Omeopatia musicale: pillole per attenuare il male dell'insensibilità culturale dilagante.
Curarsi con la musica senza necessariamente ricorrere al suono...

sabato, aprile 26, 2008

Bach e la numerologia

La possibilità che i compositori del passato siano potuti ricorrere alla Numerologia scatena oggi reazioni anche fortemente contrastanti: dal rifiuto a priori delle menti più razionali ai romantici idealismi degli speculatori più irriducibili.
Anche in questo caso vale quanto comunemente si raccomanda agli interpreti, ovvero un approccio oggettivo ad epoche remote le quali, in quanto tali, si differenziano profondamente dalla nostra per cultura e sensibilità. Chi interpreta il passato lo deve prima osservare così come esso si presenta, per poi darne la propria lettura. Scopo di questo contribuito è pertanto quello di fornire, al di là di ogni empirismo, elementi concreti volti a verificare la probabilità di una tradizione numerologica nella cultura musicale occidentale. Cultura in cui, lungi dal rappresentare un caso isolato, si inserì Johann Sebastian Bach.
Essendo essa volta ad evocare concetti di natura astratta altrimenti difficilmente esprimibili, la numerologia rientrava nell’ampio contesto dell'Ars Rhetorica. In musica ravvisiamo, nell‘espressione retorica di quegli anni, diversi livelli di ricezione:
*l’Affetto immediatamente recepibile, trasmesso dal compositore servendosi di figure immediatamente riconoscibili (exclamatio, suspiratio ecc.) che così, al pari di un attore, rendeva partecipe ogni ascoltatore del significato testuale. È la fase ultima e più "esteriore" dell’impianto retorico, la cosiddetta decoratio.
Ma l’affetto poteva essere espresso anche attraverso le parvenze grafiche di una determinata figura o frase musicale, procedimento definito da molti trattati col termine greco hypotyposis. "Quest’ornamento è proprio dei veri artisti. Oh, se tutti i compositori ne facessero uso!" (Burmeister, Musica Poetica). Così Bach arriva a dipingere musicalmente forme di croce, schiere di angeli e perfino le fiamme dello Spirito Santo, come già intuì Schweitzer parlando di "pitture musicali". Va da sé come solo gli occhi di un iniziato siano in grado di distinguere tali figure sulla carta
Ma vi è uno stadio ancora più nascosto, quello che conferisce ai dati numerici di una composizione (unità di tempo, quantità di battute, di note o di motivi) un significato "esoterico", in quanto percepibile sono sulla base di approfondite ricerche. Vista in quest‘ottica, la numerologia esula da un contesto meramente matematico entrando a far parte dell‘ampio vocabolario simbolico-musicale a disposizione del compositore.
Tale approccio reservato sarebbe solo apparentemente in contrasto con lo spirito universale di Lutero: dopo essersi rivolto all’assemblea e successivamente ai conoscitori, il musicista sembrerebbe voler qui dialogare con il suo Io più recondito. È quella privata, secondo il Vangelo, l’attestazione di Fede più autentica: "Prima di rivolgervi al Padre, chiudete la porta della vostra casa; poi pregate così...". Ci sembra questo il senso delle innumerevoli "firme" in codice (attraverso le cifre 14, 41, 158) incastonate da Bach nelle sue composizioni.
Ma questa è solo una supposizione poiché, nonostante i tentativi di molti, le intime convinzioni di Bach non sono dimostrabili; certo è che l’interpretazione dei numeri era allora una tappa obbligata dello studio della Bibbia, arrivando quindi a coinvolgere chi sul testo biblico musicalmente operava. Non quindi arida speculazione od elitario intrattenimento, bensì l’altra faccia del movere: il docere, concetti entrambi citati da Bach nei suoi frontespizi.
Non va esclusa l’‘ipotesi che il compositore, nell’erigere il suo edificio musicale, si servisse di determinate formule matematiche proprio come un architetto del rinascimento; è noto come tale procedimento sia diffusissimo anche nel nostro tempo (Webern, Boulez e molti altri). Che tali cifre fossero tratte dalla tradizione biblica non dovrebbe stupire più di tanto, in una società impregnata di cultura religiosa com’era la Germania luterana; in un contesto completamente differente, Alban Berg avrebbe invece citato „numericamente" i nomi degli amici Zemlinsky, Schönberg e Webern (Kammerkonzert), e perfino i particolari delle sue ... passioni extraconiugali (Lyrische Suite)!
Tra i vari codici numerologici diffusi in Occidente, la Ghematria era quello generalmente più applicato: possiamo supporre che l’idea di sostituire ciascuna nota con una lettera possa risalire ad influssi orientali; alcune lingue asiatiche sono infatti prive di numeri, utilizzando al loro posto lettere dell’alfabeto. L’origine della Ghematria è tuttavia generalmente attribuita a Pitagora; attraverso la cultura ebraica tale sistema si innestò nella civiltà cristiana.
Guillaume de Machaut (ca.1300-1377) utilizza l’alfabeto numerico nel testo del suo Rondeau Dix et sept, cinq. Le prime frasi della composizione sono: "Dix et sept, cinq, trese, quatorse et quinse / M’a doucement de bien amer espris". I numeri 17, 5, 13, 14 e 15 equivalgono a RENOP, anagramma del nome Péronne, sua compagna.
Nel Quattrocento l’esempio più famoso di numerologia applicata alla musica è certamente il motteto "Nuper rosarum flores" di Guillaume Dufays (1400?-1474) scritto per la consacrazione del Duomo di Firenze seguendo le proporzioni matematiche della cupola del Brunelleschi, ma non è che un caso tra tanti. Il ricorso alla Ghematria è infatti documentato anche nella musica di Johannes Tinctoris (1435-1511?), e Josquin des Prez (1440-1521), espressamente stimato da Lutero.
Jacob Obrecht (1452-1505) è autore di due messe, Sub Tuum Praesidium e Maria Zart, dalla struttura talmente complessa da spingere il loro editore moderno ad allegarvi ben 146 pagine di esplicazione (M.van Crevel, Amsterdam, 1959)! Egli spiega come in questa musica siano celate speculazioni matematiche di ogni genere, dalla serie di Fibonacci al teorema di Pitagora, inclusa naturalmente la ghematria. Ad esempio, nel Medio Evo Cristo veniva spesso rappresentato dal numero 888, esattamente quanti sono i tactus della messa Sub Tuum.
Nel Rinascimento tutto ciò coincideva con l’affermarsi di un sentire che, come è noto, sull’armonia delle proporzioni e il valore del numero fondava la sua estetica.
L‘inizio del Seicento musicale fu segnato da un avvenimento fondamentale: il passaggio dalla Prima alla Seconda Prattica, iniziato nell’ambito della Camerata Fiorentina e portato a compimento da Claudio Monteverdi. La Musica si estraniò gradualmente dal medioevale Quadrivium (Aritmetica, Musica, Geometria, Astronomia) divenendo essenzialmente un veicolo espressivo, al servizio di un Affetto immediatamente recepibile, unendosi nel Trivium (grammatica, dialettica, retorica) all’Ars Rhetorica. Ciò implicò un progressivo allontanamento dalla sensibilità rinascimentale.
Anche la cultura tedesca recepì i nuovi stimoli provenienti dall’Italia. Martin Lutero intuì immediatamente le facoltà propedeutiche della Musica, considerandola quale Donum Dei e conferendole, affiancandola alla Teologia, valenza dottrinale: il Protestantesimo applicò intelligentemente la Seconda Prattica piegandola ai fini della Riforma. Il concetto protestante di Musica Poetica fu espresso per la prima volta da Nicolaus Listensius nel suo Musica (1537), mentre il primo trattato dedicato alle figure retoriche in musica fu il Musica Poetica di Joachim Burmeister (1599).
