Quest'opera è addirittura più rivoluzionaria della Seconda Sinfonia; sebbene l'orchestra sia leggermente ridotta, (otto corni e quattro trombe), la durata risulta maggiore (100 minuti) e sei i movimenti (il primo della lunghezza di quasi 40 minuti). In due movimenti Mahler fece nuovamente ricorso alle voci (il quarto e il quinto), ma volle un Finale puramente strumentale.
Bruno Walter ci ha lasciato un indimenticabile profilo di Mahler al tempo in cui egli aveva appena ultimato la Seconda Sinfonia e s'accingeva a iniziare la Terza. Era il 1894; Walter, diciottenne, s'era recato ad Amburgo nella speranza d'ottenere il posto di maestro collaboratore all'Opera, dove Mahler era direttore principale. Aveva letto le feroci recensioni della recente esecuzione a Weimar della sua Prima Sinfonia, che veniva tacciata di, «sterilità», «trivialità» e soprattutto «smoderatezza». Aveva voluto incontrare quest'uomo «smodato», e ora si trovava faccia a faccia con lui:
«Era là [...] magro, pallido, piccolo di statura; la spaziosa fronte incorniciata da capelli neri come l'ebano; gli occhi pieni di espressione dietro gli occhiali; rughe d'amarezza ed umorismo solcanti una fisionomia che rivelava una sorprendente gamma d'espressioni, come se parlasse a qualcuno: simile a un'affascinante, demoniaca ed intimidente incarnazione del Kapellmeister Kreisler di Hoffmann, così come si sarebbe presentato a un giovane lettore di quell'autore... »
Il Kapellmeister Mahler certamente lavorò come un, demonio, durante i suoi sei anni ad Amburgo, per elevare il livello della vita musicale; e vi introdusse anche molte nuove opere, fra le quali il Falstaff di Verdi e la Manon Lescaut di Puccini (entrambe ultimate attorno al 1892). Questa febbrile attività occupava a tal punto i mesi invernali che egli poteva dedicarsi alla composizione solo durante le vacanze estive. Ogni anno, al concludersi della stagione d'opera, si ritirava nella campagna austriaca - in quel periodo nel villaggio di Steinbach am Attersee, nelle Alpi salisburghesi - a portare avanti il suo lavoro di compositore; e fu là, durante il 1895 ed il 1896, che compose la Terza Sinfonia.
A Steinbach Mahler aveva una piccola baita in mezzo alla campagna, arredata solo con un pianoforte, un tavolo, una poltrona e un sofà. Ogni mattina era là alle sei; faceva colazione alle sette e lavorava fino a mezzogiorno, o più spesso fino alle tre del pomeriggio. Poi, dopo il pranzo, avrebbe vagabondato pei campi, o sarebbe andato a far lunghe passeggiate su per le colline, rielaborando in testa le sue idee musicali. Talvolta cercava distensione intrattenendosi con rari visitatori privilegiati.
Non si ritirava in campagna per un mero bisogno d'isolamento. Egli fu un appassionato amante della natura; o, meglio, si sentiva assorbito dalla natura: non soltanto dal bello e dall'affascinante, ma anche dal comico e dal grottesco, perfino dal ripugnante e, soprattutto, da ciò che poteva ispirare il sublime. La moglie Alma, scrivendo d'un'altro ritiro estivo, circa dodici anni più tardi, racconta un angoscioso episodio:
«Un giorno d'estate scese correndo dalla sua baita, sudato, quasi incapace di respirare. Infine se ne venne fuori così: furono la calura, la quiete, il timor panico. Fu sopraffatto dalla paurosa sensazione del vivido occhio del dio Pan sopra di lui, nella sua solitudine, e dovette cercar rifugio in casa fra la gente e continuare là il suo lavoro.»
Poco credibile, ma Mahler fu un essere umano completamente incredibile. Questa intensa compenetrazione nella natura fu l'ispiratrice della Terza Sinfonia.
