Il Libro dei Capricci di Frescobaldi del 1624 deriva da un'estensione del libro dei Ricercari del 1615 ma la sua concezione è marcatamente rivolta verso una strumentalità tastieristica che ne fa un capolavoro, oltrechè di tecnica contrappuntistica, di raffinatissima arte e tecnica clavicembalistica ed organistica. Vero è che, a sottolineare l'interdipendenza dei due libri, essi saranno uniti nelle vicende editoriali fin dalla seconda edizione dei Capricci del 1626, e successivamente in quelle del 1628 e del 1642. Le prime edizioni dei ricercari (1615 e 1618) comprendono cinque canzoni, dopo di che l'eventuale "secondo libro" assumerà in realtà caratteristiche talmente peculiari di elaborazione da indurre Frescobaldi a dare un titolo proprio all'opera, quello appunto di "Capricci": "In questi componimenti intitolati Capricci, non ho tenuto stile così facile come ne' miei Ricercari".
Ancora una volta il magistero di Luzzaschi è, secondo l'ammissione del Frescobaldi nella dedica ad Alfonso d'Este principe di Modena, all'origine di tale opera: "Devo a Vostra Altezza, come a Principe, che per nascita ritiene da' suoi maggiori l'antica ed ereditaria protezione delle buone arti, il frutto di quelle fatiche musicali, a cui mi diedi ne' miei primi anni sotto la disciplina del signor Luzzasco Organista sì raro, e servitore sì caro alla Serenissima Casa d'Este".
Il Capriccio mostrerà il cammino alle Toccate del Secondo Libro sia nella sezionalità chiara e distinta dei passaggi che nell'uso della mensuralità le cui vestigia compaiono solo come gioco ritmico nella contrapposizione tra ternario e binario nella Toccata nona per evidenziarsi maggiormente nelle Canzoni, particolarmente la quinta e la sesta. Tale ormai impropria segnatura proporzionale cederà quindi il passo all'esplicita indicazione di movimento "allegro" e "adagio" delle Canzoni del 1628 e dei Fiori Musicali un processo inverso dalla Toccata al Capriccio è verificabile al contrario nella conclusione binaria delle sezioni in trippola, quali ad esempio a battuta 48 (ed. Suvini-Zerboni) del Primo Capriccio, a batt. 36 del Terzo e così via. Analogo procedimento si riscontra anche nelle Canzoni del 1628 e nei Fiori Musicali del 1635 (ad esempio la fine della seconda sezione della Canzon dopo l'Epistola della Messa della Domenica).
Anche se a tutt'oggi manca uno studio comparativo dei vari temi di Ricercari è certo che la circolazione a stampa permettesse la diffusione di temi e la verifica di stili differenti reciprocamente influenzantisi. Tuttavia è legittimo opinare che Napoli sia stato il tramite grazie al quale la musica iberica, da Frescobaldi forse conosciuta anche nello stilisticamente misterioso soggiorno fiammingo, abbia potuto pervenire ad influenzare la concezione del Capriccio, sia nella tematica che nella sua stessa estensione, notevolmente più ampia del Ricercare.
Particolarmente il libro di Mannel Rodriguez Coelho, Flores de Musica, pubblicato a Lisbona nel 1620 in partitura contiene elementi ben precisi di raffronto con l'opera di Frescobaldi. In esso sono contenuti vari esempi di canto all'organo (i Magnificat) ed il titolo stesso è analogo all'opera del 1635, Fiori Musicali. Inoltre il tema del IV Tento del quarto tom è molto analogo a quello del Capriccio X ed al Recercar della Messa della Modonna, ambedue con obbligo di cantare la quinta parte senza toccarla. L'opera è in partitura a quattro voci ed è fornita di una serie di avvertimenti molto utili per il raffronto con quelli del Frescobaldi.
Per quanto attiene al Capriccio con l'obbligo di cantare la quinta parte esso è in linea con una tradizione iberica che ritroviamo anche in Antonio Carreira nel Tento com Cantus firmus a Cinco: Quinta voz de fora "Conque la lavaré la flor de la mi cara" per non parlare dei Versos para se cantarem ao argao ou Arpa em Tiple ou Tenor contenuti nel Ms 964 di Braga. Ancora nel corso del XVIII secolo J.J. Cassanea de Mondonville, pubblica un libro di Pièces de clavecin avec voix ou violon, opera V, 1748 a Parigi, in cui dichiara che il volume "interesseroit particulièrement ceux qui joignent au talent du Clavecin celui de la voix, puisqu'ils pourront executer seuls ce genre, de Musique. Les personnes qui ont l'usage de s'acompagner en chantant, auront plus de fácilitè à remplir mon idée".
