Omeopatia musicale: pillole per attenuare il male dell'insensibilità culturale dilagante.
Curarsi con la musica senza necessariamente ricorrere al suono...

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venerdì, dicembre 05, 2014

Venezia: Ex Novo Musica 2014

La musica è un’immagine virtuale della nostra esperienza del vivere come temporale, senza il suo duplice aspetto del ricorrere e del divenire.Wystan Hugh Auden, 1967

Delineare una fotografia esauriente delle più recenti tendenze della creazione musicale è spesso uno dei compiti che ci si assume nelle presentazioni dei festival dedicati alla musica contemporanea. Questi festival svolgono una funzione istituzionale di grande importanza nella vita della cultura europea e costituiscono motivo di sicuro interesse per gli addetti ai lavori, ma spesso si rivelano, purtroppo, lontani dalla grazia del pubblico, il quale non riconosce in alcuna delle musiche proposte “immagini virtuali” di esperienze vicine al proprio vissuto.
Per quanto ogni gesto di composizione musicale possa metaforicamente descriversi come l’arte di rimescolare un mazzo di carte “ben note”; di “innovare” a partire da una sorta di banca dati di suoni condivisi; per quanto le “novità” che incontriamo in un’opera d’arte che ascoltiamo per la prima volta siano - se ci limitiamo ad una riflessione razionale - non così destabilizzanti da lasciarci senza riferimenti culturali, ci si confronta spesso con giudizi del pubblico uniformemente negativi: alcun momento del concerto sembra aver donato emozioni o aver procurato autentico godimento. Una risposta, quasi “tecnica”, ci viene da Stravinskij:

"La storia degli accordi indica che gli accordi hanno a poco a poco abbandonato la loro funzione diretta di guida armonica e cominciato a sedurre con le loro grazie individuali".

In sostanza - secondo Stravinskij - ci viene a mancare la “guida armonica”, la narrazione, gli accordi non creano più una storia, e in qualche modo le “grazie individuali” degli oggetti musicali che ci vengono presentati, da sole, non ci affascinano abbastanza: eravamo forse, anche se probabilmente non consciamente, venuti al concerto per “ascoltare una storia”?
Descrivere la struttura di un’opera musicale, un processo che può evidentemente essere analizzato solo “in divenire”, è operazione complessa: è dunque naturale aiutarsi proponendo relazioni con altre forme d’arte. Il termine che più spesso ricorre nelle “guide all’ascolto” presenti nei programmi di sala è oggi quello di “forma”: termine tecnicamente appropriato ma fortemente referenziale in quanto immediatamente riconducibile all’associazione con le arti visive. L’attenzione primaria non sembra dunque rivolta a cogliere relazioni interne alle partiture musicali, per “rappresentarle” su un palcoscenico virtuale e illustrarne la drammaturgia, ma piuttosto a descriverle come sequenze, mutazioni, sovrapposizioni di “forme” sonore. Dunque - tornando ad Auden - sottolineare la rinuncia dell’arte contemporanea agli stereotipi del “ricorrere” e del “divenire”.
La percezione dell’arte contemporanea e la relativa valutazione è sicuramente problematica, difficile, discussa con criteri spesso incerti. Le arti, dal ‘900 in poi, hanno abbandonato il costante riferimento alle forme e ai valori del passato per iniziare un’avventura verso mete che vengono perseguite con ricerche di ogni tipo. Dice Massimo Cacciari: «È il tempo della vita nervosa, della percezione distratta, del lavoro generale senza qualità»; le arti sono entrate in questo turbine, il pubblico è disorientato, in un certo senso oscillante fra l’affidarsi alle rassicuranti glorie del passato e l’avventurarsi nello scomodo e insicuro terreno del nuovo, dell’oggi che non offre veri segnali per anticipare il domani.
La nuova stagione concertistica Ex Novo Musica 2014, che inaugura il secondo decennio di attività del Festival e festeggia il XXXV anniversario dalla nascita dell’Ex Novo Ensemble, è stata fortemente voluta a Venezia e per Venezia con il generoso sostegno delle più prestigiose istituzioni culturali cittadine; intende offrire una molteplicità di percorsi narrativi che si aprono alle più diverse esperienze musicali moderne e contemporanee senza rifiutare momenti di riflessione su musiche del passato e proposte di opere di autori di raro ascolto. La stagione si articola in tredici eventi non solo fortemente strutturati al loro interno ma anche concepiti per essere letti in “percorsi verticali” che stimolino più ampie riflessioni sulle musiche in programma. A tre serate dedicate alla musica contemporanea con sedici brani in prima esecuzione assoluta si affiancano a progetti concertistici di raro ascolto con la partecipazione di illustri esecutori, dalla voce di Monica Bacelli, alle presenze del flautista Giampaolo Pretto, del bayanista Germano Scurti e dei pianisti Massimo Somenzi e Maria Grazia Bellocchio. Due eventi sono riservati alle produzioni di musica elettronica tra cui quest’anno una proposta di ascolto delle interpretazioni originali fissate da Luigi Nono su supporto discografico per la prima volta diffuse in versioni multicanale utilizzando importanti fonti storiche conservate presso l’Archivio veneziano. La prestigiosa collaborazione tra Ex Novo Musica e il Centre de musique romantique française del Palazzetto Bru Zane ha dato vita a un focus sulla musica romantica francese con due affascinanti concerti rivolti alla riscoperta di questo avvincente repertorio.
Sincera riconoscenza il Festival desidera esprimere alle istituzioni veneziane che hanno voluto sostenerlo: la Fondazione Teatro La Fenice grazie alla sensibilità artistica del suo Sovrintendente Cristiano Chiarot; l’Assessorato alla Cultura della Provincia di Venezia grazie alla competenza di Raffaele Speranzon; il Comune di Venezia che, pur vivendo una fase di complessa difficoltà istituzionale, ha inteso idealmente continuare a sostenere il progetto con determinazione.
 
