Omeopatia musicale: pillole per attenuare il male dell'insensibilità culturale dilagante.
Curarsi con la musica senza necessariamente ricorrere al suono...

venerdì, ottobre 28, 2011

Alfred Schnittke: prefazione di Enzo Restagno

Realizzare un libro su Alfred Schnittke, come prolungamento e approfondimento del ciclo di concerti a lui dedicato dalla sedicesima edizione del festival Settembre Musica, era un impegno scontato, così come era già accaduto per gli altri compositori che fanno ormai parte di una galleria di ritratti contemporanei allestita dal grande festival torinese. Ma questa occasione imponeva qualcosa di più. Nel 1991, il felicissimo incontro con Sofija Gubajdulina era riuscito ad accendere l'attenzione del pubblico e degli esperti sulla grande vitalità musicale del Paese che a quell'epoca si chiamava ancora Unione Sovietica. Sofija Gubajdulina, Alfred Schnittke, Edison Denisov e, in una certa particolare misura, Arvo Pärt sembravano e continuano a sembrare apparizioni straordinarie e non troppo relate provenienti da una civiltà della quale abbiamo una conoscenza alquanto sommaria. Un libro su Schnittke poteva essere dunque l'occasione per gettare uno sguardo più ampio sul mondo del quale questo musicista, giunto ai vertici di una popolarità difficilmente immaginabile in ambito contemporaneo, è una delle espressioni più attraenti e complesse. Le conversazioni con Sofija Gubajdulina del 1991 costituirono il primo sguardo su quel mondo, e nello scoprirlo attraverso una testimonianza diretta nacque una curiositá nei confronti della quale questo volume vuole dare ora una risposta non certo definitiva.
Le conversazioni che nel mese di gennaio ho avuto con Schnittke nella sua casa di Amburgo - svoltesi in russo, con Elizabeth Wilson come interprete - costituiscono solo una parte di questo volume e non sono neppure molto estese. A questa gentile e colta signora inglese devo qualcosa di più di un semplice ringraziamento, poichè il suo intervento non si è limitato al lavoro di interprete. Elizabeth Wilson, violoncellista formatasi a Mosca nella classe di Rostropovich, è anche musicologa di grande competenza. In quest'ultima veste aveva realizzato nel 1989, a Mosca, un documentario per la BBC su Schnittke parte del cui testo è stata utilizzata in questo libro per gentile concessione della BBC Television, in particolare per gli aspetti concernenti la biografia del maestro russo. Oltre a questo testo, la signora Wilson ha messo a mia disposizione una grande quantità di appunti e documenti nonché le sue vaste conoscenze personali nel mondo della musica russa.
Andare alla ricerca dello scenario in cui si è sviluppata la carriera musicale di Schnittke voleva dire risalire agli anni di Stalin e alla dottrina estetica del realismo socialista. Pensavo di affrontare questi problemi molto concisamente, in poche pagine di introduzione, ma mi resi conto in breve che trattare l'argomento era come penetrare in un baratro dall'estensione imprevista. Sarebbe stato più saggio rinunciare a un progetto del genere, ma non riuscivo a farlo: dagli anni di Stalin emana non solo un fascino demoniaco, ma il desiderio, particolarmente acuto in chi li ha vissuti, di assistere allo spettacolo del progressivo riaffiorare della verità. Il caso ha voluto che proprio mentre scrivevo le pagine dedicate alla vita musicale sotto Stalin cadesse il quarantesimo anniversario della morte del dittatore e che per un'altra coincidenza incontrassi un vecchio amico, il violista e direttore d'orchestra russo Rudolf Barshai, con il quale ho avuto, in un ristorante di Parma, una lunghissima conversazione. Un vortice di ricordi: la veglia funebre di Stalin nella Sala delle Colonne, alla quale Barshai partecipò suonando la viola nel suo quartetto; i primi incerti