Omeopatia musicale: pillole per attenuare il male dell'insensibilità culturale dilagante.
Curarsi con la musica senza necessariamente ricorrere al suono...

domenica, settembre 01, 2024

Janos Starker: un violoncello fra mito e simpatia

Janos Starker (1924-2013)
Dopo aver suonato splendidamente al Comunale di Imola per la stagione 
degli Amici della Musica Janos Starker acconsente a concedere un'intervista a Symphonia e non è la prima volta che la rivista si occupa del violoncello, strumento affascinante suonato da grandi signori della musica. Starker ottimo musicista, figlio di una lunga tradizione nazionale, quella ungherese, non è solo un interprete ben noto a livello internazionale, possiamo dire che da tempo è entrato nell'olimpo dei violoncellisti contemporanei. La mattina dopo ci presentiamo al suo albergo e il discorso inevitabilmente parte dai suoi esordi, quando, lui ancora bambino, la madre decise che doveva studiare musica, I suoi due fratelli già praticavano le irte difficoltà del violino, per cui gli toccò il violoncello. E Starker, dall'età di sei anni, senza neppure averlo deciso, (ci tiene a sottolineare che fu la madre a scegliere per lui), crebbe insieme allo strumento. Una carriera, particolare, anomala, potremmo dire, la sua. E, davanti al microfono, questo affabile signore, pieno di energia mentre suona, dagli occhi chiari che ti fissano con uno sguardo sempre leggermente ironico, torna all'infanzia.

Chi fu il suo primo insegnante?
Ho studiato solo per alcuni anni con gli insegnanti. Il primo con cui si chiamava Teller, con lui studiai solo poco mesi, il secondo Adolf Schiffer. Vivevano a Budapest. Con Shiffer studiai fino all'età di quindici anni e da allora non ho mai più preso lezioni.
Così precocemente ha smesso di andare a scuola?
A quell'età stavo già dando i miei primi concerti, avevo incominciato ad insegnare e avevo circa otto studenti. Ero molto impegnato e, accantonato lo studio dello strumento, mi dedicai ad altro, alla musica da camera, per esempio, con il famoso professore Leo Weiner. Tutti i musicisti ungheresi nel mondo hanno studiato con quest'uomo. Nella sua classe c'erano persone come Georg Solti e Antal Dorati.
Dopo la II`Guerra Mondiale lei si trasferì in Francia. Cosa ricorda di Parigi?
Di quei giorni, era il 1946, ricordo che non avevo un soldo ed ero perennemente affamato. C'era un gruppo di musicisti ungheresi che vivevano a Parigi sognando le carriere che un giorno avrebbero potuto fare. Lì incontrai il mio amico Antal Dorati che, nel 1948, mi aiutò ad emigrare negli Stati Uniti proprio perché mi voleva nella sua orchestra, la Dallas Symphony Orchestra .
E negli Stati Uniti andò meglio?
A Parigi il primo anno avevo incontrato molte difficoltà, poi, dopo aver incominciato a suonare e a registrare, avevo risolto gran parte dei problemi economici. Nel 1948 fui premiato con il Grand Prix di Disc per la Sonata per violoncello solo di Kodaly. Quando arrivai in America invece non avevo più  preoccupazioni di questo tipo, mi davano anche uno stipendio.
Che impressione le fece il Nuovo Mondo?
Smisi di dare concerti e facevo il primo violoncello nelle orchestre. A Dallas, poi per quattro anni al Metropolitan di New York ed infine a Chicago. Così ebbi l'occasione di suonare con i più grandi cantanti italiani, per esempio Di Stefano ed Ezio Pinza. E poi la Callas. Molti di loro ormai sono morti.
Lei ha suonato sotto la direzione dei direttori più famosi, può ricordarne qualcuno?
Posso dirle che con l'eccezione di Toscanini e Furtwängler, e, naturalmente dei più giovani, ho suonato con tutti. Con Karajan ho suonato a Berlino, sono stato diretto da Carlo Maria Giulini con il quale ho fatto molte incisioni. Fritz Reiner fu quello con cui ebbi più contatti perché dal Metropolitan mi trasferii a Chicago e fui il primo violoncello della Chicago Symphony Orchestra. Poi con Bruno Walter, Ernest Ansermet, Charles Münch, Paul Klecki, Klemperer: penso di aver suonato con tutti i più grandi in quel periodo.
