Omeopatia musicale: pillole per attenuare il male dell'insensibilità culturale dilagante.
Curarsi con la musica senza necessariamente ricorrere al suono...

sabato, marzo 10, 2007

Salvatore Sciarrino: Vanitas (1981)

E' una parola, vanità, che usiamo abitualmente. Eppure ne abbiamo perduto il senso. A stento la riconosciamo come la stessa parola dell'antico Ecclesiaste. E il dizionario latino, al quale non abbiamo più consuetudine, ci sorprende: Vanitas vuol dire vuoto.
Con la stessa parola si è definito un genere di pittura dall'ntensa carica allegorica. Tale genere, che conobbe la sua estate nel secolo XVII, suggeriva lo scorrere del tempo e la caducità delle cose. In Italia diciamo anche natura morte. Vanitas inaugurò nel dicembre 1981 la stagione alla Piccola Scala di Milano. Sebbene discosti dalla comune cognizone musicale e teatrale, venne presentata come una normale opera, e con tutti gli apparati affidata all'opulenza registica. Ma paradossalmente Vanitas è un Lied. Ne possiede l'intima espressività, ne contiene le stilizzazioni e le movenze. Come nei sogni, però, le proporzioni non sono le stesse.
Nella nostra tradizione un Lied per canto e pianoforte è piccola cosa. Pur nel nitore che tutto rispecchia dell'universo, le dimensioni scelte da un Lied lo assimilano a un foglio d'album. Vanitas è dunque un Lied di proporzioni mai udite. Si dilatano le maglie del tempo. Allora la musica s'apre spontaneamente ad accogliere sottolineature ambientali. Ecco perchè Vanitas nacque come ipotesi di teatro povero. Infatti nella dilatazione allucinatoria del tempo la musica viene così spazializzata da non sopportare altra messa in scena che la propria nudità.
Il senso di "natura morta" si è fatto interno alla musica stessa, insito negli echi della realtà sonora che essa raccoglie. Oggi possediamo una conoscenza più analitica della realtà. E siamo coscienti che la realtà non esiste se non nella nostra percezione e nei modi di rappresentarla. In virtù di questo possono affiorare nella superficie illusoria dei suoni alcuni ricordi: i grilli della sera, il ticchettio di una vecchia pendola, il rompersi dei vetri, il flauto lontano e altro: tutte cose che il tempo ha già fatto sparire.
Vanitas gravita nel vuoto, non solo per la rarefazione della sua musica, quanto perchè il concetto di vuoto vi è, per così dire, rispecchiato nella realizzazione dei particolari.
La presenza del pianoforte come strumento di accompagnamento, sfoca quel tanto l'atmosfera da proiettarla, lievemente appannata, in un liederismo lontano. Tuttavia è un pianoforte ricco di invenzioni tecniche e timbriche. Sottili fino a sottrarre talvolta il suono protagonista e allontanarlo, suscitando in primo piano un vuoto psicologico, come se "un altro" pianoforte suonasse "di là". Nel silenzio, poi, emergono le risonanze artificiali; e s'intuisce la dimensione dei grandi spazi, inabitati; un vuoto infinitamente echeggiante, dove fluttuano la voce e il suo doppio vibrante, il violoncello: fantasmi lirici d'un usignolo. Le canzoni, sul piano della musica, rappresentano un po' l'equivalente dei fiori: belle sì, ma effimere. Mai potà la musica colta,con la sua pretesa di universalità, dare il senso di morte che una composizione leggera trasuda. Con modi garbati, nella sua massima stilizzazione, questa si offre, non ha pretese; ma di fronte all'eternità proclamata da un'ingannevole sinfonia, la canzone coglie un istante che smaschera la fragilità dell'uomo. In mezzo ai ricordi più abbandonati, più peduti, ciascuno di noi ha qualche canzone che, proprio perchè così legata a un certo periodo del passato, rappresenta il concentrato della nostalgia. Immaginate allora una musica dal tessuto largo al punto da lasciare trasparire un'altra musica: questa è Vanitas, una gigantesca anamorfosi di una vecchia canzone, della quale conserva in modo misterioso il profumo.


Salvatore Sciarrino (1981)

1 commento:

gabriele ha detto...

sciarrino è il più grande autore italiano del xx secolo! tutte le sue opere sono fantastiche, affascinanti e illuminanti. un genio!