Omeopatia musicale: pillole per attenuare il male dell'insensibilità culturale dilagante.
Curarsi con la musica senza necessariamente ricorrere al suono...

venerdì, giugno 21, 2024

Il fenomeno Gazzelloni

Severino Gazzelloni (1919-1992)
Che cosa sia il fenomeno Gazzelloni, 
tutti lo sanno ed è presto detto: fin dai tempi dell'auleta Sacada, quando 1'aulos, impropriamente creduto un flauto, era uno dei due principali strumenti in uso nella musica greca, esso era tenuto in considerazione inferiore rispetto al più nobile strumento a corda, la lira. Sulla strada dei Marsia si trovava sempre qualche Apollo armato di cetra per sconfiggerli, umiliarli e scuoiarli vivi. Gazzelloni è il primo artista che abbia riscattato l'umile flauto dal complesso di inferiorità che gravava sugli strumenti a fiato, uguagliando la fama di solito riservata ai virtuosi della tastiera e dell'arco. Certamente c'erano già stati grandi virtuosi di strumenti a fiato, come quei fratelli Besozzi, oboisti e fagottisti, parmigiani d'ordine, che a Torino, a Dresda, a Napoli e a Parigi costituivano un punto fisso d'attrazione per i viaggiatori settecenteschi durante il Grand Tour europeo. E ci fu il cornista Dennis Brain, ci sono altri grandi flautisti come LeRoy e Rampal. Ma nessuno - Armstrong e jazz a parte - ha raggiunto la fama, che Stendhal avrebbe definito napoleonica, e che poi potremmo paragonare a quella degli idoli sportivi, che circonda Gazzelloni: unico virtuoso di strumenti a fiato che mobiliti la folla dei ragazzini in caccia d'autografi, che scateni entusiasmi deliranti, qualunque cosa suoni: i classici come il jazz, oppure la più difficile musica moderna.
E qui si inserisce l'altro aspetto fondamentale del fenomeno Gazzelloni: la sua partecipazione creativa alla musica moderna. Creativa anche se lui - che si sappia - non ha mai scritto, o per lo meno pubblicato una sola nota. E tuttavia partecipazione creativa per la rivelazione che ha aperto ai compositori di possibilità inedite dello strumento e per la cooperazione fraterna con cui si è introdotto nei loro problemi. Di solito è sempre il compositore di genio che forza i limiti della tecnica strumentale e la spinge avanti: l'intrattenibile Beethoven che strapazza violinisti e cantanti, li costringe ad acrobazie mai immaginate, quelli protestano e brontolano un poco, poi si rassegnano, abbozzano e diligentemente riescono a fare quello che quel satanasso pretende, e l'impossibile di ieri diventa esercizio scolastico di domani, nel continuo, incessante processo della tecnica. Nel caso di Gazzelloni e della musica moderna è il contrario. E' come se Gazzelloni fosse andato dai Maderna, dai Petrassi, dai Berio, dai Nono, dai Boulez, dai Pousseur, dai Castiglioni, e gli avesse detto: "Guardate che col flauto si può fare questo e quest'altro, non abbiate mica paura, scrivete pure le pazzie più ostiche, lo strumento ce la fa".
Intendiamoci, non è solo questione di virtuosismo tecnico. Il merito di Gazzelloni non è soltanto quello di zufolare meravigliosamente, come un merlo ben ammaestrato. La sua dote somma è la naturalezza d'una musicalità tutta istintiva, che gli permette di entrare interamente nell'idea del compositore, sia questi Mozart o Boulez, e di intuire di colpo tutto il sottofondo di cultura e di esperienza vissuta che c'è nell'apparente semplicità dell'uno e di dipanare lucidamente l'intricata complicazione dell'altro, divinare il nesso di relazioni tra note che ai comuni mortali sembrano accozzate a caso, o magari a dispetto, trovare il senso musicale della pagina più astrusa e il segreto di leggi non ancora scritte né codificate in nessun trattato di composizione.
E tutto questo d'istinto. Gazzelloni è la persona meno sofisticata, meno cerebrale, meno intellettualistica che si possa immaginare. Ma non c'è sofisma seriale, non c'è complicazione cerebrale, non c'è intellettualistica sottigliezza di dettato compositivo che resista al grimaldello della sua spontanea natura musicale. Là dove lo studioso e il teorico arrivano attraverso il calcolo di faticose analisi, lui ci è condotto per mano dall'innocenza stessa dei suoni, che lo guidano come i tre Fanciulli guidano Tamino nel Flauto magico, e a lui rivelano immediatamente le norme di inediti collegamenti, le attrazioni di affinità misteriose per tutti, salvo che per l'orecchio felice di Severino.
Massimo Mila, Torino, 24 gennaio 1977
("Symphonia" N° 24 Anno IV, febbraio 1993)

martedì, giugno 11, 2024

Svjatoslav Richter e Signora. Un incontro in Italia

Svjatoslav Richter (1915-1997)
Dal 20 luglio al 22 settembre si è tenuta la XIII edizione del Festival Internazionale di Musica da Camera promosso da Asolo Musica, associazione della quale chi scrive è da due anni direttore artistico. Quest'anno il Festival è stato collocato oltre che ad Asolo anche in otto diverse località circostanti: fra esse Castelfranco Veneto, ridente cittadina nella quale, grazie alle ottime strutture musicali esistenti (Teatro Accademico, Conservatorio di Musica ecc.) si è pensato di programmare alcune importanti produzioni legate al Festival, come i concerti di prestigio e tutte le masterclass. Tema unificante del Festival era "Prokof'ev e il suo tempo" in occasione del primo centenario della nascita del grande compositore-pianista. Predominante quindi la presenza di artisti sovietici per il loro stretto legame affettivo e di conoscenza diretta con Prokof'ev, Sostakovic e gli altri. Fra i tanti anche Nina Dorliac, moglie di Svjatoslav Richter, soprano di grande rinomanza e prestigio, certamente una delle figure musicali più rappresentative del Novecento musicale sovietico, che ha legato indissolubilmente il proprio nome a quello di Prokof'ev per un intenso rapporto di stima e di solidale partecipazione. Assieme a lei il 20 agosto è giunto a Castelfranco anche il Maestro - come la Dorliac ama chiamare il marito - proveniente da Monaco dove era per un controllo medico. Nonostante il lungo viaggio in automobile e la non più giovane età, entrambi si sono messi subito al lavoro: la Dorliac come docente nella masterclass di canto, Richter in un'aula del Conservatorio a studiare.
Il Maestro è giunto con passo lento ma sicuro, accompagnato dall'assistente della moglie, il soprano Elena Briliova, con sottobraccio le musiche che si accingeva a riprendere dopo anni: alcuni libri di Bach in edizione Peters ed un volume nuovissimo delle sonate di Beethoven nell'edizione Urtext della Henle Verlag.
Richter ha studiato ininterrottamente fino a sera per ben quattro ore e mezza ed è poi tornato in Conservatorio nei giorni successivi finché la Yamaha non gli ha installato una clavinova nella sua camera d'albergo, dove poi è rimasto tutto il resto del tempo a studiare. Mi diceva la moglie che Richter in passato è stato sempre un grande amante dello studio, passando ore e ore allo strumento nonostante la leggendaria capacità di lettura a prima vista, e che solo da alcuni anni, a causa di problemi al cuore, i medici gli hanno prescritto di non superare tre ore di lavoro al giorno: limite quasi mai rispettato.
Il Richter-uomo di questi ultimi mesi è una persona molto schiva e solitaria, che rifugge ogni contatto, anche telefonico, che ama fare lunghe passeggiate in luoghi d'arte e che continua ad avere un particolare piacere per la buona cucina. Se proprio deve incontrare qualcuno, s'informa prima di che tipo di persona si tratta sul piano umano: chi gli fa da filtro sono soprattutto  due persone: la moglie - che nonostante gli anni è donna di grande vivezza e lucidità - e la segretaria-agente italiana Milena Borromeo, vero e proprio "angelo custode" - come l'ha definita la Dorliac - sempre premurosa e attentissima. Chi vuole arrivare al Maestro deve dunque fare i conti prima con questi due gentili "gendarmi": con loro si è subito instaurato un buon rapporto e quindi mi sarebbe stato molto facile imporre la mia presenza nel gruppo, ma ho preferito rispettare la privacy del Maestro e limitare gli incontri al caso. Richter è rimasto a Castelfranco fino al primo settembre, ben tredici giorni, e pertanto di incontri "casuali" ce ne sono stati parecchi. Uno in particolare, durato un'ora e più, si è svolto in albergo per concordare con la signora Richter il programma del concerto finale della masterclass di canto. Era verso sera, si aspettava l'ora di cena, la giornata era trascorsa bene senza problemi. Richter era particolarmente disteso e ben disposto al dialogo. Conoscendo la sua ipersensibilità e la facilità con la quale si chiude in se stesso quando viene aggredito dalle domande dei giornalisti, ho lasciato che la conversazione scorresse liberamente: si e parlato di tutto, della situazione politica in URSS (in quei giorni particolarmente  tesa), dei musicisti sovietici di comune conoscenza, delle ricchezze artistiche di
Asolo e Castelfranco, della specialità di alcuni ristoranti della zona, delle differenze fra la cucina giapponese e quella orientale, della sua attività concertistica giovanile, dei suoi programmi futuri e di tante altre cose. 
Il programma del concerto che Richter ha tenuto al Teatro Accademico in omaggio a Prokof'ev con la partecipazione della violoncellista Natalja Gutman, da lui appositamente invitata, comprendeva nella secondaparte la Quarta Sonata per pianoforte op. 29 e la Sonata op. 119 per violoncello e piano di Prokof'ev. Richter mi ha detto che quella era un'occasione importante per lui perché aveva l'opportunità di riprendere a distanza di anni quei pezzi: l'op. 119 non la eseguiva da più di quarant'anni e l'op. 29 l'aveva suonata l'ultima volta due anni addietro a Londra, prima di incorrere nei problemi di salute che da tempo lo affliggono. Mi ha parlato della sua intenzione di eseguire tutta l'opera di Bach per tastiera, cominciando dalle composizioni meno eseguite in pubblico, come la Sonata BWV 966,  il Capriccio BWV 993 e i quattro Duetti  BWV 802-805, in programma nella prima parte del concerto. Si è parlato dei problemi che ha sempre avuto con gli accordatori che l'hanno portato a stabilire un rapporto stretto e continuativo con la Yamaha, in grado di assicurargli oggi un'assistenza efficiente e completa in ogni situazione. Ha raccontato di un concerto all'Ambasciata Sovietica di Parigi dove c'era un pianoforte  scadente che l'accordatore francese incaricato del lavoro non era stato in grado di migliorare: «È stato uno dei più bei concerti della mia vita, purtroppo guastato dalle condizioni dello strumento...›› ha concluso  il Maestro.
Si è poi parlato a lungo della morte di Prokof'ev, avvenuta il 5 marzo 1953 in coincidenza con quella di Stalin. In quei giorni Richter era in tournée nel sud della Russia. Ricevuto il telegramma della moglie che lo informava della morte di Prokof'ev, si precipitò all'aeroporto per rientrare al più presto a Mosca e rendere l'ultimo saluto al grande compositore e amico. All'aeroporto però fu preso sottobraccio da alcuni individui che lo accompagnarono per forza su uno strano aereo di guerra pieno di corone di fiori, medaglie e bandiere. Richter non sapeva della morte di Stalin e in aereo nessuno parlava. Arrivato a Mosca, fu caricato su un'automobi1e ed accompagnato al Cremlino, dove fu fatto entrare in una stanza in cui erano già presenti il violinista David Oistrach e altri musicisti e fu costretto a suonare, alternandosi agli altri, per due giorni e due notti ininterrottamente di fianco al feretro di Stalin. Quando tutto fu finito e anche Prokof'ev era già stato sepolto, a Richter non rimaneva altro che andare a rendere l'ultimo saluto sulla tomba.