In Italia, il passaggio dal Rinascimento al Barocco comportò la progressiva estinzione della numerologia; Vincenzo Galilei, nel suo "Dialogo dell‘antica Musica…“, biasima quei compositori dediti a tecniche troppo speculative, pronunciandosi in favore di un‘espressione più immediata. In Germania al contrario, l‘evoluzione del gusto determinò un‘emigrazione della Cabala verso le sfere più recondite del sapere.
Quale esempio di scritti numerologici risalenti all’epoca di Bach, Friedrich Smend cita le pubblicazioni "Der biblische Mathematicus" del predicatore luterano Johann Jakob Schmidt (1736) ed il 19. Capitolo dei "Paradoxal-Discourse" di Andreas Werckmeister (1707), intitolato: "Von der Zahlen geheimen Deutung" (sul significato segreto dei numeri). Riferendosi alla Gematria, Schmidt scrive: "Il ricorso a tali invenzioni per innocuo lusus ingenii o spirituale intrattenimento, come affermato dal beato Lutero, non va assolutamente condannato". (Der biblische Mathematicus)
Bach potrebbe aver conosciuto, sempre di Werckmeister, il Musicae mathematicae hodegus curiosus oder Richtiger Musicalischer Wegweiser, pubblicato a Lipsia nel 1687. L‘autore, celebre anche per le sue ricerche sul temperamento, scriveva: "Anche il musicista dovrà studiare con zelo gli intervalli musicali (...) Essi sono costituiti secondo numeri e proporzioni, così come Dio tutto ha ordinato secondo numeri, peso e misura...". (Cribrum musicum, Lipsia 1700)
Interessante come Werckmeister, nei Paradoxal-Discourse, limiti la pratica cabalistica alle unità numeriche più piccole, quelle fondamentali, quasi in riferimento alle entità realmente presenti nel Creato: effettivamente le cifre cui tradizionalmente si aggiudica una valenza allegorica raramente superano il 13. Il pensiero del teorico tedesco può anche riferirsi alla natura simbolica del numero 1, immagine di Dio; per S.Agostino infatti, più un numero si avvicina all’Uno più esso è prossimo alla perfezione.
L’arte del numero quindi al servizio di una convinzione (o convenzione) religiosa ma anche vista quale nobile, elevante diletto intellettuale. Ciò è confermato da una non cospicua (almeno allo stato attuale delle ricerche) ma significativa letteratura dell’epoca. Nella biblioteca di Bach era presente lo scritto Judaismus (Amburgo 1707) del teologo luterano Johannes Müller. Egli scrive: "Se si ricorre alla Cabala non soltanto per illustrare la Sacra Scrittura, bensì anche per alludere al proprio ingegno ("ingeniose zu alludieren"), ciò non sarà contrario al volere di Dio, nè rientrerà tra le pratiche magiche, ma sarà prossimo alla fede cristiana (...). Ciò può accadere senza che la coscienza ne sia ferita".
Non è forse il „canone segreto", sfoggiato da Bach sul suo ritratto, l’esempio più eclatante di tale ingegno? Il sorriso leonardesco del musicista la dice lunga su questo suo intellettuale "duello" con i posteri... .
Non vi è dubbio però che agli albori dell’Illuminismo la Cabala fosse ormai una disciplina rivolta a pochi iniziati, tenendo così fede all‘essenza reservata delle sue origini. Johann Mattheson e Johann Adolf Scheibe ad esempio, ormai calati nel pragmatismo di Diderot e Voltaire, si pronunciano in termini scettici se non addirittura ironici sull’antico sapere numerico, confermandone così l’effettiva esistenza nelle epoche precedenti. Che la numerologia fosse caduta in disuso già in nel XVIII secolo è dimostrato anche dal celebre ritratto bachiano, commissionato nel 1746 ad Elias Gottlob Haussmann per l’ammissione alla Società di Mizler. Nell‘originale spiccano sulla casacca del musicista 14 bottoni (BACH), mentre le copie immediatamente approntate dopo la sua morte non tengono conto di questo particolare, evidentemente ignorandone il significato.
In ambito musicale le opere sacre di Heinrich Schütz si rivelano estremamente interessanti anche nella loro simbologia, mentre fu Johann Kuhnau (predecessore di Bach al cantorato lipsiense) ad includere nella prefazione delle sue Biblischen Historien (1700) un quesito numerico rivolto ai colleghi.
L’interesse di Bach per i numeri ed il loro significato simbolico è accertato, come testimoniano le sue annotazioni al Bibelkommentar di Abraham Calov. Esodo 15:20 descrive la danza di Miriam e delle donne ebree in risposta al canto di Mosè e dei suoi uomini; qui Bach annota: “Preludio a due cori, da eseguirsi a gloria di Dio”. Alcuni commentatori suggeriscono che il mottetto Singet dem Herrn, per doppio coro, sia stato ispirato da questo passaggio. Ancora, in Esodo 15:27: “Ed essi giunsero ad Elim, dove vi erano dodici sorgenti d’acqua e settanta alberi di palma”. Il commentatore puntualizza come nel Vecchio Testamento vi fossero 12 tribù d’Israele e 70 anziani, e nel Nuovo Testamento 12 Apostoli e 70 Discepoli. Bach, prontamente, sottolinea il passo, dimostrando così il suo interesse per simili associazioni.
In questo contesto va rilevata la presenza nella biblioteca di Bach del Haupt=Schlüßel über die hohe Offenbarung S.Johannis (Schleusingen 1684) di Caspar Heunisch. Questo libro offre una ‚interpretazione di tutti i numeri dell’Apocalisse‘, applicando però quanto esposto all‘intera Sacra Scrittura.
Riallacciandosi a quanto auspicato da S.Agostino, l‘italiano Pietro Bongo (Numerorum Mysteria, 1599) raccomandava che la simbologia matematica fosse mantenuta "segreta" e non esposta al pubblico dominio. Perfettamente logico quindi che, almeno fino al Novecento, nessun compositore si sia premurato di estendere una chiave di interpretazione delle proprie opere.
L’abitudine di trasmettere messaggi in codice attraverso i numeri è documentata nel corso di tutta la storia della musica tedesca: se ne trovano tracce anche nelle opere di Schumann, Brahms e Bruckner, fino alla seconda scuola viennese. Fu Alban Berg uno dei primi compositori a "rivelare" per iscritto i segreti del suo Kammerkonzert, in una copia della partitura ritrovata dopo la sua morte.
Proprio intorno a quegli anni musicologi e specialisti iniziarono ad interessarsi a questo particolare aspetto della musica di Bach. Nel 1937 apparve nel Bach Jahrbuch un pionieristico articolo di M. Jansen, Bachs Zahlensymbolik, an seinen Passionen untersucht („La simbologia numerica in Bach, applicata alle Passioni"). Ma fu l‘anno bachiano 1950 a vedere la pubblicazione del primo importante studio sull’argomento, ispiratore di quelli successivi: J.S.Bach bei seinem Namen gerufen, di Friedrich Smend. Ricorrendo alla Numerologia l‘autore formulò una sua soluzione al mistero del "Canone segreto" presentato nel ritratto di Hausmann.
Da allora sono apparsi innumerevoli contributi (per lo più in lingua tedesca ed inglese) dedicati a quello che sembra costituire l‘argomento più delicato e discusso nell’ambito della ricerca bachiana. Molteplici infatti i criteri di approccio: da chi con veemenza si oppone (U.Meyer, Zahlenalphabet bei Bach? Zur antikabbalistischen Tradition im Luthertum, [Sulla tradizione anticabalistica nel Luteranesimo] 1981) a chi, forte di calcoli al di là ogni immaginazione, è stato capace di delineare fantasiosi paralleli tra correzioni dei manoscritti e salmi ebraici (Ludwig Prautzsch, Vor deinen Thron..., 1980). Di carattere prettamente esoterico sono le scoperte di Kees van Houten ed altri olandesi (BACH an het getal, 1985): il nostro sarebbe ricorso nelle sue opere a simbolismi numerici collegati alla setta medievale dei Rosacruciani, anticipando nelle proporzioni delle Variazioni Goldberg l’esatta data della sua dipartita!
A titolo informativo stiliamo qui un elenco dei pricipali numeri con il significato simbolico loro generalmente attribuito. Naturalmente l‘elenco non si riferisce esclusivamente alla musica di Bach, bensì all’intera tradizione cabalistica occidentale.

