Omeopatia musicale: pillole per attenuare il male dell'insensibilità culturale dilagante.
Curarsi con la musica senza necessariamente ricorrere al suono...

domenica, novembre 10, 2024

Bruno Canino: Il Metodo

Bruno Canino (30 dicembre 1935)
Mettendo giù questi appunti, mi sono accorto appena in tempo del pericolo che correvo di descrivere non quello che è effettivamente il mio metodo di insegnare il pianoforte, ma un metodo utopico e ideale, cui sarebbe bello e "virtuoso" attenersi, se... se si avesse più tempo; se gli allievi fossero meno numerosi. e se fossero tutti diligenti e motivati e selezionati con cura; se i conservatori fossero scuole professionali; se io capace di cattiveria; se se se...
Insomma, nelle condizioni in cui si è costretti - anche per propria colpa - a lavorare, viene fuori un'affannosa e difficilmente descrivibile assenza di metodo: ma non è poi detto che una realistica asistematicità non possa non risultare produttiva, e che forse in essa, addirittura, si possa trovare la chiave di  successo di tanti insegnanti.
Naturalmente alcune convinzioni tecniche, musicali, pedagogiche, bisogna pur averle: ma la loro traduzione in opera deve essere inventata con intuito e perspicacia di volta in volta, sfuggendo alle trappole della routine; ho per esempio in orrore la lezione di durata fissa a scadenza regolare (i tedeschi la chiamavano Klavierstunde, l'ora di pianoforte, a sancirne quasi contrattualmente la misura). dove. come in un malinconico menu senza scelte. si parte dalla tecnica per arrivare, attraverso studi e Bach, al “pezzo” dove finalmente si assaggeranno le delizie del pedale e del rubato: non bisogna far adagiare l'allievo in questo prevedibile rituale, tenerlo sempre sul chi vive, e prima o poi capirà che dieci (o novanta) minuti di lavoro sopra una scala cromatica possono essere assai più utili per lui di questo tran tran; e più illuminante la lettura di una bella Ouverture di Mozart a 4 mani. Ma vediamo quelli che, al momento, considero i motivi conduttori del mio modo d'intendere l'insegnamento.
Autocoscienza e autoascolto. Suonare il pianoforte non è soltanto cosa razionale; ma certamente la ragione vi occupa gran posto. L'allievo piccolo o grande, deve sapere che a determinate azioni muscolari corrisponderanno determinati risultati sonori: e l'osservazione e l'autoascolto devono confermargli un'assoluta fiducia nell'obiettività di questa corrispondenza biunivoca.
Emancipazione. Assai per tempo, la scelta del tipo di azione tecnica - fra il repertorio di gesti appresi -conveniente alla specifica situazione musicale, va affidata all'allievo. Ma anche altre scelte, diteggiature, pedali, persino scelte stilistiche e formali gli vanno giudiziosamente lasciate, senza indignazione professorale per eventuali gaffes: e ci si compiaccia di accettare decisioni divergenti dalle proprie, purché fondate su un comunicabile criterio valido, e non su casualità e faciloneria.
Amore per la musica. Se la musica non piace, non si conosce, non interessa, o interessa solo per essere promossi agli esami o per vincere concorsi, insegnare o imparare a suonare diventa insensata e avvilente fatica. L'insegnante deve dimostrare questa passione anche nel decimo riascolto di un brutto studio, e deve approfittare di ogni appiglio l'allievo gli offra per comunicargliela. Nulla di più deprimente dell'allievo che. all'offerta “Cosa ti piacerebbe studiare?". risponde “Faccia lei, tanto per me e lo stesso".
Fedeltà al testo. Il testo non dice tutto sull'esecuzione di un pezzo, ma tutto ciò che dice è prezioso. Mozart era di certo miglior musicista e più competente sul suo stile di quanto non lo fosse Casella; se ha adoperato quelle legature e quei segni di staccato,  cerchiamo di fare ciò che chiede: e Liszt era più preciso e geniale di Horowitz, e Debussy più sottile di Benedetti Michelangeli. Oltre tutto, seguire alla lettera le indicazioni del compositore ci libera da molti falsi problemi.
Continuità. Un pianista può avere bel suono, intelligenza e senso musicale: ma queste doti gli sono inservibili se non è capace di suonare due righe di seguito senza fermarsi. La capacità di concentrazione prolungata è dote che specificamente si richiede al pianista, ed è tra le più difficili da insegnare. Non interrompere un pezzo, ascoltarlo tutto con i suoi bravi ritornelli, anche se già alla prima battuta si sa cosa sarebbe utile dire, e anche se la prossima lezione incombe e la classe è stracolma.
Alcuni codicilli. Trattare non più di un paio di problemi tecnici per volta, possibilmente relativi al materiale musicale che si sta lavorando. Diffidare di un'eccessiva gradualità nella scelta dei pezzi: il rischio di un pezzo un pochino più lungo della gamba permetterà di ripercorrere gradini inferiori con ben altra sicurezza e autocontrollo.
Pretendere già alla prima lettura che l'allievo presenti una sua certa qual idea del pezzo: che, per essere plausibile e per inquadrare giustamente la forma e le difficoltà che ci aspettano, dovrà "tenere" dei tempi non esageratamente lontani da quelli che si presume convenienti all'esecuzione finale. In altre parole un "allegro" potrà declinare in un "moderato" ma non certo in un “adagio"; e l'adagio, apparentemente senza problemi, non dovrà per questo scivolare in un “andante scorrevole". (Per lo stesso motivo è per me totalmente incomprensibile l'uso di lavorare in fortissimo i passaggi da eseguire piano).
Soltanto dopo questa prima lettura globale, isolare e lavorare separatamente i passaggi problematici. Indispensabile mi sembra il ricorso a varianti ritmiche e combinatorie: non nell'idea di complicare le cose semplici, ma nell'intento di individuare e correggere l'eventuale cattivo funzionamento: come fermare l'immagine in un film per meglio osservare un particolare. Tutto questo. insisto, deve avvenire nell'ambito dinamico e nella scelta di suono che si ritengono appropriati anche per l'esecuzione.
Il metronomo non serve certo per andare a tempo, ché la musica non si suona quasi mai in tempo, ma è insostituibile come misuratore e controllore delle nostre incapacità e dei nostri progressi.
Così smontato e velocizzato il passaggio, va poi reinserito nel contesto del pezzo, la cui respirazione e il cui equilibrio formale sono così continuamente da modificare e ricontrollare.
Un'ultima  importante convinzione: individuare per tempo i punti deboli dell'allievo (cantabilità, pedalizzazione, scarsa resistenza fisica o psicologica; innaturalezza di fraseggio; eccetera) e scegliere pezzi ad hoc che aiutino a combattere questo specifico difetto.
Ma sono per caso rientrato nel paese di utopia?
Bruno Canino

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