Omeopatia musicale: pillole per attenuare il male dell'insensibilità culturale dilagante.
Curarsi con la musica senza necessariamente ricorrere al suono...

sabato, febbraio 09, 2019

Roman Vlad: Presenza romana di Stravinskyij

Igor Stravinsky (1882-1971)
Roma, 27 novembre 1938.
Al Teatro Adriano, concerto dell’Orchestra sinfonica dell’Accadernia Nazionale di Santa Cecilia.
Direttore: Igor’ Stravinskij.
Solista: Sviatoslav Soulima Stravinskij.
Programma: Cherubini, Ouverture dell’Anacreonte; Cajkovskij, Seconda Sinfonia; Stravinskij, Capriccio per pianoforte e orchestra e Jeu de cartes.
Era il primo concerto che io ebbi la fortuna di ascoltare in Italia ed era la prima volta che potei vedere in carne ed ossa uno dei più celebrati miti viventi del nostro tempo. Da pochi giorni ero giunto a Roma dalla lontana Bucovina, per iscrivermi al corso superiore di perfezionamento di pianoforte che Alfredo Casella teneva presso l’Accademia di Santa Cecilia. Il concerto di Stravinskij era il primo dono culturale che Roma mi offriva. Avevo diciotto armi e l’impressione che ne ricevetti è rimasta indelebile. Stravinskij non era certo quello che oggi s’intende per un direttore d’orchestra professionista (come erano invece, tra i compositori coevi, un Mahler o uno Strauss). La sua professionalità di musicista trascendeva però incommensurabilmente quella di un qualsiasi divo della bacchetta: era un compositore che, come quelli di una volta, sapeva rendere benissimo la propria musica sulla tastiera e farla suonare da un complesso sinfonico. Le volte, relativamente rare, che Stravinskij affrontava la direzione di opere altrui, sembrava davvero applicare alla lettera i postulati estetici che andava professando durante il suo periodo neoclassico. Quando, cioè, amava proclamarsi "notaio" della musica e invocava "secutori obiettivi e fedeli e non interpreti soggettivi e arbitrari", quando teorizzava che la musica era incapace di esprimere alcunché. L’Ouverture di Cherubini risultò infatti, più che altro, una lettura diligente, anche se con qualche approssimazione. Notevolmente più sensibile apparve l'esecuzione della Sinfonia di Cajkovskij. Qui si intuiva che Stravinskij partecipava in prima persona all’inveramento della musica che andava dipanando. Che l’amava e quasi la viveva. Nella seconda parte, Stravinskij attaccò le proprie pagine, e qui non era più
questione di esecuzioni e letture notarili, ma di interpretazioni piene di brio, spirito, estro al limite di quelle libertà e licenze che nessun direttore di mestiere osava prendersi con la musica di Stravinskij, ma che egli stesso sentiva invece come giuste e necessarie, al di là della lettura dei testi consegnati nelle sue partiture. "So benissimo che la musica è fatta di quello che non si può scrivere. Dovevo dire però il contrario per reagire contro certe esagerazioni ottocentesche. Così come avevo detto, per puro spirito polemico, che la musica era 'troppo stupida' per poter esprimere qualche cosa".
Queste ed altre affermazioni e confessioni importanti per la retta comprensione dell’arte, della poetica, del carattere e della personalità affascinante di Stravinskij, mi fu dato cogliere dalla sua viva voce, durante i lunghi anni in cui egli veniva regolarmente a Roma grazie ai profondi legami che aveva annodato con l’Accademia Filarmonica Romana. Il primo nodo di questo rapporto che, per un decennio e mezzo doveva dare tanta luce alla vita musicale romana, fu stretto da Adriana Panni a Venezia, nel settembre del 1951. Stravinskij vi era arrivato per la prima rappresentazione mondiale di La carriera di un libertino. Era sceso all’albergo