Omeopatia musicale: pillole per attenuare il male dell'insensibilità culturale dilagante.
Curarsi con la musica senza necessariamente ricorrere al suono...

martedì, gennaio 18, 2011

Reggio Emilia: Concerto del 150° Unità d'Italia


Teatro Municipale Valli
7 gennaio 2011 ore 12.00

Giuseppe Verdi
I vespri siciliani, Sinfonia
Largo - Allegro agitato - Prestissimo
Luciano Berio
Quatre dédicaces, per orchestra
Fanfara, Entrata, Festurn, Encore
Ludwig van Beethoven
Egmont, Ouverture in fa minore op. 84
Sostenuto, ma non troppo - Allegro - Allegro con brio

Gioachino RossiniGuglielmo Tell, Sinfonia
Andante - Allegro - Andante - Allegro vivace
Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai
Michele Mariotti, direttore

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La prima rappresentazione dei Vespri siciliani, dramma in cinque atti di Giuseppe Verdi su libretto di Eugéne Scribe, viene data all'Opéra di Parigi il 13 giungo 1855. Si tratta del primo lavoro composto dal musicista di Busseto per il grande teatro parigino. In precedenza, nel 1847, aveva sì rappresentato il dramma Jérusalem, ma si trattava di un rifacimento dei Lombardi alla prima crociata, del 1843. Il libretto viene approntato come detto da Scribe, riprendendo e trasformando, con il contributo di Charles Duveyrier, un suo precedente testo del 1838, Il duca d'Alba, scritto in un primo tempo per Halévy (il quale lo rifiuta), e passato poi a Donizetti, il quale ne completerà in partitura solo i primi due atti. L'ambientazione viene dunque spostata dalle Fiandre alla Sicilia e in qualche modo ricondotto a una tematica storica a sua volta riferibile alla contemporaneità verdiana dei moti risorgimentali. Il dato storico cui si riferisce la vicenda, innervato tuttavia di elementi mitici e leggendari, è la rivolta popolare scoppiata nel 1282 in Sicilia e sfociata nella guerra che porterà alla cacciata dei francesi e all'instaurazione del dominio spagnolo. Proprio il mito dei Vespri siciliani e la leggenda del medico Giovanni da Procida, presunto organizzatore della rivolta, alimenteranno l'immaginario risorgimentale sia sul piano dell'azione patriottica più concreta, sia su quello dell'individuazione di modelli e precursori da collegare con protagonisti dell'attualità risorgimentale come Giuseppe Mazzini. La Sinfonia dei Vespri siciliani, condensando orchestralmente molti di questi tracciati extra-musicali, è certamente uno dei capolavori sinfonici di Verdi. Divisa in due movimenti, Largo e Allegro, propone temi che derivano, anticipandoli all'ascoltatore, direttamente dal corpo dell'opera e presenta notevoli caratteri costruttivi oltre che ricchissime idee musicali. Il Largo iniziale si articola in due distinti piani di comunicazione e raffigurazione scenica: da un lato un piano ritmico luttuoso, lugubre, segnato da archi e percussioni, che incede lungo il tracciato ad anticipare il tema dei Siciliani oppressi e umiliati che si ritroverà nel secondo atto; dall'altro, in sovrapposizione sapientemente contestualizzante, in un primo momento la cellula melodica anticipatrice della salmodia dei frati nel quarto atto ("De Profundis") successivamente una intensa melodia derivata dall'aria d'esordio di Elena. Un rullo improvviso di tamburi (molto crescendo) apre repentinamente all'Allegro con l'esplosione violentissima, quasi selvaggia, del tema del massacro (V atto) suonato dall'intera orchestra, cui segue l'intenso, lirico tema, derivato dal duetto Arrigo-Monforte (III atto) condotto dai violoncelli in legato. Ancora, segue una delle melodie più emozionanti dell'opera, il dolce espressivo dell'addio di Elena all'amata Sicilia (IV atto). La ripresa, in questa struttura che liberamente richiama la formasonata, dopo un riepilogo abbreviato dei temi, conduce al prestissimo, grandioso e trascinante che conclude la Sinfonia.

