«Per lunghi anni, gli assoli di violino sono stati considerati dai più grandi violinisti il miglior mezzo per fare di un ambizioso studente un perfetto maestro del suo strumento» (J.N.Forkel, 1802).
Le sei Sonate e Partite per Violino, BWV 1001-6, e le sei Suite non Accompagnate per Violoncello, BWV 1007-12, di Bach sono state a lungo considerate il test supremo dell'abilità di un suonatore d'archi. Difficilmente esse sarebbero potute essere scritte da altri che un,musicista estremamente competente, e spesso dimentichiamo che Bach non solo era un organista virtuoso, ma anche un completo suonatore d'archi. Il suo primo incarico professionale fu come violinista alla Hofkapelle di Weimar nel 1703, ma tutto ciò che sappiamo del suo modo di suonare deriva da un commento casuale lasciato 70 anni dopo da suo figlio Emanuel al biografò di suo padre, J.N.Forkel: «[mio padre] preferiva suonare la viola, con intensità e morbidezza appropriate. Nella sua gioventù, e fino all'approssimarsi della vecchiaia, egli suonò il violino in modo pulito e penetrante, e quindi teneva l'orchestra in miglior ordine di quanto avrebbe potuto fare con il clavicembalo. Egli comprendeva alla perfezione le possibilità di tutti gli strumenti ad arco. Lo si capisce dai suoi assoli per violino e per violoncello senza basso [di accompagnamento]».
Questi assoli appartengono ad una ristretta rosa di opere virtuosistiche, spesso più improvvisate che formalmente composte e che erano raramente, spesso mai, pubblicate. Siamo fortunati, dunque, che la partitura autografa delle Sonate e Partite per Violino Solo di Bach sia sopravvissuta, perché contiene quel genere di fraseggio dettagliato e di indicazioni sull'articolazione sulla dinamica e sugli ornamenti che raramente si ritrovano senza alterazioni nelle edizioni stampate del periodo. Il manoscritto, datato 1720, è definito 'Libro Primo', mentre lo spartito autografo di Bach delle Suite per Violoncello risulta essere etichettato come 'Libro Secondo'. Entrambi i gruppi di opere, come molti altri prodotti da Bach in quel periodo, sembrano essere stati pianificati per esplorare sistematicamente tutte le possibilità formali e stilistiche latenti nelle loro varie forme: la sonata italiana e la suite francese. Ancora non sappiamo per chi furono scritte ma, come i sei Concerti Brandeburghesi, furono probabilmente composte nell'arco di parecchi anni con una varietà di scopi in mente. Alcune potrebbero benissimo aver visto la luce nell'attività domestica di composizione a casa di Bach, e alcune suonano come se siano state quasi certamente utilizzate a scopo didattico. Per esempio, la Terza Suite per Violoncello inizia con un preludio che esplora l'intera scala della tecnica violoncellistica: vi sono scale, arpeggi, accordi e strutture di frasi che spingono l'archetto al limite della tecnica. D'altra parte, vi sono movimenti come la grande Ciaccona dalla Seconda Partita per Violino - con le sue 64 variazioni che deliziano le dita - che suggeriscono che Bach possa aver concepito alcuni lavori pensando a interpreti virtuosi come il suo amico Johann Georg Pisendel. Ma che questi lavori siano stati originariamente scritti per amatori o per professionisti non è più un problema. La grandezza della musica risiede nella sua trascendenza di tali confini. Non troviamo mai che Bach abbia sacrificato la sostanza musicale per esibizioni tecniche da due soldi, né egli ha mai limitato la sua esplorazione idiomatica dello strumento a favore di musicisti meno capaci. Proprio perché la sua musica non è mai stata concepita per la pubblicazione, Bach ebbe mano libera. Egli ne approfittò per sottoporre gli esecutori ad una miriade di sfide che sono alla base del continuo fascino che questa musica esercita ancora oggi. Anche un movimento apparentemente così semplice come la Sarabanda della Quinta Suite per Violoncello nasconde un suo proprio ostacolo tecnico. Senza l'ausilio della doppia interruzione, il musicista deve utilizzare le gestualità espansive della stessa melodia sia per suggerire una linea del basso armonica, sia per accennare un accompagnamento. L'astuta implicazione di parti multiple è anche alla base dei movimenti più chiaramente virtuosistici di Bach: le espansive fughe che fanno parte delle tre Sonate per Violino. Con l'uso della doppia, tripla e talvolta quadrupla interruzione, Bach crea l'impressione di dense tessiture polifoniche che l'esecutore e gli ascoltatori possono intuitivamente completare nelle loro menti. L'idea di una fuga suonata da uno strumento melodico era una sfida tecnica che si dimostrò irresistibile per un compositore come Bach. E nella fuga della Seconda Sonata egli ha spinto il processo quanto più in là possibile, con una tecnica fugale implicita tanto intelligente quanto quella apprezzata nelle sue opere per tastiera, udibilmente culminante nella fusione del soggetto con la sua inversione. Con nessuna altra composizione i musicisti d'archi hanno l'opportunità di tessere da soli una fuga talmente ingegnosa. L'aspetto solistico di questi pezzi è ciò che ha chiaramente stimolato l'aspirazione di Bach a nuovi picchi compositivi. Sonate, partite e suite erano tutte generi cameristici ed orchestrali diffusi nel diciottesimo