Omeopatia musicale: pillole per attenuare il male dell'insensibilità culturale dilagante.
Curarsi con la musica senza necessariamente ricorrere al suono...

martedì, dicembre 24, 2013

Sinopoli: "Macché maledizione di Aida, il maestro stava bene"

Giuseppe Sinopoli (1946-2001)
Il soprano Daniela Dessì: "E' caduto davanti ai miei occhi, ma pensavo che si sarebbe ripreso subito. Il musicista Fabio Vacchi: "Come compositore si mise all' avanguardia." Il preside Paolo Matthiae e l'assiriologo Giovanni Pettinato, amico-consigliere del direttore "Stava per laurearsi anche in archeologia e pochi sanno che era un mecenate."
Sinopoli è morto sul colpo, un presagio nelle sue frasi Il dolore della famiglia e il cordoglio di Ciampi, domani l' addio a Roma. Ma stasera a Berlino «Aida» va in scena.

Il destino ha giocato beffardo e proteiforme con la vita di Giuseppe Sinopoli. Ancora venerdì mattina, il maestro veneziano era deciso a cancellare la rappresentazione dell'"Aida" alla Deutsche Oper, se, dopo il tenore Gegam Grigorian, anche Daniela Dessì, il soprano impegnato nel ruolo della protagonista, avesse dato forfait, a causa della sua infezione intestinale. Invece, la cantante italiana ha coraggiosamente scelto di affrontare la parte. E in quell'attimo, l'unica, subdola opzione fatta balenare dal fato a Sinopoli, si è chiusa inesorabilmente. "Aida" doveva essere. "Aida" è stata. L'allestimento berlinese doveva suggellare un'amicizia ritrovata. Ma, prima si è sublimato in requiem per l'amico Goetz Friedrich, nel frattempo morto, poi si è trasfigurato in tragedia vera e umanissima. Ne aveva presentito il finale, il maestro? Si corre un brivido a leggere la lettera, scritta da Sinopoli e allegata al programma dell'opera, di cui cita il tragico finale: "Oh terra addio, addio oh valle di pianti, sogno di gaudio che in dolor svanì". "Aida" dal doppio volto, per Giuseppe Sinopoli, gaudio e dolor appunto, inizio e fine di una vicenda intellettuale e artistica straordinaria, come ricorda con dolce malinconia Daniele, uno dei quattro fratelli di Giuseppe Sinopoli: "Ha cominciato dirigendo l'"Aida" alla Fenice di Venezia e ha concluso con la stessa opera qui a Berlino".
LA FAMIGLIA - Riserbo e mestizia velano di grande dignità l'immenso dolore dei parenti del maestro. Sono arrivati a Berlino alla spicciolata e si ritrovano tutti all' Herz-Zentrum della Virchow Klinik, dove il corpo di Giuseppe Sinopoli è stato composto in una piccola camera ardente. Si abbracciano forte, in silenzio, la moglie Silvia, i fratelli, le cinque sorelle. Appare distrutto e smarrito, dopo un viaggio di quasi dieci ore, il figlio maggiore Giovanni, diciotto anni, che il maestro amava portarsi dietro ai suoi concerti sin da quando sapeva appena camminare.
FUNERALI - L'ambasciatore Fagiolo consegna alla signora Sinopoli il messaggio di condoglianze del Presidente della Repubblica, il quale ha mandato anche un cuscino di fiori. Sarà probabilmente uno dei primi, oggi pomeriggio, Carlo Azeglio Ciampi, a rendere omaggio alla salma dell'artista, che verrà esposta al pubblico in Campidoglio. Il feretro arriverà in mattinata a Ciampino assieme ai parenti, a bordo di un aereo privato. I funerali si terranno domani, alle 11.30, nella Chiesa di Santa Maria degli Angeli.