Quatre dédicaces è il titolo dato da Pierre Boulez a un gruppo di quattro miniature orchestrali di Luciano Berio nate separatamente e indipendentemente l'una dall'altra tra il 1978 e il 1989, ma riunite, su sollecitazione del suo assistente Paul Roberts, in una sorta di "album" disponibile per l'esecuzione in diverse circostanze concertistiche. Il progetto rimane incompiuto anche per la sopravvenuta scomparsa del grande compositore italiano e solo nel gennaio del 2oo8, per iniziativa di Pierre Boulez, viene eseguita per la prima volta a Chicago in una performance della Chicago Symphony Orchestra diretta dallo stesso compositore francese. Le quattro miniature, ognuna delle quali nasce per una diversa, specifica occasione, vengono composte rispettivamente nel 1982 (Fanfara), 198o (Entrata), 1989 (Festum), 1978-81 (Encore). Precisato che l'ordine di sequenza dei brani all'interno di Quatre dédicaces è aperto, va aggiunto che tre dei quattro lavori qui riuniti sono legati a due diverse opere teatrali alle quali Berio lavora in quell'arco di tempo: Fanfara entrerà infatti a far parte di Un re in ascolto, azione musicale in due parti su testi di Calvino, Auden, Gotter, Berio, scritta tra il 1979 e il 1983, mentre Entrata ed Encore verranno integrate in La vera storia, opera, azione musicale in due parti sempre su testo di Calvino, scritta tra il 1977 e il 1981. Il gioco di rimandi, di autocitazioni, di riflessi riverberanti, di elaborazioni sviluppanti da cellule musicali preesistenti, è un carattere importante all'interno dell'intero percorso creativo di Berio. Così, questa riunificazione di brani, in origine separati (ma anche già rifluiti in altri lavori, peraltro di così densa e articolata complessità), in un unico percorso sinfonico, aderisce a una tendenza poetica a facilitare la germinazione di senso, la moltiplicazione semantica in altri connotati poetici ed espressivi. Basti pensare al ciclo dei Chemins generati da alcune delle Sequenze, e poi a questi due nuclei di azione teatrale per ricavare l'effetto implicito in questa specialissima operazione linguistica. D'altra parte, la stessa libertà lasciata alla costruzione della successione dei quattro brani, predispone il materiale a reagire differentemente, sia nel reciproco accostamento, sia, infine, nella reattività d'ascolto. Se dunque già prese separatamente le quattro miniature risultano affascinanti e sorprendenti per le ricchissime configurazioni dinamiche, ritmiche, timbriche, drammaturgiche, aggregate risultano perfino travolgenti: i fortissimi tripudi di fanfara, l'incalzante energia percussiva, l'atmosfera resa talvolta inquieta da incroci timbrici e atmosferici, portano infine a concludersi nell'ironico e perfino esilarante Encore, "un breve jeu d'esprit - come ha scritto lo stesso Berio - un pezzo di virtuosismo orchestrale in miniatura particolarmente adatto - come indica il titolo - a chiudere un concerto".