Aldo Orvieto (Ex Novo Musica 2014)

venerdì, aprile 11, 2014

IV Concorso Internazionale per Quartetto d'Archi Premio Paolo Borciani - 1997


Questa registrazione celebra la storia del quartetto d'archi e il suo futuro. La storia è rappresentata dallo straordinario repertorio di opere per due violini, viola e violoncello composte lungo gli ultimi due secoli e mezzo, opere che sono fra i più grandi esiti dell'espressione artistica nella tradizione classica occidentale. Il futuro è rappresentato dai giovani musicisti che vi partecipano e dalla presenza nel programma di un nuovo quartetto di Luciano Berio, registrato qui per la prima volta. L'attenzione così per la tradizione come per il futuro è caratteristica del concorso Paolo Borciani (intitolato alla memoria del fondatore del Quartetto Italiano), il cui comitato organizzatore ha dimostrato l'impegno nell'allargamento del repertorio per quartetto d'archi commissionando un nuovo pezzo per il concorso. I tre quartetti d'archi presentati qui sono stati registrati il 22 giugno 1997, in occasione del concerto dei vincitori della quarta edizione del concorso per il Premio Paolo Borciani.

Quartetto Artemis, Germania
Primo Premio (Premio Paolo Borciani)
Béla Bartok: Quartetto n.4

Quartetto Auer, Ungheria
Terzo Premio (ex-aequo)
Franz Joseph Haydn: Quartetto in sol maggiore, Op.77 n.1

Quartetto Lotus, Giappone
Terzo Premio (ex-aequo)
Premio speciale per la migliore esecuzione del quartetto Glosse di Luciano Berio
Luciano Berio: Glosse - Prima mondiale