  1. Dio, l’Unità. Per gli ebrei, "Dio è uno". Si pensi all’incipit del Credo dalla Messa in si minore: il soprano declama il Credo in unum Deum iniziando solo e su un’unica nota.
  2. L’Uomo, "nato da Dio, il vero Uno" (J.J. Schmidt, Der biblische Mathematicus). La vita terrena si compone di dualismi: Dio e l’Uomo, Cielo e Terra, Bene e Male, giorno e notte, anima e corpo, uomo e donna, destra e sinistra... In musica il tempo binario è detto imperfectum.
  3. La Trinità, Dio. Perfezione: il tempo ternario è perfectum. L’unità composta di tre parti: Passato, Presente, Futuro; Inizio, Centro e Fine. Morte e Risurrezione: Cristo giace 3 notti nel sepolcro, per risorgere il Terzo giorno; nella terza ora del giorno (Hora Nona) Cristo è condannato a morte. Secondo la tradizione medievale, alla stessa ora Dio crea Adamo: il sacrificio di Cristo per la Redenzione dell‘Uomo.
  4. La Terra, il Mondo (gli elementi, le stagioni, i punti cardinali). Per i cristiani, i quattro evangelisti e le quattro fasi della vita terrena di Cristo: Incarnazione, Passione, Risurrezione, Ascensione. Messa in si minore, Gloria: il "divino” ritmo ternario si trasforma in 4/4 in corrispondenza dell’Et in terra Pax.
  5. Satana, il Male. Secondo Werckmeister, "numero degli spiriti malvagi". Secondo altre tradizioni, l’Uomo: la testa, le due braccia e le due gambe corrispondono ad un pentragramma, così come cinque erano i pianeti conosciuti nel Medioevo: Giove, Mercurio, Saturno, Venere, Marte. Le ferite di Cristo.
  6. La Creazione. Per Sant'Agostino, Dio creò il Mondo in sei giorni (Hexameron), poiché il 6 è un numero perfetto: esso è infatti insieme somma e prodotto delle sue componenti (1+2+3 – 1x2x3). Nel Wir glauben BWV 680 di Bach (Crediamo tutti in un solo Dio, creatore...) l’ostinato del pedale si ripete per sei volte.
  7. Per la cultura cristiana ed ebraica, a causa del continuo apparire di questa cifra nella Bibbia, numero sacro per eccellenza. La fusione di Dio (3) con l’Uomo (4) : nelle 7 invocazioni del Padre Nostro, 3 si riferiscono all’eternità, 4 alla vita terrena. Lo Spirito Santo: i 7 Doni, il Settimo Giorno consacrato a Dio. Forse non è un caso che in lingua tedesca parole come Heiland, Erlöser, (Salvatore), Messias si compongano di sette lettere.
  8. Perfezione e Vita eterna. L’Ottavo Giorno: per S.Agostino, al Sabbat segue il Giorno del Signore, "senza inizio e senza fine". Graficamente, le due linee simboleggiano intersecandosi il passaggio dalla vita terrena a quella spirituale. In musica, l’ottava (Diapason) comprende non a caso tutti i suoni disponibili nel nostro sistema. Sempre nel Wir glauben (Creatore del cielo e della terra) dalla Klavierübung, l’ostinato al pedale si estende lungo tutta l’ottava (=totalità).
  9. In quanto 3x3, simbolo trinitario.
  10. La Legge, i comandamenti, a loro volta suddivisi in 3 (rivolti a Dio) e 7 (rivolti al Prossimo). Il 7 in questo caso allude all’Uomo, fatto di corpo (4) e anima (3). Il preludio sopra Dies sind die heilgen zehn Gebot BWV 678 è in tempo 6/4 (=10), e Bach raddoppia le cinque frasi del corale presentandole in canone. Nella cantata Du sollst Gott, deinen Herren lieben (Devi amare il Signore Dio tuo) la stessa melodia è introdotta per dieci volte dalla tromba.
  11. Il Peccato, per S.Agostino il "soverchiamento della Legge". Gli Apostoli dopo il tradimento di Giuda: cfr. "Herr, bin ich" (Signore sono io?) esclamato dagli Apostoli per undici volte nella Passione secondo Matteo di Bach (pochi sanno che Heinrich Schütz, nella sua Johannes Passion, fece esattamente lo stesso).
  12. La Chiesa, gli Apostoli, le tribù d’Israele, le porte della Città Celeste. Per S.Gregorio Magno simbolo della Chiesa in quanto Dio Trinitario che si manifesta al mondo (3x4). Il cosmo, lo Zodiaco.
  13. Hermann Fischer fornisce una visione interessante di quello che per noi oggi è il numero della sfortuna. Potrebbe simboleggiare l’unità della Chiesa con il Maestro: anche l’espressione Jesus Christus si compone di tredici lettere.
Vi sono inoltre numeri che nella Bibbia rivestono un valore particolare:

  • 24 = I Saggi che nella Gerusalemme Celeste si raccolgono di fronte al trono, in contemplazione eterna.
  • 33 = Gli anni di Cristo.
  • 40 = Penitenza: quarant’anni trascorse il popolo d‘Israele nel deserto, per 40 giorni Mosè e Cristo digiunano nel deserto. La battuta 40 del Vater Unser BWV 682 è l’unica in tutto il pezzo (91 battute) dove il pedale tace.
  • 46 = Simbolo del Tempio, eretto in 46 anni.
  • 77 = l’Incarnazione di Cristo, settantasettesimo discendente di Adamo (Luca, 3, 23).
  • 144 = I centoquarantaquattro eletti, destinati alla Città Eterna.
Attraverso la Ghematria, Bach ricorrerebbe con frequenza a determinate cifre cariche di significato. Ludwig Prautzsch così le elenca:

  • 14 BACH
  • 29 J.S.B, anche SDG (Soli Deo Gloria)
  • 41 J.S. BACH
  • 43 CREDO
  • 47 HERR (Signore)
  • 48 INRI
  • 53 SOHN (Figlio, di Dio)
  • 59 GLORIA, GOTT (Dio)
  • 61 ISRAEL
  • 70 JESUS
  • 71 KRIPPE (Presepio)
  • 73 ZEBAOTH
  • 75 BETHLEHEM
  • 83 IMMANUEL
  • 112 CHRISTUS
  • 158 JOHANN SEBASTIAN BACH
È probabile che Bach ricorresse tali numeri utilizzandone anche i diversi fattori. La terza parte della Klavierübung cela alcuni esempi affascinanti. Notoriamente composta in omaggio alla Trinità, quest’opera complessa consta non a caso di 27 composizioni, ovvero 3 x 3 x 3, esattamente quante sono le sezioni della Passione secondo Matteo. La celebre fuga “tripla” in mib (tre alterazioni, tre soggetti), è divisa in tre sezioni rispettivamente di 36, 45 e 36 battute (tutte cifre divisibili per tre). La somma dei singoli fattori 3 + 6 + 4 + 5 + 3 + 6 equivale ancora una volta a 27; inoltre 2 + 7 = 3 + 3 + 3 !
In particolare Bach citò “numerologicamente” il proprio nome in molte delle sue composizioni. Il celebre corale Vor deinen Thron attesta inoltre come, nella musica sacra, egli ricorresse ai “suoi” numeri forse identificandosi nel messaggio del testo in questione: in questo pezzo la prima frase del corale (al soprano) è composta di 14 note, mentre in tutto il corale la voce superiore consta di 41 note, così come 41 sono le entrate del soggetto in versione originale ed inversa.

tratto da www.sectioaurea.com

sabato, aprile 19, 2008

Il metronomo fino a Ligeti

L'invenzione del metronomo, quel piccolo meccanismo ad uso dei musicisti, dallo snervante tic-tac, è attribuita nel 1812 all'olandese Winkel (già nel 1696 si ha notizia di un metronomo, alto 2 metri, costruito dal francese Etienne Loulié). La sua realizzazione è invece del tedesco Mälzel nel 1816. Beethoven, per primo, usò il metronomo nella sua stessa musica ma lo strumento di cui si servì doveva essere ancora impreciso, essendo le indicazioni talmente veloci da risultare ineseguibili (vedi il I Movimento della V Sinfonia, Allegro con brio in 2/4, Minima = 108!). Questa in breve, la storia. Come da manuale. Esistono però altre storie sul metronomo. In musica e nell'arte contemporanea.
Pensiamo all'interpretazione come oggetto-scultura che ne dà Man Ray nel 1923, attaccando al pendolo la foto di un occhio (sul significato di quest'opera, Indestructable Object, rimandiamo al sito della Tate Gallery); agli scatti in b/n di Marjan Zahed Kindersley dedicati al metronomo; alla recente Metronome, erotica graphic novel della concept artist Veronique Tanaka, composta da 64 pagine. Le vignette, 16 per pagina, funzionano come le battute in musica. A un ritmo di 4/4.
L'uso del metronomo come strumento musicale ci porta invece a György Ligeti e al suo Poème Symphonique per 100 metronomi del 1962. In realtà nel 1960 il giapponese Toshi Uchiyanagi scrisse Music for Electric Metronome per metronomo e 3 o più esecutori ma quando progettò la sua opera Ligeti non conosceva quella di Ichiyanagi. Del 1983 è poi MM51 di Kagel, per pianoforte, film e metronomo.
Poème Symphonique, massa sonora e network poliritmico che emerge automaticamente, non appena il meccanismo comincia a ticchettare, va considerato come il prototipo di un'idea adottata da Ligeti in altri pezzi concettualmente simili come Continuum per clavicembalo dove la ripetizione frenetica di pattern ritmici genera un effetto stroboscopico. La partitura del Poème? Una pagina dattiloscritta ovvero un elenco di disposizioni e ironici suggerimenti. La première si tenne il 13 settembre 1963 a Hilversum, in Olanda, all'annuale Gaudeamus Music Week, appuntamento con la nuova musica. Una serata carica di aspettative (il titolo, Poème Symponique, suonava rassicurante) con ospiti illustri e discorsi importanti "sull'alto valore dell'arte musicale" e che, invece, ebbe l'effetto di una chiara provocazione rimarcata dall'atteggiamento serioso, in abiti di cerimonia, dei 10 esecutori che azionarono i metronomi. Questo e nient'altro avrebbe potuto leggere un pubblico poco familiare al movimento neo avanguardista Fluxus di cui Ligeti faceva parte in quegli anni. All'ultimo tic dell'ultimo metronomo seguì il silenzio. Pesante. Poi urla di protesta. La performance fu ripresa dalla tv olandese ma non andò mai in onda. Al suo posto venne trasmessa una partita di calcio (Ligeti ne parla nelle note al cd 5, Mechanical Music, della György Ligeti Edition, Sony 1997). Sebbene le sue esecuzioni non siano frequentissime (anche per le oggettive difficoltà di allestimento) l'opera, amata o incompresa, continua a far parlare di sè, per l'impatto acustico e l'effetto visivo sorprendente, grazie ad un'altra première televisiva (dopo quella mai andata in onda!) trasmessa dal canale francese Arte. Performance registrata a Roma ed eseguita utilizzando un dispositivo ideato nel 1995 dall'artista di installazioni Gilles Lacombe in grado di far funzionare i 100 metronomi simultaneamente e autonomamente, senza dover ricorrere ai 10 esecutori. Il video (di circa 9 minuti) è su You Tube (http://it.youtube.com/watch?v=X8v-uDhcDyg) e sul sito UbuWeb e continua a diffondersi tra i vari blogart: Ionarts, The rest is noise, Time4time, The staanding room..., affascinando i musicisti. E non solo. Geniale esempio di concept art. Pura espressione di sound art.