UMANISTA - Doveva tornarci in altro modo, Sinopoli, a Roma. Domani pomeriggio avrebbe dovuto discutere all'Università La Sapienza la sua tesi di laurea in archeologia. Sarebbe stata la seconda, dopo quella in medicina e la specializzazione in psichiatria. Perché anche questo lo rendeva unico: non soltanto maestro delle note fra i più grandi al mondo, ma intellettuale di cultura vastissima e insaziabile curiosità, figura inconsueta di umanista dall'antico sapore rinascimentale.
IL SOCCORRITORE - "Siamo affranti, tristi, mi creda, piangiamo tutti", dice con la voce spezzata Karlheinz Broessling, secondo violino e portavoce dell'orchestra della Deutsche Oper. E' stato lui a soccorrere per primo il maestro, quando è rovinato al suolo poco dopo l'inizio del terzo atto. "Mi ero accorto - racconta Broessling - che qualcosa non andava alla ripresa dopo l'intervallo, il maestro appariva meno concentrato. Così, durante l'esecuzione, gli ho chiesto se voleva una sedia". E' come un mistero svelato, questo di un orchestrale che nel segreto della buca, mentre accarezza il suo violino, si preoccupa della salute del suo direttore e, sottovoce, lo interroga premuroso. Sinopoli risponde "con un mezzo sì e mezzo no". Si tocca la gola. Broessling fa appena in tempo a fargli portare un bicchiere d'acqua. Mentre Aida, in riva al Nilo, intona il celebre "fuggiam, fuggiam", il maestro si accascia sul pavimento con tonfo sordo: "Gli ho slacciato il cravattino e aperto i bottoni della camicia per farlo respirare, ma era senza coscienza e non ha mai parlato».
MORTE ISTANTANEA - E' a quel punto che comincia l'inutile corsa contro il tempo. Perché ora sappiamo, lo hanno confermato i medici della Virchow, che Giuseppe Sinopoli è morto sul colpo, stroncato dall' infarto. Forse i soccorritori, fra i quali una cardiologa che era fra il pubblico, se ne rendono subito conto. Ma non vogliono arrendersi e cercano il miracolo, provando ugualmente a rianimarlo per ben 75 minuti prima nella buca maledetta, poi in ambulanza, infine all'Herz-Zentrum: il massaggio cardiaco, la maschera a ossigeno, il defibrillatore, nulla serve a far ripartire il cuore giovane ma irreparabilmente lesionato di Sinopoli. Negli ultimi, disperati minuti, i medici considerano perfino l'ipotesi di un intervento, ma l'elettroencefalogramma piatto decide per loro. Alle 23,15 il decesso viene constatato ufficialmente.
AIDA - Giuseppe Sinopoli è morto. L'"Aida" vivrà. Questa sera, la Deutsche Oper ha deciso di rispettare l'impegno con il pubblico: la seconda rappresentazione dell'opera verdiana avrà luogo come da programma. Sarà il ticinese Marcello Viotti a dirigerla. Non ci saranno, ma era previsto, Daniela Dessì e Fabio Armiliato, l'armeno Grigorian canterà nel ruolo di Radames, come da progetto originario. Un grande ritratto di Giuseppe Sinopoli sarà esposto nel foyer, insieme al libro nel quale ogni spettatore potrà fare una dedica alla sua memoria o semplicemente apporre la sua firma. "Ricordatevi di me - ha scritto nella lettera citando Sofocle - quando sarò morto, per sempre felici".