Né è da dimenticare che Frescobaldi stesso ebbe fama di avere ottima voce di tenore, tessitura per la quale è scritta la quinta parte del Capriccio e del ricercare. Nel caso del Capriccio X tale consuetudine di cantare viene posta come obbligo non solo compositivo ma anche esecutivo. Sussiste qualche dubbio sulla recente identificazione della quinta parte con la melodia dell'Inno Jesu corona Virginum. Se l'incipit dell'Inno presenta una evidente somiglianza con quello del Capriccio non è così per la conclusione del Cantus, in cui proprio le due note finali sono invertite rispetto al tema gregoriano. La predominanza compositiva nella concezione dei Capricci e la piena aderenza alla tradizione dell'obbligo, esasperato come detto fino a coinvolgere anche l'esecutore, rendono evidente il fatto che, come avviene per gli obblighi dei Ricercari e dei Capricci basati su note di solmisazione, la sillaba RE sottoposta alle entrate della quinta parte indichi proprio l'obbligo di cantare le note della solmisazione. Il contesto dei Capricci pare tutto incentrato su base profana e l'esecuzione, pur nou escludendo l'organo anche sulla base polimorfica e polifunzionale cui Frescobaldi fa più volte cenno, trova il suo mezzo più adatto alla tastiera del cembalo "signor di tutti gli strumenti del mondo" su cui "si possono sonare ogni cosa con facilità" al dire del Trabaci. Che un organista componesse soprattutto per il cembalo non è da meravigliarsi: la qualifica di organista è molto generica e più etimologica che non legata all'organo vero e proprio. La quantità di musica organistica nel senso attuale del termine è molto esigua se comparata a quella vocale composta dai vari "organisti". Alla mentalità moderna sfugge il fatto che l'organo come strumento di studio era fino a qualche decennio fa legato alla collaborazione necessaria di un tiramantici, come il gustoso episodio riportato da Costanzo Antegnati nell'Arte Organica ci fa rilevare. Del resto la titolazione dei Libri di Toccate del Frescobaldi porta la dicitura prevalente di Intavolatura di cimbalo, che comunque vuole altresì porre l'accento sulla forma di scrittura usata: l'Intavolatura tastieristica. Le prefazioni del Frescobaldi non formulano mai una destinazione precisa, facendo anzi riferimento alla tecnica di arpeggiare le dissonanze che pare più propria di uno strumento da penna.
Si parla di "suono de' tasti" (Fantasie) mentre l'articolazione dei brani del I Libro di Toccate è indubbia destinazione clavicembalistica. Per contro proprio nel II Libro di Toccate, nel quale la distinzione strumentale è chiaramente indicata, nella dedica al Nunzio Gallo si parla in termini entusiastici della virtù "del sonar Gravecembalo" del Dedicatario, Vescovo di Ancona, prelato "dotato di grazia, agevolezza, varietà di misura e leggiadria", condizioni necessarie "alla nuova maniera", vera seconda prattica di tecnica tastieristica. Inoltre i Fiori Musicali che rappresentano un distillato ed una sintesi dello stile del Ricercare, del Capriccio e della Toccata vengono indicati nell'avvertimento al lettore come espressamente dedicati agli Organisti, quasi a contrapposizione della destinazione strumentale delle opere che elenca immediatamente prima e cioè "le stampe d'Intavolatura, ed in Partitura di ogni sorte [di] Capricci e d'invenzioni". Ai fini della destinazione strumentale può rivestire un qualche significato anche la lunghezza veramente notevole dei Capricci rispetto alle analoghe composizioni dei Fiori (la Bassa Fiamenga della Canzon dopo l'Epistola, la Bergamasca basata anche sul Ruggero e la Girolmeta, in cui la sezionalità è ben più marcata ed indicata, come del resto più volte nel corso delle altre Messe, dall'indicazione alio modo). Temi, questi, profani collegati ai Capricci ed eccezioni all'interno di una condotta rigidamente sacra, tra i cui paludamenti essi ammiccano in qualità di veri e propri "divertissements" siglati furbescamente dalla firma della Girolmeta.
Opere difficili da sonare i Capricci per il fatto di essere in "diversi tempi e variazioni", di "stile non così facile come ne' miei Ricercari". Difficoltà accresciuta dall'essere scritti in Partitura di cui "pare che da molti sia dismessa la pratica". Pur tuttavia anche dopo il successo tipografico delle Toccate "di grandissimo gusto per non essere in Partitura" il fatto della lettura "contrappuntistica" spinge il Frescobaldi ad insistere sulla necessità dello studio della Partitura.
Le ragioni sono indicate nella Prefazione dei Capricci: la lettura "polifonica" permette di risolvere alcune irregolarità contrappuntistiche con la giusta ricerca di affetti e del "fine dell'autore circa la delettazione dell'udito" e del "modo che si ricerca nel sonare". L'insistenza sullo studio della Partitura viene senza mezzi termini conclamata nella Prefazione dei Fiori Musicali.