Bauer, insieme alla moglie Vera e all'inseparabile Robert Craft. Armata di un mazzo di rose, l’intrepida Adriana partì all’assalto di Stravinskij. Superò di slancio il primo ostacolo costituito dal vigile portiere dell’albergo, perforò il muro costituito dall'abituale corte che circondava il Maestro (famigli, parenti, amici, parenti degli amici e amici dei parenti, rappresentanti di società di concerti, di case editrici musicali, librarie e discografiche). E, con la forza irresistibile del suo entusiasmo e della sua determinazione, lo conquistò: Stravinskij accettava l’invito dell'Accademia Filarmonica Romana. Per il 1952 non aveva date disponibili, ma dalla stagione 1953-54 in poi, la ditta Stravinskij-Craft iniziava una collaborazione con la nostra Istituzione che doveva durare per tutto il resto della vita del compositore. Accanto ai capolavori ormai classici di
Stravinskij, sarebbero state programmate di preferenza le sue opere più recenti, possibilmente in prima esecuzione per l’Europa e per l’Italia. Il pubblico dell'Accademia era ben preparato all’accoglimento delle novità stravinskiane. Nel periodo 1947-53 erano state programmate più di una dozzina di opere di Stravinskij, tra cui Le nozze, Apollon Musagete, l'Ottetto, la Suite italienne, la Messa e i Cori Sacri a cappella (Ave Maria, Credo, Pater noster) e una serie di musiche pianistiche (Piano Rag Music, Sonata, Tango, Concerto per due pianoforti).
Il 12 aprile del 1954 arriva, per così dire in avanscoperta, Robert Craft il quale dirige la prima esecuzione europea del Settimino, lavoro col quale, nel 1953, Stravinskij si era avvicinato alla dodecafonia. Un anno più tardi è ancora Craft a far conoscere per la prima volta in Italia una composizione ancora fresca di inchiostro, In memoriam Dylan Thomas in cui Stravinskij adotta conseguentemente la tecnica seriale. Dirige inoltre i Canti per soprano, flauto, arpa e chitarra, allora ancora inediti e, in prima europea, il Concertino per dodici strumenti, del 1952.
L’anno 1956 vede finalmente salire sul palcoscenico del Teatro Eliseo (allora sede delle manifestazioni dell’Accademia Filarmonica) lo stesso Stravinskij per dirigere con l’Orchestra sinfonica della Rai di Roma e il Coro del Teatro La Fenice di Venezia, due sue importanti, recentissime opere: Corale e variazioni su Vom Himmel hoch da komm ich her da Bach e Canticum sacrum ad honorem Sancti Marci nominis. Nella seconda parte del concerto, Craft diresse poi una brillante realizzazione scenica della Storia del soldato.
Nel successivo 1957 fu ancora Craft a dirigere, sempre con l’Orchestra sinfonica della Rai di Roma, Agon, che Stravinskij aveva terminato da poco. Nel dicembre dello stesso anno, e con la stessa orchestra, Bruno Maderna dirigeva tre lavori del periodo americano di Stravinskij, scritti durante gli anni della seconda guerra mondiale: Ebony Concerto, Tango e Scherzo alla russa.
Nel 1958, sempre con i complessi della Rai di Roma, Stravinskij stesso dava una memorabile interpretazione delle Nozze, mentre Craft si incaricava di dirigere la Sinfonia in tre movimenti, del 1945, e le Scènes de ballet del 1944.
Nel 1960 Stravinskij dirigeva ancora In memoriam Dylan Thomas e la Cantata sa testi poetici di anonimi inglesi del XV e XVI secolo (del 1952), mentre Craft, oltre all’Ottetto, alle Tre liriche giapponesi e al Concerto Dumbarton Oaks, presentava in prima esecuzione italiana la versione per soprano e orchestra di Tilimbom e dei Movements per pianoforte e orchestra, l’opus allora più recente di Stravinskij.