Maddalena Schito (Gdm, 04/08)

sabato, aprile 12, 2008

G.B. Sammartini: intervista a Alessandra Rossi Lürig

Alessandra Rossi Lürig è direttore artistico della Fondazione Arcadia e direttore musicale della prima registrazione mondiale del CD Brilliant dedicato alla figura di Giovanni Battista Sammartini .

Come nasce l’idea del “progetto Sammartini” e la collaborazione con la prolifica etichetta olandese budget-price Brilliant?
L’idea nasce fin dall’esordio dell’attività della Fondazione, nel 2001. Si tratta di un progetto che comprende la pubblicazione di inediti, l’esecuzione dei medesimi in concerto e la registrazione discografica di alcune opere scelte. Brilliant Classics è una delle pochissime case discografiche interessate alle integrali, o a progetti di questo tipo, che prevedano la pubblicazione di una serie di opere di un compositore, con una particolare attenzione agli autori meno noti o agli inediti; la scelta è dunque stata naturale. Giovanni Battista Sammartini è considerato il padre della moderna sinfonia, l’ispiratore dello stile di Haydn, come disse profeticamente ai suoi tempi il boemo Mysliveceek, amico di Mozart.
Quali sono secondo lei le ragioni che portarono Sammartini a codificare questo nuovo genere?
Sicuramente la situazione artistico-musicale nella quale si è sviluppato il suo talento. Ricordiamo che Milano vantava la grande orchestra del Teatro Ducale, varie orchestre impiegate nelle chiese, un importante presenza di quelli che si chiamavano professori di sinfonia, l’Accademia Filarmonica, i concerti sinfonici all’aperto che si tenevano al Castello Sforzesco (di cui Sammartini e il suo gruppo di strumentisti furono i protagonisti indiscussi): tutto ciò da’ un’idea del fertilissimo humus strumentale milanese. Nell’introduzione al bellissimo volume “Giovanni Battista Sammartini and his musical environment” (Brepols, Turnhout, 2004), la studiosa sammartiniana Anna Cattoretti ricorda che le traversie economiche dell’Italia settentrionale nel periodo seguente alla morte di Sammartini impedirono il successivo sviluppo di questa tradizione sinfonica creatasi intorno al grande milanese. In questo contesto spicca, dal punto di vista storico, la città di Milano, città forse più associata al melodramma che non alla musica strumentale del Settecento, al teatro Alla Scala e a Verdi. Cosa possiamo dire al riguardo? ROSSI - Milano fu centro di un’intensa produzione strumentale durante quel periodo, dovuta alle particolari condizioni ricordate sopra. Tale intensa produzione era riconosciuta e nota all’estero, come documentano numerose testimonianze coeve. Ovviamente la musica vocale e la musica sacra rappresentavano come in tutta Italia un’importantissima parte del repertorio. Tuttavia l’apporto tipicamente milanese e più specificatamente sammartiniano riguarda la musica strumentale e in particolar modo la musica sinfonica, come già detto. Certamente le sinfonie di Sammartini furono precedute cronologicamente da quelle di Zani e di Brioschi, ma da un punto di vista artistico rappresentano il primo vero contributo al nascente gusto sinfonico così come si imporrà dalla scuola di Mannheim in poi. Numerose sono le analogie individuate ad esempio tra le sinfonie di Sammartini e quelle di Stamitz ed è dunque probabile che il boemo conoscesse lo stile del milanese. Come pure è dimostrato che Johann Christian Bach, attivo a Milano tra 1754 e 1762, fu influenzato dalla produzione sammartiniana. Almeno sino alla metà del xviii secolo la scuola sinfonica milanese, che scaturiva da Sammartini e dal gruppo di musicisti a lui legato, e che, secondo De Brosses era la più importante d’Europa, fornì infatti ai compositori di tutta Europa un modello sempre più perfezionato in grado di rispondere alle esigenze del nuovo gusto orchestrale.
La fondazione Arcadia è una realtà potremmo dire unica nel panorama milanese. In cosa consiste il vostro progetto di ricerca e come vengono pianificate le varie linee guida?
Il nostro progetto, come già accennato, si articola in tre fasi; pubblicazione, esecuzione, incisione. Per quanto riguarda la pubblicazione, essa avviene sotto la guida del nostro comitato scientifico: le esecuzioni e incisioni seguono questo lavoro musicologico. Non sempre le varie fasi coincidono cronologicamente: le sinfonie eseguite in questo CD verranno pubblicate l’anno prossimo, ad esempio, ma ovviamente sono già state sottoposte a correzione e trascrizione. Oltre ai concerti e alle incisioni discografiche, la Fondazione è molto attiva anche dal punto di vista editoriale attraverso l’emissione di spartiti che vengono proposti solamente dopo una scrupolosa ricerca filologica condotta sul testo.
Cosa può dirci al riguardo?
La Fondazione si avvale di un comitato scientifico di altissimo valore, del quale fanno parte Alberto Basso, Guido Salvetti, Friedrich Lippmann, Mariateresa Dellaborra, Teresa Gialdroni e Agostino Ziino. E’ il comitato che sceglie il repertorio da pubblicare e che segue scrupolosamente la cura delle edizioni. Le edizioni critiche vengono affidate a giovani studiosi specializzati in determinati autori - quali Sammartini - ma anche direttamente a membri del comitato (è di prossima uscita, ad esempio, un’edizione delle cantate profane di Giuseppe Sammartini, il fratello di Giovanni Battista, a cura di Mariateresa Dellaborra).
Cosa ne pensate della situazione della musica antica in Italia in generale e a Milano in particolare? Pensate che ci sia abbastanza offerta o si potrebbe fare qualcosa di più?