Franz Joseph Haydn è giustamente considerato il creatore (fra gli anni Cinquanta e Sessanta del Settecento) di quelli che a tutt'oggi sono ritenuti i primi quartetti d'archi significativi. Nei suoi quartetti giovanili Haydn cercò di risolvere due questioni principali: una di tessitura, l'altra di forma. Insieme ad altri musicisti della sua generazione, egli dovette reimmaginare un complesso strumentale che non fosse dominato dalle parti gravi e acute con l'accompagnamento di uno strumento a tastiera (struttura tipica della musica da camera barocca), ma che invece costituisse una conversazione fra quattro strumenti, ciascuno dei quali portasse qualcosa di individuale ed essenziale all'insieme. Egli lavorò altresì allo sviluppo dei principi di organizzazione musicale che sarebbero stati fondamentali per lo stile classico, lo stile di Haydn, Mozart e Beethoven: un approccio alla forma che enfatizzava le interazioni drammatiche intrinseche al sistema tonale, mezzo flessibile eppure coerente di integrazione fra aree tonali contrastanti e (di solito) fra materiali tematici entro un singolo movimento.
L'op.77 n.1 è uno degli ultimi quartetti di Haydn, scritto nel 1799 e dedicato al principe Joseph Franz Maximilian Lobkowitz (al quale più tardi Beethoven avrebbe dedicato non solo i suoi primi quartetti, op.18, ma anche la terza, quinta e sesta sinfonia). A esemplare testimonianza di ciò che divenne il quartetto d'archi nelle mani di Haydn, l'op.77 n.1 si articola in quattro movimenti: Allegro moderato; Adagio; Menuetto (Presto); Finale (Presto). Il primo, terzo e quarto movimento sono in sol maggiore, il secondo movimento (insieme alla sezione centrale, o "trio", del terzo) è in mi bemolle maggiore. In ciascun di essi Haydn sfrutta il contrasto fra aree tonali, fondamentale per lo stile classico. Ma ancora più tipico dello Haydn maturo è l’eleganza del pensiero melodico combinata con uno straordinario ingegno musicale. Ciò che al primo ascolto percepiamo come gradevole melodia risulta composto di piccoli frammenti, ciascuno dei quali manipolabile e sviluppabile separatamente; viceversa, ciò che al primo ascolto percepiamo come breve motivo porta con sé la propria eventuale espansione in magnifica me1odia. La nobile, soave melodia del primo violino all’inizio del primo movimento, per esempio, è effettivamente fatta di un breve motivo puntato ripetuto più e più volte. Prima che il movimento sia concluso avremo ascoltato quel motivo in diverse combinazioni, disseminate avanti e indietro fra gli strumenti, ora come melodia, ora come interiezione comica, ora come commento all’acuto, ora some brontolio al grave. A un dato momento, il ritmo subisce una sospensione di due battute, per poi riprendere. Ma tale interruzione porta in sé il seme da cui emergerà il tema lirico già ascoltato alla dominante.
L'Adagio, di austera bellezza, esordisce con un tema enunciato insieme dai quattro strumenti, ma al procedere del discorso, la melodia spezza il proprio cammino fra i diversi registri, in una serie di eleganti contrappunti (e virtuosistici, per il prime violino) che la avviluppano in un’onda sonora. Il tempestoso Menuetto ha ben poco a che fare con la danza aristocratica da cui prende il nome, e gli intervalli estremi, sincopati del primo violino sono tanto divertenti in se stessi, quanto (come sempre in Haydn) soggetto per ulteriori esplorazioni musicali: Beethoven avrebbe chiamato movimenti di questo tipo, “scherzi". Haydn confonde le nostre aspettative a ogni occasione. Il Finale appare come un luminoso pezzo d’intrattenimento, fino a quando il tema non risulta pronto per l'elaborazione contrappuntistica.
Circa 130 anni separano l'op.77 n.1 di Haydn dal Quarto quartetto di Bela Bartok. I sei quartetti del compositore ungherese sono giustamente annoverati fra i capolavori della musica del Novecento. Il linguaggio musicale che li caratterizza è molto diverso da quello di Haydn. I violenti pizzicato, i glissando, l’uso del "non-vibrato", della sordina, degli armonici, degli arpeggi sfruttano le diverse possibilità sonore degli strumenti ad arca. Il linguaggio armonico, senza abbandonare il sistema tonale maggiore-minore, lo spinge energicamente a esplorare misture modali, cluster, cromatismi estremi. Il linguaggio ritmico dischiude un vasto spettro di possibilità, dall’uso di rauchi ritmi di danza, alla sostanziale sospensione dell’attività ritmica (per entrambi gli aspetti si trovano precedenti nei tardi quartetti di Beethoven).
E quale forza emotiva e costruttiva Bartok mostra in quest’opera in cinque movimenti. Essi si accoppiamo in una forma ad arco attorno alla misteriosa musica notturna posta al centro, evocante richiami d’uccelli che emergono attraverso l'immobilità, gli agitati momenti d’angoscia, i brevi passaggi di tranquilla bellezza. Il secondo e il quarto movimento sono entrambi “scherzi”, l'uno affidato a tutti gli archi con sordina, l’altro in pizzicato. Benché essi suonino in modo alquanto differente, il materiale musicale che li costituisce è intimamente correlato: essendo il quarto movimento sostanzialmente una variazione del secondo.
Rapporti d’affinità sono ancora più evidenti fra i due movimenti d’apertura e di chiusura del quartetto, il principale materiale tematico dei quali è correlato in modo diretto. Il sorprendente motivo cromatico che ape il prima movimento, lo domina tutto, dappoiché Bartok ne asseconda lo sviluppo contrappuntistico (invertendolo, contrapponendolo a se stesso) e melodico. Gradualmente, esso perde parte della sua intensità cromatica e si trasforma in una figura diatonica, dotata di più melodica curvatura. Il processo culmina nel movimento finale, dove il motivo in questione dà origine a un disegno melodico compiuto con chiare radici nella tradizione zigana. E' come se Bartok avesse preso il motivo, lo avesse ridotto a una sua essenza fondamentale nel primo movimento, per poi lasciargli riacquistare la propria compiutezza all’inizio del movimento conclusivo. Ma alla fine esso ritorna di nuovo allo stato fondamentale, con una serie di gesti che richiamano direttamente il primo movimento.
Il gesto sta al centro del nuovo lavoro per quartetto d'archi di Luciano Berio, Glosse. “Glosse” sta naturalmente per "commenti”, “annotazioni apposte a qualcos'altro", ma nel quartetto di Berio ciò che troviamo sono commen1i in sé e per sé. Tali annotazioni, che sembrano nascere da molte delle tecniche presenti nei quartetti di Bartok, rinviano a tanta parte della storia del quartetto d'archi. Lo sfruttamento delle possibilità sonore degli archi è cruciale in quest'opera, e la varietà degli effetti, pizzicato, armonici, glissando, oltre che stupefacente, evoca spesso un sentimento di “musica notturna”.
Glosse non abbandona mai un tono lirico, come è dato ascoltare nell’a solo di violoncello che apre e chiude a composizione. La sezione caratterizzata dalla tesa scrittura ritmica affidata a tutti e quattro gli archi ricorda gli “scherzi“ di Haydn, filtrati da Bartok, mentre la sezione in pizzicato evoca, oltre a Bartok, molti altri quartetti del Novecento che adottano una tecnica simile.
Glosse, in tal senso, è un commento sul passato e una dichiarazione rivolta al futuro. In questo modo Berio riesce felicemente a catturare lo spirito del concorso Paolo Borciani.

