Il Primo Libro de’ Madrigali di Carlo Gesualdo “Prencipe di Venosa” venne pubblicato da un editore ferrarese, Vittorio Baldini, nel 1594. Nello stesso anno e dallo stesso tipografo venne pubblicato anche Il Secondo Libro de’ Madrigali. Entrambi i libri sono presentati dal musicista Scipione Stella che, nelle dediche introduttive alla pubblicazione, scrive d’avere raccolto (e corretto gli errori di stampa) alcuni brani del suo protettore e principe, già precedentemente pubblicati. All’epoca non era conveniente che un nobile si occupasse della pubblicazione di libri o di musica (ben altre dovevano essere, o apparire, le occupazioni di un principe nella società rinascimentale) e quindi ricorre a Giuseppe Piloni (non uno pseudonimo, ma un “caro amico” del musicista fiammingo Jean de Maque che frequentava con lui la casa Gesualdo, dopo il 1586) per dare a stampa alcune sue opere (delle quali, purtroppo, abbiamo perso ogni traccia). Le dediche di Stella sono datate 2 giugno 1594 per il Primo Libro e 10 maggio 1594 per il Secondo: come noterete sembra che il Secondo abbia anticipato il Primo. Seguono a brevissima distanza il Terzo Libro, 1595, e il Quarto, 1596, sempre pubblicati a Ferrara da Baldini. Come capita molto frequentemente nel Rinascimento italiano, la pubblicazione di un libro musicale non fa altro che raccogliere i brani pregevoli che il musicista aveva precedentemente composto e che ritenesse fossero adatti ad essere fruiti e apprezzati da un più vasto pubblico di intenditori e musicisti. Tutti questi Madrigali (in tutto sono ottanta, venti per ogni libro) vengono dunque distribuiti su quattro libri, probabilmente senza un effettivo ordine cronologico di composizione, ma tutti congiunti dalla stampa avvenuta a Ferrara. Ben quindici anni trascorreranno prima che esca un altro suo nuovo libro, spento l’interesse per Baldini e stampando le sue ultime due opere a Venezia, entrambe nel 1611.
Come mai Ferrara fu la culla del primo impegnativo parto artistico e perchè Gesualdo proprio in quel momento decide che fosse il momento giusto per esporre il proprio pensiero musicale? Quali intrecci potevano esserci fra Ferrara e un principe che aveva sempre gravitato tra Napoli, la città di Venosa e quella di Gesualdo (cittadine ancor oggi esistenti nel sud Italia che portano ancora il nome della nobile famiglia patrizia)?
Per Carlo Gesualdo stampare le proprie opere a Ferrara significava essere presente in quella corte che più forse più d’ogni altra, in quell’epoca, coltivava e apprezzava la musica e il madrigale quale simbolo di sintesi tra arti e frutto maturo e prelibato di una raffinata cultura aristocratica. Per Ferrara, invece, il Principe da Venosa significava la possibilità di tutelarsi da un fatale avvenimento politico: il Duca Alfonso II d’Este (nipote della diabolica Lucrezia Borgia), ultimo erede di quell’aristocratica e mecenate famiglia che governa la città dal 1332, non può avere figli e (a causa di un antico accordo con il Papa) la terra degli Este sarebbe ritornata allo Stato della Chiesa di Roma se non ci fossero stati eredi maschi. Per Ferrara, il matrimonio fra Gesualdo ed Eleonora d’Este doveva essere un’ottima occasione politica per tentare di risolvere una delicata questione politica, raccogliendo i favori del cardinale Alfonso Gesualdo, zio di Carlo e una delle più potenti e influenti figure politiche romane. Il 19 febbraio 1594, il Principe raggiunge Ferrara: “porta seco due mute di libri a cinque, tutte opere sue” (come scrisse il cronista Fontanelli, inviato da Alfonso II d’Este per avere maggiori notizie del suo futuro parente) e un seguito di trecento persone della sua corte. Il 21 febbraio è celebrato il matrimonio con feste, torneo a cavallo, copioso pranzo di nozze di ventitrè portate (di questo banchetto lussuoso, come di tutte le feste, ne abbiamo la descrizione minuziosa) e scambi di doni preziosi, come la corazza da parata finemente cesellata, ancor oggi visibile nel Castello di Praga, e un’Ode “Lascia, o figlio di Urania, il bel Parnaso” scritta appositamente dal celeberrimo poeta Torquato Tasso. Come abbiamo visto, tre mesi dopo il matrimonio, furono pubblicati il Primo e il Secondo Libro dei suoi Madrigali tanto amati e subito parte per Venezia. Ritorna a giugno direttamente nel suo castello di Venosa e poi in Gesualdo “paese ameno et vago alla vista quanto si possa desiderare, con un’aria veramente soave et salubre”, ma senza la sua sposa novella che lascia a Ferrara.