passi del "disgelo"; le spregiudicate uscite del principe Volkonskij, che sembrava tornato in Russia da Parigi per seminare lo scompiglio nel Conservatorio moscovita; la fondazione dell'Orchestra da camera di Mosca; storie infinite di oppressioni, avvilimenti, servitù e opportunismi e il timido accendersi, in quello scenario da anime morte, di qualche barlume di speranza. Mi interessava quasi morbosamente la storia di quella tristezza segreta schiacciata sotto il peso delle menzogne ufficiali e provavo anch'io quell'assillo che da anni non dà requie a Solzenicyn: il disvelamento delle storie segrete, sentito come una necessità salvifica della storia.
Il sentimento duplice di orrore e fascinazione che emana dal personaggio Stalin si ripercuote su ogni vicenda del suo tempo, su ogni testimonianza, su ogni monumento. Provate a osservare di notte stagliarsi contro il cielo gli assurdi pinnacoli di pietra che sovrastano l'hotel Ucraina a Mosca; avrete l'impressione di trovarvi di fronte a relitti gotici che qualche inesplicabile metamorfosi surrealista ha fatto rivivere in misteriose simbiosi. C'è qualcosa di infero nella cuspidata monumentalità di quegli edifici, un'assurdità crudele nei poemi e nei dipinti ufficiali, nelle musiche accademiche e trionfali che occhieggiano alle canzoni sentimentali e patriottiche. Seguendo da un lato il fascino perverso di quelle testimonianze e dall'altro la ricerca del ristabilimento della verità, venivo raccogliendo da anni ricordi di musicisti russi su quell'epoca dalla quale pare oggi separarci un'eternità. Le testimonianze rese a viva voce si sommavano e si intrecciavano ai libri di memorie, da quelli di Erenburg a quelli della Mandelstam, Solzenicyn, della Achmatova, di Brodskij e di tanti altri.
Perfino la pittura del realismo socialista ha conosciuto in questi anni, grazie ad alcune belle mostre, una certa problematica notorietà. Una volta quella pittura e quell'architettura erano pretesto per facili sarcasmi, ora intrigano il cervello, e sotto una vernice di convenzionalità cominciano a rivelare strategie di insospettata complessità.
Con la musica è successa la stessa cosa, ma in una misura decisamente più ridotta. Prokofev e Sostakovic erano considerati da noi musicisti attardati, costretti ad onta del loro talento a uno stile definito senza tanti complimenti retorico. Le cose sono cambiate non poco negli ultimi vent'anni e a Sostakovic è stata universalmente restituita la reputazione di un grande del nostro secolo, mentre per Prokofev i pregiudizi sembrano un po' più difficili da estirpare. Sulla vita e sull'opera di questi maestri la critica si è applicata non poco, ma su molti altri compositori continua a pesare un oblio che coincide spesso con l'ignoranza. La storia della musica nell'Unione Sovietica resta in gran parte da riscrivere e questo può avvenire partendo dagli anni della formazione di compositori approdati oggi alla celebrità, come Schnittke, Gubajdulina, Denisov, Pärt, o di quelli che ancora attendono di essere rivelati, come Galina Ustvolskaja e Karamanov, oppure rivolgendo la nostra attenzione ai più giovani, Silvestrov, Knaifel, Korndorf, Firsova, Tarnopol'skíj, Artemov. Tutti i compositori che ho menzionato e molti altri ancora si trovano in una singolare condizione culturale ed esistenziale: è come se la loro vita e la loro opera si trovassero a cavallo di due distinte epoche storiche. In molti casi la loro opera si è sviluppata in una sorta di semiclandestinità, nella quale filtravano a poco a poco le informazioni provenienti dall'Occidente. Per un certo tempo, in quel clima culturalmente plumbeo e oppressivo, le procedure forgiate dalle avanguardie occidentali ebbero il sapore di un frutto proibito diventando quindi un vero e proprio oggetto di culto. I