Con quale di loro entrò più in sintonia? Ne ricorda uno in particolare?
Per me il più importante fu Fritz Reiner. Insieme facemmo molti concerti. A mio giudizio è il più grande direttore in assoluto.
Come ricorda quei primi tempi in America?
Fu un periodo molto complesso nella mia vita. Ero ungherese, ma dopo la Guerra l'Ungheria fece una svolta politica e per me era diventato impossibile avere un passaporto con cui viaggiare. Volevo diventare americano e quando ci riuscii ricominciai a viaggiare. Fino al 1958 suonai solo in orchestra e poi fui nominato docente presso l'Indiana University a Bloomington. Dopo ho ricominciato a tempo pieno a dare concerti.
Mi sembra di capire che avesse un'attività molto intensa...
Ho suonato in centinaia di concerti nelle orchestre, insieme abbiamo fatto numerose incisioni. Incominciai ad incidere da solo dopo aver lasciato la Chicago Symphony Orchestra. Di Brahms, insieme alla Chicago Orchestra, ho eseguito con Heifetz il Concerto in la minore e con Gílels il Concerto per pianoforte dove suonavo l' "a solo". Poi le famose edizioni della musica di Strauss con Fritz Reiner e molte sinfonie di Mozart, Beethoven, Bartok.
Lei ha suonato anche con la Filarmonica di Budapest?
Per una stagione prima di lasciare l'Ungheria, ero il primo violoncello, nel 1945. Il direttore era Ianos Ferencsik con il quale incisi poi il Doppio Concerto di Brahms con Wolfgang Schneiderhan e l'Orchestra di Berlino.
Il pubblico in Europa e negli Stati Uniti: che differenze sente un concertista?
Non ce ne sono: dipende dove si è negli Stati Uniti e dove in Europa. C'è un ascolto diverso in Texas o in California, a Padova, a Imola, a Roma, a Bologna o a Milano. Il problema è se c'è un gran numero di persone che capiscono la musica, la conoscono, e vanno ai concerti perché vogliono non perché è un obbligo. Ho suonato per tre serate a Parigi e lì il pubblico non dà molta soddisfazione. La gente è un po' distaccata, eppure, anche lì dipende dalla sala o dal teatro in cui sei. Tutt'altro in Olanda: il pubblico si alza, manifesta il proprio entusiasmo, batte i piedi.
E a Imola?
Il pubblico era molto tranquillo, ma simpatico. L'unico problema è il teatro, molto bello ma durante l'esecuzione non risuona e non sappiamo mai se il pubblico sente oppure no perché è “molto secco, non riverberante” [in italiano].
Lei insegna all'Indiana University. È importante l'esperienza didattica?
È la cosa più importante che faccio, più dei concerti.
Addirittura?
Vede ho fatto centinaia di concerti, e ancora ne farò, ma essi finiscono. Può darsi che Lei faccia una bella rivista, ma essa finisce. Quando io insegno quegli studenti porteranno dentro quello che io gli ho trasmesso per tutta la vita.
Cosa insegna i suoi studenti? La tecnica e poi?
Insegno un modo di pensare lo strumento e la musica. In ogni periodo della storia c'è molta gente che noi chiamiamo grandi artisti, ma la vita, quella musicale, è fatta di persone ben preparate che possano eseguire musica per quartetto, da camera, orchestrale, lirica e da balletto e la qualità di questi gruppi dipende da quanto i musicisti sono preparati. Così io li aiuto a diventare veri professionisti e questo significa sapere il più possibile del loro strumento, su se stessi e su come presentarsi al meglio, su come
utilizzare il loro corpo anche, e essere capaci di ricoprire ruoli musicali sempre diversi. Questo per me significa insegnare. Non insegno ai miei allievi come suonare il concerto di Dvorak: dico sempre che devono trovare una loro strada, suonando e ascoltando. L'importante è come lo fanno e perché.
Lei ha citato molti tipi di musica: da camera, i pezzi da solista...
