Omeopatia musicale: pillole per attenuare il male dell'insensibilità culturale dilagante.
Curarsi con la musica senza necessariamente ricorrere al suono...

domenica, luglio 17, 2016

La strana storia dell'organo che Luciano Berio non volle

Progetto dello Studio Piano (18/07/1995)
La sala grande dell'Auditorium di Roma avrebbe dovuto avere un organo a canne da concerto. Fu costituita una commissione di esperti, interpellato lo studio Renzo Piano, per la collocazione dello strumento; ma alla fine l'organo saltò. Per decisione di Luciano Berio il quale, in una lettera pubblica invita a Italia Nostra che aveva caldeggiato il progetto della costruzione dell'organo, spiegò le assurde e, per un musicista, indegne ragioni della sua insana decisione.
 
L'ingresso dell'organo sulla scena concertistica con la conseguente ed inevitabile accoglienza nelle grandi sale come parte integrante di esse non data da oggi. L'epoca è la congiuntura otto-novecentesca; il paese che probabilmente dà il maggiore impulso sono gli Stati Uniti d'America che, sviluppando tardivamente l'arte organaria, si proiettano direttamente nella concezione sinfonico-monumentale, giungendo, nelle città di Atlantic City e di Philadelphia, all'edificazione di gigantesche macchine sonore ad aria compressa, che ancora oggi detengono il record mondiale di grandezza e potenza; e le prime figure di concertisti internazionali d'organo furono gli inglesi Edwin Lemare e George Cunningham, i francesi Alexandre Guillmant e Marcel Dupré, e gli italiani Marco Enrico Bossi e Fernando Germani - invitati ad intrattenere le folle (talvolta oceaniche) nelle grandi sale del vecchio e nuovo continente, animati dal nobile intento di far evolvere l'arte organistica, conservandone l'enorme patrimonio cumulato in secoli di alloggio nelle cantorie delle chiese e rivestendola di piena e completa funzione concertistica (nuova tecnica, nuovo repertorio).
Grandi organi da concerto arrivano così ad essere scrupolosamente progettati e installati pressoché in tutti i principali auditorium del mondo, tenuti in gran conto sia nel mondo cosiddetto "libero" (dagli Stati Uniti all'Australia, dove troneggia il magnifico strumento nell'Opera House di Sydney - simbolo architettonico dell'era postmoderna) che in alcuni storici regimi dittatoriali. La Sala Gande del Congresso del Partito Nazionalsocialista in Norimberga si dota, nel 1936, di un mastodontico organo Walcker a 220 registro. In tempi più recenti, un organo monumentale viene costruito anche nell'Oriental Art Center di Shangai (cosa curiosa: anch'esso di matrice e fabbricazione germanica!). L'Italia, nel particolare della capitale romana, sia col regime sia con la democrazia si è posta a riguardo in maniera eufemisticamente "controcorrente", al punto da dar corpo alla leggenda di una "maledizione" che impedisce l'esistenza di un organo in un auditorium nazionale romano.
Tutto inizia nel 1908 quanto il conte di San Martino, insigne e pluridecennale presidente dell'Accademia Nazionale "Santa Cecilia", inaugura lo storico "Augusteo", meravigliosa sala da concerti romana di oltre tremila posti fornita di un altrettanto meraviglioso organo sinfonico "Balbiani-Vegezzi-Bossi" ed alla cui consolle un adolescente Fernando Germani accompagna l'orchestra dell'Academia. Poi arriva il fascismo con i suoi progetti di riurbanizzazione della città capitolina, in ragione dei quali l'Augusteo viene abbattuto e cumulate, assieme alle macerie, vane promesse di ricostruzioni e risarcimenti vari (quando si dice: oltre al danno, pure la beffa!). Inizia così il peregrinare delle manifestazioni artistiche dell'Accademia, in particolare sinfoniche, che