Omeopatia musicale: pillole per attenuare il male dell'insensibilità culturale dilagante.
Curarsi con la musica senza necessariamente ricorrere al suono...

sabato, giugno 06, 2020

Quirino Principe: Musica e filosofia (9/14)

Non è la non-musica che forma il musicista,
bensì la Musica; la musica che rientra nell'ambito sensibile è
sempre prodotta dalla Musica che la precede.
PLOTINO, Enneadi, V, 8, 1
 
LA MUSICA AL VERTICE DEL MONDO
Nona parte.
 
La Città Nuova di Sant'Elia, 1914
Nella storia del pensiero musicale assunto in termini filosofici, Platone spicca come un caso d'emergenza, e chi lo affronta corre l'alea non senza turbamento o quasi con timorosa emozione. Parliamo d'emergenza in due significati distinti. In primo luogo, il pensiero platonico rappresenta, nei confronti della musica, un punto di altissimo e difficile equilibrio. Esso si colloca in una zona intermedia tra l'indagine propriamente scientifica ("fisica", secondo il termine usato in quell'ambito culturale) attivata dai teorici della musica, Aristotele, Archita, Aristosseno, Ctesibio, e la visione ontologica cara alla tarda filosofia pagana e alla prima filosofia cristiana. L'immagine che Platone dà della musica non è di natura ontologica, ma piuttosto d'indole metafisica. Questa formula distintiva presuppone la necessità di definire termini che spesso si confondono, generando rovinose incomprensioni. L'ontologia è la meditazione sull'essere di cui abbiamo coscienza, la metafisica è la coscienza dell'essere che a noi manca. Alla domanda "che cos'è la musica?", Platone preferisce l'altra, "dov'è e com'è la musica che non è qui e dalla quale tuttavia la musica che è qui deriva e dipende?". Sotto quest'angolo visuale, Platone, che appare spesso lo specimen e il modello riassuntivo dell'antica filosofia della musica, è invece piuttosto un'eccezione, un caso emergente, e il suo valore di assoluto termine di riferimento deriva dalla sua eccezionalità inattingibile. Infatti, malgrado l'onnipresenza di Platone nella speculazione antica e medievale sulla musica e gli innumerevoli passi testuali in cui egli è citato nel corso dei secoli, la maggior parte dei musicografi pagani e cristiani, da Aristosseno a Zarlino, da Boezio a Glareano, sceglie la via o dell'analisi tecnica o della definizione ontologica.
Parliamo di emergenza anche in un secondo significato, che ci riguarda direttamente. Addentrarsi nei testi platonici è un cammino da iniziati, è lo schiudere una porta dopo l'altra, il togliere lentamene leggeri veli sovrapposti, è finalmente l'aprire una cortina che si crede ultima, oltre la quale si spera con tremante emozione di vedere la statua ormai svelata di Iside, e l'accorgersi con sacro terrore che oltre lo schermo c'è un altro diaframma. Ci vengono meno, allora, gli istanti necessari a quel gesto che potrebbe essere ultimo, poiché il tempo ci sfugge, sottraendoci la nostra vita individuale e il nostro individuale impegno nella filosofia. Nella sua classica monografia (Platon, Presses Universitaires de France, Paris 1968, seconda edizione che amplia la prima edita da Alcan, Paris 1935; trad. it. di Francesca Calabi, Platone, Cisalpino-Goliardica, Milano 1988), Léon Robin ha descritto nella conclusione un simile stato d'animo: "Un aspetto del pensiero di Platone è l'inquietudine che incessantemente lo stimola. Sempre in cerca della verità, è veramente 'filosofo' nel senso stretto del termine, e ciò, come afferma con fiera probità il Fedro, 278 cd, perché in questo atteggiamento è la nobiltà della condizione umana. Si rinuncia cioè al postulato iniziale secondo cui vi è una dottrina platonica che certo comporta un'evoluzione ma il cui orientamento generale non è tuttavia cambiato? Rinunciarvi sarebbe ammettere che può esserci ancora filosofia là dove il pensiero fluttua capricciosamente, senza sforzo di sistematizzazione, senza aspirazione verso una intelligibilità sempre più ricca. Come dire che la ricerca delle idee chiare e distinte potrà un giorno fissarsi senza speranza di un progresso ulteriore? Sarebbe accettare per il pensiero un'inerzia mortale" (trad. cit., pp. 228-229, con mie correzioni).
Il passo di Robin illumina il carattere metafisico della ricerca platonica. Per l'oritologo, l'attività filosofica è un'osservazione che esige tranquillità: l'oggetto studiato è messo a fuoco lentamente, visto e osservato da fermo, sottoposto a una lente d'ingrandimento, fino a quando la totalità della forma e della materia si fa eloquente e sembra dire di se stessa: "Io sono così, in verità". E' un atteggiamento di natura scientifica, quasi da laboratorio. Il metafisico corre continuamente il rischio di avventure, è soggetto a drammatici traumi, affronta svolte e colpi di scena, il suo problema non è tanto di vedere meglio il visibile ma di vedere per la prima volta l'invisibile, o togliendo pericolosamente uno schermo da altri dichiarato inviolabile o addirittura intuendo all'improvviso, secondo una celebre favola narrata da Platone stesso, che finora si sono gettati sguardi dalla parte sbagliata, e che è urgente voltare le spalle al fondo della caverna guardando dalla parte opposta, verso la luce che filtra dall'apertura. Il metafisico ha una vita interiore d'indole romanzesca, e Novalis la rappresentò magicamente nel romanzo iniziatico Die Lehrlinge zu Sais, in cui Hyazinth viola i comandamenti del maestro, fugge nel deserto, entra in piena notte nel tempio sacro a Iside, accede con tremore al vestibolo, scosta dopo mille esitazioni il velo, e scopre la statua della dea che però si anima, e l'amata Rosenbliitchen gli viene incontro. Platoniè l'ammaestramento delle incantevoli forme simboliche: verità (Iside) e bellezza (Rosenblütchen) sono tutt'uno, ma la Verità ultima sfugge sempre per un soffio. Per quanto ci riguarda, lo accettiamo con sollievo.
Veli, schermi, nubi mistiche in cui la filosofia apre un varco all'estasi, limpide sfere celesti in cui gli arcani si mantengono eterni, cristalli iperuranici che racchiudono la Verità incorruttibile: nel suo nucleo, la suprema verità dei suoni. L'avventura del metafisico ha la forma di un itinerario, di una navigazione intellettuale guidata dal nous. Con questa parola ellenica, liquida come l'acqua, vibrante come la corda di una forminx, frusciante come il vento, Platone indica l'intelligenza universale e pura. La parola ha un rilievo di alta origine e di prezioso suggello in tutta la tradizione, prima del filosofo ateniese (Omero, Eraclito) e dopo di lui (gli stoici, i neoplatonici). Ma occorre distinguere, per non tradire l'eccezionalità di Platone. Il maestro dei neoplatonici e lume della tarda cultura pagana, il greco-egizio Plotino, accoglie la navigazione platonica come una religione rivelata, ma la sua rotta è diversa e solitaria. La sua verità è interiore, il suo oggetto è l'anima, e il nous è inteso da lui in senso psicologico, etico e religioso, come la guida della ascesi morale volta alla purificazione, alla sfera psichica in sé chiusa e separata dal mondo esterno. Penetrando nelle pieghe della psiche, sempre al limite dell'estasi (come narra il suo discepolo Porfirio), Plotino spingeva l'incuria della propria persona ai più repellenti estremi: orrendamente sudicio, quasi cieco per il troppo leggere e scrivere, eppure ricercato dai medici, dai letterati, dai senatori e dalle dame eleganti che affollavano il cenacolo di sodales da lui fondato a Roma. La qualità estetica del mondo esterno, materiale, sociale, gli era indifferente, così come egli non avrebbe saputo dire se l'Uno, l'ente supremo al vertice dell'architettura filosofica plotiniana, abbia in sé bellezza. La bellezza va cercata "dentro", nello spirito. E' l'idea che domina lo splendido trattato VIII della quinta Enneade, intitolato Della bellezza intelligibile (Perì toù noetoù kallous), parzialmente tradotto da Goethe che lo ammirò. Plotino, che con il disprezzo del proprio corpo e del mondo corporeo si avvicina al carattere del fachirismo induista, interpretava con quest'animo, nel suo trattato, anche la dicotomia di musica e non-musica (amousia) da noi citata in exergo: musica e non-musica sono condizioni interiori, possibilità latenti nell'animo, ed emergenti soltanto nella coscienza di un musicista ispirato. Nella visione platonica, esse sono presenti nello spazio sovramondano, ed esistono con assoluta e metafisica oggettività. La Musica-Verità è meta della navigazione intellettuale, e il mare che dev'essere solcato è al dì fuori: il problema non è tanto il sondarlo, ma il rintracciarlo. A tale luminosa oggettività corrisponde, in Platone, l'attenta cura del mondo sociale esterno, della propria persona, del decoro e dello splendore visibile: il mondo, nel pensiero platonico, è armonia imperfetta, pallida immagine di un'armonia di idee iperuraniche, e fili saldi e sottili legano le bellezze della sfera naturale alla Bellezza delle sfere celesti, laddove nei testi di Plotino la materia è accusata di degradazione irrimediabile, addirittura di nullità.