"Stimo di molta importanza a sonatori, il praticare le partiture perchè noti solo stimo a chi ha desiderio affaticarsi in tal composizione ma necessario, essendo che tal materia quasi paragone distingue e fa conoscere il vero oro delle virtuose azioni da l'Ignoranti. Altro non mi occorre, solo che l'esperienza è del tutto maestra: provi ed esperimenti, chi vuol in questa arte avanzarsi, la Verità di quanto ho detto [e] vedrà quanto esequirà di profitto".
La pratica odierna, così attenta al recupero delle prassi esecutive antiche ignora per lo più tale avviso. Uno degli scogli per l'esecuzione sulla partitura da parte degli esecutori secenteschi era l'imperfezione nell'allineamento delle parti nelle stampe dell'epoca per cui secondo il Grassi "avviene che son affatto dismesse, essendo necessario alli sonatori di divenir prima buoni compotisti per imparare a compartire il valor delle note".
Passando ad esaminare la struttura dell'andamento del Capriccio il quale, come le toccate, è basato sulla varietà di misura, si può verificare come l'architettura base della composizione Frescobaldiana venga elaborata secondo una struttura "oratoria" che prende le mosse da un solenne esordio cui seguono le varie argomentazioni gestite con l'episcopale "varietà di misura del bravo Nunzio Gallo. Tale varietà nel Capriccio è dal Frescobaldi stesso spiegata secondo quella riduttività del segno proporzionale tipico della scrittura mensurale, piegato e semplificato ad una mera indicazione di andamento e finalmente abolita nelle Canzoni e nei Fiori dalle esplicite indicazioni di Allegro e Adagio "nelle trippole o sesquialtere se saranno maggiori si portino adagio, se minori alquanto più allegre, se di tre semiminime più allegre, se saranno sei per quattro si dia il lor tempo con far camminare la battuta allegra". Alle quali chiarissime e fin troppo semplici indicazioni aggiungiamo come già detto l'impassibilita del tema che passa attraverso le vicende variative rimanendo identico pur nella necessaria caratterizzazione affettiva: è questo il caso del terzo Capriccio sopra il Cucco e dei Capricci basati sugli obblighi di solmisazione.
Certamente i Capricci sono l'opera più impegnativa e riuscita del Frescobaldi, nella quale egli profonde virtuosità compositiva, felicità inventiva e sapiente tecnica tastieristica.
L'uso limitato di tale opera, rispetto alle altre del Ferrarese, è stato certamente determinato dalla difficoltà esecutiva e di studio, fino ad ora condotto esclusivamente in forma armonica sull'Intavolatura. L'impiego dello stesso tema, l'esacordo, per i primi due Capricci determina tuttavia una diversissima caratterizzazione degli stessi: nel primo l'uso ascendente crea un'attiva tensione solenne e allegra dove per contro la discendenza dello stesso esacordo nel secondo crea una malinconicità assorta.
La meraviglia del terzo Capriccio, vero modello barocco per le generazioni successive, è determinata dall'ossessiva presenza in tutte le sezioni (ognuna organizzata attorno ad un tema proprio) dell'obbligo Re Si con cui risuona il canto del Cucù.
La seconda parte del tema gregoriano del Kyrie Cunctipotens percorre il quarto Capriccio con una fantasia fantasmagorica assoluta.
Il tema del quinto Capriccio, la Bassa Fiamenga (o Tedesca) è elaborato secondo un'eccelsa tecnica espressiva e compositiva tale da porsi come "obbligo" esecutivo per ogni tastierista. Da rilevare qui in particolare la struttura-tipo del Capriccio generalmente solenne e densamente contrappuntata nella prima sezione, cui seguono le altre, variamente trippolate secondo un criterio di intensificazione ritmica, per sfociare nella quasi onnipresente sezione cromatica, vero adagio al centro della composizione: infine compare una chiusura solenne o ritmicamente densa con il tema talora aggravato. Tale retorica è il modello elaborato dal Frescobaldi sulla scorta del Madrigale la cui forma poetica è generalmente costruita secondo un sillogismo contenuto spesso in un'unica frase in cui la chiusa è generalmente a forma di motto a rima baciata, finale esemplata dall'ottava, anch'essa forma chiusa di ragionamento epico-cavalleresco il cui codice viene trasposto nei casi amorosi. In tale senso la forma stessa della chiusa esemplifica "madrigalisticamente", il suggello amoroso del bacio.
Talora il tema-base del Capriccio è, sviluppato orizzontalmente: è, il caso della Spagnoletta la cui completa citazione, due volte ripetuta, percorre e caratterizza le varie sezioni, dividendo in due parti la composizione stessa. L'inadeguatezza all'assunto del libro da parte del settimo Capriccio, ed il suo carattere toccatistico e galante fa sì che venga espunto nelle due seguenti edizioni per ricomparire in forma variata come Aria detta Balletto nel Secondo Libro di Toccate.