Quando l'ebbe quasi ultimata, egli scrisse al grande soprano drammatico Anna von Mildenburg:
«Immagini un lavoro di grandezza tale che rispecchi addirittura il mondo intero; siamo per così dire, soltanto uno strumento, suonato dall'universo [...]. La mia Sinfonia, sarà qualcosa che il mondo non ha ancora udito! [...]. In essa l'intera natura trova voce [...]. Taluni suoi passaggi mi sembrano talmente soprannaturali che posso a stento riconoscerli come opera mia... »
Effettivamente l'ispirazione di Mahler era così travolgente che egli ebbe quasi la sensazione d'essere Dio, creatore dell'universo. Quando Bruno Walter ritornò a Steinbach, e restò in stupefatta ammirazione del magnifico scenario inontano; Mahler disse: «Non è necessario che Lei stia in contemplazione di ciò: l'ho già composto tutto!». E alle prove per la prima esecuzione del lavoro, a Krefeld, sei anni più tardi, accostandosi alla moglie, disse, dopo aver scorso rapidamente il primo movimento e citando ridendo la Genesi, I, 25: « Ed egli vide che era buono»!
Se un siffatto atteggiamento può sembrare in modo allarmante simile alla megalomania, dovremmo ricordare la costante consapevolezza di Mahler d'esser guidato da una forza impersonale. Si sentiva, in effetti, come uno strumento suonato da qualche entità sconosciuta; come disse in un altro contesto: «Noi non componiamo; noi siamo composti». E se l'ebbrezza per il suo stesso lavoro può apparire ridicola a chi considera questa Sinfonia come un grande trambusto attorno al nulla, dobbiamo ricordare l'effetto che essa ebbe sul giovane Schönberg. Dopo l'ascolto della prima esecuyione viennese nel 1904, egli scrisse a Mahler:
«Credo di aver vissuto a fondo la Sua Sinfonia. Ho sentito la lotta per le illusioni; ho sentito il dolore di un disilluso; ho visto le forze contrastanti del male e del bene; ho visto un uomo nel tormento dell'emozione, sforzarsi di raggiungere la più intima armonia. Ho capito un essere umano, un dramma, la verità, la più spietata verità!»
E' fatto sorprendente, tuttavia, che la visione di Schönberg dell'intimo significato dell'opera fosse tanto diversa da quella dello stesso Mahler. Come nel caso della Seconda Sinfonia, dobbiamo porci la domanda se il programma di Mahler spieghi solo "approssirnativamente" ciò che quest'opera è, o se abbia una reale rilevanza per l'ascoltatore.
Che cosa, esattamente, divorava Mahler durante quelle due estati austriache del 1895 e 1896? In lettere ad amici, scritte nell'agosto del 1895, dopo che aveva completamente abbozzato tutti i movimenti, a eccezione del primo, profilò un esauriente programma della Sinfonia, come segue:
LA GAIA SCIENZA
Sogno d'un mattino d'estate
1. L'Estate avanza
2. Ciò che mi dicono i fiori del prato
3. Ciò che mi dicono le creature della foresta
4. Ciò che la notte mi dice (l'umanità)
5. Ciò che mi dicono le campane del mattino (gli angeli)
6. Ciò che mi dice l'amore
7. La vita celestiale (ciò che un bambino mi dice)
Bruno Walter ci ha lasciato un indimenticabile profilo di Mahler al tempo in cui egli aveva appena ultimato la Seconda Sinfonia e s'accingeva a iniziare la Terza. Era il 1894; Walter, diciottenne, s'era recato ad Amburgo nella speranza d'ottenere il posto di maestro collaboratore all'Opera, dove Mahler era direttore principale. Aveva letto le feroci recensioni della recente esecuzione a Weimar della sua Prima Sinfonia, che veniva tacciata di, «sterilità», «trivialità» e soprattutto «smoderatezza». Aveva voluto incontrare quest'uomo «smodato», e ora si trovava faccia a faccia con lui:
«Era là [...] magro, pallido, piccolo di statura; la spaziosa fronte incorniciata da capelli neri come l'ebano; gli occhi pieni di espressione dietro gli occhiali; rughe d'amarezza ed umorismo solcanti una fisionomia che rivelava una sorprendente gamma d'espressioni, come se parlasse a qualcuno: simile a un'affascinante, demoniaca ed intimidente incarnazione del Kapellmeister Kreisler di Hoffmann, così come si sarebbe presentato a un giovane lettore di quell'autore... »
Il Kapellmeister Mahler certamente lavorò come un, demonio, durante i suoi sei anni ad Amburgo, per elevare il livello della vita musicale; e vi introdusse anche molte nuove opere, fra le quali il Falstaff di Verdi e la Manon Lescaut di Puccini (entrambe ultimate attorno al 1892). Questa febbrile attività occupava a tal punto i mesi invernali che egli poteva dedicarsi alla composizione solo durante le vacanze estive. Ogni anno, al concludersi della stagione d'opera, si ritirava nella campagna austriaca - in quel periodo nel villaggio di Steinbach am Attersee, nelle Alpi salisburghesi - a portare avanti il suo lavoro di compositore; e fu là, durante il 1895 ed il 1896, che compose la Terza Sinfonia.