Philipp Gossett (trad. Roberto Fabbi)

sabato, novembre 12, 2011

Gustav Mahler: 18/11/2011 Maratona Radiofonica


MARATONA RADIOFONICA MAHLERIANA
18 novembre 2011

Una sinfonia deve essere come il mondo. Deve contenere tutto.

Gustav Mahler è stato uno dei compositori fondamentali nel passaggio tra Ottocento e Novecento, una delle incarnazioni più efficaci e potenti della tensione estrema tra un passato ormai irrecuperabile ed un futuro tragicamente incerto. A livello musicale, ma anche umano, sociale, politico.
La sua esistenza, come la sua produzione musicale, 10 sinfonie e numerosi lieder, disegnano con tratti drammatici il profilo di un uomo e di un mondo che anticipano i grandi temi del Novecento, bevendo sino in fondo il calice della crisi di un secolo che si chiude.
Dalla provincia boema a Vienna e New York, incrociando i destini dei personaggi del crepuscolo di un impero, da Klimt a Freud, da Mann a Schoenberg, da Max Reinhardt a Gropius…

Nel 2010 si è ricordato il centocinquantesimo anno della sua nascita (1860), mentre nel 2011 il centenario della morte (1911). In tutto il mondo musicale questi ultimi due anni sono stati dedicati a Mahler, il cui successo in Italia è giunto soltanto a partire dagli anni Sessanta, e con fortune critiche alterne. La Maratona Radiofonica Mahleriana si propone di:
  • rendere omaggio alla figura di Mahler;
  • fornire un invito all’ascolto della sua opera e alla conoscenza dell’autore e della sua vita;
  • fotografare l’universo culturale di un periodo storico fondamentale per il Novecento;
  • con un approccio divulgativo e non specialistico, attraversare vita e opera con l’ausilio di aneddoti tratti dalle numerose biografie;
Nel corso della Maratona Radiofonica Mahleriana si alterneranno:
  • introduzione alla figura di Mahler attraverso la lettura di stralci da saggi, biografie e documenti dell’epoca, coordinata in studio dal conduttore e da una voce recitante affidata ad un’attrice professionista;
  • ascolto guidato di una parte dell’opera di Mahler, con frequenti comparazioni da differenti versioni orchestrali degli interpreti più noti (Abbado, Bernstein, Rattle, Maazel, Von Karajan, Walter ecc..);
  • l’intervento attraverso collegamenti telefonici con direttori d’orchestra, musicisti, critici ed appassionati di Mahler, italiani e stranieri (sono stati invitati musicisti provenienti da orchestre quali Boston Simphony Orchestra, MaggioMusicaleFiorentino, Orchestra dell’Arena di Verona ecc…) che commenteranno ed introdurranno parte degli ascolti;
Elenco degli ospiti confermati:
  • Paolo Borsarelli – contrabbasso della Lucerne Symphony Orchestra
  • Massimo Castagnino – Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino
  • Gaston Fournier-Facio – coordinatore artistico presso il Teatro Alla Scala
  • Stefano A.E. Leoni – docente presso l’Università di Urbino
  • Marco Ravasini – docente presso il Conservatorio di Torino
  • Charles Schlueter – ex prima tromba della Boston Symphony Orchestra
  • Angelo Vinai – clarinetto dell’Orchestra dell’Arena di Verona
La Maratona Radiofonica Mahleriana si articolerà:
  • dal vivo, sia la conduzione, sia i contributi di lettura da parte di un’attrice, sia gli interventi degli ospiti in collegamento;
  • in un unico frammento temporale, della durata di 6/8 ore circa;
  • senza interruzioni pubblicitarie;
  • e terminerà con l’esecuzione dal vivo dagli studi della radio di alcuni lieder di Mahler per voce e pianoforte, eseguiti dai M.i Paola Roggero e Andrea Stefenell.
La trasmissione sarà:
  • in diretta su RadioStereo5 FM 100.600
  • in live streaming su www.radiostereo5.info
  • e video streaming su www.cuneoronaca.it