Nel 1962 Stravinskij e Craft tornarono a dividersi la direzione di un concerto in cui figuravano le Otto Miniature strumentali che il compositore aveva appena terminato, la versione originale di Pulcinella per tre voci e orchestra (solisti: Cecilia Fusco, Fernando Jacopucci e Nicola Rossi Lemeni), L’uccello azzurro (da Cajkovskij), le Danze concertanti ed alcune rare pagine vocali quali La pulce (da Beethoven) e le Due liriche di Verlaine (nella versione orchestrale del 1953).
Nel 1963 Stravinskij e Craft si dividevano una volta di più il compito di dirigere un concerto di musiche sacre del compositore in cui, oltre a brani nuovi per l’Accademia (Corale e Variazioni da Bach, Cori a cappella e la Messa) era inclusa la Sinfonia di strumenti a fiato nella nuova versione del 1947.
Nel 1965 toccò a Pierre Boulez dirigere un memorabile concerto dedicato tutto all’allora ottantatreenne compositore. Vi figuravano, accanto a Le nozze, Ninne-nanne del gatto e Pribautki, oltre alla Elegia per J. F. Kennedy e la Ballata sacra Abramo e Isacco.
Tra gli avvenimenti dedicati alla sua musica negli anni Sessanta e Settanta, ci limiteremo a ricordare i più significativi. Innanzitutto la memorabile rappresentazione, nell'ottobre del 1966, di Renard e La storia del soldato per la direzione di Gabriele Ferro e la regia di Sandro Sequi. Le scene e i costumi di Renard erano di Eugène Berman, quelli per La storia contano tra i capolavori di Giacomo Manzù e la coreografia di quest’ultimo lavoro venne siglata da Maurice Béjart. Nel febbraio del 1968, Daniele Paris dirigeva, per la prima volta in Italia, l’estremo capolavoro di Stravinskij: i Requiem Canticles.
Il 14 ottobre 1971, l’Accademia Filarmonica Romana affidava alla London Sinfonietta diretta da David Atherton, il compito di commemorare colui che fu uno dei più grandi geni della storia musicale e la cui esistenza terrena si era conclusa nella primavera di quell’anno. Nell’ottobre del 1980 verrà messa in scena l’opera Mavra. Un intero programma verrà dedicato a Stravinskij nella stagione 1981-82 per ricordarlo nel decennale della scomparsa.
Coloro che hanno avuto la fortuna di conoscere Stravinskij e di lavorare con lui non potranno mai dimenticarlo. Vederlo all’opera, vederlo vivere, avere il privilegio di conversare con lui, di rispondere ai suoi quesiti e di porgli domande ricevendone risposte acute quanto sincere: tutto ciò fa parte di esperienze davvero uniche e indimenticabili. Stravinskij non era soltanto un genio della musica, ma anche una personalità dotata di grandissime qualità intellettuali e umane. Sapeva vivere e si interessava di tutto; ricordo il suo entusiasmo quando gli facevo fare un giro lungo le mura aureliane, con soste nelle catacombe e in diverse chiese paleocristiane. Il piacere col quale passeggiava a lungo tra le mura di Ostia Antica e si deliziava poi con un piatto di gamberi al cognac. O il raccoglimento quasi religioso col quale, come ho già detto, contemplò a lungo una Madonna di Piero della Francesca all’Istituto Centrale del restauro. A Roma si sentiva davvero a casa e non è escluso che, se fosse vissuto più a lungo, vi si sarebbe trasferito. Anche se per la sua ultima dimora pensava a Venezia.
Stravinskij amava l’Ita1ia da quando vi arrivò la prima volta con Djagilev e da quando si recava a Varese con Ravel per acquistarvi della carta da musica. Se vi affondò così feconde radici culturali lo si deve però ai suoi amici romani, con Adriana Panni in testa.
 
Roman Vlad ("Vivere la musica", Einaudi, 2011)
Saggio di Roman Vlad, in Arrigo Quattrocchi, Storia dell'Accademia Filarmonica romana, Presidenza del consiglio dei ministri, Dipartimento per l'informazione e l'editoria, 1991.

Nessun commento: