Omeopatia musicale: pillole per attenuare il male dell'insensibilità culturale dilagante.
Curarsi con la musica senza necessariamente ricorrere al suono...

sabato, luglio 04, 2020

Quirino Principe: Musica e filosofia (10/14)

Il primo consiglio di Circe è di non lasciarsi irretire dalle
Sirene, dalla loro voce che imprigiona con gli
incantesimi... Io solo posso udirla.
Odissea, XII, 158-160
 
CELESTI SIRENE NELLE OTTO SFERE PLANETARIE
Decima parte.
 
Marius Schneider, L'albero planetario
Nella puntata precedente avevo promesso un commentario al mito di Er, l'enigmatico testo che conclude la Politeia di Platone. Svelare fino alle radici quanto di misterioso è in quelle pagine non è possibile, e uno schermo ci separerà sempre dalla conoscenza del significato ultimo, poiché siamo di fronte a un testo ispirato da inafferrabili origini di pensiero, quasi una scrittura rivelata. E' lecito però il tentativo di ricomporre in sistema alcuni termini di natura musicale. Tutto quello che dirò è arbitrario, se non soggettivo, e si presta a discussioni interpretative: è un'indagine su indizi, non su prove, e sappiamo quanto la verità processuale possa essere diversa dalla verità delle cose. E' insidioso camminare sul filo di lana, sul ponte di nubi; nel rischio, mi conforta la delimitata premessa da cui muovo. Le ipotesi avanzate sono sostenute da nomi autorevoli, anzi, dai più autorevoli; quasi nessuna è mia. Cerco di ordinarle e di offrirne una sintesi.
Di mio, aggiungo soltanto qualche corollario, qualche chiosa ai margini.
Il fine della decifrazione è, in apparenza, elementare. Come definire i suoni cantati dalle otto sirene e fusi in un accordo universale? E' importante non tanto immaginare l'effetto d'insieme di quell'accordo arcano, quanto fissare con la più alta probabilità la natura individuale di quei suoni e i rapporti analitici che tra essi intercorrono. La realtà veduta e udita da Er è la realtà suprema, e il rapporto tra quei suoni sarebbe perciò il modello universale di ogni musica terrena. Gli otto cerchi da cui le sirene irradiano il loro fascino ruotano intorno al fuso di Necessità, e la loro musica è quindi necessaria e assoluta in termini filosofici: è un'essenza, non un fenomeno.
Come sappiamo, gli otto cerchi sono sfere planetarie. Nella fase culturale della filosofia ellenica in cui Platone opera, la successione dei corpi celesti a partire dalla Terra non coincide ancora con il noto schema aristotelico-tolemaico ripreso poeticamente dalla Commedia dantesca, ossia Luna, Mercurio, Venere, Sole, Marte, Giove, Saturno, stelle fisse. In Platone, la sequenza è lievemente diversa: Luna, Sole, Venere, Mercurio, Marte, Giove, Saturno, stelle. Sull'accertata ma problematica corrispondenza tra gli astri e il canto delle sirene, l'esposizione più densa e profonda è la sintesi compiuta dal musicologo alsaziano Marius Schneider (1903-1983) nel saggio "Die musikalischen Grundlagen der Sphärenharmonie", in Acta Musicologica, 1/2 (1960), pp. 136-151, riedito nell'edizione italiana originale degli scritti di Schneider (Il significato della musica, a cura di Elémire Zolla, Rusconi, Milano 1970) con il titolo Musica e metafisica: l'armonia delle sfere (pp. 205-227). Come osserva Schneider in apertura, da quando lo svedese Carl Allan Moberg (1896-1978) enumerò i tentativi, sempre rinnovati dall'antichità fino al secolo XVII, di identificare i suoni dell'armonie di sfere con determinate note (Sfärenas Harmoni, 1937), sulla questione cadde un lungo silenzio, preoccupato e sospettoso. Lo svizzero Jacques Samuel Handschin (1886-1955), nel libro Der Toncharakter (1948), volle spazzare via il proposito e l'intera concezione che esso sottintende, liquidando tutto il discorso sui pianeti sonanti come un'idea fissa dei neopitagorici e negando importanza al celebre passo finale della Politeia e al mito di Er, da Handschin considerato mera poesia e teologia espressa mediante simboli. Schneider ribatte che il mito di Er è la conclusione (quindi, un luogo di significato conclusivo, non divagatorio e assolutamente serio) di un'opera, la Politeia, fra le più severe e teoretiche di Platone. L'ancorare il sistema visivo-uditivo al fuso di Necessità, aggiungo, ha un suo peso decisivo nell'ambito di tutta l'opera di Platone e di tutta la linea matematico-metafisica (eleati, pitagorici, prima Accademia, neopitagorici) presente nella filosofia ellenica ed ellenistica. Handschin, continua Schneider, riducendo la concezione dei pianeti sonanti a una indebita "scientificazione" di un modo di pensare puramente poetico, confermava soltanto il suo illegittimo rifiuto di ogni pensiero analogico. Così egli si escludeva dalla comprensione del pensiero arcaico e delle filosofie musicali degli Egizi e degli Indiani, alle quali anche noi, in questa rivista, abbiamo dedicato alcune riflessioni: per esempio, l'idea di creazione del mondo mediante suoni.
Chi nega, ad un tempo, il valore musicologico e filosofico del mito di Er, sembra ignorare che nei Moralia di Plutarco sono indicate più volte varie (fin troppo varie, e contraddittorie!) serie di suoni musicali in corrispondenza con la serie dei corpi celesti. Lo studioso viennese Erich Moritz von Hornbostel (1877-1935) tentò senza successo di risolvere le contraddizioni plutarchiane, insidiose per troppa abbondanza. Ma non è questo che conta, mi permetto di osservare. Ciò che conta è la direzione individuabile negli scritti filosofici di Plutarco, e dichiarata apertamente dal filosofo neopitagorico: le fonti della teoresi musicale, per Plutarco come per lo stesso Platone, sono orientali, ossia egizie, babilonesi, iraniche, indiane, e si arriva persino alla Cina (anche se quest'ultima tappa non è dimostrata ma soltanto molto probabile attraverso mediazioni). Sappiamo così, finalmente, dove cercare il bandolo, anche se non è certo che troveremo quello giusto; sappiamo in quale ambito estendere le inchieste e i raffronti. Trattandosi di un sistema musicale-planetario, s'impone un terzo elemento paradigmatico che funge da mediazione, e la cui nomenclatura è particolarmente ricca in ambito orientale: l'elemento simbolico riferito a una sostanza naturale come il fuoco, l'acqua e via dicendo. Così, trasversale ai tre assi paradigmatici (note musicali, corpi celesti, sostanze naturali) si creano tante possibili terne sintagmatiche, suono-sostanza-astro. Com'è noto, il luogo per eccellenza, offerto a chi voglia indagare la composizione di simili terne, è la cultura cinese classica.
Questo ci permetterebbe di risolvere almeno un'incognita dell'equazione, ossia di rispondere che è legittima una corrispondenza. Alla soluzione della seconda incognita, ossia quali siano le singole corrispondenze, concorre un altro fondamentale ambito di cultura, l'India classica, una delle radici nascoste del pensiero ellenico ed ellenistico. In particolare, il Sangita Ratnakara, il grande trattato di musica del filosofo indo-iranico Sarngadeva (secolo XIII), che nell'India di settecento anni or sono fondò per la prima volta una compiuta teoria musicale. In quel libro, citato anche da Marius Schneider, viene costruito uno zodiaco musicale in cui ad ogni segno zodiacale corrisponde un suono ben definito su una scala.
Ormai il meccanismo inquirente può essere attivato. Per meglio procedere poi sul terreno del testo platonico, gettiamo uno sguardo a quelle lontane radici di sapienza, e cominciamo con la corrispondenza esistente nella Cina classica tra i pianeti e le sostanze naturali. Il libro Yoki afferma: "La musica è l'armonia del cielo con la terra, e prende dal cielo la sua virtù efficace". Nei nomi stessi degli astri tale armonia è implicita. Mercurio, che lo Yo-ki connette con il suono SI, è in cinese sciue-scin, "astro dell'acqua". Venere (SOL) è gin-scin, "astro d'oro e dell'aria". Marte (FA) è huo-scin, "astro del fuoco". Saturno (LA) è tu-scin, "astro della terra". C'è poi, nella simbologia cinese classica, un quinto elemento (cinque è l'onnipresente numero cinese, anche nei gradi della scala pentafonica): Giove (DO) è mu-scin, "astro del legno". Gli studi di Marcel Courant e il saggio memorabile di Marius Schneider, El origen musical de los animales sìmbolos (Instituto espanol de Musicologia, Barcelona 1946; trad. it. di Gaetano Chiappini, Gli animali simbolici e la loro origine musicale, Rusconi, Milano 1986, pp. 122-132) hanno messo in luce una quarta serie paradigmatica in corrispondenza parallela con le prime tre: i colori simbolici, giallo per l'aria (SOL), rosso per il fuoco (FA), azzurro per l'acqua (SI), verde per la terra (LA). Si realizzano così le seguenti linee sintagmatiche:
 
FA  =  Marte  =  rosso  = fuoco
SOL  =  Venere  =  giallo  =  aria
LA  = Saturno  =  verde  =  terra
SI  =  Mercurio  =  azzurro  =  acqua
DO  =  Giove  =  bianco  =  legno
 
Questo, per la soluzione della prima incognita. Ma le mediazioni tra Oriente e Occidente modificano le corrispondenze, e Sarngadeva rappresenta una fonte più "vicina" a Plutarco e a Platone. Nel Sangita Ratnakara, Toro, Leone e Pesci corrispondono rispettivamente a MI, FA, SI. Se ipotizziamo una relazione con i dodici suoni di una scala cromatica secondo il temperamento equabile, dovremmo riuscire a porre le dodici costellazioni zodiacali con i dodici suoni. Ma come, in quale ordine?
Non certo seguendo l'ordine mensile delle dodici costellazioni e tenendo conto della successione dei gradi di una scala
cromatica. Non ne verrebbe fuori nulla di sensato. Schneider, nel saggio citato in principio, escogita una felice soluzione, raggruppando le dodici costellazioni in quattro segni cardinali, quattro segni fissi e quattro segni mobili, come vogliono le buone norme astrologiche. In questo modo, completando il frammento o "torso" lasciato da Sarngadeva, il conto torna perfettamente, e in un unico modo possibile:
  • DO, RE bemolle, RE, Mi bemolle - Ariete, Cancro, Bilancia, Capricorno (segni cardinali)
  • MI, FA, Fa diesis, SOL = Toro, Leone, Scorpione, Acquario (segni fissi)
  • LA bemolle, LA, SI bemolle = Gemelli, Vergine, Sagittario, Pesci (segni mobili) 
A questa prima ipotesi, Schneider aggiunge una seconda, immaginando che ogni pianeta abbia lo stesso suono del segno zodiacale in cui il pianeta stesso ha la sua "casa" principale:
 
Sole = Leone = FA
Luna = Cancro = Re bemolle
Saturno = Capricorno = Mi bemolle; e Acquario = SOL
Giove = Sagittario = SI bemolle; e Pesci = SI
Marte = Ariete = DO; e Scorpione = FA diesis
Venere = Toro = MI; e Bilancia = RE
Mercurio = Gemelli = LA bemolle; e Vergine = LA
 
Su queste basi interculturali, Schneider ricostruisce l'albero planetario, che ci permette una plausibile lettura del passo platonico alla fine della Politeia.
Riproduco sostanzialmente l'immagine disegnata da Schneider, ma aggiungo, dopo la zona di Saturno, quella delle stelle fisse, ormai teorizzata da tempo negli anni in cui Platone era operante in Atene, e destinata a rimanere nella tradizione classica e cristiana. Il "suono" di questo cielo, secondo Nicomaco e Plutarco, non è diverso da quello di Saturno in Capricorno: MI bemolle. Si osservi come ciascuno dei cinque pianeti veri e propri (visibili a occhio nudo e quindi noti alle astronomie antiche, alla cinese come all'indiana, alla babilonese come alla celtica, all'egizia come all'ellenica) sia al centro di una zona di tensione tra due suoni distinti: la lieve sfumatura di un semitono in Mercurio e Giove, un tono in Venere, una terza maggiore in Saturno, l'asprezza di un tritono o diabolus in musica (inevitabile!) nel demoniaco Marte, combattuto tra il velenoso Scorpione e il cornuto Ariete. Sole e Luna corrispondono ciascuno a un unico suono, e c'è tra essi (ossia tra RE bemolle e FA) un intervallo di terza maggiore. Osservo anche ciò che né Schneider né altri hanno mai notato: che il MI bemolle delle stelle fisse è nella strategia intervallare esattamente intermedio tra RE bemolle e FA, sicché possiamo considerare il cielo stellato, quel cielo che tanto affascinava Kant, come l'elemento di mediazione tra la Luna e il Sole. Mi sono permesso, a tal fine, di aggiungere le due curve tratteggiate allo schema di Schneider.
Se ora ricordiamo che nel mito platonico di Er i cerchi celesti, dal più piccolo al più ampio per quanto riguarda il raggio (non per quanto riguarda lo spessore degli anelli al bordo), sono nell'ordine Luna, Sole, Venere, Mercurio, Marte, Giove, Saturno, stelle fisse, possiamo immaginare o ricostruire mentalmente la symphonia o accordo universale.
Restano al di fuori del quadro i tre pianeti "moderni", non visibili ad occhio nudo e scoperti dagli astronomi occidentali tra il secolo XVII e il XX: Urano, Nettuno e Plutone. Proprio non possiamo immaginare i loro suoni, tali da associarsi in un lontano e tenue accordo alla symphonia universale udita per prodigio da Er? La cultura occidentale non ci soccorre più: all'epoca di Galilei, ai tempi di Herschel, scopritore di Urano, di Leverrier (Nettuno) e di Lowell (Plutone), la simbologia planetaria e musicale non era più una realtà viva. Ancora una volta, in modo laterale, ci soccorre la cultura orientale. I nomi che i cinesi danno ai tre pianeti seguono a loro volta, per acculturazione, concetti di tipo occidentale.
Urano è tien-wan-scin, "astro signore del cielo", come insegna la mitologia greco-romana; Nettuno è hai-wan-scin, "astro signore del mare"; Plutone è min-wan scin, "astro signore degli inferi". Molto deludente. Tuttavia, il musicologo tedesco Hans Kayser (1891-1964), studioso di Paracelso e di Böhme e appassionato orientalista, nel suo libro Akroasis die Lehre von der Harmonik der Welt (Basel 1946), ci rivela che per comune accordo dell'astrologia occidentale moderna e di quella cinese Urano (Toro) suona MI, Nettuno (Vergine) suona LA, Plutone (Leone) suona FA. Ecco il remoto accordo FA-LA-MI, una quadriade di settima senza la dominante, arcana e malinconica. E Proxima Centauri? E Aldebaran? E Antares? E Algol, la stella-diavolo?
Quirino Principe
("Musica Viva", n. 11, Novembre 1990, Anno XIV)

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