secolo, e adattarle ad un singolo strumento ha determinato alcune eleganti soluzioni ed ha dato alle opere la loro voce caratteristica. Nella Quarta Suite per Violoncello Bach giustappone due approcci molto differenti alla bourrée. Nel primo, una melodia elaboratamente decorata è sufficiente per suggerire il mondo della danza cortese, stilizzata. Ma il secondo, appaiato fino al dettaglio, evoca le vere origini della bourrée, proprio come sarebbe stata suonata su uno strumento rustico. Non che tutti questi movimenti siano facili da suonare. Proprio come gli attori riveriscono i ruoli del grande Shakespeare, è sempre stato motivo di grande orgoglio per i musicisti il fatto che questi lavori richiedano una tecnica matura ed un'eccezionale resistenza. Il grande violoncellista catalano Pablo Casals non si vergognava di ammettere che «per dodici anni li ho studiati e ci ho
lavorato sopra ogni giorno, e solo all'età di venticinque anni ho avuto il coraggio di suonarne uno in pubblico». Dovettero passare altri trentacinque anni prima che egli si sentisse pronto a registrarli. Queste registrazioni profondamente personali, effettuate tra il 1936 ed il 1939, avrebbero influenzate generazioni di violoncellisti. Essa ha anche rappresentato un importante precedente. Era ora possibile scoprire la propria anima in Bach. E, cosa più importante, andava bene fare ciò in uno studio di registrazione. Ma con l'avvento del movimento filologico, vi furono musicisti via via sempre più giovani disposti a registrare queste opere, ed in modo intrigante le loro reazioni alla musica divennero sempre più personali. Pareva anche esservi una convenzione non scritta per cui i musicisti dovevano esprimere le loro sensazioni nei confronti della musica nelle note accompagnatorie del libretto. Ma non aspettatevi grandi rivelazioni. Solo due musicisti hanno qualcosa di sostanziale da dire su questa musica. Yo-Yo Ma va parecchio più avanti di chiunque altro. Ogni segmento del suo film in sei puntate Inspired by Bach riesce a scoprire l'essenza musicale di ciascuna suite. Collaborando con artisti così diversi tra loro come i pattinatori Torvill e Dean ed il regista Francois Girard, il team esplorano nuovi modi di esprimere ciò con un altro mezzo artistico. Anche Anner Blysma crede che la musica sia una sorgente di ispirazione perennemente rinnovabile, ma per lui il motivo è che lo spartito è una 'tabula rasa' espressiva. Dato che i dettagli del fraseggio e dell'articolazione sono andati perduti con lo spartito autografo di Bach, gli interpreti delle suite saranno perennemente sfidati a trovare nuovi modi di eseguirle. Ma essi non hanno mai bisogno di sentirsi completamente soli. Perché il sommo paradosso di questi assoli è che, al loro cuore, essi sono davvero un duetto con un partner silenzioso. Come dice Blysma: «chiunque accetta la sfida di suonare un'opera di Bach, gioca a scacchi con un maestro un maestro la cui abilità è dieci volte superiore di quella del musicista».
lavorato sopra ogni giorno, e solo all'età di venticinque anni ho avuto il coraggio di suonarne uno in pubblico». Dovettero passare altri trentacinque anni prima che egli si sentisse pronto a registrarli. Queste registrazioni profondamente personali, effettuate tra il 1936 ed il 1939, avrebbero influenzate generazioni di violoncellisti. Essa ha anche rappresentato un importante precedente. Era ora possibile scoprire la propria anima in Bach. E, cosa più importante, andava bene fare ciò in uno studio di registrazione. Ma con l'avvento del movimento filologico, vi furono musicisti via via sempre più giovani disposti a registrare queste opere, ed in modo intrigante le loro reazioni alla musica divennero sempre più personali. Pareva anche esservi una convenzione non scritta per cui i musicisti dovevano esprimere le loro sensazioni nei confronti della musica nelle note accompagnatorie del libretto. Ma non aspettatevi grandi rivelazioni. Solo due musicisti hanno qualcosa di sostanziale da dire su questa musica. Yo-Yo Ma va parecchio più avanti di chiunque altro. Ogni segmento del suo film in sei puntate Inspired by Bach riesce a scoprire l'essenza musicale di ciascuna suite. Collaborando con artisti così diversi tra loro come i pattinatori Torvill e Dean ed il regista Francois Girard, il team esplorano nuovi modi di esprimere ciò con un altro mezzo artistico. Anche Anner Blysma crede che la musica sia una sorgente di ispirazione perennemente rinnovabile, ma per lui il motivo è che lo spartito è una 'tabula rasa' espressiva. Dato che i dettagli del fraseggio e dell'articolazione sono andati perduti con lo spartito autografo di Bach, gli interpreti delle suite saranno perennemente sfidati a trovare nuovi modi di eseguirle. Ma essi non hanno mai bisogno di sentirsi completamente soli. Perché il sommo paradosso di questi assoli è che, al loro cuore, essi sono davvero un duetto con un partner silenzioso. Come dice Blysma: «chiunque accetta la sfida di suonare un'opera di Bach, gioca a scacchi con un maestro un maestro la cui abilità è dieci volte superiore di quella del musicista».
di Simon Heighes (Gramophone), tratto da "Orfeo", dic.2005/gen.2006 n.96
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