La modernità del Capriccio ottavo con ligature al contrario è talmente sconvolgente che solo uno studio approfondito può rivelarne la grandezza. Esso nasce come un virtuosismo sul vezzo napoletano di durezze e legature realizzato dal Capriccio seguente.
Già si è parlato del Capriccio X di cui si vuole qui rilevare l'intensificazione emotiva determinata dalle tre sezioni in trippola susseguentisi fino a sfociare nell'ampio finale. Anche qui la forma del Capriccio indicata per la Bassa Fiamenga è realizzata in pieno con esordio solenne cui si susseguono vari passi che conducono alla sezione cromatica, centro della composizione da cui scaturisce l'impeto finale testè rilevato.
Del Capriccio sopra un soggetto (undecimo nella prima edizione, nono nelle due seguenti) colpisce il piglio di Canzon Francese, specificato anche dalla ternarietà del secondo episodio. Tale genere è all'origine di tutte le fughe "frescobaldiane" presenti nelle varie intavolature seicentesche, per non parlare delle innumeri attribuzioni sette-ottocentesche nelle Antologie organistiche: grandiosa la sezione finale in aggravamento del tema.
L'ultimo Capriccio è esempio magnifico di "madrigalizzazione" tematica. In esso il tema, basato sull'incipit Ariostesco del canto XLIV dell'Orlando Furioso, è il cosiddetto Ruggero in cui Bradamante dichiara la propria fedeltà al Paladino. I due versi iniziali, intonati con la melodia variata più volte nell'opera del Frescobaldi, recitano: "Rugger, qual sempre fui tal esser Voglio / sino alla morte e più se più si puote". La prima sezione si divide in due parti di cui la prima (batt. 1 a 17 secondo l'edizione Suvini-Zerboni) vede il primo verso diviso in due emistiche: "Ruggier qual sempre fui" solennemente affermativo, si contrappone a "tal esser voglio", rassicurantemente affettuoso. La seconda parte (batt. 18 a 35) suddivide anch'essa il verso: "fino alla morte" con le sue note ribattute è accompagnato da un contrappunto costituito da un moto continuo di crome ad indicare la durata illimitata del sentimento sul quale si innesta la solenne dichiarazione "se più si puote".
La sezione seguente in trippola maggiore interviene solennemente a commento parziale dell'esposizione dei caratteri tematici, ribadendo la solennità "eterna" del giuramento del secondo verso. Lo schema di Capriccio frescobaldiano vede la trippola maggiore in tale funzione anche nel Primo e nel Terzo Capriccio, in quest'ultimo proprio nella stessa situazione gerarchica di seconda sezione. La seconda parte del Capriccio inizia con un episodio in cui l'intero distico è citato due volte per intero (batt. 48 a 56 e batt. 56 a 64) con eccezione dell'ultimo emistiellio "se più si puote" che interviene solo in conclusione a partire da batt. 61 a fugare ogni dubbio del Paladino. Segue anche qui una trippola, questa volta minore, (batt. 65 a 77) basata su un eco di "tal esser voglio" per sfociare (batt. 78 a 86) in un'espressivissima intensificazione dei tre segmenti "tal esser voglio, fino alla morte, se più si puote" incastrati in tale forma, efficacissimamente madrigalistica: "sino alla morte" è seguito da una quintuplice affermazione di "tal esser voglio" (con inversione testuale di grande effetto); alla ripetizione al basso di "sino alla morte" (batt. 80-81) segue due volte "tal esser vaglio". Il soprano riprende il "sino alla morte" cui si interseca l'alto con il "tal esser voglio" mentre unitamente al soprano il basso conclude col "se più si puote" Alla battuta 82 il tenore riprende il dialogo col "sino alla morte" seguito dal "tal esser" del soprano cui s'ntersecano l'alto e quindi il tenore con il "se più si puote", il basso con due ripetizioni di "tal esser"(batt. 83 e 84), il soprano con "se più si puote", ma tutte queste ultime inserzioni sono veri e propri "inganni" ossia false entrate. Alla battuta 84 l'alto proclama il suo "sino alla morte", seguito dal "tal esser voglio" del tenore, concluso finalmente dal "se più si puote" del basso con un piccolo eco del "tal esser voglio" del soprano.
L'epopea continua con una terza parte al cui prima sezione (batt. 87 a 111) vede il tema esposto nella sua interezza all'interno delle varie voci, una prima volta da batt. 87 a 98 per poi riprendere col "sino alla morte se più si puote" fino a 111. Il tutto accompagnato da un trottante controsoggetto. Dolce ed affettuosa, la sezione centrale cromatica (batt. 112 a 132) canta cinque volte "Rugger qual sempre fui" per sfociare nella quarta ed ultima parte che conclude il cielo con intensificazione eroica e cavalleresca del contrappunto che nella prima sezione (batt. 132 a 151) accompagna con un vero "moto del cavallo" i due eroi-cavalieri-amanti, Ruggero e Bradamante, che si ridicono allontanandosi all'orizzonte il secondo verso, mentre il "Ruggier" è già stato sufficientemente esposto nella scena amorosa cromatica. L'ultima sezione (batt. 152 a fine) prolunga nell'eternità, grazie alle gamme ascendenti e discendenti, l'ultimo verso, con l'terazione finale (batt 55 a 158 e batt. 160 a fine) del "se più si puote".
