Nel teatro d'opera mai soggetto ha avuto più fortuna di Don Giovanni, che dalla fonte originaria di Tirso de Molina El burlador de Sevilla del 1637. ha ispirato moltissimi musicisti nella creazione di melodrammi incentrati sulla figura del dissoluto punito. Dal Seicento al Novecento i casi sono infiniti, anche se il più emblematico resta ovvianiente il capolavoro di Mozart-Da Ponte, andato in scena a Praga il 29 ottobre 1787. In realtà solo otto anni prima - il 5 febbraio - aveva debuttato al Teatro Giustiniani di San Moisé a Venezia un altro Don Giovanni (o sia Il convitato di pietra) al quale Mozart e Da Ponte avrebbero prestato non poca attenzione.
Si trattava del "dramma giocoso" di Giuseppe Gazzaniga, musicista nato a Verona nel 1743 e allievo di Porpora prima a Venezia e poi a Napoli, dove aveva studiato tra gli altri anche con Piccinni. Qui era avvenuto il suo debutto nol 1768 al Teatro Nuovo con l'intermezzo Il barone di Trocchia, primo di una lunga serie di lavori teatrali, seri e buffi, che sino ai primi anni dell'Ottocento avrebbero visto Gazzaniga impegnato in una produzione di una sessantina di titoli, oltre a composizioni sacre e strumentali. Attivo spesso all'ester, come ad esempio presso le corti di Vienna, Monaco e Dresda, il musicista veronese si sarebbe assestato in patria grazie all'incarico tranquillo e remunerato di maestro di cappella, prima nella cattedrale di Urbino e, dal 1791, in quella di Crema, dove sarebbe rimasto sino alla morte, avvenuta nel 1818.
Nonostante la cospicua attività svolta in Italia, il primo effettivo riconoscimento arrivò per Gazzaniga da Vienna - alla cui corte era stato introdotto da Sacchini - con l'opera buffa Il finto cieco, rapprensentata nel 1786 su libretto nientemenoche dello stesso Da Ponte. Quindi, un anno prima dei rispettivi Don Giovanni, i due artisti avevano avuto modo di conoscersi e di lavorare insieme. E nonostante Da Ponte, notoriarriente non generoso nei giudizi, nelle sue Memorie facesse rientrare Gazzaniga tra i "minori" di fine secolo, definendolo "compositore di qualche merito ma d'un stile non più moderno", il suo Don Giovanni non doveva essergli rimasto indifferente. Così pure il libretto di Giovanni Bertati - di lì a poco fortunato autore del Matrimonio segreto di Cimarosa -, nonostante, sempre nelle Memorie, l'avesse liquidato con un commento sbrigativamente sprezzante ("Non era nato poeta e no sapeva l'italiano").
Si trattava del "dramma giocoso" di Giuseppe Gazzaniga, musicista nato a Verona nel 1743 e allievo di Porpora prima a Venezia e poi a Napoli, dove aveva studiato tra gli altri anche con Piccinni. Qui era avvenuto il suo debutto nol 1768 al Teatro Nuovo con l'intermezzo Il barone di Trocchia, primo di una lunga serie di lavori teatrali, seri e buffi, che sino ai primi anni dell'Ottocento avrebbero visto Gazzaniga impegnato in una produzione di una sessantina di titoli, oltre a composizioni sacre e strumentali. Attivo spesso all'ester, come ad esempio presso le corti di Vienna, Monaco e Dresda, il musicista veronese si sarebbe assestato in patria grazie all'incarico tranquillo e remunerato di maestro di cappella, prima nella cattedrale di Urbino e, dal 1791, in quella di Crema, dove sarebbe rimasto sino alla morte, avvenuta nel 1818.
Nonostante la cospicua attività svolta in Italia, il primo effettivo riconoscimento arrivò per Gazzaniga da Vienna - alla cui corte era stato introdotto da Sacchini - con l'opera buffa Il finto cieco, rapprensentata nel 1786 su libretto nientemenoche dello stesso Da Ponte. Quindi, un anno prima dei rispettivi Don Giovanni, i due artisti avevano avuto modo di conoscersi e di lavorare insieme. E nonostante Da Ponte, notoriarriente non generoso nei giudizi, nelle sue Memorie facesse rientrare Gazzaniga tra i "minori" di fine secolo, definendolo "compositore di qualche merito ma d'un stile non più moderno", il suo Don Giovanni non doveva essergli rimasto indifferente. Così pure il libretto di Giovanni Bertati - di lì a poco fortunato autore del Matrimonio segreto di Cimarosa -, nonostante, sempre nelle Memorie, l'avesse liquidato con un commento sbrigativamente sprezzante ("Non era nato poeta e no sapeva l'italiano").