Egmont, dramma giovanile in cinque atti di Johann Wolfgang Goethe, porta al centro dell'azione il tema dell'oppressione politica, del sacrificio della vita in nome della libertà, dell'amore per la patria, della lotta del bene contro i soprusi e le sopraffazioni del male. La nobile figura del protagonista deriva dal personaggio storico del conte Egmont, condottiero olandese che, al seguito di Carlo V, combatte per riportare tolleranza e indipendenza nelle Fiandre. Giustiziato nel 1568 dagli oppressori spagnoli guidati dal Duca d'Alba, inviato da Filippo Il, Egmont diviene nei Paesi Bassi simbolo della lotta per l'indipendenza nazionale, oltre che modello etico e poetico per future lotte europee contro le tirannie e ulteriori rivisitazioni musicali o letterarie. La versione elaborata da Goethe tra il 1775 e il 1786 declina in chiave prettamente Sturm und Drang la vicenda reale, imprimendole un carattere eroico e una fondamentale trasfigurazione finale del sacrificio estremo in simbolo di vittoria, di fratellanza e amore per l'intera umanità, con l'innesto esteso della componente sentimentale espresso dalla figura di Klärchen, innamorata dell'eroe, che muore avvelenandosi per non essere riuscita nell'intento di liberare l'amato. Temi e sostanza poetica ideali, dunque, per la sensibilità etica e per il temperamento di Beethoven, per di più espressi da un poeta e intellettuale come Goethe, da sempre amato e ammirato dal musicista tedesco (lo legge fin dall'adolescenza, nelle riunioni letterarie in casa Breuning), ma con il quale non si era ancora cimentato in prove musicali importanti, se si tralasciano alcuni lavori occasionali e dagli esiti poco significativi. L'occasione di affrontare un'opera impegnativa viene nel 18o9. Mentre le truppe francesi si apprestano ad abbandonare Vienna, il direttore dell'Hoftheater, Joseph HartI von Luchsenstein, affida a Beethoven l'incarico di comporre le musiche di scena per il dramma goethiano, mai finora rappresentato nella capitale asburgica. La realizzazione delle musiche (oltre all'Ouverture, anche le due canzoni di Klärchen, innamorata di Egmont, quattro interludi, una marcia funebre, il melologo di Egmont e la conclusiva "Sinfonia della vittoria") impegna Beethoven dalla fine del 1809 a giugno dell'anno seguente. L'opera verrà eseguita come musica di scena del dramma goethiano per la prima volta il 15 giungo 1810, solo alla quarta replica della rappresentazione viennese, presso il Teatro di Corte. L'Ouverture dell'Egmont, appartenente come Coriolan e Leonore al gruppo di ouverture destinate al teatro, ricapitola e perfeziona molti dei caratteri ricorrenti nel trattamento beethoveniano di questo genere. In forma-sonata con introduzione lenta e adattamenti strutturali per una maggiore aderenza allo spirito e all'atmosfera del dramma, l'Egmont riesce a sintetizzare i passaggi chiave della vicenda, disponendo l'ambientazione a una luminosità cupa, con rari momenti di schiarimento, e quella straordinaria appendice conclusiva in cui la tonalità di tonica in modo maggiore anticipa e ricalca la musica di scena conclusiva, quella della "Sinfonia della vittoria". L'Egmont propizierà anche il primo avvicinamento, tramite l'intercessione di Bettina Brentano, tra il grande poeta tedesco e il massimo compositore allora attivo a Vienna e uno di maggiori di tutta Europa. In una lettera del 12 aprile 1811, Beethoven scrive a Goethe: "Riceverà quanto prima tramite Breitkopf und Härtel le musiche per Egmont, quello stupendo Egmont su cui attraverso di Lei ho ancora riflettuto e che ho sentito e messo in musica con lo stesso ardore provato nel leggerlo. Ho un gran desiderio di conoscere il Suo giudizio sulla mia composizione. Anche il Suo biasimo potrà solo giovare a me e alla mia arte e verrà accolto con altrettanto piacere, come la lode più grande". Goethe, di cui è nota la misura nei giudizi estetici, non lesinerà per parte sua parole di pieno apprezzamento per il lavoro del musicista: "Beethoven ha aderito al mio pensiero con miracolosa genialità [ ... ]. Mettere in musica testi poetici genera spesso solo equivoci e di rado il poeta si sente interamente capito; di solito, quel che impariamo è soltanto qualcosa sull'arte e sul temperamento del compositore. [...] Qui, invece, Beethoven ha fatto miracoli".