Sergio Vartolo
Ancora una volta il magistero di Luzzaschi è, secondo l'ammissione del Frescobaldi nella dedica ad Alfonso d'Este principe di Modena, all'origine di tale opera: "Devo a Vostra Altezza, come a Principe, che per nascita ritiene da' suoi maggiori l'antica ed ereditaria protezione delle buone arti, il frutto di quelle fatiche musicali, a cui mi diedi ne' miei primi anni sotto la disciplina del signor Luzzasco Organista sì raro, e servitore sì caro alla Serenissima Casa d'Este".
Il Capriccio mostrerà il cammino alle Toccate del Secondo Libro sia nella sezionalità chiara e distinta dei passaggi che nell'uso della mensuralità le cui vestigia compaiono solo come gioco ritmico nella contrapposizione tra ternario e binario nella Toccata nona per evidenziarsi maggiormente nelle Canzoni, particolarmente la quinta e la sesta. Tale ormai impropria segnatura proporzionale cederà quindi il passo all'esplicita indicazione di movimento "allegro" e "adagio" delle Canzoni del 1628 e dei Fiori Musicali un processo inverso dalla Toccata al Capriccio è verificabile al contrario nella conclusione binaria delle sezioni in trippola, quali ad esempio a battuta 48 (ed. Suvini-Zerboni) del Primo Capriccio, a batt. 36 del Terzo e così via. Analogo procedimento si riscontra anche nelle Canzoni del 1628 e nei Fiori Musicali del 1635 (ad esempio la fine della seconda sezione della Canzon dopo l'Epistola della Messa della Domenica).
Anche se a tutt'oggi manca uno studio comparativo dei vari temi di Ricercari è certo che la circolazione a stampa permettesse la diffusione di temi e la verifica di stili differenti reciprocamente influenzantisi. Tuttavia è legittimo opinare che Napoli sia stato il tramite grazie al quale la musica iberica, da Frescobaldi forse conosciuta anche nello stilisticamente misterioso soggiorno fiammingo, abbia potuto pervenire ad influenzare la concezione del Capriccio, sia nella tematica che nella sua stessa estensione, notevolmente più ampia del Ricercare.
Particolarmente il libro di Mannel Rodriguez Coelho, Flores de Musica, pubblicato a Lisbona nel 1620 in partitura contiene elementi ben precisi di raffronto con l'opera di Frescobaldi. In esso sono contenuti vari esempi di canto all'organo (i Magnificat) ed il titolo stesso è analogo all'opera del 1635, Fiori Musicali. Inoltre il tema del IV Tento del quarto tom è molto analogo a quello del Capriccio X ed al Recercar della Messa della Modonna, ambedue con obbligo di cantare la quinta parte senza toccarla. L'opera è in partitura a quattro voci ed è fornita di una serie di avvertimenti molto utili per il raffronto con quelli del Frescobaldi.
Per quanto attiene al Capriccio con l'obbligo di cantare la quinta parte esso è in linea con una tradizione iberica che ritroviamo anche in Antonio Carreira nel Tento com Cantus firmus a Cinco: Quinta voz de fora "Conque la lavaré la flor de la mi cara" per non parlare dei Versos para se cantarem ao argao ou Arpa em Tiple ou Tenor contenuti nel Ms 964 di Braga. Ancora nel corso del XVIII secolo J.J. Cassanea de Mondonville, pubblica un libro di Pièces de clavecin avec voix ou violon, opera V, 1748 a Parigi, in cui dichiara che il volume "interesseroit particulièrement ceux qui joignent au talent du Clavecin celui de la voix, puisqu'ils pourront executer seuls ce genre, de Musique. Les personnes qui ont l'usage de s'acompagner en chantant, auront plus de fácilitè à remplir mon idée".