Bisogna, per cominciare, insegnare ogni cosa. E per questo servono i metodi ma il metodo non è solo un libro. Io ho scritto un manuale di pratica, su come sviluppare la mano sinistra e tutto il resto. Ma questa è solo una piccola parte. Il metodo è capire cosa succede prima di suonare, cosa accade nel lato destro, cosa succede con quello sinistro e cosa succede nella testa e nelle orecchie.
Pensa che questo sia uno strumento difficile?
No, penso che sia il più facile. Ti accomodi a sedere e lo suoni. È solo grande e richiede una notevole energia fisica.
Ho visto infatti mentre suonava ieri sera un notevole impegno anche sotto questo punto di vista, come un grande vigore...
L'energia è importante, così come la potenza fisica, ed è per questo che il violoncello non può essere suonato tanto a lungo quanto il pianoforte o il violino. Io mi sto avviando verso la fine della carriera, alla mia età suonare diventa sempre più difficile perché sei meno forte. Posso rompere qualche manico perché le mie mani sono ancora molto forti, ma non per molto.
Ha qualche consiglio da dare a chi voglia intraprendere questa carriera?
La cosa più importante è la pratica: pratica e ancora pratica. E dopo pensare a cosa si sta facendo non solo sedersi e ripetere su e giù, ma cercando se qualcosa non funziona, tirare fuori i problemi, le domande.
Pensa sia importante ascoltare gli altri musicisti?
Certo, registrazioni, concerti dal vivo. E non solo di musica per violoncello. Ho imparato di più ascoltando i violinisti e parlando e suonando con gli insegnanti di violino. E poi bisogna ascoltare la voce, i cantanti: la voce umana ci dà l'esatta idea di cosa significa fare musica.
Ho infatti letto da qualche parte che la voce del violoncello è come quella umana. Lei quindi è d'accordo?
Naturalmente, perché il violoncello non ha una, ma molte voci che vanno da quella più bassa alla "coloratura da soprano". L'altra sera al concerto non abbiamo ascoltato pezzi di coloratura, ma il violoncello può suonare tutti i registri della voce umana e può anche produrre i colori orchestrali. Questa è una delle cose più importanti: un musicista non può dire di eseguire la Sonata di Brahms perché ha studiato solo quella particolare sonata. Io suono tutte le sinfonie di Brahms, e tutti i concerti per violino e quelli per pianoforte e la musica da camera cioè uno deve entrare nel linguaggio di Brahms.
Cosa pensa degli strumenti originali?
Ritengo che sia importante per chi fa musica, anche se personalmente non sono molto interessato al problema: abbiamo strumenti diversi e suoniamo in sale più grandi. Le faccio un esempio: a me piace il rock, personalmente non ne faccio ma per la gente è molto importante.
Cosa ne pensa del Kronos Quartet?
Non suono la loro musica, ma è importante che loro la facciano. Le persone non fanno  sempre le stesse cose e questo è un problema soprattutto per i musicisti più giovani. Capisco che è difficile suonare il violoncello meglio di quanto non abbia fatto io che suono da cinquant'anni e più. L'importante è allora differenziarsi, con una personalità diversa, con un nuovo repertorio e così via. Io stesso eseguo opere nuove, lo scorso mese leggevo un concerto di un compositore cinese che presenta un tipo di musica che non ho mai fatto prima.
So che Lei è molto interessato alle tecnologie che migliorano l'incisione e l'ascolto. Cosa ne pensa dei moderni mezzi di riproduzione?
Il compact disc mi pare produca una qualità davvero alta, certo migliore di quelle precedenti. Ma molte delle mie vecchie incisioni discografiche ristampate in cd non sono digitali. Oltre alla tecnica di ripresa digitale oggi si può ottenere un suono migliore di una volta perché i microfoni, il montaggio e il sistema di riproduzione sono migliorati. L'attuale cd è entrato nel mercato circa otto anni fa, da allora ho fatto moltissime incisioni e molte sono state ristampate ma c'è sempre una novità perché ci sono i micro nastri, il disco digitale o il mini disc e sono supporti sempre più piccoli e perfetti. I cambiamenti dunque sono veloci ed è veramente difficile commentare cosa sia buono e cosa cattivo, perché arriva sempre qualcosa di nuovo. È davvero interessante per noi che abbiamo vissuto tanto a lungo vedere come improvvisamente ogni cosa cambi così velocemente, e non ha senso comprare nuovi riproduttori perché la prossima settimana chissà cosa può uscire.
