Omeopatia musicale: pillole per attenuare il male dell'insensibilità culturale dilagante.
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lunedì, giugno 16, 2014

La magia del teatro nel "Rinaldo" di Händel a Reggio Emilia

Reggio Emilia, "Rinaldo di Pierluigi Pizzi"
Trionfale ritorno del Rinaldo di Händel al Valli, nello storico allestimento di Pier Luigi Pizzi che, realizzato a Reggio Emilia nel 1985, ha meritato riconoscimenti internazionali e innumerevoli riprese nei più importanti teatri europei, segnando una pietra miliare nella storia della regia senz’altro, ma anche nella storia dell’opera barocca, tanto che si potrebbe parlare del Rinaldo di Pizzi, in quanto la componente spettacolare, fondamentale nell’opera del Seicento e primo Settecento, rappresenta un vero problema negli allestimenti contemporanei, problema che pochi registi hanno saputo affrontare con l’intelligenza di Pizzi, la sua efficacia e soprattutto l’assoluto rispetto della musica e del senso originario di questo particolarissimo genere teatrale.
Ottavio Dantone a capo dell’Accademia Bizantina e un cast vocale di professionisti del canto barocco ha conferito ulteriore valore alla seconda ripresa reggiana del Rinaldo dopo quella del ’91 che era stata effettuata con un’orchestra di strumenti moderni, e senza la cura filologica oggi imprescindibile nell’esecuzione di questo tipo di repertorio.
La geniale intuizione di Pizzi, caratterizzante questo storico allestimento, consiste nell’esibire le macchinerie teatrali grazie ad uno stuolo di mimi i quali, completamente mascherati di nero e mimetizzati col fondale scuro, muovono piedistalli su cui, statue immote, giganteggiano i singoli personaggi, lontani, irreali, solenni e preziosi nei loro abiti e pennacchi strabilianti, resi vivi e credibili unicamente dalla musica. Si appalesa in tal modo l’elemento sostanziale dell’opera Barocca e del Rinaldo, in particolare, ovvero l’aria, momento statico che racchiude un unico “affetto“ stereotipato (ira, trasporto amoroso, idillio, pena) e in cui si convogliano virtuosismo vocale spinto all’estremo e volute strumentali che ivi gareggiano con la voce. Il libretto di Aaron Hill tradotto da Giacomo Rossi, tratto con molta libertà dalla Gerusalemme liberata del Tasso, assai astutamente confeziona un prodotto che altro non è che una modesta “scaletta” per il rivestimento musicale, giusto prodotto in una Londra che si apriva proprio allora all’opera italiana e il cui pubblico, non comprendendo una parola dell’idioma del belcanto, occorreva stupire con un canto massimamente virtuosistico e una musica invadente e onnicomprensiva. E la musica oltre a porsi in gara con la voce, si accolla il compito di essere mare, tempesta, frastuono di battaglia, cinguettare di uccelli e stormire di fronde. La regia, lo sfarzo di scene e costumi, esibiti quanto le macchinerei (vedi gli strascichi che ondeggiano, mossi pure essi stessi dai mimi), la sorpresa, la meraviglia sono perfettamente funzionali alla musica, assoluta protagonista. E se il cast vocale nel complesso ha dato buona prova di sé, l’Orchestra dell’Accademia Bizantina, diretta con slancio ed energia da Dantone, ha plasticamente invaso la scena, avvolto i personaggi, evocato situazioni, mostrando finalmente il peso che essa assume, fatto assolutamente nuovo e originale, rispetto alla media degli autori italiani, in Händel. Dunque il cast vocale: accanto alle punte di Almirena, Maria Grazia Schiavo; Armida, Roberta Invernizzi e Goffredo, Krystian Adam, il protagonista eponimo, Delphine Galou, in sostituzione della indisposta Marina De Liso, è apparsa non sempre a fuoco con la voce e priva di quella veemenza e autorevolezza virtuosistica che il ruolo impone; di buon impatto l’Argante di Riccardo Novaro; sbiadito il mago, Antonio Vincenzo Serra. Completavano Lavinia Bini da fuori scena come voce di sirena e William Corrò.
Molti gli applausi, non tanto a scena aperta, ma nel finale, come tributo a Pizzi, senz’altro, accolto da una vera e propria ovazione, tributata poi, anche a Dantone e agli interpreti più apprezzati e ancora ai mimi, cui spetta un compito difficilissimo. Ma l’omaggio affettuoso a Pizzi portava con sé il valore aggiunto del ricordo di una stagione straordinaria della vita culturale della nostra città; stagione in cui curiosità verso mondi teatrali inesplorati, apertura ad esperienze nuove, inventiva, lungimiranza, originalità segnavano il progetto culturale nel suo complesso. Un progetto che nasceva a Reggio, qui si sviluppava e definiva per essere se mai esportato; un progetto che non sempre veniva accettato senza riserve, e, dato il carattere innovativo, non sempre andava esente da critiche, ma che alla fine, alla resa dei conti e a fronte del riscontro internazionale, trovava la via del consenso anche tra gli scettici.

Daniela Iotti (“Giornale di Reggio”, 1 maggio 2012)

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