Paolo Valentino ("Corriere della Sera", 22 aprile 2001)

sabato, dicembre 14, 2013

Maderna: Quadrivium, Aura, Biogramma

Bruno Maderna (1920-1973)
Nella esperienza musicale del nostro tempo, in particolar modo dopo la seconda guerra mondiale, si è verificato sempre più frequentemente che i compositori abbiano commentato le proprie opere, pubblicato le proprie riflessioni di estetica o anche scritto studi analitici. La musica necessitava di delucidazioni, molto più che in precedenza: una diversità dl stili rimuoveva formule che prima erano state vincolanti. A ciò è dovuto anche il fatto che tra i compositori più significativi si sono messi in maggior risalto quanti possedevano anche doti retoriche - Bruno Maderna, nato a Venezia il 21 aprile 1920, non si soffermò certo a formulare teorie musicali e venne sottovalutato probabilmente anche per tale motivo. E forse anche perché era uno spirito brioso e tutt'altro che ascetico, cui molte cose riuscivano facili: qualcuno poteva avere l’impressione che Maderna non prendesse abbastanza sul serio la sua professione.
Ciò potrebbe sembrare contradditorio, però se è vero che a Darmstadt (nei Kranichsteiner Ferienkurse für Neue Musik) Maderna fu un uomo della prima ora - vi tenne dei corsi di composizione dal 1954 in poi -, è vero anche che egli, certamente influenzato dal suo maestro Gian Francesco Malipiero (1882-1973) di tendenze conservatrici e classiche, rimase al tempo stesso intensamente legato alla tradizione, in quel senso contradditorio e dialettico che intende il rinnovamento musicale come prosecuzione e al contempo modificazione della tradizione. L‘attività di Maderna non era limitata alla sola composizione: egli lavorava a edizioni di musica antica (Giovanni Gabrieli, Vivaldi, Monteverdi, Viadana ed altri) e ad istrumentazioni e trascrizioni (Tänze di Schubert, brani dai Fitzwilliam Virginal Book).
Nel 1953 Luciano Berio aveva fondato a Milano insieme a Franco Evangelisti lo Studio di fonologia musicale della RAI, Maderna vi aderì nel 1956. Egli fu uno dei primi compositori italiani a comporre rnusica elettronica, ma non ravvisò il futuro della musica nel progresso tecnico. Allievo di Hermann Scherchen, Bruno Maderna aveva acquisito solide capacità direttoriali; a Darmstadt, dove si stabilì, diresse l‘Internationales Kammerensemble dal 1958 fino al 1967, anno in cui il complesso si sciolse, e quindi si dedicò sempre più intensamente alla direzione d`orchestra. Nel 1972 divenne direttore stabile dell’Orchestra Sinfonica della RAl, ma già colpito da un male incurabile, si spegneva a Darmstadt il 13 novembre 1973.
La sua attività come compositore fu messa un po' in ombra dai suoi grandi successi come direttore; ma egli tentò di pubblicizzare le proprie opere, si impegnò invece senza prevenzioni e apertamente in favore di tutte quelle composizioni che a suo parere meritavano di essere eseguite. Come i suoi coetanei, negli anni Cinquanta egli si dedicò alla tecnica seriale, senza cadere però nel dogmatismo e rimanendo sempre originale: “La cosa peggiore di questo mondo è l'ostinata coerenza. Io detesto l'esser costante, giacché è un fatto esiziale." E non costituisce una rottura nel suo processo evolutivo il fatto che egli sia ricorso a tecniche compositive statistiche, al principio casuale (ma anche qui la musica aleatoria non divenne mai una formula esclusiva) o a riprese di antiche concezioni formali. Avverso ad ogni dogma e in posizione da individualista, Maderna cercò sempre di mediare organizzazione rigorosa, al limite seriale, con la libertà del principio aleatorio. Proprio nelle tarde composizioni per orchestra come QuadriviumAura, Biogramma o Giardino religioso, Maderna giunge ad una sintesi organica degli elementi già antitetici formale/informale, determinato/indeterminato, ordinato/non-ordinato.