Cosa chiede ad un tecnico del suono quando registrate?
Di ascoltare cosa stiamo realmente suonando e di essere sicuro che quello sia il suono che lui sta registrando. Il tecnico del suono non può inventare una grande esecuzione: può riprodurre il suono che uno fa ma esso a sua volta dipende solo dagli artisti. Se l'artista ha chiaramente nelle orecchie il tipo di suono che vuole ascoltare allora il tecnico del suono lo aiuterà a ottenerlo e il tecnico può evitare degli errori perché un disco non è come un concerto. Se nel concerto fai alcune note che non suonano o che sono leggermente variate di tempo non è una così grande catastrofe perché il suono fluisce. Ma se compri un disco e lo fai suonare e risuonare e c'è sempre lo stesso errore non va bene. Per questo gli errori devono essere eliminati nel disco. Questo è il lavoro del tecnico: far rieseguire un pezzo se necessario o produrre la registrazione.
Lei lavora con il tecnico del suono quando registra?
Naturalmente. Ho terminato tutte le sei Suites di Bach per la quinta volta. Il tecnico del suono era un ragazzo giovane che era anche un buon cantante e direttore, ha un orecchio eccezionale e aveva studiato lo strumento con me. Così egli sapeva come preparare la registrazione e come avrebbe suonato. Così se capiva che qualcosa non andava mi diceva “di nuovo, da capo".
Cosa prova quando sente una nuova edizione di un vecchio disco. Magari di vent'anni fa?
Sono contento di sentirmi, però oggi suono in modo diverso rispetto a quando ero giovane. Così per un disco di tanti anni fa, la questione è una sola: se era buona l'esecuzione. Rispetto ad allora penso che siano diventati più importanti altri elementi. A quel  tempo ero interessato a esser sicuro che ogni cosa fosse perfetta e le cose erano, non so come, più veloci di adesso, ma succede spesso nella vita di dover rallentare. Oggi mi interessa di più l'improvvisazione.
Ho letto in un suo scritto che lei parla di un "ascolto elettronico"...
È quello che dicevo, il poter ascoltare le registrazioni avanti e indietro e a qualsiasi velocità: questo ha sviluppato quello che  chiamo un orecchio elettronico.
Affronta questi argomenti con i suoi studenti?
Con loro parlo di tutto. La cosa più importante è che essi capiscano il mondo in cui vivono. Non c'è solo la musica: devono conoscere la letteratura, la storia, le altre arti, la filosofia.
In Italia i giovani musicisti spesso non pensano altro che a suonare...
È molto triste.
Cosa ne pensa dei giovani musicisti? Rispetto alla loro tecnica, e al loro approccio con la musica.
L'aspetto tecnico è certo più alto oggi che nel passato.
C'è qualche motivo particolare perché così poche donne suonano questo strumento?
Poche?
Sì, in Italia sono poche.
La domanda dovrebbe essere rovesciata: come mai così tante?
No, in Italia le donne preferiscono il pianoforte, e tra quelle che si avvicinano agli archi le violoncelliste sono davvero poche...
Forse perché in Italia le donne portano ancora le gonne, non i pantaloni. In America i miei studenti normalmente sono metà e metà. Anzi, in questo periodo ci sono più ragazze e anche la mia assistente è una ragazza.
È mai tornato o ha mai pensato di tornare in Ungheria?
Dopo 25 anni vi ho fatto un viaggio e adesso ogni tre anni circa vi ritorno.
Che impressione ne ebbe dopo tanti anni?
Quelle impressioni sono ora diverse perché è cambiato il sistema di governo e  quindi tutto il paese. La maggior parte dei  musicisti ungheresi ha lasciato il paese nel corso degli anni, ma oggi, dal momento  che si può viaggiare liberamente, essi stanno là come in altri posti.
In Ungheria c'è una grande tradizione musicale. È ancora viva?