L'unicità di Platone è il suo talento nell'enunciare idee di natura radicalmente metafisica (soltanto la cultura scientifica, renitente al concetto di ontologia, potrebbe dire: "di natura visionaria") mediante immagini, racconti quasi fiabeschi, miti accesi da ciò che Vico chiamò "corposa fantasia". La teorizzazione della sublime ed eterna musica posta al vertice del mondo. Riserviamo alla prossima puntata un commentario di carattere musicologico; qui ci limitiamo ad enunciare la celebre invenzione mitica che si trova alla fine della Repubblica. Il racconto è solenne e misterioso, come il gran finale di un'ardua composizione corale e sinfonica. Il senso di mistero è ispirato da due motivi. Il primo è la stessa immensità del grande dialogo, articolato in 10 lunghi libri, ciascuno dei quali è più ampio di uno qualsiasi dei dialoghi più "vissuti" e narrativi: Critone, Fedone, Simposio. E' un'anomalia che la Repubblica (o Politeia, come suona il titolo in greco) condivide nel corpus platonico soltanto con le Leggi (o Nomoi), i cui tre lunghissimi libri quasi superano per vastità il dialogo di cui parliamo. Il fatto che Platone abbia posto la propria massima riflessione sulla musica proprio alla fine del suo maggiore monumento letterario, dopo averla promessa, suggerita, anticipata con la debita suspense in altri dialoghi, orchestrandola finalmente con la grandiosità di un inno in un testo in cui la tensione diviene massima, come avviene nell'ultimo canto del Paradiso dantesco o nel finale del goethiano Faust, non lascia dubbi sull'importanza del mito e sul significato altissimo che il filosofo gli attribuisce. Il secondo motivo di mistero è la collocazione del mito di Er nella zona più interna della sfera esoterica, lungo l'itinerario intellettuale che l'autore chiama "la seconda navigazione". La denominazione, e la successiva definizione, si trovano in un passo del Fedone (99 b-d) in cui Socrate spiega a Cebete quale causa tenga insieme tutte le forze dell'universo. Nel linguaggio dell'antica arte marinara, "prima navigazione" era quella che si compiva spinti dalla forza del vento, mentre "seconda navigazione" era quella che si intraprendeva quando, caduto il vento, si poneva mano ai remi. Nel linguaggio platonico, la prima navigazione simboleggia la ricerca da lui compiuta sulla scia dei filosofi naturalisti (Talete, Democrito), spinto cioè dal vento della filosofia applicata alla physis, che presto si fa ingannevole e sospinge fuori rotta. La seconda navigazione simboleggia l'apporto personale di Platone, ossia la ricerca compiuta con le sue sole e proprie forze: quella che, trovando la giusta rotta, porta alla scoperta del soprasensibile e delle idee. L'essenza della musica, nella filosofia di Platone, rientra in questo dominio. Si aggiunga che la meditazione sulla musica e le premesse del mito di Er traggono radice da quei testi esoterici e non scritti, da quell'insegnamento orale confidato da Platone a pochi eletti fra i discepoli, che è difficile ma non impossibile ricostruire per congettura, e su cui Giovanni Reale, in un libro pionieristico (Per una rilettura e una nuova interpretazione di Platone, CUSL, Milano 1984), ha fondato un'inedita immagine del filosofo e del suo pensiero.