Quadrvium, per quattro esecutori di percussione e quattro gruppi d'orchestra, fu composto per il Festival di Royan e fu ivi rappresentato per la prima volta il 4 aprile1969, sotto la direzione di Maderna. I gruppi orchestrali di cui fanno parte archi, fiati e ottoni sono costituiti in modo simile tra loro; i solisti suonano non solo un gran numero di strumenti a percussione ad altezza indefinita, ma anche - complessivamente - due xilofoni, due vibrafoni, due marimbe, due “Glockenspiele“ e due gruppi di campane tubolari, La concezione spaziale della composizione, come pure la disposizione Spaziale della Musica su due dimensioni (in due versioni, del 1952 e del 1958) o l’orchestra d`eco nel Concerto per violino (1969) rimandano chiaramente ad una veneranda tradizione della città natale di Maderna: la policoralità Veneziana dei Gabrieli ed altri. Il titolo Quadrivium non allude soltanto al numero quattro, ma anche alle libertà assai complesse con cui il direttore, nelle due sezioni denominate da Maderna “happening” (avvenimento), ne può variare lo sviluppo: il materiale sonoro è annotato e determinato con precisione e dettagliatamente, ma la disposizione formale, l'inviluppo della sonorità globale sono fissati solo dal direttore: questi può variare in maniera molteplice, entro certi limiti, gli intervalli tra le entrate dei vari gruppi, deve quindi sempre prendere una nuova decisione - proprio come in un "quadrivio".
Aura, una composizione scritta su commissione (per l'ottantesimo anniversario della fondazione della Chicago Symphony Orchestra), fu eseguita per la prima volta il 23 marzo 1972 a Chicago - anche qui sotto la direzione di Maderna, che peraltro ha tenuto a battesimo la maggior parte delle sue composizioni più significative Il principio del raggruppamento è qui impiegato solo per i 54 strumenti ad arco, che sono divisi in sei gruppi strutturali in maniera assolutamente differente. In blocco sono introdotti anche gli ottoni - in alcuni interventi delle trombe e dei tromboni; essi vi punteggiano quel "neo-impressionismo" oscillante che testimonia la sensibilità timbrica di Maderna, dove ogni struttura metrica viene raffinatamente velata. La differenza tra notazione precisa e principio aleatorio guidato viene qui consapevolmente sfumata, la magnificenza timbrica fa ricordare talvolta nella sua pienezza espressiva Alban Berg. Sembra quasi che Maderna, che tratta una orchestra di dimensioni imponenti con sottigliezza cameristica, voglia fare un atto di omaggio a Berg con l’allusione al suo Kammerkonzert: su un lungo accordo in pianissimo degli archi si estinguono isolati interventi di trombe e corni, cui fa eco il flauto, mentre gli archi in un pianissimo estremo devono ritornare al punto d’inizio.
Biogramma, una composizione per grande orchestra e in tre parti, fu composto su commissione dell'Eastman School of Music in occasione dei cinquant'anni dell'Università di Rochester e fu eseguito per la prima volta nell'aprile 1972, sotto la direzione di Maderna. Anche qui è mantenuta la prolusione di timbri caratteristica di Maderna (molti sono gli strumenti a percussione, anche ad altezza definita; a questi si aggiungono inoltre la celesta, due arpe e il pianoforte); anche qui traspare il principio della policoralità nella contrapposizione di due orchestre d'archi (queste due orchestre sono di eguali dimensioni). Anche in questa composizione vi sono delle cesure che articolano nettamente le sonorità profuse doviziosamente - ciò è evidente particolarmente nel movimento conclusivo in sette sezioni. E anche in quest'opera l'italianità di Maderna, il suo senso sottile per il melos son rivelati (come dall'oboe solista in Aura) dal lirismo del corno inglese solista nel primo movimento e dalle delicate melodie in originale amalgama timbrico all'inizio del secondo movimento.