L’offerta di musica antica non è ancora sufficiente, e rimane un po’ dispersiva. Oltre a ciò, purtroppo (con qualche rara eccezione) è spesso scontata: pochissimo impegno è dedicato alla progettazione di programmi interessanti e vari. Troppo spesso la “musica antica” si riassume nei soliti quattro o cinque autori. Rilevo anche che la musica medievale e quella rinascimentale sono ormai quasi scomparse dalle programmazioni. Ritengo sia una situazione abbastanza deludente, che però ultimamente, grazie al festival MITO e alla rinnovata stagione di Musica e Poesia a San Maurizio sta gradualmente mutando, per lo meno per quanto riguarda la realtà milanese. Tutto questo fa ben sperare, ma siamo ancora molto in ritardo rispetto alle realtà di altri paesi europei come la Germania, la Francia e l’Olanda. I gruppi italiani di musica antica sono sempre più apprezzati all’estero e, nonostante il relativo ritardo della diffusione della musica antica eseguita con strumenti originali nel nostro paese, oggi la nostra offerta è qualitativamente piuttosto alta, anche dal punto di vista didattico. L’Orchestra Accademia d’Arcadia è in questo contesto un unicum. Non esiste a tutt’oggi un’altra orchestra stabile in italia specializzata in particolar modo sul repertorio galante-classico che suona con gli strumenti appropriati per quest’epoca (i quali lo ricordiamo sono diversi anche da quelli barocchi).
Com’è nata dunque questa idea?
E’ nata seguendo quello che è il nostro repertorio di elezione: mentre il periodo barocco italiano è ampiamente frequentato, la seconda metà del Settecento è del tutto negletta, basti pensare alla grande scuola napoletana. Per poter eseguire questo repertorio, abbiamo creato questo gruppo il cui scopo è quello di dedicarsi proprio a questo preciso periodo storico. Ricordiamo che le strutture formali e il linguaggio di questo repertorio sono profondamente diverse da quello barocco: troppo spesso si “barocchizzano” autori che di fatto appartengono a tutt’altro periodo stilistico. Non si tratta dunque solo dell’uso di strumenti d’epoca adeguati, ma anche di un’impostazione interpretativa acconcia. Per tornare a Sammartini, ad esempio, occorre tener presente della linea di trasformazione e rinnovamento nella quale si pone la sua produzione: la sua musica sinfonica è il risultato della volontà di aggiornare i mezzi espressivi e formali della sua arte: non si può non tener conto di questi fattori nella proprie scelte interpretative.
Come ha risposto il pubblico milanese nei vostri confronti? Lo scorso settembre siete stati ospiti della prima stagione del MITO. Che bilanci potete trarre oggi, all’inizio di questo nuovo anno?
Siamo stati felici di poter partecipare a MITO e alla stagione di Musica e Poesia a San Maurizio, non è facile per noi proporre repertori “alternativi”: è necessario trovare degli organizzatori attenti e curiosi. La risposta del pubblico ci suggerisce che la comune idea che questa sia una musica per pochissimi eletti è del tutto infondata: per quanto ci riguarda non possiamo che dichiaraci felici dell’affluenza e del sostegno di un pubblico assai numeroso. Credo che i tempi siano maturi per “osare” proporre anche un repertorio, diciamo così, meno frequentato.
Quali sono i vostri progetti futuri? La collaborazione con l’etichetta Brilliant è destinata a protrarsi nel tempo?
Continueremo il progetto Sammartini che ora si è allargato: un piano di ricerca e pubblicazione si sta sviluppando insieme alla musicologa israeliana Bathia Churgin, (la maggiore esperta mondiale di Sammartini), con l’Università di Friburgo in Svizzera, e con alcuni studiosi tedeschi e italiani. Naturalmente abbiamo anche in progetto di occuparci di altri compositori (Bononcini e Cimarosa, ad esempio), sempre nell’intento di riportare alla luce capolavori ancora inediti e di eseguirli. Come dicevo poc’anzi, la casa discografica Brilliant Classics è particolarmente sensibile a questi progetti. Punto di forza della Brilliant è anche la capillare distribuzione in tutto il mondo e il prezzo contenuto: caratteristiche ideali, secondo me, a diffondere musica fino ad oggi ignota o poco frequentata. La nostra collaborazione con Brilliant è dunque sicuramente destinata a durare nel tempo.

intervista di Gabriele Formenti (www.altafedelta.tv) (Febbraio 2008)

sabato, aprile 05, 2008

Odifreddi intervista Maurizio Pollini

Maurizio Pollini è considerato uno dei più grandi pianisti viventi. Dopo aver vinto nel 1960, a soli diciott'anni, il concorso Chopin a Varsavia, ha costruito la sua fama su interpretazioni memorabili, che vanno da classici quali Beethoven e Chopin a contemporanei come Boulez e Stockhausen.
Il suo interesse smisurato per la Musica si manifesta non soltanto nell'esecuzione di un repertorio sistematicamente aperto alle musiche dei compositori del Novecento, ma anche nella direzione d'orchestra e nella direzione artistica (in particolare, dei concerti del Progetto Pollini, che spaziano su tutta la storia della Musica e su ogni tipo di organico).
L'interesse Musicale di Pollini è coniugato all'impegno politico e alla voracità intellettuale. Il primo l'ha portato da un concerto in una fabbrica occupata a Genova alle "esecuzioni e analisi" in piccoli paesi vicino a Reggio Emilia. La seconda si estende alla cultura scientifica, dalla quale abbiamo cominciato a parlare con lui in occasione di uno dei suoi concerti.