compositori russi di quella stagione clandestina non perseverarono però a lungo in quella condizione e seppero in breve tempo conquistare un'indipendenza che assunse spesso i caratteri di un'originalissima sintesi. Proprio in questa sintesi sta per noi il nodo da sciogliere; la nostra musica d'avanguardia proclamava, fino a pochi anni fa, la necessità di uno sviluppo irreversibile, ma, esauritesi le avanguardie, si è ovunque avvertita l'urgenza di un collegamento con la tradizione. Che riannodare questi fili sia un'operazione quanto mai problematica è testimoniato dal travaglio delle ultime generazioni di musicisti, Nell'Unione Sovietica questa operazione è avvenuta alcuni anni fa e ha saputo dare vita a soluzioni soluzioni di indiscutibile pregio; ecco perché una conoscenza il più possibíle dettagliata dei problemi vissuti dai compositori dell'ex Unione Sovietica ha oggi per noi la massima importanza. E' accaduto così che questa introduzione si sia estesa in maniera imprevista nel tentativo di rintracciare qualcuna delle linee fondamentali di sviluppo della vita musicale nell'Unione Sovietica di ieri e nella Russia di oggi.
L'elenco dei documenti usati per questa ricognizione sugli ultimi quarant'anni della musica russa e sovietica cominciano con un prezioso volumetto di Rubens Tedeschi uscito nel 1980 con il titolo Zdanov l'immortale e proseguono con Thèmes avec vatiations di Karetnikoy, uscito a Parigi nel 1990; ancora tra le edizioni francesi è da menzionare per la ricchezza delle informazioni Entretiens avec Denisov di Jean-Pierre Armengaud, uscito nel 1993; fondamentale per la ricchezza delle informazioni è Sowjetische Musik im Lick der Perestroika, pubblicato dall'editore Laaber nel 1990 a cura di Hermann Danuser, Hannelore Gerlach e Jürgen Koechel. E ultimo di questi tre studiosi tedeschi è anche consulente artistico della casa editrice Sikorski di Amburgo, la quale pubblica da alcuni anni la maggior parte dei lavori dei compositori ex-sovietici. Presso questa casa editrice, grazie all'assistenza di Koechel e del dottor Duffek, ai quali va il mio sentito ringraziamento, ho potuto studiare la maggior parte delle partiture, e non sono poche, e ascoltare le composizioni di cui si parla nella parte introduttiva di questo libro.
La seconda e più ampia parte del volume contiene uno studio analitico dell'intera produzione musicale di Alfred Schnittke. Ne è autore Aleksandr Ivaskin, musicologo e violoncellista russo che è oggi lo studioso più attento e informato della musica di Schnittke. Ha fatto un eccellente e documentatissimo lavoro destinato, credo, a diventare il punto di partenza di tutte le ricerche future su questo tema. Un'ampiezza insolita occupa in questo volume il catalogo delle opere con relativa discografia e bibliografia, alla cui redazione ha fornito la sua supervisione lo stesso Schnittke, desideroso di conferirgli la massima completezza. Il testo di Ivaskin e il catalogo sono stati tradotti in italiano con grande competenza e meticolosità dal professor Luigi Giacone al quale va il sincero ringraziamento mio e dell'editore.
La materia della quale è fatto questo libro è, come ciascuno può immaginare, molto fluida, poiché la musica russa segue nella sua forte espansione tendenze disparate, capaci di collegarsi al passato e al presente secondo prospettive molto diverse. Le antiche liturgie, i dati del folclore, l'eredità mistica di Skrjabin, un impulso neoromantico particolarmente fragrante, un astrattismo quasi ascetico e perfino una piacevolezza talvolta al limite del consumismo sono solo alcuni degli elementi che ribollono nel grande crogiuolo, e di questa instabilità mercuriale, che richiede continuamente nuove strategie interpretative, Schnittke è con la sua operosità inesausta il simbolo più efficace.

