Omeopatia musicale: pillole per attenuare il male dell'insensibilità culturale dilagante.
Curarsi con la musica senza necessariamente ricorrere al suono...

sabato, aprile 20, 2024

Wagner a Palazzo Giustiniani

Tristano e Isotta
Ero nel settembre scorso a Venezia, di ritorno da un pellegrinaggio a Bayreuth, dove, a villa «Wahnfried››, avevo potuto esaminare alcune lettere autografe del Maestro. Appunto una di queste, diretta a Liszt e che fa parte del noto epistolario recava in testa la data - Venezia l2 settembre '58 - ed in calce un indirizzo, il suo preciso indirizzo: «Canal grande, palazzo Giustiniani, Campiello Squillini N. 3228 Venezia».
Ora, a Venezia i palazzi Giustiniani sul Canal Grande sono tre anzi quattro: quello posto quasi di fronte alla vecchia Dogana e che da oltre mezzo secolo è occupato dall'Hôtel d'Europa; altri due davvero monumentali, formano come una degna continuazione del magnifico palazzo Foscari: l'uno detto Giustinian del Vescovo ora Schiavoni Semagiotto, l'altro, pure Giustiniani, ora Brandolin: il quarto infine, di gran lunga più modesto, è separato da quest'ultimo da una stretta calle.
Ma con la scorta del miracoloso indirizzo fui sicuro di rintracciar quello dei palazzi Giustiniani, dove «Colui che aveva diffusa la potenza della sua anima oceanica sul mondo» tra il settembre '58 e il marzo '59, aveva composto il secondo atto del Tristano.
In una tiepida e rosea mattina d'autunno mi posi dunque alla ricerca della gloriosa dimora.
Disceso dal vaporetto a San Tomà e internatomi per un labirinto di calli di campielli e di canali, riuscii ad infilare un ponte oltre il quale, passando innanzi al grandioso portale cinquecentesco del palazzo Foscari, si perviene al solingo alberato Campiello dei Squillini. E poiché a Venezia la numerazione odierna delle case è ancora quella dei tempi del Goldoni (il quale è fama prediligesse questo «campiello» all'ora popolatissimo, per attingervi alle vive fonti i suoi dialoghi immortali) m'avvidi dai numeri intorno che il 3228 non doveva essere lontano. Lo trovai difatti in fondo a un vicolo chiuso tra due  muri alti e nerastri, da cui grandi alberi un poco ingialliti emergevano.
Alla squilla elettrica il portone s'aperse. Consegnata la mia carta da visita al portiere, questi, dopo un'assenza di qualche minuto mi invita a salire lo scalone del palazzo. Fatti due rami, mi trovai sopra un vasto loggiato dove il giovine conte Brandolino Brandolin mi accolse con la più cordiale amabilità. Mi chiarì subito che del grandioso palazzo le camere occupate del Maestro facevano parte degli ammezzati o mezzanini sotto il pian nobile. A quel punto l'edificio presentava uno stato di avanzato deperimento ed era proprietà di un austriaco, che lo affittava ai forestieri. Poco dopo la partenza di Wagner, e ciò tra la primavera e l'estate 1859, l'austriaco l'aveva venduto ad un russo milionario: il quale nella occasione del suo matrimonio con una leggiadra ballerina italiana, lo aveva sontuosamente restaurato e arredato, apportando molte modificazioni specialmente al cortile e al giardino. Ma pochi anni appresso quel russo essendosi incapricciato d'una giovanissima popolana chioggiotta, separatosi consensualmente dalla moglie, recavasi con l'amante a Costantinopoli, lasciando in proprietà il palazzo alla consorte. Questa allora trattò subito per la vendita dello stabile: di che essendo stato telegraficamente informato il marito, provvide senz'altro pe`l riacquisto di esso: dove, mortagli la moglie, si ridusse a vivere gli ultimi anni in compagnia della concubina.
Infine, nel 1876, il palazzo veniva acquistato dal conte Brandolin, padre del mio cortese informatore. Al quale, mentre mi andava esponendo la movimentata cronistoria del glorioso edificio erasi unito, nell'amabile ricevimento, un simpatico giovinetto della nobile famiglia Vendramin Calergi, con la quale i conti Brandolin si erano di recente imparentati. Ond'io non poteva a meno di avvertire la bizzarra coincidenza che aveva  riunite quelle due famiglie: l'una di cui il palagio aveva ospitato il Maestro nella piena vigoria delle sue forze e del suo genio possente, l'altra, nella cui principesca dimora l'autore di Parsifal, stremato dagli anni e dalle sofferenze fisiche era venuto a morire. Intanto eravamo entrati nella «vasta sala echeggiante» che serviva da stanza da lavoro del Maestro: quella appunto dov'egli, collocatovi il suo Erard ed apprestandosi a «tradurre in musica l'ammirabile Venezia», aveva composto la musica divina del secondo atto di Tristano.
Come era proprio quello, il «vasto ambiente prospettante il Canal Grande», dal «soffitto di buon gusto, interamente dipinto a fresco», su cui certo i suoi grandi occhi cerulei si erano tante volte affissati! Dai tre eleganti balconi, di stile archiacuto, la mirabile grande via d'acqua e di pietra appariva sotto un chiaro cielo tiepolesco solcato di nuvole; e appunto da quei balconi, «mirando con gioia ognora crescente il superbo canale», Colui che «aveva saputo dare alla sua vita la grande vittoria che le aveva promesso» si era detto: «È qui che terminerò Tristano
Lasciato, non senza rammarico, il memorabile salone, venni guidato nella «grande camera da letto contigua», pure prospettante il Canale, ed infine in una terza ampia stanza interna che riesce su la loggia dove, nelle lunghe giornate di pioggia e di neve «io poteva fare, egli scrive, i miei cento passi igienici».
La breve mia visita essendo terminata, io stava per accomiatarmi; ma l'ospite volle darmi il contentino finale e mi narrò che nell'autunno del '76, un giorno che la signora contessa Brandolin - madre al mio cortese interlocutore - era a letto indisposta, un forestiere si presentò chiedendo di visitare l'appartamento ai mezzanini in allora disabitato.
Avendo la nobile dama acconsentito, un servo accompagnò per le varie stanze lo sconosciuto visitatore, che vi si trattenne a lungo, ma soffermandosi con manifesta preferenza nell'ampio salone dal soffitto tiepolesco e affacciandosi ripetutamente or all'uno or all'altro dei balconi in vista al Canal Grande. Il servo ebbe a raccontare di poi che quella visita oltremodo prolungata e il contegno un poco strano del visitatore gli avevano persino destato qualche sospetto!... Finalmente il forestiero mostrò di volersene andare; ma prima chiese al domestico un foglio di carta e l'occorrente per iscrivere. Gli fu dato e colui, dopo scritto alcunché, se ne parti. Quando lo scritto dello sconosciuto fu portato alla contessa, questa ebbe la profonda sorpresa, mista di rimpianto e di gioia, di scorgere la firma autografa di Riccardo Wagner sotto una frase musicale ch'egli aveva trascritta dal secondo atto di Tristano: autografo preziosissimo che la famiglia Brandolin conserva religiosamente.
Mario Panizzardi
(da "Richard Wagner - Diario Veneziano" a cura di Giuseppe Pugliese,
Corbo e Fiore Editori, Venezia, 1983)

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