Gesualdo, il principe di Venosa
Carlo Gesualdo non è dunque un musicista ordinario: prima di tutto egli è un principe, ricco e potente. Come esamineremo in seguito nelle note introduttive che accompagneranno le nostre sei pubblicazioni contenenti la sua opera profana completa, egli divenne celebre per due impulsi che segnarono la sua vita: il sanguinoso assassinio della moglie e del suo amante (tale fatto lo rende protagonista di molte opere teatrali, opere liriche, romanzi e anche film) e la passione per la musica espressiva e ardita, sia sacra che profana, ammirata sia dai suoi contemporanei come da musicisti a noi più vicini, primo fra tutti Stravinskij. Quest’ultimo, elabora alcuni brani del musicista rinascimentale (le Tres Sacrae cantiones) e, nel 1960, per quello che era considerato il quarto centenario della nascita, gli dedica un brano: Monumentum pro Gesualdo da Venosa ad CD annum. In realtà la data di nascita non fu il 1560: ricerche recenti hanno stabilito che egli nacque l’ 8 marzo 1566, a Venosa. La sua famiglia affonda le sue radici in tempi lontani: dalla Francia secondo alcuni, da Ruggero il Normanno secondo altri. Erano parenti di San Carlo Borromeo (la mamma del nostro Carlo era sorella del Borromeo) ed erano in ottimi rapporti sia con Carlo V che con Filippo II, re di Spagna, che in tempi diversi regnarono sui territori del sud Italia in quel periodo. I Gesualdo avevano ampi possedimenti terrieri e castelli: erano ricchissimi, dunque. Il padre di Carlo, Fabrizio II, e la madre, Geronima de’ Medici, erano anche persone di cultura e come tali organizzavano spesso nella loro residenza napoletanta alcune serate a tema, invitando gesuiti, astronomi, astrologi, alchimisti e anche chiromanti; non mancavano le serate dedicate alla poesia e alla letteratura, come quelle dedicate alla musica in cui anche il padre Fabrizio Gesualdo faceva ascoltare sue proprie composizioni. Carlo crebbe in un ambiente dove la musica era un’arte fondamentale per la persona: venne finemente istruito da musicisti come Pomponio Nenna, Gian Leonardo Privitera e Jean de Maque (quest’ultimi due compositori dedicarono pure a Carlo proprie pubblicazioni musicali) che abitualmente frequentavano la casa paterna. Sappiamo che imparò a suonare il liuto tanto quanto andare a caccia. La sua prima composizione fu edita a diciannove anni, nel 1585: un mottetto a cinque voci (Delicta nostra ne reminiscaris Domine—Dimentica le nostre colpe, o Signore—edito insieme ad altre brani sacri di Stefano Felis) che curiosamente lascia presagire alcuni dei temi che vedremo svilupparsi sia nell’opera sacra come in quella profana: il senso colpa, la morte, il peccato, il pentimento.
L’anno successivo, nel 1586 a soli vent’anni, sposa Maria d’Avalos più vecchia di lui e già vedova per ben due volte e con due figli a carico: questo matrimonio con una delle donne più belle di Napoli ebbe un tragico esito quattro anni più tardi, quando Carlo la uccise insieme al suo amante nel letto dove egli stesso dormiva. Questo episodio che contrassegnò fortemente la sua vita, e la sua opera, lo tratteremo nel seconda pubblicazione dedicata al Secondo Libro de’ Madrigali e alle sue composizioni strumentali (Naxos 8. 570549).
Il Primo Libro de’ Madrigali
Apre la prima pubblicazione ferrarese del 1594, un madrigale di Giovanni Battista Guarini: Baci soavi e cari in due parti. Venne trasposto in musica da vari autori, fra cui citiamo Luca Marenzio (1591), Adriano Banchieri (nella sua Barca di Venezia per Padova, 1605, “Un per de Marregali alla Venosa-Madrigale capriccioso”) e nel Primo Libro di Claudio Monteverdi, 1587: il testo è tratto dalla prima strofa della Canzon de’ baci che poi prosegue con Baci amorosi e belli, Baci affannati e ingordi, Baci cortesi e grati. Il raffinato gioco erotico in tutto il madrigale, ricco di sospiri e ansimi ci porta ad una vera e propria simulazione nell’unione dei due amanti e dell’atto amoroso, resa esplicita se comprendiamo quelle convenzioni di linguaggio della corte rinascimentale che nella parola morire celava il significato del raggiungimento dell’orgasmo sessuale. Le analogie con la versione di Monteverdi sono molte, soprattutto per quanto riguarda l’interpretazione nella suddivisione ritmico-prosodica del testo: confrontando le due versioni, anche ad un semplice ascolto, notiamo come il brano di Monteverdi (nonostante la sorprendente sapienza compositiva) sia ancora un brano giovanile; mentre quello di Gesualdo sia un brano d’un autore smaliziato, in cui l’uso dell’espressività nella parola, viene esaltata da una sapiente arte di contrasti melodici e timbrici. Questo ci fa sospettare che il brano d’apertura scelto da Stella per presentare il suo mecenate, non fosse assolutamente un “primo parto” giovanile ma un frutto ben più maturo che, fin dall’inizio, mettesse in mostra l’arte raffinata del Principe.