martedì, gennaio 18, 2011

Reggio Emilia: Concerto del 150° Unità d'Italia


Teatro Municipale Valli
7 gennaio 2011 ore 12.00

Giuseppe Verdi
I vespri siciliani, Sinfonia
Largo - Allegro agitato - Prestissimo
Luciano Berio
Quatre dédicaces, per orchestra
Fanfara, Entrata, Festurn, Encore
Ludwig van Beethoven
Egmont, Ouverture in fa minore op. 84
Sostenuto, ma non troppo - Allegro - Allegro con brio

Gioachino RossiniGuglielmo Tell, Sinfonia
Andante - Allegro - Andante - Allegro vivace
Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai
Michele Mariotti, direttore

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La prima rappresentazione dei Vespri siciliani, dramma in cinque atti di Giuseppe Verdi su libretto di Eugéne Scribe, viene data all'Opéra di Parigi il 13 giungo 1855. Si tratta del primo lavoro composto dal musicista di Busseto per il grande teatro parigino. In precedenza, nel 1847, aveva sì rappresentato il dramma Jérusalem, ma si trattava di un rifacimento dei Lombardi alla prima crociata, del 1843. Il libretto viene approntato come detto da Scribe, riprendendo e trasformando, con il contributo di Charles Duveyrier, un suo precedente testo del 1838, Il duca d'Alba, scritto in un primo tempo per Halévy (il quale lo rifiuta), e passato poi a Donizetti, il quale ne completerà in partitura solo i primi due atti. L'ambientazione viene dunque spostata dalle Fiandre alla Sicilia e in qualche modo ricondotto a una tematica storica a sua volta riferibile alla contemporaneità verdiana dei moti risorgimentali. Il dato storico cui si riferisce la vicenda, innervato tuttavia di elementi mitici e leggendari, è la rivolta popolare scoppiata nel 1282 in Sicilia e sfociata nella guerra che porterà alla cacciata dei francesi e all'instaurazione del dominio spagnolo. Proprio il mito dei Vespri siciliani e la leggenda del medico Giovanni da Procida, presunto organizzatore della rivolta, alimenteranno l'immaginario risorgimentale sia sul piano dell'azione patriottica più concreta, sia su quello dell'individuazione di modelli e precursori da collegare con protagonisti dell'attualità risorgimentale come Giuseppe Mazzini. La Sinfonia dei Vespri siciliani, condensando orchestralmente molti di questi tracciati extra-musicali, è certamente uno dei capolavori sinfonici di Verdi. Divisa in due movimenti, Largo e Allegro, propone temi che derivano, anticipandoli all'ascoltatore, direttamente dal corpo dell'opera e presenta notevoli caratteri costruttivi oltre che ricchissime idee musicali. Il Largo iniziale si articola in due distinti piani di comunicazione e raffigurazione scenica: da un lato un piano ritmico luttuoso, lugubre, segnato da archi e percussioni, che incede lungo il tracciato ad anticipare il tema dei Siciliani oppressi e umiliati che si ritroverà nel secondo atto; dall'altro, in sovrapposizione sapientemente contestualizzante, in un primo momento la cellula melodica anticipatrice della salmodia dei frati nel quarto atto ("De Profundis") successivamente una intensa melodia derivata dall'aria d'esordio di Elena. Un rullo improvviso di tamburi (molto crescendo) apre repentinamente all'Allegro con l'esplosione violentissima, quasi selvaggia, del tema del massacro (V atto) suonato dall'intera orchestra, cui segue l'intenso, lirico tema, derivato dal duetto Arrigo-Monforte (III atto) condotto dai violoncelli in legato. Ancora, segue una delle melodie più emozionanti dell'opera, il dolce espressivo dell'addio di Elena all'amata Sicilia (IV atto). La ripresa, in questa struttura che liberamente richiama la formasonata, dopo un riepilogo abbreviato dei temi, conduce al prestissimo, grandioso e trascinante che conclude la Sinfonia.