Né è da dimenticare che Frescobaldi stesso ebbe fama di avere ottima voce di tenore, tessitura per la quale è scritta la quinta parte del Capriccio e del ricercare. Nel caso del Capriccio X tale consuetudine di cantare viene posta come obbligo non solo compositivo ma anche esecutivo. Sussiste qualche dubbio sulla recente identificazione della quinta parte con la melodia dell'Inno Jesu corona Virginum. Se l'incipit dell'Inno presenta una evidente somiglianza con quello del Capriccio non è così per la conclusione del Cantus, in cui proprio le due note finali sono invertite rispetto al tema gregoriano. La predominanza compositiva nella concezione dei Capricci e la piena aderenza alla tradizione dell'obbligo, esasperato come detto fino a coinvolgere anche l'esecutore, rendono evidente il fatto che, come avviene per gli obblighi dei Ricercari e dei Capricci basati su note di solmisazione, la sillaba RE sottoposta alle entrate della quinta parte indichi proprio l'obbligo di cantare le note della solmisazione. Il contesto dei Capricci pare tutto incentrato su base profana e l'esecuzione, pur nou escludendo l'organo anche sulla base polimorfica e polifunzionale cui Frescobaldi fa più volte cenno, trova il suo mezzo più adatto alla tastiera del cembalo "signor di tutti gli strumenti del mondo" su cui "si possono sonare ogni cosa con facilità" al dire del Trabaci. Che un organista componesse soprattutto per il cembalo non è da meravigliarsi: la qualifica di organista è molto generica e più etimologica che non legata all'organo vero e proprio. La quantità di musica organistica nel senso attuale del termine è molto esigua se comparata a quella vocale composta dai vari "organisti". Alla mentalità moderna sfugge il fatto che l'organo come strumento di studio era fino a qualche decennio fa legato alla collaborazione necessaria di un tiramantici, come il gustoso episodio riportato da Costanzo Antegnati nell'Arte Organica ci fa rilevare. Del resto la titolazione dei Libri di Toccate del Frescobaldi porta la dicitura prevalente di Intavolatura di cimbalo, che comunque vuole altresì porre l'accento sulla forma di scrittura usata: l'Intavolatura tastieristica. Le prefazioni del Frescobaldi non formulano mai una destinazione precisa, facendo anzi riferimento alla tecnica di arpeggiare le dissonanze che pare più propria di uno strumento da penna.
Si parla di "suono de' tasti" (Fantasie) mentre l'articolazione dei brani del I Libro di Toccate è indubbia destinazione clavicembalistica. Per contro proprio nel II Libro di Toccate, nel quale la distinzione strumentale è chiaramente indicata, nella dedica al Nunzio Gallo si parla in termini entusiastici della virtù "del sonar Gravecembalo" del Dedicatario, Vescovo di Ancona, prelato "dotato di grazia, agevolezza, varietà di misura e leggiadria", condizioni necessarie "alla nuova maniera", vera seconda prattica di tecnica tastieristica. Inoltre i Fiori Musicali che rappresentano un distillato ed una sintesi dello stile del Ricercare, del Capriccio e della Toccata vengono indicati nell'avvertimento al lettore come espressamente dedicati agli Organisti, quasi a contrapposizione della destinazione strumentale delle opere che elenca immediatamente prima e cioè "le stampe d'Intavolatura, ed in Partitura di ogni sorte [di] Capricci e d'invenzioni". Ai fini della destinazione strumentale può rivestire un qualche significato anche la lunghezza veramente notevole dei Capricci rispetto alle analoghe composizioni dei Fiori (la Bassa Fiamenga della Canzon dopo l'Epistola, la Bergamasca basata anche sul Ruggero e la Girolmeta, in cui la sezionalità è ben più marcata ed indicata, come del resto più volte nel corso delle altre Messe, dall'indicazione alio modo). Temi, questi, profani collegati ai Capricci ed eccezioni all'interno di una condotta rigidamente sacra, tra i cui paludamenti essi ammiccano in qualità di veri e propri "divertissements" siglati furbescamente dalla firma della Girolmeta.
Opere difficili da sonare i Capricci per il fatto di essere in "diversi tempi e variazioni", di "stile non così facile come ne' miei Ricercari". Difficoltà accresciuta dall'essere scritti in Partitura di cui "pare che da molti sia dismessa la pratica". Pur tuttavia anche dopo il successo tipografico delle Toccate "di grandissimo gusto per non essere in Partitura" il fatto della lettura "contrappuntistica" spinge il Frescobaldi ad insistere sulla necessità dello studio della Partitura.
Le ragioni sono indicate nella Prefazione dei Capricci: la lettura "polifonica" permette di risolvere alcune irregolarità contrappuntistiche con la giusta ricerca di affetti e del "fine dell'autore circa la delettazione dell'udito" e del "modo che si ricerca nel sonare". L'insistenza sullo studio della Partitura viene senza mezzi termini conclamata nella Prefazione dei Fiori Musicali.
"Stimo di molta importanza a sonatori, il praticare le partiture perchè noti solo stimo a chi ha desiderio affaticarsi in tal composizione ma necessario, essendo che tal materia quasi paragone distingue e fa conoscere il vero oro delle virtuose azioni da l'Ignoranti. Altro non mi occorre, solo che l'esperienza è del tutto maestra: provi ed esperimenti, chi vuol in questa arte avanzarsi, la Verità di quanto ho detto [e] vedrà quanto esequirà di profitto".