A Steinbach Mahler aveva una piccola baita in mezzo alla campagna, arredata solo con un pianoforte, un tavolo, una poltrona e un sofà. Ogni mattina era là alle sei; faceva colazione alle sette e lavorava fino a mezzogiorno, o più spesso fino alle tre del pomeriggio. Poi, dopo il pranzo, avrebbe vagabondato pei campi, o sarebbe andato a far lunghe passeggiate su per le colline, rielaborando in testa le sue idee musicali. Talvolta cercava distensione intrattenendosi con rari visitatori privilegiati.
Non si ritirava in campagna per un mero bisogno d'isolamento. Egli fu un appassionato amante della natura; o, meglio, si sentiva assorbito dalla natura: non soltanto dal bello e dall'affascinante, ma anche dal comico e dal grottesco, perfino dal ripugnante e, soprattutto, da ciò che poteva ispirare il sublime. La moglie Alma, scrivendo d'un'altro ritiro estivo, circa dodici anni più tardi, racconta un angoscioso episodio:
«Un giorno d'estate scese correndo dalla sua baita, sudato, quasi incapace di respirare. Infine se ne venne fuori così: furono la calura, la quiete, il timor panico. Fu sopraffatto dalla paurosa sensazione del vivido occhio del dio Pan sopra di lui, nella sua solitudine, e dovette cercar rifugio in casa fra la gente e continuare là il suo lavoro.»
Poco credibile, ma Mahler fu un essere umano completamente incredibile. Questa intensa compenetrazione nella natura fu l'ispiratrice della Terza Sinfonia.
Quando l'ebbe quasi ultimata, egli scrisse al grande soprano drammatico Anna von Mildenburg:
«Immagini un lavoro di grandezza tale che rispecchi addirittura il mondo intero; siamo per così dire, soltanto uno strumento, suonato dall'universo [...]. La mia Sinfonia, sarà qualcosa che il mondo non ha ancora udito! [...]. In essa l'intera natura trova voce [...]. Taluni suoi passaggi mi sembrano talmente soprannaturali che posso a stento riconoscerli come opera mia... »
Effettivamente l'ispirazione di Mahler era così travolgente che egli ebbe quasi la sensazione d'essere Dio, creatore dell'universo. Quando Bruno Walter ritornò a Steinbach, e restò in stupefatta ammirazione del magnifico scenario inontano; Mahler disse: «Non è necessario che Lei stia in contemplazione di ciò: l'ho già composto tutto!». E alle prove per la prima esecuzione del lavoro, a Krefeld, sei anni più tardi, accostandosi alla moglie, disse, dopo aver scorso rapidamente il primo movimento e citando ridendo la Genesi, I, 25: « Ed egli vide che era buono»!
Se un siffatto atteggiamento può sembrare in modo allarmante simile alla megalomania, dovremmo ricordare la costante consapevolezza di Mahler d'esser guidato da una forza impersonale. Si sentiva, in effetti, come uno strumento suonato da qualche entità sconosciuta; come disse in un altro contesto: «Noi non componiamo; noi siamo composti». E se l'ebbrezza per il suo stesso lavoro può apparire ridicola a chi considera questa Sinfonia come un grande trambusto attorno al nulla, dobbiamo ricordare l'effetto che essa ebbe sul giovane Schönberg. Dopo l'ascolto della prima esecuyione viennese nel 1904, egli scrisse a Mahler:
«Credo di aver vissuto a fondo la Sua Sinfonia. Ho sentito la lotta per le illusioni; ho sentito il dolore di un disilluso; ho visto le forze contrastanti del male e del bene; ho visto un uomo nel tormento dell'emozione, sforzarsi di raggiungere la più intima armonia. Ho capito un essere umano, un dramma, la verità, la più spietata verità!»