La Dorliac ha parlato delle peripezie che hanno dovuto fare lei e pochi amici per portare il feretro di Prokof'ev al cimitero, essendo tutte le strade intasate di persone e mezzi dell'esercito. Particolarmente difficoltoso fu anche trovare un carro funebre in quei giorni, poiché tutti pensavano ai funerali di Stalin. Alla fine, dopo mille pericoli, si riuscì a trovare un piccolo furgoncino sul quale venne portato il feretro di Prokof'ev al cimitero. Di altri incontri e amicizie è ricca la storia di Nina Dorliac, del rapportotra Prokof'ev e Pasternak, l'amicizia con Anna Achmatova, Prokof'ev e le sue due mogli, il suo particolare con Prokof'ev, ma lo spazio ne impedisce un più completo resoconto. Il concerto al Teatro Accademico (da Richter scelto e imposto all'organizzazione) è stata un'occasione indimenticabile per ritrovare il grande pianista. Particolarmente magica la seconda parte dedicata a Prokof'ev: Richter era in gran forma e con una grande voglia di suonare e divertirsi. Abbiamo riascoltato il pianista degli anni d'oro, grande slancio, potenza di suono, assoluto controllo tecnico, visione lucidissima e profonda della parte. Alla fine, dopo aver bissato l'ultimo tempo de1l'op. 119 con  la Gutman, anche lei in gran serata, Richter si è presentato in palcoscenico sorridente e felice, come da molto non gli succedeva, a significare l'acquisito stato di grazia e - si perdoni il paragone - quasi come un bambino felice di aver nuovamente superato l'ostacolo.
Giorgio Benati
("Symphonia" N° 10, Anno II, Ottobre 1991)

sabato, giugno 01, 2024

Trent'anni del Quatuor Mosaiques...

Quatuor Mosaïques
Chiedete a qualsiasi amante della musica da camera quali registrazioni della loro collezione siano le più apprezzate, e sono sicuro che quelle del Quatuor Mosa
ïques verranno sempre menzionate nella loro rosa dei candidati. A partire dal loro pluripremiato Haydn op. 20 quartetti (1990) - che hanno davvero dato al mondo un segnale dell'importanza di queste opere - fino all'ultimo dell'op. 76, quali interpretazioni ritenute di riferimento non solo per le esecuzioni d'epoca dei quartetti di Haydn ma per tutte le esecuzioni di questi quartetti. Ogni registrazione è davvero un gioiello, combinando erudizione, fraseggio e dinamica squisiti e notevole profondità, bellezza e intuizione. E quello che pensiamo adesso di queste registrazioni non è diminuito rispetto a quello che pensavamo allora. Ma l’esaltante sequenza di registrazioni non si è fermata qui. I loro "Quartetti Haydn" di Mozart erano altrettanto avvincenti. E chiunque abbia ascoltato "La morte e la fanciulla" di Schubert sia dal vivo che in registrazione sa quanto sia avvincente, vera e completa quell'esperienza. Successivamente siamo passati al Beethoven op. 18 quartetti, e nonostante pensassimo di averli ascoltati tutti, i Mosaïques trovano una bellezza e uno spazio rivelatori che ce li fanno rivivere. Ci sono due cose interessanti in tutte queste registrazioni. In primo luogo, la forza interpretativa e la sensibilità dell'ensemble hanno reso le esecuzioni convincenti, eseguite o meno su strumenti d'epoca. In secondo luogo, la varietà di timbri unici prodotti e l’assoluta chiarezza nel modo in cui le singole voci interagivano hanno effettivamente fornito un’idea di ciò che l’esecuzione del periodo – e l’articolazione delle corde di budello in particolare – poteva raggiungere.
Una cosa è che un ensemble sia modesto e schivo, ma il fatto è che, formato nel 1985, il Mosaïques Quartet si avvicina ora al suo trentesimo anniversario. Continuano ad esibirsi in tutto il mondo, spesso nei luoghi e nei festival più prestigiosi. Non riesco a pensare ad un ensemble da camera in stile d'epoca che abbia avuto più longevità, e ora stanno entrando nella gamma dei quartetti veramente longevi in ​​generale. A mio parere, ci sono pochi quartetti d’archi dell’ultima metà del secolo che potrebbero essere considerati più pionieristici e influenti dei Mosaïques. Naturalmente sia il violinista Erich Hobarth che il violoncellista Christophe Coin hanno ricoperto contemporaneamente molti incarichi diversi. Entrambi hanno diretto e, ad un certo punto, hanno fatto qualche progresso nei trii di Haydn, registrando con il pianista Patrick Cohen.