Quatre dédicaces è il titolo dato da Pierre Boulez a un gruppo di quattro miniature orchestrali di Luciano Berio nate separatamente e indipendentemente l'una dall'altra tra il 1978 e il 1989, ma riunite, su sollecitazione del suo assistente Paul Roberts, in una sorta di "album" disponibile per l'esecuzione in diverse circostanze concertistiche. Il progetto rimane incompiuto anche per la sopravvenuta scomparsa del grande compositore italiano e solo nel gennaio del 2oo8, per iniziativa di Pierre Boulez, viene eseguita per la prima volta a Chicago in una performance della Chicago Symphony Orchestra diretta dallo stesso compositore francese. Le quattro miniature, ognuna delle quali nasce per una diversa, specifica occasione, vengono composte rispettivamente nel 1982 (Fanfara), 198o (Entrata), 1989 (Festum), 1978-81 (Encore). Precisato che l'ordine di sequenza dei brani all'interno di Quatre dédicaces è aperto, va aggiunto che tre dei quattro lavori qui riuniti sono legati a due diverse opere teatrali alle quali Berio lavora in quell'arco di tempo: Fanfara entrerà infatti a far parte di Un re in ascolto, azione musicale in due parti su testi di Calvino, Auden, Gotter, Berio, scritta tra il 1979 e il 1983, mentre Entrata ed Encore verranno integrate in La vera storia, opera, azione musicale in due parti sempre su testo di Calvino, scritta tra il 1977 e il 1981. Il gioco di rimandi, di autocitazioni, di riflessi riverberanti, di elaborazioni sviluppanti da cellule musicali preesistenti, è un carattere importante all'interno dell'intero percorso creativo di Berio. Così, questa riunificazione di brani, in origine separati (ma anche già rifluiti in altri lavori, peraltro di così densa e articolata complessità), in un unico percorso sinfonico, aderisce a una tendenza poetica a facilitare la germinazione di senso, la moltiplicazione semantica in altri connotati poetici ed espressivi. Basti pensare al ciclo dei Chemins generati da alcune delle Sequenze, e poi a questi due nuclei di azione teatrale per ricavare l'effetto implicito in questa specialissima operazione linguistica. D'altra parte, la stessa libertà lasciata alla costruzione della successione dei quattro brani, predispone il materiale a reagire differentemente, sia nel reciproco accostamento, sia, infine, nella reattività d'ascolto. Se dunque già prese separatamente le quattro miniature risultano affascinanti e sorprendenti per le ricchissime configurazioni dinamiche, ritmiche, timbriche, drammaturgiche, aggregate risultano perfino travolgenti: i fortissimi tripudi di fanfara, l'incalzante energia percussiva, l'atmosfera resa talvolta inquieta da incroci timbrici e atmosferici, portano infine a concludersi nell'ironico e perfino esilarante Encore, "un breve jeu d'esprit - come ha scritto lo stesso Berio - un pezzo di virtuosismo orchestrale in miniatura particolarmente adatto - come indica il titolo - a chiudere un concerto".