E' fatto sorprendente, tuttavia, che la visione di Schönberg dell'intimo significato dell'opera fosse tanto diversa da quella dello stesso Mahler. Come nel caso della Seconda Sinfonia, dobbiamo porci la domanda se il programma di Mahler spieghi solo "approssirnativamente" ciò che quest'opera è, o se abbia una reale rilevanza per l'ascoltatore.
Che cosa, esattamente, divorava Mahler durante quelle due estati austriache del 1895 e 1896? In lettere ad amici, scritte nell'agosto del 1895, dopo che aveva completamente abbozzato tutti i movimenti, a eccezione del primo, profilò un esauriente programma della Sinfonia, come segue:
LA GAIA SCIENZA
Sogno d'un mattino d'estate
1. L'Estate avanza
2. Ciò che mi dicono i fiori del prato
3. Ciò che mi dicono le creature della foresta
4. Ciò che la notte mi dice (l'umanità)
5. Ciò che mi dicono le campane del mattino (gli angeli)
6. Ciò che mi dice l'amore
7. La vita celestiale (ciò che un bambino mi dice)
Il titolo principale, La gaia scienza (Die fröhliche Wissenschaft), deriva dal libro di Nietzsche; e sebbene l'intero programma sia poco nietzscheano nel vero senso - ha, come vedremo, conclusivi connotati cristiani - il titolo fu preso a prestito da Mahler per esprimere un ritrovato ottimismo, o piuttosto una sorta di mistica rivelazione della validità e dello scopo dell'esistenza.
Il sottotitolo Sogno d'un mattino d'estate si mutò più tardi dopo che egli ebbe completato il lavoro, componendo il fantastico primo movimento - in Sogno d'un mezzogiorno d'estate. L'idea del mezzogiorno ci riconduce alla «calura, la quiete, il timor panico» del racconto di Alma Mahler; e in effetti Mahler ora lasciava cadere il titolo La gaia scienza e descriveva l'introduzione all'opera come Il risveglio di Pan. (Da questo tempo, altresì, il settimo movimento, già composto, veniva escluso dalla Sinfonia; sarebbe poi diventato il Finale - ed il germe - della Quarta Sinfonia.)
La più eloquente spiegazione di Mahler dell'idea insita nel singolare soggetto è da ricercarsi in una lettera al dottor Richard Batka, scritta nel febbraio del 1896. Già prima del completamento della Sinfonia, il secondo movimento (Ciò che mi dicono i fiori del prato) era stato eseguito parecchie volte e Mahler si doleva del malinteso che ne sarebbe derivato.
«Anche se questo piccolo pezzo (più che altro un intermezzo dell'insieme) crea equivoci quando viene distaccato dalla sua connessione col lavoro completo - la mia più significativa e vasta creazione - non posso oppormi a che venga eseguito da solo. Non ho scelta; se voglio essere ascoltato, non posso essere troppo esigente; e così, questo modesto piccolo pezzo senza dubbio [...] mi presenterà al pubblico come "il voluttuoso", profumato "cantore della natura". Che questa natura celi in sé qualcosa di spaventoso, grande, ed anche attraente (che è esattamente ciò che volli esprimere nell'intero lavoro, in una sorta di sviluppo evolutivo), certo nessuno lo capirà mai. Mi colpisce sempre in modo strano che la maggior parte delle persone, quando parla della "natura", pensi solo ai fiori, agli uccellini e agli olezzi del bosco. Nessuno conosce il dio Dioniso, il grande Pan. Ecco! Avete una sorta di programma, che è un saggio di come io faccia musica. Ovunque e sempre, è soltanto la voce della natura! [...]. Adesso è il mondo, la Natura nella sua totalità che, risvegliata, per così dire, dall'impenetrabile silenzio, può risuonare a distesa.»