Enzo Restagno (Prefazione a "Schnittke", edizioni EDT, 1993)

sabato, ottobre 22, 2011

I quartetti di Haydn: le originali e quelle attribuite


Haydn è entrato a far parte della storia della musica come "padre del quartetto" poiché fu il primo compositore che partendo da un'abbondanza di stadi preliminari - basti citare i generi della sonata a tre, del concerto a quattro o della sinfonia a quattro - riuscì a creare un tipo di composizione in cui quattro strumenti della stessa famiglia e di pari importanza si ritrovano insieme a formare un suono assai omogeneo, pur mantenendo ciascuno le proprie caratteristiche specifiche. Il suo primo biografo, Georg Griesinger, descrisse nel 1810 come Haydn giunse a scrivere le prime opere di questo genere nel 1755: "... la seguente circostanza fortuita avrebbe fornito al compositore i presupposti per tentare la fortuna con la composizione di quartetti. Un certo barone Fürnberg aveva una proprietà nella regione del Weinzierl (Austria superiore), distante alcune stazioni postali da Vienna, e di tanto in tanto usava invitare a casa sua il parroco, l'amministratore, Haydn e Albrechtsberger (un fratello del famoso contrappuntista che suonava il violoncello) per l'ascolto di piccoli brani musicali. Fürnberg esortò Haydn a comporre qualche pezzo che potesse essere eseguito insieme dai quattro appassionati d'arte".
L'opera per quartetto di Haydn, che conta oltre settanta composizioni autentiche, è stata oggetto di una analisi particolarmente approfondita per quanto riguarda le occasioni per le quali furono composti i pezzi, gli sviluppi stilistici e le influenze di altri maestri. Tuttavia gli ultimi esiti delle ricerche presentano delle notevoli divergenze rispetto alle nozioni precedenti, soprattutto per quanto riguarda l'op.3. Le sei opere pubblicate relativamente tardi nel 1777 dall'editore parigino Bailleux come op.26 di Haydn, oggigiorno non sono più considerate originali e non sono più comprese nell'edizione critica delle opere del compositore. L'allievo di Haydn, compositore, costruttore di pianoforti e editore Ignaz Pleyel, aveva insistito che il ciclo fosse inserito come op.3 nel catalogo tematico di tutti i quartetti del compositore - e anche la lista approntata dall'allievo di Haydn Joseph Elssler sotto la supervisione del maestro ormai anziano, collocava le sei composizioni fra l'op.2 e l'op.9. La lista fu riconosciuta da Haydn, ma l'anno in cui apparve l'edizione a stampa, 1777, si trovava in contraddizione coi ricordi del vecchio maestro, il quale sosteneva di non aver composto quartetti fra il 1772 (l'anno in cui completò l'op.20) e il 1781 (che vide nascere l'op.33). Inoltre le sei composizioni dell'op.3 appaiono, in confronto agli altri due cicli sopra citati, talmente immature dal punto di vista stilistico che viste nel contesto dell'opera complessiva di Haydn rappresenterebbero un incomprensibile passo indietro. In seguito agli studi compiuti da Tyson, Larsen, Landon, Unverricht, Peder e Finscher, oggi prevale la tesi secondo cui l'editore parigino Bailleux abbia sfruttato finanziariamente la fama di cui Haydn godeva in tutta Europa per stampare delle opere sotto il nome del noto Kapellmeister di Esterháza, speculando sul fatto che sarebbero state meglio vendibili. Oggi si ritiene che il compositore dei sei quartetti sia stato piuttosto padre Romanus Hofstetter, nato nel 1742 a Bad Mergentheim (recentemente tuttavia nella rivista "Musikforschung", fascicolo n.3 del 1986, Günther Zuntz ha nuovamente espresso dei dubbi su questa teoria, facendo anche notare delle contraddizioni nell'argomentazione impiegata fino ad allora).
Hofstetter era un monaco del convento benedettino Amorbach nell'Odenwald; morto nel 1815 a Miltenberg am Main, egli fu criticato in maniera sprezzante come piccolo maestro di capacità assai limitate, ma col cosiddetto "Serenadenquartett" gli riuscì un ottimo colpo di fortuna in campo compositivo. Se è vero che i motivi del primo tempo sono "dal fiato corto" essi tuttavia vengono sviluppati con una certa abilità. Il Minuetto e il Trio - il primo caratterizzato da una certa ruvidezza e disinvoltura che ricorda la pista da ballo - forniscono dei piacevoli contrasti tematici, e anche il Finale che porta il titolo "Scherzando" conserva intatto il buon umore. Ma il movimento che acquistò il maggior grado di popolarità fu l'Andante cantabile, che con la sua melodia semplice e malleabile potrebbe essere una serenata accompagnata da un liuto, adattata per un insieme di archi. E' vero che Hofstetter si attiene a un modello che era consueto ai suoi tempi, ad esempio quando affida la cantilena iniziale al primo violino, accompagnandola con i pizzicati degli altri archi, ma il fascino della melodia pone il movimento a un livello ben più alto della media di allora.
I sei quartetti dell'op.64 composti nell'estate del 1790 - insieme ai cicli dell'op.54 e op.55 (1788) - sono divenuti noti coi titolo di "Tost-Quartette", perché l'edizione a stampa presenta una dedica al commerciante ed ex violinista dell'orchestra di Esterháza, Johann Tost. Dal punto di vista biografico essi rappresentano un momento significativo nella vita di Haydn: appartengono infatti all'ultimo gruppo di opere composte nella solitudine di Esterháza - verso la fine di settembre morì il suo datore di lavoro, il principe Nikolaus, e una volta pensionato e libero dagli obblighi di corte Haydn fu in grado di dedicarsi a un pubblico più largo. Il quinto quartetto della serie, intitolato "Lerchen-Quartett" (Quartetto delle allodole) deve il suo titolo divulgatore al tema principale del primo movimento, nel quale il primo violino dopo sette battute introduttive si abbandona in un canto primaverile per la durata di tredici battute, contrappuntato da un piccolo motivo del secondo violino. Questo inizio presenta il materiale per l'intero movimento, nel quale Haydn dimostra la piena maturità della sua arte dell'elaborazione monotematica. Con una impostazione decisamente virtuosa e concertante, e l'ampia spaziosità dei movimenti, egli si stacca definitivamente da quel genere musicale che era destinato soprattutto ai dilettanti colti, compiendo un passo decisivo verso il mondo del quartetto da concerto, le cui difficoltà potevano essere superate soltanto dal musicista di professione. L'Adagio cantabile in tre parti è basato sull'opposizione fra le "chiare" sezioni esterne e la tematica nel minore della sezione centrale. Il vigoroso minuetto viene elaborato in maniera quasi sinfonica e lascia intuire la vicinanza delle Sinfonie nn.88 e 92, nate grosso modo nello stesso periodo, mentre il Trio in re minore presenta una armonizzazione estremamente duttile e una raffinatezza mozartiana. Il Finale ha il carattere di un perpetuum mobile: l'attività burrascosa alla quale partecipano tutti gli strumenti assume un'aria "dotta" con l'introduzione di una breve sezione fugata in re minore.
I sei quartetti dell'op.76 dedicati al conte Joseph Erdödy, dominati da una polifonia incredibilmente fitta, nacquero più o meno nel periodo in cui Haydn era occupato con l'oratorio Die Schöpfung (La creazione). Con queste opere della vecchiaia composte nel 1797, che hanno il carattere di un testamento lasciato al mondo della musica da camera, Haydn si trova alle soglie del Romanticismo l'individualista abbandona definitivamente la sfera della musica intesa come intrattenimento di società, preparando la via al XIX secolo. Un eccezionale esempio di come Haydn sapeva intensificare la forza espressiva degli elementi melodici e armonici tramite una magistrale tecnica contrappuntistica, è l'austero e inquieto Quartetto in re minore, op.76 n.2. Le due quinte discendenti che si susseguono all'inizio (da questo intervallo è nato anche il titolo "Quinten-Quartett") costituiscono l'elemento propulsivo dell'intero movimento, che rivela una fusione della fantasia con la componente costruttiva persino nella sezione dello sviluppo: qui il motivo assume un carattere tematico, viene poi trattato nello stretto e finalmente combinato con il suo intervallo complementare, la quarta. La romanza quasi ingenua dell'Andante con una sezione centrale in re minore e una variazione dell'idea principale si rivela come un idillio ingannatore posto fra il primo movimento e il minuetto; l'atmosfera di quest'ultimo, caratterizzato da una scialba struttura canonica a due voci, si trova a metà fra il malumore e il demoniaco. Anche il Finale, basato su una melodia folcloristica ungherese o slovena, mantiene il carattere serio che si schiarisce soltanto nella Coda con l'effetto di una "liberazione" grazie all'intervento della tonalità maggiore.

Uwe Kraemer (traduzione di Claudio Maria Perselli)

sabato, ottobre 15, 2011

Frescobaldi: i "Fiori Musicali" (1635)


Nel succedersi delle opere di Frescobaldi date alle stampe, scandito dai due libri di Toccate (1615 e 1627) e dai Capricci (1624), i Fiori Musicali editi nel 1635 coronano il progressivo sviluppo dei diversi generi e stili che l'autore maturò nell'ambito della sua carriera. Dopo il trionfo dello stile toccatistico, portato alle estreme possibilità espressive, tanto da influenzare la partita e la canzone; dopo il contrappunto dei Capricci, di stampo classico ma rinnovato da affetti seicenteschi, i Fiori Musicali costituiscono un'opera più eterogenea, sebbene legata ad una particolare esperienza professionale consolidatasi nel tempo. Essi infatti sono la prima pubblicazione che Frescobaldi destina interamente all'organo, strumento connesso alla carica di organista della Basilica di San Pietro a Rorna che egli ricoprì sin dal 1608, salvo brevi pause.
L'opera è dedicata al Cardinale Antonio Barberini, fratello di Urbano VIII allora al soglio pontificio, ed è formata da tre messe, ciascuna destinata ad una festività liturgica. Era tradizione plurisecolare che le Messe in canto gregoriano venissero eseguite a versetti alternati: uno dal coro, il seguente suonato dall'organista che elaborava il tema del versetto relativo, e così via altemando coro e organo.
Se gli organisti del cinquecento offrivano esclusivamente la serie di versetti delle tre Messe, Frescobaldi preferisce limitarli alla sola sezione del Kyrie per riservare il massimo spazio ai brani da suonare in altri punti della celebrazione. La prassi dell'alternanza che spesso aveva luogo anche nei canti di Introitus, Gradualis, Offertorium e Communio, col tempo decadde in favore di brani non basati su temi gregoriani e affidati al solo organo.
Frescobaldi non muta i generi ancora in uso dal secolo precedente ma li rinnova, piegandone la forma all'espressione degli affetti che commenteranno i momenti della celebrazione, mirando ad un coinvolgimento emotivo dei fedeli.
La Toccata avanti la Messa introduce al rito nella più imponente solennità. L'inizio grave si avvia ad un crescendo di tensione culminante, nelle prime due Messe, in una sezione finale indicata come Adasio di massima intensità, espressa da trilli e accenti di natura vocale.
I grandi cicli dei Kyrie, arricchiti di alcuni facoltativi (alio modo), risentono di una tradizionale polifonica vocale che aveva sempre conferito alle tre invocazioni un assetto preciso: il primo Kyrie solenne, il Christe di scrittura più semplice, l'ultimo Kyrie nuovamente solenne ed elaborato. Questa consuetudine riflessa nei Kyrie organistici era ancor più evidenziata, quasi ad esprimere il testo corrispondente. In Frescobaldi, inoltre, il complesso trattamento dei temi gregoriani può rivelare in molti casi una funzione simbolica; ad esempio nel primo Christe della Messa della Domenica. Al cantus firmus in semibrevi del Christe si sovrappone il tema del Kyrie in contrappunto; nelle ultime due entrate al soprano e al contralto scorgiamo, diviso tra le due voci, l'incipit del Kyrie che prosegue nel secondo emistichio del Christe, suggerendo il concetto di consubstanzialità tra il padre e il figlio. Troviamo allusioni alla Trinità nei versetti tritematici, alla doppia natura di Cristo nelle imitazioni in stretto.
Seguendo l'ordine dei brani troviamo la Canzone dopo l'Epistola, da eseguirsi durante l'incensazione che precede la lettura del Vangelo. Divisa in sezioni di metro diverso come la canzone cinquecentesca, essa reca la consueta firma frescobaldiana degli Adasio che disgregano la struttura imitativa soffermandosi su tenti passaggi armonici. Nella Canzone della Messa della Madonna si insinua, seminascosto, il tema profano della Bassa fiamenga, un'Allemanda di origine fiamminga; non sappiamo se questo ebbe mai in Italia una veste spirituale o se piuttosto sia da ricondurre al gusto di conciliare sacro e profano ricorrente nell'opera di Frescobaldi.
Il Ricercare che si usava suonare dopo il Credo, ossia durante l'Offertorio, nei Fiori Musicali è di preferenza cromatico. Lo sviluppo del brano prevede l'entrata di più temi secondari e la loro varia combinazione, anche per moto inverso, col tema cromatico, che nella sezione finale è aggravato in semibrevi. L'intensa contorsione armonica che pervade i tre Ricercari farebbe pensare ad un loro ruolo introduttivo al rito di consacrazione del quale l'Offertorio è preliminare, e quindi agli affetti dolorosi della Toccata per l'Elevazione.