Egmont, dramma giovanile in cinque atti di Johann Wolfgang Goethe, porta al centro dell'azione il tema dell'oppressione politica, del sacrificio della vita in nome della libertà, dell'amore per la patria, della lotta del bene contro i soprusi e le sopraffazioni del male. La nobile figura del protagonista deriva dal personaggio storico del conte Egmont, condottiero olandese che, al seguito di Carlo V, combatte per riportare tolleranza e indipendenza nelle Fiandre. Giustiziato nel 1568 dagli oppressori spagnoli guidati dal Duca d'Alba, inviato da Filippo Il, Egmont diviene nei Paesi Bassi simbolo della lotta per l'indipendenza nazionale, oltre che modello etico e poetico per future lotte europee contro le tirannie e ulteriori rivisitazioni musicali o letterarie. La versione elaborata da Goethe tra il 1775 e il 1786 declina in chiave prettamente Sturm und Drang la vicenda reale, imprimendole un carattere eroico e una fondamentale trasfigurazione finale del sacrificio estremo in simbolo di vittoria, di fratellanza e amore per l'intera umanità, con l'innesto esteso della componente sentimentale espresso dalla figura di Klärchen, innamorata dell'eroe, che muore avvelenandosi per non essere riuscita nell'intento di liberare l'amato. Temi e sostanza poetica ideali, dunque, per la sensibilità etica e per il temperamento di Beethoven, per di più espressi da un poeta e intellettuale come Goethe, da sempre amato e ammirato dal musicista tedesco (lo legge fin dall'adolescenza, nelle riunioni letterarie in casa Breuning), ma con il quale non si era ancora cimentato in prove musicali importanti, se si tralasciano alcuni lavori occasionali e dagli esiti poco significativi. L'occasione di affrontare un'opera impegnativa viene nel 18o9. Mentre le truppe francesi si apprestano ad abbandonare Vienna, il direttore dell'Hoftheater, Joseph HartI von Luchsenstein, affida a Beethoven l'incarico di comporre le musiche di scena per il dramma goethiano, mai finora rappresentato nella capitale asburgica. La realizzazione delle musiche (oltre all'Ouverture, anche le due canzoni di Klärchen, innamorata di Egmont, quattro interludi, una marcia funebre, il melologo di Egmont e la conclusiva "Sinfonia della vittoria") impegna Beethoven dalla fine del 1809 a giugno dell'anno seguente. L'opera verrà eseguita come musica di scena del dramma goethiano per la prima volta il 15 giungo 1810, solo alla quarta replica della rappresentazione viennese, presso il Teatro di Corte. L'Ouverture dell'Egmont, appartenente come Coriolan e Leonore al gruppo di ouverture destinate al teatro, ricapitola e perfeziona molti dei caratteri ricorrenti nel trattamento beethoveniano di questo genere. In forma-sonata con introduzione lenta e adattamenti strutturali per una maggiore aderenza allo spirito e all'atmosfera del dramma, l'Egmont riesce a sintetizzare i passaggi chiave della vicenda, disponendo l'ambientazione a una luminosità cupa, con rari momenti di schiarimento, e quella straordinaria appendice conclusiva in cui la tonalità di tonica in modo maggiore anticipa e ricalca la musica di scena conclusiva, quella della "Sinfonia della vittoria". L'Egmont propizierà anche il primo avvicinamento, tramite l'intercessione di Bettina Brentano, tra il grande poeta tedesco e il massimo compositore allora attivo a Vienna e uno di maggiori di tutta Europa. In una lettera del 12 aprile 1811, Beethoven scrive a Goethe: "Riceverà quanto prima tramite Breitkopf und Härtel le musiche per Egmont, quello stupendo Egmont su cui attraverso di Lei ho ancora riflettuto e che ho sentito e messo in musica con lo stesso ardore provato nel leggerlo. Ho un gran desiderio di conoscere il Suo giudizio sulla mia composizione. Anche il Suo biasimo potrà solo giovare a me e alla mia arte e verrà accolto con altrettanto piacere, come la lode più grande". Goethe, di cui è nota la misura nei giudizi estetici, non lesinerà per parte sua parole di pieno apprezzamento per il lavoro del musicista: "Beethoven ha aderito al mio pensiero con miracolosa genialità [ ... ]. Mettere in musica testi poetici genera spesso solo equivoci e di rado il poeta si sente interamente capito; di solito, quel che impariamo è soltanto qualcosa sull'arte e sul temperamento del compositore. [...] Qui, invece, Beethoven ha fatto miracoli".