L'idea racchiusa nel lavoro fu dunque una concezione dell'esistenza nella sua totalità. Il vasto primo movimento sta a rappresentare l'evocazione della Natura dal non-essere da parte del dio Pan simboleggiata dall'apparizione dell'estate dal morto mondo dell'inverno; e dopo questo, i cinque movimenti più brevi rappresentano le "fasi dell'essere" (come Mahler precisa in altra lettera), dalla vita vegetale a quella animale, attraverso l'umanità, e gli angeli, fino all'amore di Dio. Giacché la parola «amore» nel titolo del sesto movimento è usata in senso cristiano, come Mahler spiega ad Anna von Mildenburg:
«Si tratta d'un genere di amore diverso da quello che ci si immagina. Il motto a questo movimento cita:
Vater, sieh an die Wunden mein!
Il sottotitolo Sogno d'un mattino d'estate si mutò più tardi dopo che egli ebbe completato il lavoro, componendo il fantastico primo movimento - in Sogno d'un mezzogiorno d'estate. L'idea del mezzogiorno ci riconduce alla «calura, la quiete, il timor panico» del racconto di Alma Mahler; e in effetti Mahler ora lasciava cadere il titolo La gaia scienza e descriveva l'introduzione all'opera come Il risveglio di Pan. (Da questo tempo, altresì, il settimo movimento, già composto, veniva escluso dalla Sinfonia; sarebbe poi diventato il Finale - ed il germe - della Quarta Sinfonia.)
La più eloquente spiegazione di Mahler dell'idea insita nel singolare soggetto è da ricercarsi in una lettera al dottor Richard Batka, scritta nel febbraio del 1896. Già prima del completamento della Sinfonia, il secondo movimento (Ciò che mi dicono i fiori del prato) era stato eseguito parecchie volte e Mahler si doleva del malinteso che ne sarebbe derivato.
«Anche se questo piccolo pezzo (più che altro un intermezzo dell'insieme) crea equivoci quando viene distaccato dalla sua connessione col lavoro completo - la mia più significativa e vasta creazione - non posso oppormi a che venga eseguito da solo. Non ho scelta; se voglio essere ascoltato, non posso essere troppo esigente; e così, questo modesto piccolo pezzo senza dubbio [...] mi presenterà al pubblico come "il voluttuoso", profumato "cantore della natura". Che questa natura celi in sé qualcosa di spaventoso, grande, ed anche attraente (che è esattamente ciò che volli esprimere nell'intero lavoro, in una sorta di sviluppo evolutivo), certo nessuno lo capirà mai. Mi colpisce sempre in modo strano che la maggior parte delle persone, quando parla della "natura", pensi solo ai fiori, agli uccellini e agli olezzi del bosco. Nessuno conosce il dio Dioniso, il grande Pan. Ecco! Avete una sorta di programma, che è un saggio di come io faccia musica. Ovunque e sempre, è soltanto la voce della natura! [...]. Adesso è il mondo, la Natura nella sua totalità che, risvegliata, per così dire, dall'impenetrabile silenzio, può risuonare a distesa.»
L'idea racchiusa nel lavoro fu dunque una concezione dell'esistenza nella sua totalità. Il vasto primo movimento sta a rappresentare l'evocazione della Natura dal non-essere da parte del dio Pan simboleggiata dall'apparizione dell'estate dal morto mondo dell'inverno; e dopo questo, i cinque movimenti più brevi rappresentano le "fasi dell'essere" (come Mahler precisa in altra lettera), dalla vita vegetale a quella animale, attraverso l'umanità, e gli angeli, fino all'amore di Dio. Giacché la parola «amore» nel titolo del sesto movimento è usata in senso cristiano, come Mahler spiega ad Anna von Mildenburg:
«Si tratta d'un genere di amore diverso da quello che ci si immagina. Il motto a questo movimento cita:
Vater, sieh an die Wunden mein!
Kein Wesen lass verloren sein!'
« [...] Potrei quasi chiamare il movimento "Ciò che Dio mi dice". E proprio nel senso che Dio può essere capito solo come amore. Il mio lavoro è un poema musicale che abbraccia tutte le fasi di sviluppo in scala ascendente. Comincia con la natura addormentata fino ad ascendere all'amore di Dio.»
Come avvenne per la Prima e la Seconda Sinfonia, Mahler alla fine eliminò il suo programma, lasciando che la musica, parlasse da sola; e questo è certamente possibile, che si accetti, o no il programma. Senza dubbio chi è dotato di un forte, panteistico senso quale possedeva Mahler quando la concepì, troverà il programma pieno di significato, ma, vi sarà anche chi lo giudicherà ridicolo, pur potendo ammirate il lavoro in sé. E taluni potranno addirittura ritenere che Mahler esprima, in realtà, qualcosa di diverso da quanto egli stesso non immagini: come già s'è detto, Schönberg sentì quest'opera come espressione d'un tormentato conflitto personale. E Bruno Walter descrive il primo movimento come costituito di una chiara e decisa opposizione fra due opposti inconciliabili; quelli che egli chiama «inerzia primordiale» e « elvaggia creatività forzatamente lussuriosa».
Sebbene non possiamo negare la panteistica ispirazione della Sinfonia, così chiara dalle lettere di Mahler, si deve ammettere che il lavoro non ha stretta connessione col programma. A coloro che non hanno alcun senso panteistico, o nessuna intuizione, non è tolto, comunque, il piacere di reagire ai contenuti dell'opera. Il significato fondamentale alla radice del programma di Mahler, «l'esistenza nella sua totalità», è che la Sinfonia riguarda l'origine della vita, qualunque possa essere: con la sua lotta per superare ostacoli e barriere; con il suo diletto per la bellezza e perfino per ciò che è grottesco e ripugnante; con le sue "dichiarazioni di immortalità" e la sua aspirazione a sostituire discordia ed odio con concordia ed amore. Parole, vaghe parole, naturalmente; e le più vaghe son forse le migliori, se dobbiamo tentare di far capire l'inesplicabile "significato" di questa musica, che scava tanto profondamente nella sorgente della vita e del sentimento.
Il primo movimento è la più originale e strabiliante cosa che Mahler abbia mai concepito. Per esprimere la forza primordiale della natura germogliante, dall'inverno, nell'estate, egli costruì una gigantesca, proliferante struttura di Sonata su una pletora di materiale "primitivo": un ruvido motivo di marcia in Fa maggiore - Re minore per corni all'unisono, come un grande invito al risveglio; profondi, ovattati accordi degli ottoni, eloquenti di nascosta potenza; cupo Re minore ringhiato dai tromboni, come inerzia primordiale; latrati di corni, insorgenze di bassi, strida di legni, profondi rombi di percussione; e rozzi, volgari temi di trombone, simili a mostruose voci preistoriche. In opposizione appare una mormorante musica pastorale in Re maggiore (accordi di legni, trilli sommessi degli archi, assolo di violino), con acuti canti d'uccelli ("fanfara" dell'ottavino, fuori tempo). L'elemento finale basilare, più straordinario di tutto, è lo stile "popolare" di marcia di Mahler elevato a un livello cosmico; l'estate, approssimandosi da lontano, "avanza" vistosamente con una strimpellante musica da banda militare, rivestita d'una completa, strombazzante polifonia di fanfare e melodie in controcanto. Un tremendo climax "panico" conclude questa esposizione. L'enorme lunghezza del movimento deriva dal fatto che, dopo l'esteso sviluppo (che culmina nel selvaggio episodio intitolato La folla), Mahler si concede di ripetere in pratica l'intera esposizione. Ma alla fine la musica di marcia trionfa nella sua tonalità di Fa, con vociferante fanfara e frastornante percussione.
I successivi quattro movimenti sono molto più brevi. Il minuetto "del fiore" in La maggiore, col suo trio rumorosamente ciarliero, usa lo stile popolare e la scrittura cameristica dei più delicati Lieder del Wunderhorn. Ciò continua nel movimento degli "uccelli e bestie", un vivace Scherzo in Do minore. Il pittoresco materiale conduttore, coi suoi richiami d'uccelli adescanti l'ascoltatore, è tratto dal Lied del Wunderhorn sul cuculo morto (Ablösung im Sommer); il primo Trio è un rozzo salterello, simile a un giuoco di giovani animali; il secondo una distesa melodia deliberatamente sentimentale per cornetta, con archi scintillanti all'acuto, che evocano tutta l'ardente e romantica atmosfera dell'estate austriaca. Verso la fine, una violenta esplosione su un accordo di Mi bemolle minore sembra strappar via un velo, a rivelare lo stesso grande dio Pan. Il quarto movimento enuncia gli interrogativi dell'umanità, in un Adagio in Re maggiore adattato al Canto di mezzanotte di Nietzsche, per contralto: «Die Welt ist tief! / Und tiefer, als der Tag gedacht! / Tief ist ihr Weh! / Lust, tiefer noch als Herzeleid! / Weh spricht: Vergeh! / Doch alle Lust will Ewigkeit!». E' usata la musica della "potenza latente" del primo movimento, e una delle sue selvagge grida di tromba è trasformata in umano anelito; il movimento è una delle pagine più serene di tutta la musica, col lamento d'un uccello notturno (glissando d'oboe) e le note tenute del contralto poggiate sulle terze dei tromboni echeggiate dagli ottavini. Nel movimento "degli angeli", voci bianche e voci femminili cantano una sorta di carola in Fa maggiore, adattata alla poesia del Wunderhorn, Es sungen drei Engel einen süssen Gesang, con un brillante accompagnamento di legni, corni, arpa e glockenspiel; la tormentata sezione di mezzo, che aggiunge gli archi gravi, si volge a pensieri di colpa, pentimento e perdono.
L'esteso Adagio orchestrale del Finale, in Re maggiore, inneggiante all'amore di Dio, alterna due gruppi: un disteso tema per archi, che tocca - ma con trascinante passione - la vena religiosa del XIX secolo; e un contrappunto di motivi incalzanti, con un intenso, penoso anelito. La musica raggiunge alla fine lo stesso tremendo climax del primo movimento; poi il primo gruppo, dapprima tranquillamente, si leva conclusivamente dagli ottoni a una fortissima apoteosi: «la natura nella sua tonalità risuona a distesa».
Deryck Cooke ("La musica di Mahler", Mondadori, 1983)
« [...] Potrei quasi chiamare il movimento "Ciò che Dio mi dice". E proprio nel senso che Dio può essere capito solo come amore. Il mio lavoro è un poema musicale che abbraccia tutte le fasi di sviluppo in scala ascendente. Comincia con la natura addormentata fino ad ascendere all'amore di Dio.»
Come avvenne per la Prima e la Seconda Sinfonia, Mahler alla fine eliminò il suo programma, lasciando che la musica, parlasse da sola; e questo è certamente possibile, che si accetti, o no il programma. Senza dubbio chi è dotato di un forte, panteistico senso quale possedeva Mahler quando la concepì, troverà il programma pieno di significato, ma, vi sarà anche chi lo giudicherà ridicolo, pur potendo ammirate il lavoro in sé. E taluni potranno addirittura ritenere che Mahler esprima, in realtà, qualcosa di diverso da quanto egli stesso non immagini: come già s'è detto, Schönberg sentì quest'opera come espressione d'un tormentato conflitto personale. E Bruno Walter descrive il primo movimento come costituito di una chiara e decisa opposizione fra due opposti inconciliabili; quelli che egli chiama «inerzia primordiale» e « elvaggia creatività forzatamente lussuriosa».
Sebbene non possiamo negare la panteistica ispirazione della Sinfonia, così chiara dalle lettere di Mahler, si deve ammettere che il lavoro non ha stretta connessione col programma. A coloro che non hanno alcun senso panteistico, o nessuna intuizione, non è tolto, comunque, il piacere di reagire ai contenuti dell'opera. Il significato fondamentale alla radice del programma di Mahler, «l'esistenza nella sua totalità», è che la Sinfonia riguarda l'origine della vita, qualunque possa essere: con la sua lotta per superare ostacoli e barriere; con il suo diletto per la bellezza e perfino per ciò che è grottesco e ripugnante; con le sue "dichiarazioni di immortalità" e la sua aspirazione a sostituire discordia ed odio con concordia ed amore. Parole, vaghe parole, naturalmente; e le più vaghe son forse le migliori, se dobbiamo tentare di far capire l'inesplicabile "significato" di questa musica, che scava tanto profondamente nella sorgente della vita e del sentimento.
Il primo movimento è la più originale e strabiliante cosa che Mahler abbia mai concepito. Per esprimere la forza primordiale della natura germogliante, dall'inverno, nell'estate, egli costruì una gigantesca, proliferante struttura di Sonata su una pletora di materiale "primitivo": un ruvido motivo di marcia in Fa maggiore - Re minore per corni all'unisono, come un grande invito al risveglio; profondi, ovattati accordi degli ottoni, eloquenti di nascosta potenza; cupo Re minore ringhiato dai tromboni, come inerzia primordiale; latrati di corni, insorgenze di bassi, strida di legni, profondi rombi di percussione; e rozzi, volgari temi di trombone, simili a mostruose voci preistoriche. In opposizione appare una mormorante musica pastorale in Re maggiore (accordi di legni, trilli sommessi degli archi, assolo di violino), con acuti canti d'uccelli ("fanfara" dell'ottavino, fuori tempo). L'elemento finale basilare, più straordinario di tutto, è lo stile "popolare" di marcia di Mahler elevato a un livello cosmico; l'estate, approssimandosi da lontano, "avanza" vistosamente con una strimpellante musica da banda militare, rivestita d'una completa, strombazzante polifonia di fanfare e melodie in controcanto. Un tremendo climax "panico" conclude questa esposizione. L'enorme lunghezza del movimento deriva dal fatto che, dopo l'esteso sviluppo (che culmina nel selvaggio episodio intitolato La folla), Mahler si concede di ripetere in pratica l'intera esposizione. Ma alla fine la musica di marcia trionfa nella sua tonalità di Fa, con vociferante fanfara e frastornante percussione.
I successivi quattro movimenti sono molto più brevi. Il minuetto "del fiore" in La maggiore, col suo trio rumorosamente ciarliero, usa lo stile popolare e la scrittura cameristica dei più delicati Lieder del Wunderhorn. Ciò continua nel movimento degli "uccelli e bestie", un vivace Scherzo in Do minore. Il pittoresco materiale conduttore, coi suoi richiami d'uccelli adescanti l'ascoltatore, è tratto dal Lied del Wunderhorn sul cuculo morto (Ablösung im Sommer); il primo Trio è un rozzo salterello, simile a un giuoco di giovani animali; il secondo una distesa melodia deliberatamente sentimentale per cornetta, con archi scintillanti all'acuto, che evocano tutta l'ardente e romantica atmosfera dell'estate austriaca. Verso la fine, una violenta esplosione su un accordo di Mi bemolle minore sembra strappar via un velo, a rivelare lo stesso grande dio Pan. Il quarto movimento enuncia gli interrogativi dell'umanità, in un Adagio in Re maggiore adattato al Canto di mezzanotte di Nietzsche, per contralto: «Die Welt ist tief! / Und tiefer, als der Tag gedacht! / Tief ist ihr Weh! / Lust, tiefer noch als Herzeleid! / Weh spricht: Vergeh! / Doch alle Lust will Ewigkeit!». E' usata la musica della "potenza latente" del primo movimento, e una delle sue selvagge grida di tromba è trasformata in umano anelito; il movimento è una delle pagine più serene di tutta la musica, col lamento d'un uccello notturno (glissando d'oboe) e le note tenute del contralto poggiate sulle terze dei tromboni echeggiate dagli ottavini. Nel movimento "degli angeli", voci bianche e voci femminili cantano una sorta di carola in Fa maggiore, adattata alla poesia del Wunderhorn, Es sungen drei Engel einen süssen Gesang, con un brillante accompagnamento di legni, corni, arpa e glockenspiel; la tormentata sezione di mezzo, che aggiunge gli archi gravi, si volge a pensieri di colpa, pentimento e perdono.
L'esteso Adagio orchestrale del Finale, in Re maggiore, inneggiante all'amore di Dio, alterna due gruppi: un disteso tema per archi, che tocca - ma con trascinante passione - la vena religiosa del XIX secolo; e un contrappunto di motivi incalzanti, con un intenso, penoso anelito. La musica raggiunge alla fine lo stesso tremendo climax del primo movimento; poi il primo gruppo, dapprima tranquillamente, si leva conclusivamente dagli ottoni a una fortissima apoteosi: «la natura nella sua tonalità risuona a distesa».
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