Sta di fatto che tutta la struttura dell'atto unico i Gazzanga, nato ome "capriccio drammatico" a completamento di uno spettacolo organizzato per il carnevale veneziano, preannuncia molte situazioni del più celebre Don Giovanni e proprio nella trama librettistica, visto che sul piano musicale le due opere sono praticamente inconfrontabili. Nondimeno alcune differenze alzano subito all'occhio, a cominciare dalla distribuzione dei ruoli.
Trviamo infatti denominazioni diverse per certi personaggi, come nel caso di Pasquariello per Leporello, di Maturina per Zerlina, di Biagio per Masetto. Soprattutto, però, compaiono due nuove figure, Donna Ximena - terza amante nobile di Don Giovanni, in aggiunta alle già note Anna ed Elvira - e Lanterna, altro servitore a fianco di Pasquariello. A ben guardare si tratta comunque di figure di contorno, risolte più in sede di recitativo che di pagina musicale, come avviene d'altronde anche per Donna Anna, la quale scompare dalla storia dopo l'uccisione del Commendatore. E' questa scena iniziale a svelare affinità immediate con l'opera mozartiana, dal monologo sbuffante di Pasquariello (che anticipa perfettamente il "Notte e giorno faticar" di Leporello) al terzetto seguente, per arrivare allo scontro Don Giovanni-Commendatore e persino al successivo recitativo, dal quale Da Ponte sembra aver attinto a piene mani. La scena tra Anna e Ottavio (qui "Duca" al posto di "Don") presenta simili analogie, anche se il racconto del tentato oltraggio della donna da parte di Don Giovanni troverà in Mozart più ampio e drammatico sviluppo nel grandioso recitativo che introduce "Or sai chi l'onore". Se, come si è detto, Donna Ximena resta personaggio non contemplato da Da Ponte (anche se in Bertati viene ad occupare il posto lasciato vacante da Donna Anna per l'adeguato equilibrio degli insiemi), Donna Elvira prelude senz'altro a quella mozartiana, seppure con un'animosità meno spiccata e furente. Si presenta comunque come il ruolo femminile più definito, sia psicologicamente che musicalmente, scoprendo un lato addirittura colorito nel pittoresco duettino con Maturina, in cui le pungenti schermaglie tra le due contendenti del seduttore rievocano quelle di Susanna e Marcellina nelle Nozze di Figaro (di un anno prima) e anticipano esempi illustri, dai battibecchi di Carolina ed Elisetta nel Matrimonio segreto sino alle baruffe di Fiorilla e Zaida nel Turco in Italia di Rossini. Ancor prima, però, ci imbattiamo nel caso più eclatante di "plagio" e cioé nella "lista -catalogo" di Pasquariello, che solo la maestria mozartiana saprà trasformare in pagina affatto diversa da questa, similissima invece nel testo. Lo stesso dicasi anche per quanto riguarda la coppia contadina dei promessi sposi, per la quale le situazioni si ripetono, seppure con un paio di ceffoni in più al recalcitrante Biagio e con un "Là ci darem la mano" in meno per Maturina. Questa si aggiudica in compenso un'aria, "Se pur degna voi mi fate", alla cui conclusione il suo appartarsi in casa insieme a Don Giovanni fa supporre che - diversamente da Mozart - il fattaccio tra i due si compia. Ma ancora molti sono gli episodi ripresi fedelmente da Da Ponte (che per altro avrebbe rielaborato anni dopo il testo di Bertati e la partitura di Gazzaniga in forma di "pasticcio" per una fortunata rappresentazione londinese): dalla celebre scena dell'invito a cena rivolto alla statua del Commendatore alla cena stessa, in cui a servire è in questo caso il valletto Lanterna, mentre Pasquariello siede a tavola con il padrone. Come in Mozart è questa la scena più grandiosa, anche se ben lontana dagli effetti apocalittici e incommensurabili del Salisburghese. Vi figurano ugualmente un breve concertino strumentale e un finale di identico svolgimento, con tanto di sprofondamento di Don Giovanni agli Inferi, mentre d'occasione sono i brindisi che il signore e il servo fanno opportunisticaniente a Venezia e alle sue donne, collegando di conseguenza non solo l'opera alla città destinata alla rappresentazione ma anche la figura del gaudente spagnolo a quella del nostro Casanova. E il clima carnascialesco della Serenissinia si esprime dichiaratamente nel finale, in cui tutti i personaggi si lanciano in una festosa tarantella, punteggiata - con un gusto che dall'opera buffa napoletana sembra spingersi sino a Rossini - dai suoni onomatopcici della chitarra del Duca Ottavio ("Tran, tran trinchete, trinchete trà"), del contrabbasso di Lanterna ("Flon, flon, flon") e del fagotto di Pasquariello ("Pu, pu, pu").