"0 m'inganno, o tra' presentimenti della musica futura che sono a trovarsi in Rossini, s'hanno a porre alcune ispirazioni storiche disseminate nelle sue opere, e specialmente nella Semiramide e nel Guglielmo Tell. [ ... ] Nel Tell, lasciando le varie reminiscenze locali e alcuni cori, e il celebre Walzer, basti citare la sinfonia, ispirazione sublime di verità".- Con queste parole, tratte dallo scritto elaborato durante l'esilio svizzero verso il finire del 1835, poi pubblicato come Filosofia della Musica, Giuseppe Mazzini colloca il linguaggio di Gioachino Rossini, e in particolare l'Ouverture del Guglielmo Tell, nella prospettiva politica e risorgimentale di un organico e capillare progetto di rifondazione della cultura italiana. Bastino questi accenni, dunque, a valorizzare il senso di moderna prospettiva etica, oltre che estetica, inaugurata da questo tracciato sinfonico che ha tutti gli elementi dell'invenzione di un nuovo mondo, di un nuovo spazio ideale, compositivo, ma anche, per riverberazione, concretamente umano e sociale. La trama dell'opera, ripresa dal dramma Wilhelm Tell scritto da Friedrich Schiller nel 1803, compendia i valori già maturi in Italia, come in altre parti d'Europa, del fervore patriottico contro l'invasore, della lotta per la libertà e l'autodeterminazione dei popoli. Il Guglielmo Tell, composto da Rossini nel corso del 1828 su libretto di Etienne De Jouy e Ippolite Bis, viene rappresentato per la prima volta all'Opéra di Parigi il 3 agosto 1829. Resterà l'unica delle cinque opere previste per questo teatro, e soprattutto l'ultimo melodramma in assoluto del grande musicista pesarese, ritiratosi volontariamente dalle scene teatrali all'età di soli trentasette anni. "Presentimenti della musica futura", come intuisce Mazzini, annunci di un nuovo mondo, di una nuova prospettiva compositiva e contenutistica si manifestano dunque nel Guglielmo Tell. Ma occorre aggiungere che buona parte di questa rilevanza inventiva si offre già, o forse soprattutto, nell'Ouverture, pagina mirabile, e appunto innovativa non solo rispetto alle precedenti pagine introduttive di Rossini, ma anche in confronto alle generali caratteristiche dei brani d'inizio del melodramma di primo Ottocento. Rossini qui si affianca al gusto romanticamente fantastico di Weber, ma annuncia già la drammaticità espressiva e strumentale di Verdi. Straordinaria è innanzitutto l'armonizzazione ambientativa (benché non tematica) dell'Ouverture con la trama drammatica dell'opera e con i diversi sentimenti che la attraversano, contrariamente alle collaudate abitudini rossiniane che ponevano all'esordio della rappresentazione un vero e proprio meccanismo di efficacissima carica ritmica, cinetica, emotivizzante, destinato a trascinare, o meglio a sospingere lo spettatore nella giusta direzione cardiaca e psicologica dello spettacolo in sé, dell'azione teatrale e dello spazio scenico distinti dal mondo reale, prescindendo però da vere e proprie connessioni con la trama drammatica (si sa peraltro dell'abitudine di Rossini di riutilizzare una stessa Ouverture per più opere, talvolta anche di genere opposto). Questa Ouverture, al contrario, anticipa la storia, la delinea sinteticamente nelle zone drammatiche principali, suggerisce colori, ambienti esteriori e, per riflesso o analogia, dimensioni psicologiche interiori. In altre parole, il Guglielmo Tell viene inaugurato da una sorta di sinfonia in miniatura che, collegandosi in modo evidente con il genere del poema sinfonico, ha la capacità di farsi spazio, di farsi mondo, con tutti i relativi piani di realtà visibile, naturale, paesaggistica, atmosferica, umana, sentimentale. Ma, capovolgendo, è l'architettura stessa, complessa e articolata, di questo mondo che, attraverso quattro sezioni distinte e prescindendo da qualsiasi apparato materialmente visibile, si fa suono, si fa sinfonia: spazio e mondo autosufficienti, invisibili come le città di Italo Calvino, capaci però di mostrarsi all'orecchio per mezzo di una materia musicale intensamente drammatica e già pienamente aggiornata ai caratteri del linguaggio romantico. Rivoluzionaria è la pagina iniziale con la voce solistica dei violoncelli che delineano la profonda intensità atmosferica; sconvolgente, per modernità timbrica ed efficacia fonica, è, nel secondo episodio (Allegro), l'evocazione del temporale tra le abissali gole delle montagne svizzere; così l'Andante, il ranz des vaches del corno inglese, recuperando la tipica cantilena popolare intonata dai pastori svizzeri, impone già le riflessioni future sulla dialogica relazione tra colto e popolare; così infine, la celebre cavalcata, pur rilanciando i tipici stilemi rossiniani del crescendo e della "carica" emotivizzante, manifesta tutta la propria novità con un tessuto timbrico realizzato sullo sfondo di contrasti ritmici e strumentali che non sono più puramente edonistici ma intensamente drammatici e pienamente espressivi.
 
saggio di Roberto Favaro