Lo scopo di questa intervista è semplicemente quello di incontrare questo grande ensemble mentre si avvicinano a tre decenni di impegno artistico e vedere quali sono le loro prospettive sul proprio passato e futuro, e sullo sviluppo di performance storicamente informate. L'ensemble aveva appena tenuto un delizioso concerto a Vancouver con Haydn, op. 103, Mozart, K. 421 e il terzo quartetto di Schumann, seguiti dall'affascinante trascrizione di brani tratti dai Kinderszenen di Christophe Coin come bis. Ho avuto la fortuna di potermi incontrare brevemente con tutti i membri dell'ensemble; Erich Höbarth e Christophe Coin sono stati i portavoce.

Tre membri del vostro quartetto sono viennesi (Erich Höbarth, Andea Bischof e Anita Mitterer, ndr) e tutti incontratisi nel Concentus Musicus di Nikolaus Harnoncourt a Vienna. In che misura  pensate che il vostro stile interpretativo rifletta ancora la tradizione musicale di questa città?
Erich Höbarth: Non credo che siamo stati influenzati molto dall'ambiente circostante o, ad esempio, dagli archi che suonavano nella Filarmonica in particolare. La mia influenza principale è stata quella del mio insegnante, Sandor Vegh, un violinista con uno stile davvero unico e una personalità meravigliosa. Ha insegnato e incoraggiato un'intera generazione di musicisti e sono stato molto fortunato a far parte del Vegh Quartet negli ultimi tre anni della sua esistenza.
Christophe Coin : Abbiamo sicuramente ereditato la grande tradizione del quartetto d'archi europeo e il suo focus. Ma penso che dalla nostra idea originale di Mosaïques Ensemble, stessimo cercando qualcosa di molto specifico dal punto di vista artistico. In un mosaico ogni dettaglio appare brillantemente pensato, ma l'occhio è anche capace di cogliere l'immagine nel suo insieme. Con la musica è lo stesso: bisogna lavorare sui dettagli, bisogna creare le migliori condizioni di ascolto possibili, e poi ottenere la giusta distanza in modo che l'ascoltatore possa vedere tutti i singoli elementi e l'intera opera d'arte allo stesso tempo. contemporaneamente. Credevamo che suonare con le corde di budello potesse avvicinarci al raggiungimento di questo obiettivo.
Quanto repertorio per quartetto d'archi intendete frequentare?
Erich Höbarth:  Abbiamo sempre mirato ad essere al centro del repertorio dei quartetti d'archi: Haydn, Mozart, Beethoven e Schubert. Tutto ruota attorno a questi quattro compositori. Ma alla fine ci siamo resi conto che il repertorio del quartetto di questo periodo è così vasto che correvamo il rischio di ignorare gran parte della buona musica che non viene più suonata. Ci siamo quindi concentrati anche sulla scoperta di compositori "sconosciuti" fino al primo periodo romantico, come Arriaga, Werner, Jadin, Gross e Boëly. Abbiamo suonato anche molti compositori romantici, Mendelssohn e Schumann, per esempio. Non volevamo davvero andare oltre il tempo in cui le corde di budello non erano più comuni.
Avete mai frequentato altri repertori, opere più moderne?
Erich Höbarth: Sì, abbiamo eseguito i primi due quartetti d'archi di Bartok, il quartetto di Debussy e un breve brano di Webern.
Ammetterete che c'è ancora qualche ambiguità sul significato di interpretazione "autentica". Si tratta semplicemente dell'utilizzo di corde di budello o si va cercando di ricreare il tipo di performance che potrebbe essere realmente avvenuto al tempo? Per esempio, oggi avete suonato un quartetto di Schumann: è questo il modo in cui avrebbe suonato negli anni '40 dell'800?