La tradizione è notevole e nello stesso tempo la qualità è difficile da raggiungere perché le condizioni economiche non sono buone. Ma la stessa cosa sta accadendo in Italia e dovunque vado sento lamentele sul fatto che non ci sono soldi. Le Società che organizzano concerti non hanno soldi, le orchestre non hanno soldi, i governi non appoggiano le attività musicali. Succede che in giro, e così in Ungheria, ci siano molti musicisti non pagati e tanto pubblico che ha invece abbastanza denaro per andare ai concerti e tornarci. Questo non è un buon periodo per la musica. Non penso che sia la fine ma insomma...
Parliamo dello strumento: che differenze sente fra l'approccio moderno e quello più datato?
Sono stato uno dei responsabili di questo approccio più moderno circa quarant'anni fa. Adesso mi interessano altri temi. Una volta, all'inizio tenevo molto alla perfezione e ogni cosa doveva rispecchiare il più possibile il testo scritto. Ora mi interessano la costruzione, le relazioni, i movimenti, i colori e quello che chiamiamo i contenuti emozionali della musica.
Ci sono compositori che predilige?
Quelli buoni, naturalmente. Personalmente quello che sento più vicino è Brahms, ma ho suonato di tutto.
Lei ha scritto tre metodi per suonare il violoncello, è 1'unica sua attività come  autore?
No, ho pubblicato anche molta musica e un libro di fumetti. Io ne ho scritto i testi ed un amico mi fatto i disegni. Ne ha mai sentito parlare?
Veramente no.
Diventerà un libro famoso. Il libro parla di 54 famosi musicisti, comprende la mia caricatura. Per questo libro molti musicisti mi odiano. Ce n'e qualche brano tradotto nel giornale francese Le Monde de la Music.
Ci sono anche i disegni?
Sì, anche su personaggi come Karajan perché in quel periodo pubblicai solo su musicisti viventi, come Giulini, Copland, Messiaen, Richter, Horowitz. È un libro pericoloso perché da quando l'ho pubblicato molti sono morti. Così gli altri sono contenti di non essere stati inclusi nel volume.
Non posso non chiederle che cosa significa per lei, nella sua vita lo strumento.
Quando a 35 anni divorziai, su un giornale scrissero “Ha divorziato perché comprava i biglietti dell'aereo per il violoncello, ma non per la moglie”. Significa che il violoncello è sempre accanto a me mentre sono in volo, e il suo biglietto di prima classe mi costa un sacco di soldi. Per fortuna non mangia. Ma  qualche volta dico che lui beve, così mi danno da bere per me e per lui.
Ci parli un po' di lui. Come si chiama?
Molte mie registrazioni sono fatte con uno Stradivari, e ho anche un Guarnieri, ma adesso suono un Matteo Gofriller, l'unico con cui ho registrato negli ultimi ventisette anni. Anche Pablo Casals ne aveva uno. Il mio fu fatto a Venezia nel 1706. Oggi c'è una grande passione per i Gofriller così che in giro ce ne sono più di quanti Gofriller non ne abbia mai fatti. È uno strumento molto famoso e prezioso.
Ha mai qualche momento d'incontro con altri violoncellisti?
A Bloomìngton organizzo un incontro tra violoncellisti. C'è un Memorial Cello Center ogni anno condotto da un musicista che abbia superato i sessant'anni. Il primo fu Antonio Janigro, poi Paul Tortelier, Bernard Greenhouse e anche famosi liutai e molte donne musiciste come Zara Nelsova, Sara Garbusova, persone che hanno contribuito alla pratica dello strumento vengono a Bloomington non solo come concertisti, ma anche come insegnanti. Così ogni anno molti convergono in quel posto, passiamo un bel periodo, siamo  grandi amici e quell'anno rendiamo omaggio ad una persona in particolare. Una volta abbiamo organizzato un Cello Congress e abbiamo avuto 600 partecipanti: 250 tra loro, tutti violoncellisti, hanno suonato il Bolero di Ravel insieme a due percussionisti.
Vive ancora a Bloomington?
Ci vivo ormai da 36 anni. Lì i miei figli sono cresciuti, lì vive mia moglie, c'è il mio cane e la mia piscina. Così quando torno a casa di notte, anche se è inverno, mi butto nella piscina. Questa è la ragione per cui posso ancora muovermi come anziano: perché io nuoto ogni notte.
Intervista di Chiara Sirk
("Symphonia", N° 42 Anno V, Settembre 1994)

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