezioni politiche futuriste legate al fascismo rivoluzionario delle origini.
A chi ci avrà seguiti finora non sarà sfuggito l’elemento fortemente anticipatore delle pratiche e delle teorie futuriste sulle avanguardie musicali successive, comprese quelle nate con ben altri postulati teorici (ed ovviamente sulla musica leggera nelle sue versioni pop e rock).
La storia e la natura dei nuovi valori che andavano concretandosi a Vienna e Parigi - contemporaneamente al movimento futurista - avevano in comune l’intento di fare piazza pulita del passato e delle certezze del sistema tonale. Le similitudini del movimento italiano con paralleli movimenti radicali di altri paesi sono evidenti. Il raggiungimento contemporaneo del medesimo pensiero è in arte un fatto abbastanza comune. Le ribellioni e le negazioni del passato esigono però costruzioni nuove che per i futuristi, come abbiamo detto, sono restate troppo spesso nel campo dell’utopia.
Per quanto riguarda le avanguardie basate sulla serialità e sulle teorie adorniane - che ispirandosi alla dodecafonia seguivano pur sempre un sistema d’ordine - non possiamo negare che per i non addetti ai lavori e fruitori del messaggio, anche queste musiche così preoccupate dei loro assunti filosofici, risultino proprio il contrario di quello che sono, ossia composizioni prive di senso anche se spesso di indubbio potere suggestivo.
Figlia non dubbia del movimento futurista, anche se forse accidentale, fu senza dubbio l’"alea" con la sua casualità e indeterminatezza. Le infinite possibilità offerte dalla libera esecuzione, l’esecuzione "aperta" - da qualsiasi pregiudiziale estetica o filosofica generata - ci porta, col giudizio del nostro orecchio arbitro indiscusso e ultimo di qualsiasi indagine musicale, a una sola conclusione. Sia che si tratti di Cage, di Kagel, di Boulez, di Stockhausen o di altri musicisti gravitanti o discendenti da Darmstadt, ci opprime la sensazione di rivivere esperienze già vissute anche se sotto diverse idee e bandiere.
Cos'è l’elettronica se non l’infatuazione per la "macchina"» (con le moderne apparecchiature, ovviamente) già proclamata da Russolo nel 1914 nella medesima entusiastica devozione ai "nuovi mezzi espressivi"?
E nel teatro magico e liberatorio di Artaud, nell’assurdo di Beckett, nelle successive dissacrazioni del "happening" non c'è forse una similitudine col concetto marinettiano del teatro rivoluzionario, almeno nella pratica se non nelle tesi programmatiche?
Infine si osservino le "parole in libertà" e i "grafismi" dei libretti di alcuni autori del contemporaneo teatro in musica, con le parole ripetute, raddoppiate, smozzicate, in lingue diverse, e poi si guardino certi disegni di Marinetti (datati 1915) o le pagine del volume Zang tumb tuum (1912).
Espressioni di crisi di valori, senz'altro. Ci domandiamo, tuttavia, se i futuristi, artisti un po’ ingenui, spesso beffeggiati e insultati (e senza alcun guadagno materiale), avrebbero mai potuto sperare in una discendenza così copiosa e soprattutto così largamente sostenuta da interessi ideologici editoriali e politici, delle loro arruffate ma oneste idee.
Mariella Busnelli
("Rassegna Musicale Curci", anno XXXIX n.3, settembre 1986)