Dietmar Polaczek (traduzione di Gabriel Cervone, note di copertina al CD DGG 423 246-2)

domenica, dicembre 08, 2013

Giuseppe Sinopoli: una bacchetta scomoda

Giuseppe Sinopoli
L'arrivo di Giuseppe Sinopoli nello stantio mondo musicale romano ha creato non pochi grattacapi alle maestranze dell'Opera e qualche sconcerto nella stampa specializzata e nel pubblico della buona borghesia. Le sue iniziative decisioniste (sostituzioni di orchestrali con elementi esterni, conferenze stampa-monologo) hanno ridisegnato il mito del direttore-dittatore, da noi assente dagli anni Cinquanta, quando Herbert von Karajan furoreggiava alla Scala di Milano (ma persino un artista di quella tempra fu ridotto a mal partito dalla burocrazia e dalla stampa nostrane, che lo costrinsero alla fuga e al suo rifiuto definitivo di ritornare in Italia).
 
Recentemente l'onorevole Domenico Gramazio di An, in una decina di interrogazioni parlamentari ha contestato la sua nomina a supervisore del Teatro dell'Opera. Ha criticato certe scelte di programmi, gli atteggiamenti. Il maestro siciliano ha una risposta da inviargli?
Bah, in generale con questo tipo di polemiche non ci si muove nell'ambito della buona fede intellettuale. Si procede piuttosto per manipolazioni. Ad esempio questo 'Oro del Reno' e questa 'Walkiria' erano già state decise e organizzate da Sergio Escobar, il precedente responsabile della programmazione. Per un giudizio più obiettivo bisogna tener conto che questi spettacoli hanno quasi registrato l'esaurito, con una frequenza superiore agli altri delle ultime stagioni. La Tetralogia mancava nel massimo teatro della capitale da quarant'anni: un suicidio culturale indifendibile, considerando ad esempio la nostra entrata nell'Europa politica. S'immagini che cosa accadrebbe se a Monaco non si eseguisse Verdi? Comunque, ricordo con Seneca che non si può essere offesi da persone che non siano del tuo livello. Del resto da Gramazio ha preso le distanze pure Gianfranco Fini, che al contrario ho trovato sensibile alle sorti del teatro.
Già, il rapporto con i politici. Alla prima della 'Walkiria' si è presentato anche il ministro della Cultura Giovanna Melandri. Le va già meglio che a Riccardo Muti, le pare?
Ho un buon feeling con lei, senz'altro migliore di quello che avevo con il suo predecessore, Walter Veltroni. La mia legge sulla materia è questa: esclusivamente rapporti personali, niente strumentalizzazione politica. Ad esempio ho un simile legame di stima con una personalità dello schieramento contrapposto: Gianni Letta, esperto di musica.
Del resto anche la sua formazione è eclettica: dalla reinterpretazione marxista di György Lukács all'antimodernismo neopagano di Julius Evola...
Fino al filosofo tedesco Ernst Bloch: un incontro che ha colmato i miei passi mancanti e il tentativo di recuperare l'idea di un umanesimo marxista. Con le oneste contraddizioni di un pensatore che, formatosi su Marx, ha superato il materialismo e la pietrificazione del potere dello Stato, mettendo l'Uomo al centro di tutto.
Parliamo della sua attività artistica. Forse quello con il soprano Mirella Freni nel nome di Puccini ('Manon Lescaut', 'Madama Butterfly', 'Tosca') è stato il sodalizio più lungo e fruttuoso?
Quanti ricordi: Vienna, la tournée in Giappone. Mirella aveva già inciso la 'Butterfly' con Karajan. Mi disse, prima dell'inizio delle prove, che per lei rifarla sarebbe stata una vera impresa. 'Mi commuove troppo', si giustificò. Mi pareva esagerata. Ma quando iniziammo a registrare capii: dovemmo ripetere le sedute decine di volte, e tutto per l'enorme carica emotiva che la piegava, affliggeva, conturbava. Un'artista di grande onestà morale, disponibile a cercare nuove vie interpretative, nuovi orizzonti culturali. Solo il baritono Renato Bruson ha una simile capacità di far coincidere l'espressione con la parola, la esplora con tutta la carica semantica che vi è contenuta. E ciò non è dovuto a un lavorìo intellettuale, ma a un istinto privilegiato.