I vertici dell'arte frescobaldiana vengono raggiunti in quei brani destinati all'espressione del misticismo più autenticamente barocco: le Toccate per l'Elevazione. Tra esse la prima punta tutto sull'effetto allucinato d'una scrittura cromafica, ricollegabile alle «durezze et ligature» della scuola napoletana. D'altro canto le Toccate degli Apostoli e della Madonna danno prova di quanto Frescobaldi avesse sperimentato sinora. Episodi pacatamente accordali si avvicendano ad altri in cui una singola voce si abbandona ad accenti, trilli, slanci verso l'acuto, e cadute improvvise; altri in cui le quattro voci singhiozzano pateticamente sul ritmo «lombardo». Proprio tali gesti musicali si fanno tramite di una spiritualità inquieta, non priva di attitudini esteriori, talora profaneggianti, tutti segni d'una spiritualità mediterranea, resa a livelli eccelsi.
Le Canzoni da sonarsi dopo il canto del Communio si distinguono per la complessa elaborazione tematica. Nella Canzon quarti toni dalla Messa degli Apostoli il tema viene usato, nella sezione ternaria, in valori di semiminima e al medesimo tempo aggravato in due minime col punto.
Una serie di brani senza esplicita destinazione liturgica concede all'organista una certa varietà di scelta. L'Altro Ricercar dalla Messa degli Apostoli è un esempio eccellente di fuga tripla. Le prime tre sezioni espongono ciascuna un tema con relativo controsoggetto; nell'ultima i tre temi si sovrappongono a vicenda in ogni possibile combinazione, suonando in coppia o tutti simultaneamente. Il Ricercare successivo è caratterizzato da un obbligo ossia, in termini attuali, da un ostinato: la parte del basso ripete esclusivamente un tema in semibrevi su vari gradi della scala. Lo stesso tema ricorre pure nelle altre parti, accanto ad un secondo in valori più brevi esposto anche nella sua forma inversa che, usata come elemento indipendente, gioca a sua volta un ruolo di terzo tema. Il Ricercare dalla Messa della Madonna prevede una quinta parte in ostinato che deve essere cantata: questa si trova indicata a parte e senza testo, seguita dal motto «Intendomi chi può che m'intend'io». Sta all'esecutore scoprire in che punto il frammento vada inserito, oltre a dover scegliere un testo. In questa registrazione si è optato per una serie di invocazioni alla Madonna a mo' di litania.
Un'appendice alle tre Messe è data da due Capricci che, confermando una consuetudine cara a Frescobaldi, si basano su temi presi dalla tradizione popolare. La canzone da ballo nota in Italia col nome di Bergamasca diffusa in tutta Europa sin dal primo '500, è utilizzata da Frescobaldi in una composizione dotta ma di straordinaria fantasia. La frase appostavi «Chi questa Bergamasca sonarà, non pocho imparerà» ne mette in evidenza, orgogliosamente, la ricercatezza d'invenzione. La melodia della Girometta fu sempre usata in ambito colto con intenti descrittivi associati alla battaglia; il teorico Gioseffo Zarlino ci informa della sua diffusione nel repertorio delle trombe militari. Proprio all'intonazione vacillante della tromba naturale potrebbe alludere l'incertezza cromatica sul quarto grado del tema nella parte iniziale. Il Capriccio prosegue in una rappresentazione di affetti ed umori contrastanti, facendo trapelare una sorta di autoritratto ironico, suggerito da un'allusione celata nel titolo stesso: Girolmeta anziché Girometta.
Due versioni vocali sono anteposte all'esecuzione dei Capricci. E' stata scelta una Bergamasca in tedesco conosciuta da Bach e da lui inserita nell'ultima delle Variazioni Goldberg. Della Girometta udiremo un «rivestimento spirituale» tratto da una raccolta a stampa di Matteo Coferati (1638-1703).
Nel 1714 Johann Sebasfian Bach, grande studioso e ammiratore della musica dei passato, stese di proprio pugno una copia completa dei Fiori Musicali. Non è quindi difficile trovare nell'opera di Frescobaldi una fonte d'ispirazione per i sei Kyrie della terza parte del Clavierübung, i quali, assieme ai corrispettivi corali luterani del Gloria e del Credo, formano un legame ideale e spirituale con la Messa d'organo cattolica, pur nell'unitarietà di una Orgelmesse.