Sul piano nuisicale, come si è detto, i confronti con il capolavoro mozartiano non sono azzardabili, visto che, oltre alla confezione più concisa e occasionale, l'opera di Gazzaniga non rivela un approfondiniento psicologico dei personaggi (in questo anche Bertati non è Da Ponte), nè la capacità di creare atmosfere di autentica suggestione drammatica. Infatti le scene cardine in cui è coinvolto il Commendatore (sia come padre di Donna Anna che come convitato di pietra) non sfiorano mai il tragico e solo debolmente increspano l'aria brillante e festosa che pervade tutta l'opera.
Nondimeno la fattura delle arie - spesso con strumento obbligato - è pregevole, anche se fedele alle convenzioni dell'opera settecentesca e raramente spinta a una scrittura vocale elaborata, salvo il caso di quella di Donna Elvira "Sposa più a voi non sono", in cui la voce è impegnata su un'ampia estensione e in passaggi fioriti. E, quanto a vocalità la più evidente differenza con l'opera mozartiana emerge proprio nella scelta timbrica del protagonista, che in Gazzaniga è tenore e non basso-baritono, tale da contrapporsi quindi all'altro nobile della storia (il Duca Ottavio) e non al servo, come avverrà con Leporello, complice negli scambi di persona grazie proprio allo stesso colore vocale del padrone. La voce chiara scelta da Gazzaniga delinea così un Don Giovanni forse più giovanile e incipriato, ma a cui manca - rispetto a quello di Mozart - la sottile ombrosità diabolica e sansuale, fondamentale all'immagine autentica dell'infernale libertino.
di Davide Annachini (Nuova Era , (p) 1999)
Sul piano nuisicale, come si è detto, i confronti con il capolavoro mozartiano non sono azzardabili, visto che, oltre alla confezione più concisa e occasionale, l'opera di Gazzaniga non rivela un approfondiniento psicologico dei personaggi (in questo anche Bertati non è Da Ponte), nè la capacità di creare atmosfere di autentica suggestione drammatica. Infatti le scene cardine in cui è coinvolto il Commendatore (sia come padre di Donna Anna che come convitato di pietra) non sfiorano mai il tragico e solo debolmente increspano l'aria brillante e festosa che pervade tutta l'opera.
Nondimeno la fattura delle arie - spesso con strumento obbligato - è pregevole, anche se fedele alle convenzioni dell'opera settecentesca e raramente spinta a una scrittura vocale elaborata, salvo il caso di quella di Donna Elvira "Sposa più a voi non sono", in cui la voce è impegnata su un'ampia estensione e in passaggi fioriti. E, quanto a vocalità la più evidente differenza con l'opera mozartiana emerge proprio nella scelta timbrica del protagonista, che in Gazzaniga è tenore e non basso-baritono, tale da contrapporsi quindi all'altro nobile della storia (il Duca Ottavio) e non al servo, come avverrà con Leporello, complice negli scambi di persona grazie proprio allo stesso colore vocale del padrone. La voce chiara scelta da Gazzaniga delinea così un Don Giovanni forse più giovanile e incipriato, ma a cui manca - rispetto a quello di Mozart - la sottile ombrosità diabolica e sansuale, fondamentale all'immagine autentica dell'infernale libertino.
1 commento:
Keep up the good work.
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