E' vero che lei ha studiato fisica?
E' un mito, che va drasticamente ridimensionato. In effetti, dopo il concorso di Varsavia, mi ero iscritto a Fisica ma la cosa finí lí: ho comprato i libri, ma non c'è stato un solo esame!
Perchè Fisica, comunque?
C'era un interesse potenziale. Dopo il Liceo classico, avevo una certa vergogna di non sapere niente del calcolo infinitesimale e di essere indietro di tre secoli. È una cosa veramente irritante. Ma allora non ho fatto assolutamente niente.
E in seguito?
Dopo ho continuato ad interessarmi dei temi scientifici, come lo può fare una persona che non sa nulla di Matematica, leggendo delle divulgazioni per profani.
Ne ricorda qualcuna?
L'Esposizione divulgativa di Einstein, ad esempio, per avere un embrione di conoscenza di teoria della relatività, che è evidentemente un fatto di interesse incredibile.
Perchè parla del tempo, che è una costituente della Musica?
Non solo. Riuscire a cogliere la verità usando il cervello, e andando molto lontani dal senso comune, è una cosa di un fascino straordinario. E poi avevo, e ho, una grande ammirazione per Einstein come uomo di cultura: per il pacifismo e per le cose audaci e forti che ha detto. Ad esempio, nel 1929, scriveva: "Saremo giudicati da come risolveremo il problema palestinese, e se non saremo capaci di farlo meriteremo tutto il male che ce ne verrà". Straordinariamente profetico, no?
Russell l'ha mai letto?
Sí, certo. E' una delle figure che ho ammirato di più, anche se mi sembra abbastanza dimenticato. Come sono considerati, oggi, i Principia mathematica?
Dopo Gödel, rimangono soltanto una bella rovina.
Ah, quindi Gödel ha fatto piazza pulita di tutto, con la sua formula che dice di se stessa che è indimostrabile!
Conosce pure quella?
L'ho letta in un libro di divulgazione, La prova di Gödel di Nagel e Newmann, in cui sono riuscito un pochino a orizzontarmi.
Quindi il suo interesse è reale.
Sí, ma dilettantesco.
E cosa pensa della concezione pitagorica, di considerare Musica e Matematica come due facce di una stessa medaglia?
Sono esterrefatto nel vedere una fortissima contraddizione fra gli elementi apollineo e dionisiaco della Musica. Quest'ultimo sembrerebbe lontanissimo dalla Matematica: ha a che fare con delle comunicazioni all'inconscio dell'uomo, in maniera del tutto irrazionale. E' lí che risiede la potenza della Musica: quella che riconosceva, sia pure odiosamente, anche Platone nella sua Repubblica, quando voleva proibire dei modi Musicali che potrebbero influenzare negativamente la gioventù, perchè non portano all'ottimismo. E' orribile, ma dimostra una coscienza della forza comunicativa straordinaria della Musica.
E l'apollineo?
Certamente esiste, e ha relazione con la Matematica. Ma evidentemente la realtà della Musica è molto misteriosa e molto complessa.
Le due anime non hanno un po' a che fare con le correnti Musicali? Ad esempio, l'apollineo con il barocco e la dodecafonia; il dionisiaco con il romanticismo?
Presa cosí, un'affermazione del genere non l'accetterei. Per esempio, negli anni scorsi ho fatto uno studio delle cantate di Bach, per conoscere meglio quel territorio infinito. E la cosa che mi è rimasta più impressa è la straordinaria diversità di clima espressivo fra una cantata e l'altra, data proprio dalla volontà di Bach di essere il più possibile interprete della parola del testo. Questo non ha tanto a che fare con la razionalità, quanto piuttosto con la forza espressiva della Musica. Indubbiamente i pezzi delle cantate sono stati anche concepiti dal compositore con una forma numerica ben determinata, ma queste cose coesistono completamente.
Lei ha scelto giustamente le cantate. Ma se per esempio avesse invece scelto le Variazioni Goldberg, o l'Arte della fuga?
Anche lí c'è un elemento di straordinaria espressione. Forse erano momenti, nella storia, in cui non si parlava di espressione, ma quella era comunque una componente fondamentale. Non si tratta certo di musica puramente razionale.
E' la stessa cosa anche per i moderni? Il Schönberg dodecafonico, ad esempio?
Non si possono porre, o immaginare, delle differenze troppo forti tra i periodi di Schönberg. Se i suoi pezzi postromantici sono altrettanto espressivi della musica di Wagner o di Mahler, tutto il meraviglioso periodo atonale (che forse è il suo più geniale) contiene un'espressività fortissima, di cui Schönberg era pienamente cosciente. Certo, non c'è nessun dubbio che il sistema della dodecafonia abbia un forte elemento razionale.
Non è una camicia di forza, a volte?
E' un sistema che ha aperto, indubbiamente, le strade del futuro. Perchè, in fondo, tutti i grandi musicisti del dopoguerra sono passati dall'esperienza dodecafonica. È stata assolutamente una tappa obbligata per loro, anche se poi l'hanno superata.
Non c'è però il rischio che quella diventi musica, più per compositori, che per ascoltatori?
Io sono convinto che anche in questi musicisti l'elemento per cosí dire dionisiaco, o espressivo, abbia un'importanza fondamentale fortissima. Sta purtroppo in una certa arretratezza del gusto del pubblico, se questo non è stato ancora riconosciuto completamente. Ma è quello che, eseguendo quella Musica, si cerca sempre di fare, per superare i pregiudizi.
Non è un problema tipico di tutta la modernità?
Non solo! Prendiamo, ad esempio, la Messa delle prolazioni di Ockeghem. È fatta su doppi canoni, quindi seguendo una legge ferrea; eppure, è la musica più espressiva che ci sia e l'espressione viene fuori nonostante la struttura. Non si deve pensare che una struttura razionale e rigida impedisca l'espressione. Non è affatto vero. Il miracolo della Musica è proprio questo. Siamo abituati a vedere questi elementi sempre contrapposti, come se si escludessero l'un l'altro, ma questo nella realtà musicale non capita. E' proprio un pregiudizio.
E lei pensa che il pubblico possa fruire di questo genere di musica, anche essendo musicalmente analfabeta, come siamo in molti?
Dovrebbe riuscirci, attraverso una frequentazione. Ma non in maniera scolastica, partendo da Bach e procedendo in ordine storico, perchè in quel modo non si arriverebbe mai. Forse i più giovani dovrebbero cominciare dal Bartok del Microcosmos, mescolando esperienze di musica contemporanea e di musica del passato.