Francesco Cera (note al CD "Girolamo Frescobali: Fiori Musicali", Tactus TC 580690, 1991)

sabato, ottobre 08, 2011

Reich: musica come processo graduale

Non mi riferisco al processo di composizione, ma piuttosto a pezzi musicali che sono, letteralmente, processi.
La caratteristica dei processi musicali è che determinano simultaneamente tutti i dettagli nota per nota (suono per suono) e la forma globale (si pensi a un canone circolare o infinito).
Mi interessano i processi percepibili. Voglio poter udire il processo nel suo svolgimento sonoro.
Per favorire un ascolto attento ai minimi dettagli, il processo musicale dovrebbe svolgersi con estrema gradualità.
L'esecuzione e l'ascolto di un processo musicale graduale somigliano a: spingere un'altalena, lasciarla andare, e osservarla mentre ritorna gradualmente all'immobilità; capovolgere una clessidra e osservare la sabbia mentre scorre lentamente e si accumula sul fondo; affondare i piedi nella sabbia sulla riva dell'oceano e guardare, sentire e ascoltare le onde che poco a poco li seppelliscono.
Una volta avviato e innescato, il processo va avanti da solo, anche se posso certamente provare il piacere di scoprire processi musicali e di comporre il materiale musicale per poterli svolgere.
Può essere che il materiale suggerisca il tipo di processo adatto a svolgerlo (il contenuto suggerisce la forma), o che il processo suggerisca che tipo di materiale adoperare (la forma suggerisce il contenuto): se la scarpa calza, indossatela.
Il processo musicale si può attuare con un'esecuzione dal vivo di musicisti in concerto oppure con degli strumenti elettroacustici. In ultima analisi, non è questo il problema principale. Uno dei più bei concerti cui ho assistito era tenuto da quattro compositori che facevano ascoltare alcune loro opere su nastro magnetico in una sala buia - un nastro è interessante quando è un nastro interessante.
Quando si lavora di frequente con apparecchiature elettroacustiche si è portati a riflettere sui processi musicali. Tutta la musica non è, in fin dei conti, che musica etnica.
I processi musicali possono metterci in contatto diretto con l'impersonale e darci nello stesso tempo una specie di controllo totale (spesso non si pensa che l'impersonale possa accompagnarsi al controllo totale). Quando parlo di "una specie" di controllo totale, voglio dire che l'atto di svolgere un dato materiale attraverso un processo consente un controllo completo dei risultati, ma nello stesso tempo porta anche ad accettare tutto ciò che ne risulta senza apportarvi modifiche.
John Cage ha usato i processi e ne ha accettato i risultati, ma i suoi processi sono di tipo compositivo e non si possono distinguere durante l'ascolto. Il processo che consiste nell'usare l'I-Ching o le imperfezioni di un foglio di carta per definire dei parametri musicali non è trasparente all'ascolto; l'orecchio non riesce a cogliere la relazione tra i processi compositivi e la realtà sonora. Analogamente, nella musica seriale la serie raramente è udibile. Questa è una differenza fondamentale tra la musica seriale (essenzialmente europea) e l'arte seriale (essenzialmente americana), in cui la serie percepita è di solito il punto focale dell'opera.
Mi interessa un processo compositivo che sia tutt'uno con la realtà sonora.
James Tenney mi ha detto nel corso di una conversazione: «Ma allora il compositore non ha segreti». Non conosco alcun segreto nella struttura che non si possa udire. Il processo è udibile e noi tutti possiamo ascoltarne insieme lo svolgimento. Una delle ragioni per cui si può udire è che si svolge con estrema gradualità.
Il ricorso a meccanismi nascosti nella musica non mi ha mai attirato.
Ci sono misteri a sufficienza per soddisfare tutti anche quando il gioco è scoperto e chiunque può ascoltare quanto si svolge gradualmente in un processo musicale. Questi misteri sono i sottoprodotti psicoacustici, impersonali e involontari, del processo stabilito; possono comprendere melodie secondarie che si ascoltano all'interno di motivi melodici ripetuti, effetti stereofonici che dipendono dalla posizione dell'ascoltatore, leggere irregolarità nell'esecuzione, armonici, suoni differenziali, ecc..
Ascoltare un processo musicale che si svolge con estrema gradualità mi consente di prestare attenzione a esso, ma esso si estende sempre oltre le mie capacità di percezione, il che rende interessante riascoltare lo stesso processo musicale più volte. Con esso mi riferisco a quel settore di sviluppo di ogni processo musicale graduale (e completamente controllato) in cui si possono udire i dettagli del suono allontanarsi dalle intenzioni e seguire la propria indipendente logica acustica.
Comincio a percepire questi dettagli minuti quando riesco a sostenere un'alta concentrazione, e quando un processo graduale la induce. Per "graduale" intendo estremamente graduale; un processo che si svolge con tale lentezza e gradualità che ascoltarlo è simile all'osservazione della lancetta dei minuti di un orologio - se ne può percepire il movimento solo dopo averla osservata per qualche tempo.
Anche varie musiche modali che oggi godono di una certa popolarità, come la musica classica indiana e il rock psichedelico, ci inducono a prestare attenzione ai minimi dettagli del suono. Essendo modali, con un centro tonale costante e con l'effetto di un bordone ipnotico e ripetitivo, tendono naturalmente a concentrarsi su questi dettagli piuttosto che sulla modulazione tonale, sul contrappunto o su altre tecniche tipicamente occidentali. Ma queste musiche modali restano schemi più o meno rigidi per l'improvvisazione: non sono dei processi.
La caratteristica dei processi musicali è che determinano simultaneamente tutti i dettagli, nota per nota, e la forma complessiva. Non si può improvvisare in un processo musicale: i due concetti si escludono a vicenda.
Quando si esegue o si ascolta un processo musicale graduale si partecipa a una specie particolare di rito liberatorio e impersonale. Concentrarsi sul processo musicale consente di trasferire l'attenzione dal lui, dal lei, dal tu e dall'io verso l'esterno: sull'esso.

Steve Reich, 1968