Sempre a proposito della 'Butterfly', ma la sottolineatura potrebbe valere per tutta la musica del lucchese e le sue interpretazioni, Enzo Siciliano scrive che vi è predominante una «melodia irrisolta di temi che si fermano estaticamente su se stessi, cellule mai soggette a divenire ma a distruggersi».
Puccini rappresenta il corrispettivo dell'indagine espressionista trasportata nel sistema borghese italiano. I suoi sono sentimenti e motivi forti, originari, ma non letti astoricamente come Verdi. Piuttosto trasportati espressivamente nell'ambito delle piccole relazioni borghesi. Tosca è una donna fragile alle prese con i suoi amanti. Al contrario, i verdiani Don Carlos e Elisabetta sono l'archetipo dell'amore, valido in ogni luogo e in ogni tempo. In questo contesto comprendo la simpatia che Arnold Schönberg aveva per Puccini: quegli stessi argomenti stimolavano, nella borghesia tedesca, l'indagine freudiana. Il parallelo fra Verdi e Puccini è fondamentale, come quello fra Wagner e Richard Strauss. La 'Salomè' di quest'ultimo riunisce la sensualità morbida e coloristica di un Gustav Klimt avvolta su quella aspra ed essenziale d'un Egon Schiele. Eccovi tracciate le coordinate dei miei interessi. Wagner e Verdi vi rappresentano il momento universale. Strauss e Puccini l'adattamento degli archetipi alla storia e alla società.
Nella sua versione della Quinta sinfonia di Mahler il celebre 'Adagetto' ha un'impronta insolitamente ottimistica. Concezione ben diversa ne ebbe Luchino Visconti in 'Morte a Venezia' o, tanto per restare fra i direttori, Bernard Haitink, che ne fanno quasi la rappresentazione del disfacimento organico.
L'ho interpretato nel rispetto della biografia mahleriana. Quando l'autore scrisse questo brano il rapporto con sua moglie Alma stava attraversando un momento idilliaco, sereno, di dolcezza ineffabile. Accettò allora di buon grado una correzione che lei fece all'inizio del movimento. Certo, in sottofondo vi si sente molto di quel 'senso della perdita' così caratteristico della poetica mahleriana. Ma è un'altra cosa rispetto al senso della perdita edonistico, legato al corpo, così importante per Visconti. Un senso più esistenziale che fisico, quello del musicista boemo.
La sua introduzione della Nona sinfonia di Anton Bruckner, con la ritmica, cupa predominanza dei timpani sugli altri strumenti, ricorda un po' l'interpretazione di Hans Knappertsbusch. Vi si è ispirato?
Già a Bayreuth, eseguendo il 'Parsifal' di Wagner, gli orchestrali mi fecero notare certe somiglianze con la visione che di quel brano aveva il Kapellmeister di Erbelfeld. Non volute. Devo però ammettere che all'ascolto, pur essendo grandi le differenze, ne ho intravisto l'affinità spirituale.
La sua prima sinfonia di Edward Elgar, caratterizzata da quel primo tempo che dura incredibilmente venti minuti (un quarto più che nella norma). Come spiega il suo interesse per questo compositore?
Ho sempre avuto una predilezione per i periodi delle transizioni culturali. Le scuole nazionali, quella tedesca soprattutto. La russa, con Alexander Scriabin. La francese, con Claude Debussy, del quale interpreterò 'Pelléas et Mélisande' a maggio. Storicamente, rappresentano la risposta al punto interrogativo che formulò Wagner: che cosa si poteva fare di nuovo, in campo musicale, dopo la sua opera ciclopica? E poi Elgar è stato anche un omaggio alla Philharmonia di Londra, orchestra con la quale ho un sodalizio di 14 anni, con il suo mondo culturale. Non si tratta di un Brahms inglese, come spesso è inteso in quel paese. Il grande testo orchestrale è il segno di una problematica iniziata con Wagner e conclusa con Mahler. L'individuo vi chiede spazi espressivi sempre più ampi. Tutto derivante dalla conflittualità individuale tipica dell'idealismo tedesco. Le ambiguità del personaggio Elgar, la sua poliedricità semantica e psicologica: basterebbe pensare a un brano come le 'Enigma variazioni'. Per quell'incisione ricevetti pure una lettera di ringraziamento dalla Elgar Society.