trovano, dopo lungo tempo (Adriano, Tetro Argentina), momentanea ubicazione nell'Auditorium ex "Pio XII" in via della Conciliazione, che guarda caso, quando vi entra Santa Cecilia, viene "svuotato" di un grande organo Tamburini il cui progetto fu firmato proprio da Fernando Germani (quindi rimontato in malo modo in una chiesa di Bologna dove ancora oggi attende un destino, ancora incerto). Finalmente, sovrintendente l'Accademia Bruno Cagli, il Comune di Roma avvia dopo circa sessant'anni la costruzione di un nuovo nonché triplo auditorio la cui progettazione viene assegnata all'arch. Renzo Piano. Delle tre sale che lo comporranno si decide di dotare quella grande di un adeguato organo a canne. E' il 12 giugno 1995 quando un'apposita commissione, un una riunione "preliminare", mette nero su bianco due importanti decisioni (presenti: Maurizio Cagnoni - responsabile ufficio speciale Auditorio -, Maurizio Varratta - Studio Piano -, Bruno Cagli, Giorgio Carnini, Anna Maria Romagnoli, Quintilio Palozzi, Barthélemy Formentelli e Annalisa Bini, segretaria). La prima è quella di installare un organo di matrice "sinfonica", adatto cioè al repertorio otto-novecentesco cui è destinata la Sala Grande, e "nuovo" (nella stessa riunione era stata avanzata l'ipotesi di utilizzare l'organo di concezione 'barocca' di Barthélemy Formentelli, originariamente pensato per la Basilica "Ara Coeli" e poi finito, dopo lunghe traversie, nella Basilica di Santa Maria degli Angeli a Roma). La seconda decisione è quella di nominare da parte dell'Accademia un'apposita commissione di consulenza tecnica per la progettazione dello strumento. Tale commissione, a seguito nominata, risulta così composta:
- M.° Luigi Ferdinando Tagliavini (Accademico di Santa Cecilia, presidente),
- M.° Giorgio Carnini,
- M.° Francesco Colamarino,
- M.° Concezio Panone,
- Dott. Annalisi Bibi (segretario)
Inizia dalle troppo varie personalità dei componenti la commissione, l'insorgere di ostacoli impliciti alla realizzazione dell'iniziativa. Innanzitutto l'ignoranza dei vertici accademici delle differenti e contrapposte scuole di pensiero 'organistiche', che li spinge a mettere insieme una squadra che perfino a che ne sa solo qualcosa di organistica italiana sembra tirata a sorte. A qualcuno apparirà forse audace squarciare certi veli che i benpensanti non osano mai toccare per quieto vivere?
Allora, sia detto in tutta chiarezza, uno dei componenti di questa commissione, altamente qualificato in fatto di organi sinfonico-eclettici, lavorò per circa un anno, abbozzando disposizioni foniche e schede tecniche, giungendo così ad un ottimo progetto ispirato a quello del monumentale Cavaillé-Coll che a fine '800 dovevasi edificare in S. Pietro ed i cui fondi faticosamente raccolti dai più illustri organisti dell'epoca (presieduti da Charles-Marie Widor, e ricordiamo che in precedenza patrocinò Franz Liszt in persona) furono dirottati per il rifacimento della pavimentazione del coro della basilica vaticana. Mentre, un altro componente della commissione, notoriamente legato al repertorio antico, pensò di mettere ai voti la possibilità che la disposizione fonica venisse affidata alle ditte organarie concorrenti all'appalto (malgrado sia ben noto che, in materia di costruzione, restauro ecc. organista progettista e organaro costruttore devono essere figure nettamente distinte per buona riuscita dell'opera); la votazione risultò favorevole a tale inverosimile mozione! Della dettagliata e raffinata proposta di 'organo sinfonico' (doppia consolle con 4 tastiere e pedaliera, 97 registri ripartiti in 6 sezioni ecc. ecc.) non rimarrà che la sola, grottesca indicazione: "L'impostazione dello strumento dovrà ispirarsi prevalentemente al repertorio sinfonico e contemporaneo, e all'estetica dell'organaria francese". Un nulla di fatto nella cronistoria della commissione "di consulenza tecnica", dato che questa elementare linea guida, come si è visto, era stata formulata negli stessi minimi termini già nella storica riunione preliminare del 12 giugno 1995. Un'altra inefficienza organizzativa viene invece risolta con scioltezza: in prima battuta la Sala Grande, progettata architettonicamente da Renzo Piano, prevedeva una dislocazione dell'organo in corpi fonici separati e distanziati in maniera dispersiva, certamente inadeguata. Con chiari e precisi colloqui tra Piano e un componente della commissione (esperto in organi sinfonico-eclettici che da mesi stava lavorando invano al progetto tecnico e fonico) si rivedono appositi dettagli architettonici per i quali si sarebbe visto e udito l'organo, strutturalmente compatto, ergersi dietro il palco dell'orchestra mediante la rimozione di poche file di posti.
Malgrado queste vicissitudini, si giunge, nei primi anni 2000, a un passo dal bando della gara d'appalto quando subentra come Sovrintendente dell'Accademia Luciano Berio e con questi il puntuale ripetersi della negativa "leggenda" sull'organo dell'auditorium romano. Il progetto viene bloccato con comunicazione scritta, di poche righe, ai membri della commissione (nessuno dei quali curiosamente ha conservato copia di detta comunicazione!) e qui la storia sprofonda nelle tenebre del mistero e del torbido. Ecco una lista di motivi addotti da Berio, così come li riportano giornali dell'epoca:
  • mancanza di fondi,
  • confluenza dei fondi espressamente destinati all'organo in un fondo unico pro Auditorio per far fronte a spese ulteriori sopraggiunte in corso d'opera (motivazione che non spiega nulla e comunque storia che si ripete!),
  • spesa troppo alta per uno strumento utilizzato concretamente una manciata di volte l'anno,
  • inadeguatezza in sé di un organo a canne in un luogo che non sia sacro,
  • inadeguatezza di un organo in una sala tanto grande (2700 posti),
  • accordi taciti fra Vaticano e Accademia per la preservazione del monopolio organistico romano a favore del primo,
  • presunta antipatia e insofferenza di Berio nei confronti dell'organo (egli figlio e nipote d'organisti!).
Insomma, davanti a tanta nebbia lo sconcerto fu grande e fortunatamente non furono in poche a gridare allo scandalo. Tagliavini minacciò le dimissioni anche da accademico di Santa Cecilia (dimissioni che tuttavia non vennero date; per protesta non venne a Roma all'inaugurazione dell'Auditorium, probabilmente non fu neanche invitato), Radicali e Italia Nostra avviano una campagna di pubblico sdegno. Ma i tanti sforzi andarono in fumo: nel 2002 il Parco della Musica viene inaugurato e, con filiale quanto agghiacciante obbedienza alle parole di Berio, ad ogni occorrenza si fa uso di un organo elettrofono, un "clone elettronico" come lo chiosano i rilievi stampa dell'epoca.
Come accadde proprio il giorno dell'inaugurazione della sala grande dell'Auditorium, quando la sinfonia di Mahler scelta per il concerto inaugurale, prevedeva proprio la presenza di un organo. Tutto ciò ha dell'inverosimile. Con il dovuto rispetto, il fosco giustificazionismo dell'allora Sovrintendente pare oscillare fra clamorosa ignoranza e consapevole malafede... Nel frattempo, finché non sia costruito l'organo della Sala Grande "Santa Cecilia", l'Accademia Nazionale "Santa Cecilia" rimuova dal proprio simbolo le canne d'organo che lo fregiano. Che almeno si salvi la forma...
Giovanni Di Giacomo
(Music@ n.24, luglio/agosto 2011) 

