Realizzare un libro su Alfred Schnittke, come prolungamento e approfondimento del ciclo di concerti a lui dedicato dalla sedicesima edizione del festival Settembre Musica, era un impegno scontato, così come era già accaduto per gli altri compositori che fanno ormai parte di una galleria di ritratti contemporanei allestita dal grande festival torinese. Ma questa occasione imponeva qualcosa di più. Nel 1991, il felicissimo incontro con Sofija Gubajdulina era riuscito ad accendere l'attenzione del pubblico e degli esperti sulla grande vitalità musicale del Paese che a quell'epoca si chiamava ancora Unione Sovietica. Sofija Gubajdulina, Alfred Schnittke, Edison Denisov e, in una certa particolare misura, Arvo Pärt sembravano e continuano a sembrare apparizioni straordinarie e non troppo relate provenienti da una civiltà della quale abbiamo una conoscenza alquanto sommaria. Un libro su Schnittke poteva essere dunque l'occasione per gettare uno sguardo più ampio sul mondo del quale questo musicista, giunto ai vertici di una popolarità difficilmente immaginabile in ambito contemporaneo, è una delle espressioni più attraenti e complesse. Le conversazioni con Sofija Gubajdulina del 1991 costituirono il primo sguardo su quel mondo, e nello scoprirlo attraverso una testimonianza diretta nacque una curiositá nei confronti della quale questo volume vuole dare ora una risposta non certo definitiva.
Le conversazioni che nel mese di gennaio ho avuto con Schnittke nella sua casa di Amburgo - svoltesi in russo, con Elizabeth Wilson come interprete - costituiscono solo una parte di questo volume e non sono neppure molto estese. A questa gentile e colta signora inglese devo qualcosa di più di un semplice ringraziamento, poichè il suo intervento non si è limitato al lavoro di interprete. Elizabeth Wilson, violoncellista formatasi a Mosca nella classe di Rostropovich, è anche musicologa di grande competenza. In quest'ultima veste aveva realizzato nel 1989, a Mosca, un documentario per la BBC su Schnittke parte del cui testo è stata utilizzata in questo libro per gentile concessione della BBC Television, in particolare per gli aspetti concernenti la biografia del maestro russo. Oltre a questo testo, la signora Wilson ha messo a mia disposizione una grande quantità di appunti e documenti nonché le sue vaste conoscenze personali nel mondo della musica russa.
Andare alla ricerca dello scenario in cui si è sviluppata la carriera musicale di Schnittke voleva dire risalire agli anni di Stalin e alla dottrina estetica del realismo socialista. Pensavo di affrontare questi problemi molto concisamente, in poche pagine di introduzione, ma mi resi conto in breve che trattare l'argomento era come penetrare in un baratro dall'estensione imprevista. Sarebbe stato più saggio rinunciare a un progetto del genere, ma non riuscivo a farlo: dagli anni di Stalin emana non solo un fascino demoniaco, ma il desiderio, particolarmente acuto in chi li ha vissuti, di assistere allo spettacolo del progressivo riaffiorare della verità. Il caso ha voluto che proprio mentre scrivevo le pagine dedicate alla vita musicale sotto Stalin cadesse il quarantesimo anniversario della morte del dittatore e che per un'altra coincidenza incontrassi un vecchio amico, il violista e direttore d'orchestra russo Rudolf Barshai, con il quale ho avuto, in un ristorante di Parma, una lunghissima conversazione. Un vortice di ricordi: la veglia funebre di Stalin nella Sala delle Colonne, alla quale Barshai partecipò suonando la viola nel suo quartetto; i primi incerti passi del "disgelo"; le spregiudicate uscite del principe Volkonskij, che sembrava tornato in Russia da Parigi per seminare lo scompiglio nel Conservatorio moscovita; la fondazione dell'Orchestra da camera di Mosca; storie infinite di oppressioni, avvilimenti, servitù e opportunismi e il timido accendersi, in quello scenario da anime morte, di qualche barlume di speranza. Mi interessava quasi morbosamente la storia di quella tristezza segreta schiacciata sotto il peso delle menzogne ufficiali e provavo anch'io quell'assillo che da anni non dà requie a Solzenicyn: il disvelamento delle storie segrete, sentito come una necessità salvifica della storia.
Il sentimento duplice di orrore e fascinazione che emana dal personaggio Stalin si ripercuote su ogni vicenda del suo tempo, su ogni testimonianza, su ogni monumento. Provate a osservare di notte stagliarsi contro il cielo gli assurdi pinnacoli di pietra che sovrastano l'hotel Ucraina a Mosca; avrete l'impressione di trovarvi di fronte a relitti gotici che qualche inesplicabile metamorfosi surrealista ha fatto rivivere in misteriose simbiosi. C'è qualcosa di infero nella cuspidata monumentalità di quegli edifici, un'assurdità crudele nei poemi e nei dipinti ufficiali, nelle musiche accademiche e trionfali che occhieggiano alle canzoni sentimentali e patriottiche. Seguendo da un lato il fascino perverso di quelle testimonianze e dall'altro la ricerca del ristabilimento della verità, venivo raccogliendo da anni ricordi di musicisti russi su quell'epoca dalla quale pare oggi separarci un'eternità. Le testimonianze rese a viva voce si sommavano e si intrecciavano ai libri di memorie, da quelli di Erenburg a quelli della Mandelstam, Solzenicyn, della Achmatova, di Brodskij e di tanti altri.
Perfino la pittura del realismo socialista ha conosciuto in questi anni, grazie ad alcune belle mostre, una certa problematica notorietà. Una volta quella pittura e quell'architettura erano pretesto per facili sarcasmi, ora intrigano il cervello, e sotto una vernice di convenzionalità cominciano a rivelare strategie di insospettata complessità.