Opere di transizione. Come i vasi greci della sua collezione archeologica. In alcuni particolarmente celebrati, figure nere e rosse raccontano attraverso scene-simbolo come si pensava, si viveva e si moriva nell'Atene del 530 avanti Cristo.
Infatti non colleziono oggetti, ma idee. Mi interessano quei periodi di crisi che racchiudono la fine di qualcosa e già contengono quel che verrà. Fino a un paio di secoli fa questi vasi li chiamavano ancora etruschi. In uno dei miei più belli Eracle viene sostituito da Teseo con il Minotauro, come a celebrare la nuova Atene che sta sul punto di liberarsi dell'influenza di Pisistrato per lanciarsi nell'epoca di Pericle...
Una delle sue incisioni più apprezzate, soprattutto dai recensori anglosassoni, è quella del 'Poema dell'estasi' di Scriabin, altro autore di confine. Anche se vi si intravede una maggior precarietà dal punto di vista dell'analisi strutturale. Diverso il suo approccio, o carente il suono della New York Philharmonic?
Bisogna filtrarla attraverso il mio amore per il poeta Aleksandr Blok e il simbolismo russo. Nell'articolazione strutturale utilizzo più gli apparati simbolici che quelli analitici. Penso che con un'analisi razionale di questo brano, molto si perderebbe. Nel 'Poema' simbolo e struttura sono fortemente impregnati l'uno dell'altra. I simboli forti hanno un contenuto ideogrammatico. Se ad esempio l'albero è il simbolo della vita, eccolo ripercorrere i significati reali dell'albero...
Molti critici furono sorpresi quando incise 'Cavalleria rusticana' di Pietro Mascagni. Pare di ascoltare nel capolavoro del livornese, parafrasando ironicamente Savinio, il 'Wozzeck del Mediterraneo'...
Fu un omaggio a mio padre. Egli era siciliano e amava molto quest'opera sanguigna. Quando la registrai sentivo che presto lo avrei perduto. Qualche tempo fa ascoltavo il disco nel silenzio della mia casa di Lipari. Francamente io sono contro una semplicistica definizione del Verismo musicale: mi sa tanto di comoda catalogazione di tipo editoriale.
Ci sono autori che sfuggono al sistema Sinopoli?
Di fronte a Stravinski, Bartók e Prokofiev mi sentirei un po' in difficoltà. Per carità, grandi compositori, ma meno affini alle mie ricerche, ai miei itinerari intellettuali.
Un po' di itinerari della memoria. In una recente intervista Pierre Boulez ha dichiarato che la nostra epoca è prigioniera della memoria. Si rivaluta fino al particolare il passato, e ne soffrono le opere e gli artisti innovativi.
Una tipica aporia alla Boulez. Un problema che riguarda anche il suo comporre. La memoria, se non è elaborata, può uccidere. Se non si ribalta in utopia, è mortale. È lo specchio di Perseo davanti alla Gorgone, l'arma indispensabile per tagliarle la testa. In ultima analisi, la nostra genetica spirituale.
Del resto lei non è contrario alla musica moderna, è anzi un sostenitore del repertorio del Novecento, da Strauss alla Scuola di Vienna.
Se, almeno da noi, viene poco eseguita, è soprattutto per una ragione semantica: Schönberg e Berg usano codici diversi dalla tradizione e questo spiazza l'ascoltatore pigro. Per avvicinarvisi bisogna imparare a condividere con l'artista la rottura e la devianza dagli schemi abituali. Lo spirito del rock non è in definitiva molto diverso, anche se tanto lontano.
Lo sanno anche i produttori discografici, tanto che hanno provato a farle incidere la 'Bohème' con Andrea Bocelli...
Intendiamoci bene: dobbiamo avere la massima tolleranza. Ma dando per scontato che bisogna riconoscere la diversità.