Il mito di Er è esposto a conclusione del decimo libro della Repubblica, alla chiusa dell'intero dialogo e di un'intera fondamentale fase del suo lavoro intellettuale (614 a - 621 c). Conversando con Glaucone, Socrate esordisce: "Ti riferirò il racconto di un valoroso, Er figlio di Arménio, panfilo di nazionalità. Una volta accadde che costui morì in guerra. Furono raccolti, dopo dieci giormi, i corpi dei caduti tutti già disfatti. Egli invece fu raccolto intatto. Lo portarono a casa, ed erano sul punto di seppellirlo. Fu posto sulla pira. Passarono dodici giorni ed egli, che ancora giaceva sulla pira, ritornò in vita. Rianimato, riferì ciò che aveva visto di là".
"Di là", ekei, misteriosa parola che ci promette e insieme ci fa temere rivelazioni inaudite. Questo il racconto di Er. L'anima era appena uscita dal corpo, ed egli s'incamminò con le altre anime di soldati morti tra quattro voragini, due sulla terra e due opposte in cielo. In mezzo c'erano giudici che riconoscevano i giusti e gli ingiusti. Le anime sostarono in quel luogo per sette giorni, assistendo a quel Giudizio Finale. "L'ottavo giorno, tutte si levarono, poiché si doveva procedere. Dopo quattro giorni di viaggio, giunsero in un luogo dove si poteva vedere una linea di luce, diritta, attraversare il cielo e la terra. Essa proveniva dall'alto. Pareva una colonna ed era trascolorante, simile all'arcobaleno: più luminosa, tuttavia, e più pura".
Dopo un giorno di cammino, le anime raggiunsero la colonna di luce, la quale tiene avvinto insieme l'universo con catene. L'universo è un'immensa sfera che contiene tante sfere concentriche. Ai due poli sono saldate le due estremità di un fuso. E' il fuso di Necessità, per opera del quale si compiono tutti i movimenti e rivolgimenti della sfera. Al centro, tra le due estremità, è il cercine del fusaiolo, cuore della sfera universale. In realtà, si tratta di diversi fusaioli concentrici e di varia grandezza, l'uno dentro l'altro, otto in tutto. Visto il cercine dall'alto, si vedono gli orli circolari degli otto fusaioli concentrici; essi hanno uno spessore variabile. Al centro dell'ottavo fusaiolo, il più interno, s'inserisce l'asta del fuso. Ed ora, attenzione: l'intero edificio mitico-musicale si regge proprio sul diverso spessore degli orli concentrici, che offrono all'occhio le diverse superfici estese di altrettante corone circolari. Lasciamo parlare Platone.
" Il primo fusaiolo, il più esterno, presenta l'orlo circolare con la massima superficie estensiva; il sesto per collocazione interna è il secondo in ordine di estensione della superficie dell'orlo; terza per estensione è la superficie del quarto, quarta quella dell'ottavo, quinta quella del settimo, sesta quella del quinto, settima quella del terzo, ottava e quindi la meno estesa quella del secondo. L'orlo del fusaiolo più grande è di diversi colori, quello del settimo è luminosissimo, il colore dell'ottavo è il riflesso del settimo, quelli del secondo e del quinto sono molto simili, più fulvi dei precedenti, il terzo ha un colore candidissimo, il quarto un colore rossastro, il sesto è bianco ma meno luminoso del terzo.
"L'intero fuso, e quindi l'intero cercine di Necessità nel suo insieme si volge con velocità uniforme, ma i sette cerchi interni girano con moto contrario a quello del primo e più esterno, e perciò anche con moto contrario a quello dell'intero fuso e dell'intero universo. In particolare, l'ottavo cerchio, fra i sette interni, è il più veloce; seguono, in ordine di velocità, il settimo, il sesto e il quinto alla pari, poi nell'ordine il quarto, il terzo e il secondo.
Il fuso giace sulle ginocchia di necessità, e una Sirena sta su ciascuno dei cerchi, portata in giro con il moto di ciascun cerchio. Ciascuna Sirena emette un'unica voce: la sua nota. Otto esse sono, e ne risulta un unico accordo".
Er viene giudicato da Clotò, Lachesi e Atropo, le tre Parche, e ritorna in vita, recando con sé il segreto che nella prossima puntata tenteremo di decifrare.
Quirino Principe
("Musica Viva", n. 10, Ottobre 1990, Anno XIV)

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