Con la musica è successa la stessa cosa, ma in una misura decisamente più ridotta. Prokofev e Sostakovic erano considerati da noi musicisti attardati, costretti ad onta del loro talento a uno stile definito senza tanti complimenti retorico. Le cose sono cambiate non poco negli ultimi vent'anni e a Sostakovic è stata universalmente restituita la reputazione di un grande del nostro secolo, mentre per Prokofev i pregiudizi sembrano un po' più difficili da estirpare. Sulla vita e sull'opera di questi maestri la critica si è applicata non poco, ma su molti altri compositori continua a pesare un oblio che coincide spesso con l'ignoranza. La storia della musica nell'Unione Sovietica resta in gran parte da riscrivere e questo può avvenire partendo dagli anni della formazione di compositori approdati oggi alla celebrità, come Schnittke, Gubajdulina, Denisov, Pärt, o di quelli che ancora attendono di essere rivelati, come Galina Ustvolskaja e Karamanov, oppure rivolgendo la nostra attenzione ai più giovani, Silvestrov, Knaifel, Korndorf, Firsova, Tarnopol'skíj, Artemov. Tutti i compositori che ho menzionato e molti altri ancora si trovano in una singolare condizione culturale ed esistenziale: è come se la loro vita e la loro opera si trovassero a cavallo di due distinte epoche storiche. In molti casi la loro opera si è sviluppata in una sorta di semiclandestinità, nella quale filtravano a poco a poco le informazioni provenienti dall'Occidente. Per un certo tempo, in quel clima culturalmente plumbeo e oppressivo, le procedure forgiate dalle avanguardie occidentali ebbero il sapore di un frutto proibito diventando quindi un vero e proprio oggetto di culto. I compositori russi di quella stagione clandestina non perseverarono però a lungo in quella condizione e seppero in breve tempo conquistare un'indipendenza che assunse spesso i caratteri di un'originalissima sintesi. Proprio in questa sintesi sta per noi il nodo da sciogliere; la nostra musica d'avanguardia proclamava, fino a pochi anni fa, la necessità di uno sviluppo irreversibile, ma, esauritesi le avanguardie, si è ovunque avvertita l'urgenza di un collegamento con la tradizione. Che riannodare questi fili sia un'operazione quanto mai problematica è testimoniato dal travaglio delle ultime generazioni di musicisti, Nell'Unione Sovietica questa operazione è avvenuta alcuni anni fa e ha saputo dare vita a soluzioni soluzioni di indiscutibile pregio; ecco perché una conoscenza il più possibíle dettagliata dei problemi vissuti dai compositori dell'ex Unione Sovietica ha oggi per noi la massima importanza. E' accaduto così che questa introduzione si sia estesa in maniera imprevista nel tentativo di rintracciare qualcuna delle linee fondamentali di sviluppo della vita musicale nell'Unione Sovietica di ieri e nella Russia di oggi.
L'elenco dei documenti usati per questa ricognizione sugli ultimi quarant'anni della musica russa e sovietica cominciano con un prezioso volumetto di Rubens Tedeschi uscito nel 1980 con il titolo Zdanov l'immortale e proseguono con Thèmes avec vatiations di Karetnikoy, uscito a Parigi nel 1990; ancora tra le edizioni francesi è da menzionare per la ricchezza delle informazioni Entretiens avec Denisov di Jean-Pierre Armengaud, uscito nel 1993; fondamentale per la ricchezza delle informazioni è Sowjetische Musik im Lick der Perestroika, pubblicato dall'editore Laaber nel 1990 a cura di Hermann Danuser, Hannelore Gerlach e Jürgen Koechel. E ultimo di questi tre studiosi tedeschi è anche consulente artistico della casa editrice Sikorski di Amburgo, la quale pubblica da alcuni anni la maggior parte dei lavori dei compositori ex-sovietici. Presso questa casa editrice, grazie all'assistenza di Koechel e del dottor Duffek, ai quali va il mio sentito ringraziamento, ho potuto studiare la maggior parte delle partiture, e non sono poche, e ascoltare le composizioni di cui si parla nella parte introduttiva di questo libro.
La seconda e più ampia parte del volume contiene uno studio analitico dell'intera produzione musicale di Alfred Schnittke. Ne è autore Aleksandr Ivaskin, musicologo e violoncellista russo che è oggi lo studioso più attento e informato della musica di Schnittke. Ha fatto un eccellente e documentatissimo lavoro destinato, credo, a diventare il punto di partenza di tutte le ricerche future su questo tema. Un'ampiezza insolita occupa in questo volume il catalogo delle opere con relativa discografia e bibliografia, alla cui redazione ha fornito la sua supervisione lo stesso Schnittke, desideroso di conferirgli la massima completezza. Il testo di Ivaskin e il catalogo sono stati tradotti in italiano con grande competenza e meticolosità dal professor Luigi Giacone al quale va il sincero ringraziamento mio e dell'editore.
La materia della quale è fatto questo libro è, come ciascuno può immaginare, molto fluida, poiché la musica russa segue nella sua forte espansione tendenze disparate, capaci di collegarsi al passato e al presente secondo prospettive molto diverse. Le antiche liturgie, i dati del folclore, l'eredità mistica di Skrjabin, un impulso neoromantico particolarmente fragrante, un astrattismo quasi ascetico e perfino una piacevolezza talvolta al limite del consumismo sono solo alcuni degli elementi che ribollono nel grande crogiuolo, e di questa instabilità mercuriale, che richiede continuamente nuove strategie interpretative, Schnittke è con la sua operosità inesausta il simbolo più efficace.
Enzo Restagno (Prefazione a "Schnittke", edizioni EDT, 1993)
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