Ed è quello che lei fa nei suoi concerti, mi sembra.
E' quello che penso che si debba fare. In realtà, l'onestà vuole che, io dica che nel mio repertorio, la musica contemporanea ha avuto una parte abbastanza modesta. Però è stata importantissima per la mia formazione, sia musicale che intellettuale, e mi ha dato dei momenti assolutamente straordinari di esperienze musicali: nel senso della completezza e dell'espressività di tutte le componenti artistiche, e non solo nel senso dell'astrazione o della pura razionalità.
Oltre a suonare, lei ha anche diretto orchestre. Come mai, a un certo punto del suo percorso, un pianista sente questo bisogno? Percepisce forse le limitatezze del mezzo?
E' il fascino dell'enorme repertorio sinfonico. Un pianista non dovrebbe lamentarsi di quello che ha a disposizione, a partire da Chopin; ma esistono anche autori che purtroppo non può frequentare, come Wagner o Mahler.
Lei però ha diretto Rossini.
Perchè mi era nato un interesse per la sua opera seria, cosí misteriosa e strana e con un rapporto molto peculiare con il testo, ben al di là di ogni convenzione. Qualche volta la musica sembra dire il contrario di quel che dice il testo. Era interessante per me studiare la particolare drammaticità dell'opera rossiniana, sia pure con il suo metodo assolutamente non convenzionale.
E quali altre cose ha diretto?
Un'esperienza che mi è piaciuta, in certe occasioni, è stata eseguire i concerti di Mozart senza direttore, dando segnali dal pianoforte.
Che differenza c'è, per un pianista, tra suonare con o senza direttore d'orchestra?
Senza direttore, c'è una concezione più unitaria del pezzo perchè è il solista che traina. Ad esempio, si crea un rapporto generalmente più intenso con gli strumenti a fiato, con i quali il pianoforte dialoga continuamente nei concerti di Mozart: un dialogo diretto, in cui ci si guarda in faccia e ci si risponde. Quando invece c'è il direttore questo rapporto con gli strumenti a fiato (e in generale con l'orchestra) evidentemente viene mediato dalla sua figura.
L'ha fatto solo con Mozart?
Anche con alcune composizioni di Beethoven: il Quinto concerto, ad esempio. Anche se, in questo caso, quando il compositore lo scrisse, venne eseguito con pianista e direttore. Con Mozart, invece, mi sembra che ci sia una certa legittimità a eseguire i concerti in questo modo, visto che cosí faceva lui. La cosa nasce da una prassi esistente.
Lei ha fatto anche il direttore artistico, nel progetto Pollini. Come è nata la cosa?
Una volta, nel 1994 a Salisburgo, mi hanno chiesto di immaginare una piccola serie di concerti, con programmi che comprendessero non solo il pianoforte ma anche altri esecutori: coro, cantanti solisti, strumentisti in formazioni d'ogni tipo, senza la normale separazione (piano, quartetto, orchestra) che esiste per ragioni pratiche della vita concertistica. Una serata in cui, per qualche ragione musicale di ideale vicinanza, si possono riunire composizioni di organico diverso, magari dello stesso autore. Allora ho immaginato questi programmi. In essi ha avuto sempre una parte importante la musica che noi chiamiamo contemporanea, e che ormai tale non è più.
E la musica antica?
Anche quella, ed è stata un'occasione per me di studio di periodi musicali che conoscevo veramente a malapena e di autori che a un esame approfondito mi sono sembrati assolutamente grandissimi. Ad esempio Machaud, Ockeghem, Desprez ... E naturalmente gli italiani, da Palestrina a Monteverdi.
Com'è proseguito il progetto?
Abbiamo fatto altre serie a New York, Tokio, Roma e Vienna. A New York il programma era estesissimo, dedicato ai compositori della seconda metà del ventesimo secolo. Alcuni dei quali, come Boulez e Stockhausen, dovrebbero far parte del repertorio normale dei concerti: stabilmente, per provocare una maturazione del pubblico e renderlo in grado di seguire la realtà musicale di oggi.
Conosce bene Boulez?
Sí, ho suonato con lui come direttore d'orchestra parecchie volte, in varie città del mondo. È una personalità straordinaria. Il fatto veramente incredibile è che, pur essendo uno dei compositori più importanti di oggi, contemporaneamente ha delle doti fenomenali come direttore d'orchestra e come saggista. Come tutto, direi.
Con lui ho parlato di John Cage, che non gli andava molto a genio. Lei cosa ne pensa?
Cage mi sembra importante come presenza storica, per quello che ha significato. La sua musica è abbastanza interessante, ma francamente non può essere considerato all'altezza dei maggiori maestri della storia della seconda metà del ventesimo secolo.
E Stockhausen?
Lui è uno dei grandi, assolutamente.
Lei trova che la sua sia una musica fruibile per il pubblico?
Potenzialmente, senz'altro. Per esempio, i suoi Klavierstücke hanno la particolarità di esser scritti magistralmente per lo strumento e suonano sul pianoforte in modo fantastico. La scoperta timbrica e il modo di trattare il pianoforte di Stockhausen è geniale e straordinario: oserei dire, più che in certi autori del passato, che naturalmente hanno la loro grandezza.
Borges aveva l'idea che in letteratura i moderni ricreano gli antichi. Succede anche in musica? Ad esempio, aver suonato i contemporanei ha avuto una ricaduta sul modo in cui lei suona i classici?
E' una delle domande a cui è più difficile rispondere. Ritengo che l'esperienza dei compositori vicini a noi sia estremamente formativa e essenziale per un musicista. Se abbia una diretta influenza sul modo di eseguire i classici, mi sembra difficile dire. Forse le tensioni che ci sono in un'opera di Beethoven, ad esempio, date dalla presenza di dissonanze, le può immaginare meglio chi conosce la musica moderna. Però non è detto che sia cosí. Abbiamo dei grandissimi interpreti, come Furtwängler, che sono i più sensibili alle tensioni dell'armonia beethoveniana e non hanno avuto frequentazioni con la musica moderna.
Alcuni sui critici forse la intendono negativamente, e la "accusano" di lasciar andar poco il sentimento.
Naturalmente, non sono d'accordo.
E nemmeno il pubblico, direi.

Piergiorgio Odifreddi intervista Maurizio Pollini