"0 m'inganno, o tra' presentimenti della musica futura che sono a trovarsi in Rossini, s'hanno a porre alcune ispirazioni storiche disseminate nelle sue opere, e specialmente nella Semiramide e nel Guglielmo Tell. [ ... ] Nel Tell, lasciando le varie reminiscenze locali e alcuni cori, e il celebre Walzer, basti citare la sinfonia, ispirazione sublime di verità".- Con queste parole, tratte dallo scritto elaborato durante l'esilio svizzero verso il finire del 1835, poi pubblicato come Filosofia della Musica, Giuseppe Mazzini colloca il linguaggio di Gioachino Rossini, e in particolare l'Ouverture del Guglielmo Tell, nella prospettiva politica e risorgimentale di un organico e capillare progetto di rifondazione della cultura italiana. Bastino questi accenni, dunque, a valorizzare il senso di moderna prospettiva etica, oltre che estetica, inaugurata da questo tracciato sinfonico che ha tutti gli elementi dell'invenzione di un nuovo mondo, di un nuovo spazio ideale, compositivo, ma anche, per riverberazione, concretamente umano e sociale. La trama dell'opera, ripresa dal dramma Wilhelm Tell scritto da Friedrich Schiller nel 1803, compendia i valori già maturi in Italia, come in altre parti d'Europa, del fervore patriottico contro l'invasore, della lotta per la libertà e l'autodeterminazione dei popoli. Il Guglielmo Tell, composto da Rossini nel corso del 1828 su libretto di Etienne De Jouy e Ippolite Bis, viene rappresentato per la prima volta all'Opéra di Parigi il 3 agosto 1829. Resterà l'unica delle cinque opere previste per questo teatro, e soprattutto l'ultimo melodramma in assoluto del grande musicista pesarese, ritiratosi volontariamente dalle scene teatrali all'età di soli trentasette anni. "Presentimenti della musica futura", come intuisce Mazzini, annunci di un nuovo mondo, di una nuova prospettiva compositiva e contenutistica si manifestano dunque nel Guglielmo Tell. Ma occorre aggiungere che buona parte di questa rilevanza inventiva si offre già, o forse soprattutto, nell'Ouverture, pagina mirabile, e appunto innovativa non solo rispetto alle precedenti pagine introduttive di Rossini, ma anche in confronto alle generali caratteristiche dei brani d'inizio del melodramma di primo Ottocento. Rossini qui si affianca al gusto romanticamente fantastico di Weber, ma annuncia già la drammaticità espressiva e strumentale di Verdi. Straordinaria è innanzitutto l'armonizzazione ambientativa (benché non tematica) dell'Ouverture con la trama drammatica dell'opera e con i diversi sentimenti che la attraversano, contrariamente alle collaudate abitudini rossiniane che ponevano all'esordio della rappresentazione un vero e proprio meccanismo di efficacissima carica ritmica, cinetica, emotivizzante, destinato a trascinare, o meglio a sospingere lo spettatore nella giusta direzione cardiaca e psicologica dello spettacolo in sé, dell'azione teatrale e dello spazio scenico distinti dal mondo reale, prescindendo però da vere e proprie connessioni con la trama drammatica (si sa peraltro dell'abitudine di Rossini di riutilizzare una stessa Ouverture per più opere, talvolta anche di genere opposto). Questa Ouverture, al contrario, anticipa la storia, la delinea sinteticamente nelle zone drammatiche principali, suggerisce colori, ambienti esteriori e, per riflesso o analogia, dimensioni psicologiche interiori. In altre parole, il Guglielmo Tell viene inaugurato da una sorta di sinfonia in miniatura che, collegandosi in modo evidente con il genere del poema sinfonico, ha la capacità di farsi spazio, di farsi mondo, con tutti i relativi piani di realtà visibile, naturale, paesaggistica, atmosferica, umana, sentimentale. Ma, capovolgendo, è l'architettura stessa, complessa e articolata, di questo mondo che, attraverso quattro sezioni distinte e prescindendo da qualsiasi apparato materialmente visibile, si fa suono, si fa sinfonia: spazio e mondo autosufficienti, invisibili come le città di Italo Calvino, capaci però di mostrarsi all'orecchio per mezzo di una materia musicale intensamente drammatica e già pienamente aggiornata ai caratteri del linguaggio romantico. Rivoluzionaria è la pagina iniziale con la voce solistica dei violoncelli che delineano la profonda intensità atmosferica; sconvolgente, per modernità timbrica ed efficacia fonica, è, nel secondo episodio (Allegro), l'evocazione del temporale tra le abissali gole delle montagne svizzere; così l'Andante, il ranz des vaches del corno inglese, recuperando la tipica cantilena popolare intonata dai pastori svizzeri, impone già le riflessioni future sulla dialogica relazione tra colto e popolare; così infine, la celebre cavalcata, pur rilanciando i tipici stilemi rossiniani del crescendo e della "carica" emotivizzante, manifesta tutta la propria novità con un tessuto timbrico realizzato sullo sfondo di contrasti ritmici e strumentali che non sono più puramente edonistici ma intensamente drammatici e pienamente espressivi.
 
saggio di Roberto Favaro

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