sabato, luglio 02, 2016

"Musica Ricercata" di György Ligeti


"Musica ricercata" - I
Cosa c’è di più inquietante di un foglio bianco da riempire? Per giunta un foglio pentagrammato. Molti compositori raccontano del senso di panico che può assalire. Tra le possibili soluzioni c’è quella di darsi limiti severi, lanciare a se stessi delle sfide ed ingegnarsi a risolverle. Non per questo le soluzioni saranno cervellotiche, tutt’altro, il limite può servire a trovare il meglio di sé.
E non è peculiarità dei soli musicisti, basti pensare agli Esercizi di Stile di Raymond Queneau o alle regola del Dogma di Lars von Triar.
In questo contesto si inserisce György Ligeti, ungherese, nato in una città della Transilvania che ha più volte cambiato nazionalità tra Ungheria e Romania, che dopo la Seconda Guerra Mondiale avvia la sua attività di compositore e scrive la raccolta di brani per pianoforte intitolata “Musica Ricercata”.
Undici brani in cui il punto di partenza è nel medesimo tempo semplice e severo: il primo brano potrà utilizzare solo due note (ripetute a piacere, si intende), il secondo tre e così via fino al totale delle dodici note nell’undicesimo e ultimo brano. La sfida è notevole, occorre maneggiare la materia musicale con maestria, chiamando in soccorso l’invenzione ritmica, la creazione di atmosfere molto particolari, la musica popolare che usava melodie fatte di poche note, il coraggio della reiterazione come cardine per affascinare il pubblico.
E’ facilmente intuibile che i brani più difficile da scrivere siano i primi. Ligeti li risolve con astuzia e immaginazione, richiamandosi a quello che a quell’epoca era il suo padre spirituale: Bèla Bartòk, anche egli ungherese e morto nel 1945. Il pianoforte inteso come strumento a percussione (ma espressivo, non solo ritmico) è proprio un’invenzione bartòkiana. Così il brano I è risolto ed anche il secondo, che Stanley Kubrik utilizza in Eyes Wide Shut proprio per il suo carattere solenne e quasi morboso. Poi è un susseguirsi di invenzioni: il III è un indiavolato “presto”, il IV è un valzer irriverente, nello stile della musica di strada, di quegli organetti che una volta musicavano la passeggiata in centro o al parco. Il V è un gioco di inseguimenti tra le due mani, il VI richiama le melodie mediorientali (la musica popolare del medio oriente e quella dell’Europa dell’est hanno più di un punto in comune, del resto l’Impero Ottomano…). Il VII è un vero prodigio avveniristico: nel 1950 e senza l’ausilio delle macchine Ligeti inventa il “loop” e i procedimenti tanto cari ai nostri dj: le mani suonano in tempi diversi, il pianista si sdoppia, l’ascoltatore resta stupito. L’VIII è un omaggio alle danze popolari: tempi dispari e aria di festa. Il IX è un dichiarato omaggio a Bartòk, alla sue musiche notturne fatte di campane, rumori, spaventi, magie. Il X è un altro “presto”, ma la tavolozza di note da usare è molto più grande e quindi la musica è molto meno stilizzata. Infine, e siamo arrivati al totale delle dodici note, l’ultimo brano è una fuga ipercromatica dedicata a Frescobaldi, compositore ferrarese del 1600 e primo grande rivoluzionario della tastiera. Molto spesso i compositori degli ultimi decenni hanno preso come esempio i maestri del 1500 e 1600 vedendo in loro quella purezza e quel rigore che poi nei secoli a venire non ritroveranno, in virtù di altri bisogni.
Musica Ricercata, oltre al piacere dell’ascolto, che non è poco, anzi forse è già tutto, ha aperto molte strade alla musica: è stata una di quelle fonti da cui tutti i compositori prima o poi hanno attinto, liberando le ulteriori energie che la musica di oggi ancora possiede.
 
Andrea Rebaudengo (http://it.peacereporter.net)