Con lo stesso gioco erotico sulle parole morire (ma perchè non parafrasare nei due diversi modi antitetici questo brano, visto che il significato più tragico può essere comunque avvalorato?) dobbiamo leggere il bellissimo madrigale Tirsi morir volea di Giovanni Battista Guarini (stampato nel 1581, tra le Rime di Tasso, con il sottotitolo “Concorso d’occhi amorosi” e musicato da L. Marenzio 1580, J. De Wert 1581, A. Gabrieli 1587 e poi da L. Luzzaschi 1604, G.F. Sances 1633). Nella seconda parte Frenò Tirsi il desio si raggiunge una delle più alte vette musicali del nostro compositore, accendendo il contrasto fra le belle dissonanze sulle parole “sentendo morte” e la scala di note ascendente contigue, sulle parole “in non poter morire”, che simulano un’estatica ascesa alla voluttà o alla redenzione del regno dei cieli. Vedremo, però, che nei Libri successivi la parola morte lascerà questo suo valore erotico della poesia della corte per divenire esternazione di “tragedia”, del dolore supremo con cui l’uomo deve confrontarsi.
Un altro argomento amoroso-erotico lo troviamo anche in Mentre madonna (anch’esso suddiviso in due parti), sonetto di Torquato Tasso, tratto dalle Rime: con grande raffinatezza, la scena descrive l’invidia provata da chi vede il pungiglione d’un “ape ingegnosa” che insidia le labbra femminili “dopo i suoi lieti e volontari errori”. In “Sì gioioso mi fanno i dolor miei” troviamo già quella tipica ricerca e attenzione del Venosa verso testi che accostano concetti o parole apparentemente contrapposte: un gioco manieristico d’immagini inconciliabili ma fatalmente accostate fra di loro, in cui la razionalità del lettore si compiace nello smarrirsi.
Per mezzo di “Questi leggiadri odorosetti fiori”, utilizzato da Venosa come cardine per fiaccare il clima ricco di contrasti “dolorosi” sia sonori che letterali (in quanto alterna, al proprio interno, atmosfere giocose e dolenti), al termine di questo libro troviamo quattro madrigali solari, giocosi, che hanno il compito di restituire serenità. In vista delle nozze con la casa d’Este, Gesualdo dedica “Felice primavera!”: un esplicito dono ai luoghi della sposa Eleonora d’Este in quanto vengono citati i luoghi fioriti del fiume Po che scorre poco distante da Ferrara gettandosi nel mare Adriatico, e “Bella angioletta” madrigale esplicitamente commissionato a Tasso dal duca Federico d’Este per corteggiare una donna di nome Angelica. La musica di Gesualdo in questo libro è il risultato di una maturazione precedentemente avviata, non un primo affacciarsi al mondo editoriale di un giovane musicista: è un libro da amare, da studiare, da approfondire. Già nella Musurgia Universalis, 1650, Athanasius Kircher cita proprio il madrigale Baci soavi e cari come esempio, dicendo che la musica di Gesualdo deve essere oggetto di studio per la sua finezza e maestria. Molti teorici e musicisti dell’epoca considerano Gesualdo quale elemento fondamentale della svolta espressiva della musica tardo rinascimentale; lo stesso Monteverdi lo includeva fra i musicisti del mutamento radicale verso la seconda prattica. Giulio Cesare Monteverdi, concludendo la difesa del fratello dall’attacco di Giovanni Maria Artusi ai madrigali contenuti nel Quinto Libro de’ Madrigali scrive: “il Sig prencipe di Venosa, Emiglio del Cavagliere, il conte Alfonso Fontanelli, e il conte di Camerata et altri signori di questa eroica scola”. Pubblicare a Ferrara, entrare in quell’ambiente culturale, poter confrontarsi con i più innovatori dell’arte, doveva essere per il Principe, la consacrazione nell’olimpo dei musici più rinomati del tempo: quel 1594, fu il momento di realizzazione di un grande sogno, isola felice nella sua impetuosa e turbinosa vita.
Un sentito ringraziamento al Prof. Giovanni Iudica per averci donato la bella biografia dedicata al Principe dei musici (fondamentale per una conoscenza del nostro autore, come gli studi di G. Watkins) nonchè per i proficui e piacevoli incontri milanesi sgorgati dalla medesima passione.
Marco Longhini
(note al CD Naxos 8.570548)
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