Christophe Coin: Nonostante tutte le ricerche che si potrebbero fare, è ancora molto difficile scoprire come suonavano i musicisti in quel periodo. Le tecniche dei virtuosi del XIX secolo erano più estreme rispetto a quelle del secolo precedente, quindi probabilmente troverai diverse scuole (una delle quali è quella di Viotti) che vanno in direzioni molto diverse. Nella Lipsia di Schumann coesisterebbero quindi interpretazioni molto diverse, proprio come se ne trovano ai nostri giorni. Tuttavia, penso che molti ensemble potrebbero condividere il suono profondo e scuro che è stato la tradizione delle orchestre di Lipsia fino ai giorni nostri.
Lo stesso vale per le tecniche strumentali?
Christophe Coin: Ho anche studiato un po' le tecniche del violoncello di quel periodo e vi si trovano le stesse differenze. Ogni violoncellista aveva diteggiature, tecniche e abitudini particolari, quindi è impossibile dire che uno stile tecnico fosse "lo" stile di quel tempo.
Forse la concezione di "autentico" riguarda anche il modo di ascoltare?
Erich Höbarth: Sì, molto viene dal cuore. Cosa dice veramente la musica? Come dovresti esprimerlo? Da questo punto di vista, è del tutto possibile per un giovane ensemble moderno suonare un quartetto di Haydn in modo "autentico", nel senso che esprimono fedelmente tutti i sentimenti naturali presenti nell'opera. Per essere onesti, ci sono state molte ottime esibizioni di quartetto da parte di ensemble che non hanno pretesa di essere storicamente informati. Sono diversi dai nostri ma altrettanto degni di noi. Non possiamo dire assolutamente “sappiamo come va”.
Avendo partecipato a un quartetto storicamente informato fin dalla sua nascita, come pensi che si sia sviluppata la tradizione?
Erich Höbarth: Beh, ci sono alcuni nuovi quartetti adesso, ma ancora non così tanti. Subito dopo l'inizio c'era il Salomon Quartet; anche il Quartetto della Library of Congress utilizzava uno stile molto antico. Ma in realtà non ne sono seguiti molti e pochi sono molto visibili. Ciò di cui siamo orgogliosi è che il nostro modo di suonare ha influenzato le interpretazioni di molti quartetti più giovani, anche quelli che non erano impegnati in esecuzioni d'epoca. Lo vediamo, ad esempio, nel fatto che oggi molti ensemble suonano il minuetto di un quartetto di Haydn.
Pensi che la tua interpretazione delle opere principali sia cambiata molto nel tempo?
Erich Höbarth: Non penso che sia la stessa cosa, assolutamente no. Ma è difficile descrivere da soli il grado in cui le cose sono cambiate. Tutti si sviluppano nel tempo: non c'è sosta nella vita. Non sono la stessa persona di dieci anni fa, e nemmeno gli altri. Quindi, le nostre reazioni reciproche durante la performance sono probabilmente cambiate in modo sottile. Ma sei tu, è il pubblico, che probabilmente può giudicare il risultato finale meglio di noi. 
Ti piacerebbe ri-registrare qualcuno dei lavori fatti in precedenza?
Christophe Coin: No, non penso che nessuno di noi abbia il tempo o il lusso di ri-registrare. Viviamo in un'epoca diversa adesso e semplicemente non è possibile avere un programma di registrazione come quello che avevamo una volta. Il mercato non è abbastanza sano e non sono molte le persone che potrebbero essere interessate a una nuova serie integrale di quartetti di Haydn, per esempio.
Quindi, quali sono le grandi cose per il futuro?
Erich Höbarth: Saremo felici di registrare altro Beethoven. Finora abbiamo registrato solamente i quartetti dell'op. 18. Adesso vogliamo concentrarci sugli ultimi quartetti. E vogliamo continuare a scoprire nuovi compositori che nessuno suona. Hai mai sentito parlare del quartetto d'archi di Charles Gounod?
© Geoffrey Newman 2014
(translation: google & HvT)