La pratica odierna, così attenta al recupero delle prassi esecutive antiche ignora per lo più tale avviso. Uno degli scogli per l'esecuzione sulla partitura da parte degli esecutori secenteschi era l'imperfezione nell'allineamento delle parti nelle stampe dell'epoca per cui secondo il Grassi "avviene che son affatto dismesse, essendo necessario alli sonatori di divenir prima buoni compotisti per imparare a compartire il valor delle note".
Passando ad esaminare la struttura dell'andamento del Capriccio il quale, come le toccate, è basato sulla varietà di misura, si può verificare come l'architettura base della composizione Frescobaldiana venga elaborata secondo una struttura "oratoria" che prende le mosse da un solenne esordio cui seguono le varie argomentazioni gestite con l'episcopale "varietà di misura del bravo Nunzio Gallo. Tale varietà nel Capriccio è dal Frescobaldi stesso spiegata secondo quella riduttività del segno proporzionale tipico della scrittura mensurale, piegato e semplificato ad una mera indicazione di andamento e finalmente abolita nelle Canzoni e nei Fiori dalle esplicite indicazioni di Allegro e Adagio "nelle trippole o sesquialtere se saranno maggiori si portino adagio, se minori alquanto più allegre, se di tre semiminime più allegre, se saranno sei per quattro si dia il lor tempo con far camminare la battuta allegra". Alle quali chiarissime e fin troppo semplici indicazioni aggiungiamo come già detto l'impassibilita del tema che passa attraverso le vicende variative rimanendo identico pur nella necessaria caratterizzazione affettiva: è questo il caso del terzo Capriccio sopra il Cucco e dei Capricci basati sugli obblighi di solmisazione.
Certamente i Capricci sono l'opera più impegnativa e riuscita del Frescobaldi, nella quale egli profonde virtuosità compositiva, felicità inventiva e sapiente tecnica tastieristica.
L'uso limitato di tale opera, rispetto alle altre del Ferrarese, è stato certamente determinato dalla difficoltà esecutiva e di studio, fino ad ora condotto esclusivamente in forma armonica sull'Intavolatura. L'impiego dello stesso tema, l'esacordo, per i primi due Capricci determina tuttavia una diversissima caratterizzazione degli stessi: nel primo l'uso ascendente crea un'attiva tensione solenne e allegra dove per contro la discendenza dello stesso esacordo nel secondo crea una malinconicità assorta.
La meraviglia del terzo Capriccio, vero modello barocco per le generazioni successive, è determinata dall'ossessiva presenza in tutte le sezioni (ognuna organizzata attorno ad un tema proprio) dell'obbligo Re Si con cui risuona il canto del Cucù.
La seconda parte del tema gregoriano del Kyrie Cunctipotens percorre il quarto Capriccio con una fantasia fantasmagorica assoluta.
Il tema del quinto Capriccio, la Bassa Fiamenga (o Tedesca) è elaborato secondo un'eccelsa tecnica espressiva e compositiva tale da porsi come "obbligo" esecutivo per ogni tastierista. Da rilevare qui in particolare la struttura-tipo del Capriccio generalmente solenne e densamente contrappuntata nella prima sezione, cui seguono le altre, variamente trippolate secondo un criterio di intensificazione ritmica, per sfociare nella quasi onnipresente sezione cromatica, vero adagio al centro della composizione: infine compare una chiusura solenne o ritmicamente densa con il tema talora aggravato. Tale retorica è il modello elaborato dal Frescobaldi sulla scorta del Madrigale la cui forma poetica è generalmente costruita secondo un sillogismo contenuto spesso in un'unica frase in cui la chiusa è generalmente a forma di motto a rima baciata, finale esemplata dall'ottava, anch'essa forma chiusa di ragionamento epico-cavalleresco il cui codice viene trasposto nei casi amorosi. In tale senso la forma stessa della chiusa esemplifica "madrigalisticamente", il suggello amoroso del bacio.
Talora il tema-base del Capriccio è, sviluppato orizzontalmente: è, il caso della Spagnoletta la cui completa citazione, due volte ripetuta, percorre e caratterizza le varie sezioni, dividendo in due parti la composizione stessa. L'inadeguatezza all'assunto del libro da parte del settimo Capriccio, ed il suo carattere toccatistico e galante fa sì che venga espunto nelle due seguenti edizioni per ricomparire in forma variata come Aria detta Balletto nel Secondo Libro di Toccate.
La modernità del Capriccio ottavo con ligature al contrario è talmente sconvolgente che solo uno studio approfondito può rivelarne la grandezza. Esso nasce come un virtuosismo sul vezzo napoletano di durezze e legature realizzato dal Capriccio seguente.
Già si è parlato del Capriccio X di cui si vuole qui rilevare l'intensificazione emotiva determinata dalle tre sezioni in trippola susseguentisi fino a sfociare nell'ampio finale. Anche qui la forma del Capriccio indicata per la Bassa Fiamenga è realizzata in pieno con esordio solenne cui si susseguono vari passi che conducono alla sezione cromatica, centro della composizione da cui scaturisce l'impeto finale testè rilevato.