intervista di Riccardo Lenzi (L'Espresso, 24 aprile 2001)

domenica, dicembre 01, 2013

Edward Elgar: La Seconda Sinfonia, Op.63

Sir Edward Elgar (1857-1934)
Quando Elgar presentò, nel 1911, la sua Seconda Sinfonia, si prese cura di far sapere al pubblico quanto essa fosse “gioiosa e gaia". La partitura aveva come intestazione una citazione (di ambiguo ottimismo) del poeta Shelley “Di rado, di rado vieni, tu, Spirito dclla Gioia!”. Il tono doloroso del secondo movimento veniva spiegato con la dedica della Sinfonia alla memoria del re Eduardo VII, che era da poco scomparso. La prima esecuzione, il 27 maggio 1911 nella Queen’s Hall di Londra, fu accolta con rispetto da un pubblico non proprio numerosissimo; Elgar notò una rnancanza di autentico entusiasmo e chiese all’amico W.H, Reed (che poi sarebbe divenuto suo biografo): "Che cosa hanno, Billy? Se ne stanno seduti là come una massa di maiali satolli". Elgar aveva cercato di convincere il pubblico inglese dei concerti che la sua Seconda Sinfonia era una cosa gioiosa, ma gli ascoltatori potevano sentire che non lo era, e, comprensibilmente, erano rimasti perplessi se non delusi.
Dopo la morte del compositore, nel 1934, gli studi su Elgar hanno portato alla luce una grande quantità di dettagli biografici riguardanti la Seconda Sinfonia. Gli schizzi per il Larghetto dimostrano che la sua triste musica era nata assai prima della morte di Edoardo VII, fin dal 1904, quando era appena scomparso un intimo amico di Elgar, e a lui molto caro, Alfred Rodewald di Liverpool. L’idea iniziale di questo movimemo venne a Elgar nell'aprile 1909 durante una visita a Venezia, quando dall’affollata Piazza San Marco entrò nella fredda, solenne Basilica. Tornando fuori, Elgar osservò gli sciami di piccioni che si posavano sulla piazza e di nuovo volavano via, e l'immagine musicale che gli venne in mente trovò posto nel terzo movimento.
Alla fine della partitura Elgar scrisse “Venice-Tintagel”, due nomi carichi di associazioni romantiche. Per Elgar Tintagel non significava soltanto il leggendario castello di re Artù in Cornovaglia, ma anche la casa di Charles e Alice Stuart-Wortley, cari amici di Elgar e di sua moglie. Ad Alice Elgar diede il soprannome di "anemone"; e le raccontò che la Seconda Sinfonia era intimamente legata al tempo da essi trascorso insieme, e che quei passi sinistri nei primi tre movimenti erano stati suscitati da un “influsso maligno" che egli aveva avvertito nel suo giardino. Il Trio del Rondo-Scherzo, una sezione che grava in modo amaro e opprimente, fu ispirata da una poesia del ciclo Maud di Tennyson, che comincia così: “Morto, a lungo morto!... / E le ruote passano sulla mia testa, / E il mio cuore è una manciata di polvere, / E le ossa tremano per il dolore... / E gli zoccoli dei cavalli battono, battono, / Battono sul cranio e sul cervello... ."
Ciò che si è potuto finora accertare (e riguarda quasi ogni tema) induce a pensare che la Seconda Sinfonia di Elgar, ben lungi dal tradurre musicalmente la poesia di Shelley, sia espressione di una malinconia personale, privata, in parte dovuta al peggiorare dei rapporti politici anglo-tedeschi, e in parte al suo pessimismo. Elgar avrebbe voluto che fosse la sua Eroica personale, ma lo Zeitgeist dentro di lui aveva dato alla Sinfonia un altro volto.
Il prima movimento prende irresistibilmente slancio da un ardente empito giovanile, colpito solo momentaneamente dalla sventura - è forse una reminiscenza autobiografica di un’epoca in cui lo “Spirito della Gioia” sopraggiungeva tutt'altro che di rado, anzi più e più volte. Il Larghetto in do minore fa pensare a sconfitte e sventure, e si volge a mi bemolle maggiore nell’evocazione di quelle felici memorie che la sconfitta non può distruggere.
Il Rondò contrappone un senso di transitoria, vigorosa concitazione alla visione da incubo d’una sepoltura da vivo. Il Finale, il cui ritmo d’apertura aveva ossessionato Elgar nel novembre 1903 durante una vacanza in Italia, fa pensare alla trascinante corrente di un fiume, che porta via con se le pene, che non si ferma mai e risana ogni ferita, Un nuovo secondo tema dall'ispirazione grandiosa stava a simboleggiare, secondo Elgar, il suo grande sostenitore, il direttore Hans Richter, cui aveva dedicato la sua Prima Sinfonia. Il conflitto musicale diviene più intenso che mai, pur con le nuove apparizioni del tema del "fiume”, che a poco a poco placano i dubbi e le paure introducendo un tono di benevola rassegnazione, non immune da rimpianto o perfino da profonda tristezza, ma in ultima analisi interiormente calma. C'è un sussulto doloroso di un momento, terribile come una profonda pugnalata, subito prima della tranquilla conclusione.

William Mann (traduzione di Paolo Petazzi)