Del Capriccio sopra un soggetto (undecimo nella prima edizione, nono nelle due seguenti) colpisce il piglio di Canzon Francese, specificato anche dalla ternarietà del secondo episodio. Tale genere è all'origine di tutte le fughe "frescobaldiane" presenti nelle varie intavolature seicentesche, per non parlare delle innumeri attribuzioni sette-ottocentesche nelle Antologie organistiche: grandiosa la sezione finale in aggravamento del tema.
L'ultimo Capriccio è esempio magnifico di "madrigalizzazione" tematica. In esso il tema, basato sull'incipit Ariostesco del canto XLIV dell'Orlando Furioso, è il cosiddetto Ruggero in cui Bradamante dichiara la propria fedeltà al Paladino. I due versi iniziali, intonati con la melodia variata più volte nell'opera del Frescobaldi, recitano: "Rugger, qual sempre fui tal esser Voglio / sino alla morte e più se più si puote". La prima sezione si divide in due parti di cui la prima (batt. 1 a 17 secondo l'edizione Suvini-Zerboni) vede il primo verso diviso in due emistiche: "Ruggier qual sempre fui" solennemente affermativo, si contrappone a "tal esser voglio", rassicurantemente affettuoso. La seconda parte (batt. 18 a 35) suddivide anch'essa il verso: "fino alla morte" con le sue note ribattute è accompagnato da un contrappunto costituito da un moto continuo di crome ad indicare la durata illimitata del sentimento sul quale si innesta la solenne dichiarazione "se più si puote".
La sezione seguente in trippola maggiore interviene solennemente a commento parziale dell'esposizione dei caratteri tematici, ribadendo la solennità "eterna" del giuramento del secondo verso. Lo schema di Capriccio frescobaldiano vede la trippola maggiore in tale funzione anche nel Primo e nel Terzo Capriccio, in quest'ultimo proprio nella stessa situazione gerarchica di seconda sezione. La seconda parte del Capriccio inizia con un episodio in cui l'intero distico è citato due volte per intero (batt. 48 a 56 e batt. 56 a 64) con eccezione dell'ultimo emistiellio "se più si puote" che interviene solo in conclusione a partire da batt. 61 a fugare ogni dubbio del Paladino. Segue anche qui una trippola, questa volta minore, (batt. 65 a 77) basata su un eco di "tal esser voglio" per sfociare (batt. 78 a 86) in un'espressivissima intensificazione dei tre segmenti "tal esser voglio, fino alla morte, se più si puote" incastrati in tale forma, efficacissimamente madrigalistica: "sino alla morte" è seguito da una quintuplice affermazione di "tal esser voglio" (con inversione testuale di grande effetto); alla ripetizione al basso di "sino alla morte" (batt. 80-81) segue due volte "tal esser vaglio". Il soprano riprende il "sino alla morte" cui si interseca l'alto con il "tal esser voglio" mentre unitamente al soprano il basso conclude col "se più si puote" Alla battuta 82 il tenore riprende il dialogo col "sino alla morte" seguito dal "tal esser" del soprano cui s'ntersecano l'alto e quindi il tenore con il "se più si puote", il basso con due ripetizioni di "tal esser"(batt. 83 e 84), il soprano con "se più si puote", ma tutte queste ultime inserzioni sono veri e propri "inganni" ossia false entrate. Alla battuta 84 l'alto proclama il suo "sino alla morte", seguito dal "tal esser voglio" del tenore, concluso finalmente dal "se più si puote" del basso con un piccolo eco del "tal esser voglio" del soprano.
L'epopea continua con una terza parte al cui prima sezione (batt. 87 a 111) vede il tema esposto nella sua interezza all'interno delle varie voci, una prima volta da batt. 87 a 98 per poi riprendere col "sino alla morte se più si puote" fino a 111. Il tutto accompagnato da un trottante controsoggetto. Dolce ed affettuosa, la sezione centrale cromatica (batt. 112 a 132) canta cinque volte "Rugger qual sempre fui" per sfociare nella quarta ed ultima parte che conclude il cielo con intensificazione eroica e cavalleresca del contrappunto che nella prima sezione (batt. 132 a 151) accompagna con un vero "moto del cavallo" i due eroi-cavalieri-amanti, Ruggero e Bradamante, che si ridicono allontanandosi all'orizzonte il secondo verso, mentre il "Ruggier" è già stato sufficientemente esposto nella scena amorosa cromatica. L'ultima sezione (batt. 152 a fine) prolunga nell'eternità, grazie alle gamme ascendenti e discendenti, l'ultimo verso, con l'terazione finale (batt 55 a 158 e batt. 160 a fine) del "se più si puote".
Sergio Vartolo
1 commento:
bella ed eaustiva spiegazione. Per caso sa dove posso trovare tutte le prefazioni scritte dallo stesso F?
grazie ancora del suo scritto. Francesco
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