Nell'ottobre del 1990 si è spento il direttore d'orchestra, compositore, pianista e acuto-sensibile pensatore musicale Leonard Bernstein. La sua vita è stata così esuberante come il suo modo di far musica. Se si pensa a tutte le sue attività, animate sempre da una grande gioia di vivere, si può dire che Bernstein assomigliasse a una candela dalle energie vulcaniche accesa alle due estremità che irradiava un ottimismo artistico in ogni settore della società moderna. Tutti provavano rispetto per Bernstein, tutti lo amavano: i fautori della musica filosofica di Mahler, gli appassionati di Beethoven, i fan del musical, gli ebrei, i cristiani, i melomani di tutto il mondo, i giovani e i vecchi, i direttori d'orchestra all'inizio della carriera, i vecchi maestri della bacchetta, leali abbastanza da riconoscere in Bernstein il rappresentante di una nuova, altamente creativa generazione, gli strumentisti cui diede la sua assistenza, i cantanti che da lui poterono trarre ispirazione, e i tecnici dei suono che hanno contribuito a conservare nel tempo la sua eredità musicale. Per non dimenticare i milioni di persone cui egli parlò attraverso la televisione nel corso di inconfondibili, poco ortodosse, fantasiose lezioni ad Harvard nel 1973. Quelle trasmissioni divennero l'esempio classico di come l'epoca della videocultura non debba necessariamente formare il tipo del "vidiota", ma che possa almeno parzialmente - contribuire ad impedirlo. Allo stesso tempo, però, Bernstein era consapevole che il suo spirito universale si esprimeva in un mondo carico di aggressività e di stoltezza. La sua magistrale sinfonia "The Age of Anxiety" è la prova che in lui era ben salda la coscienza del pericolo, e al di là del podio, della scrivania, della sala concertistica e del pianoforte, egli si occupò anche dell'individuo ingiustamente perseguitato.
Bernstein è sempre stato un antesignano. In un'epoca di rigido schematismo intellettuale, con la semplice frase che non esiste una musica "leggera o seria", ma solo musica "buona o cattiva", egli infranse tutte quelle categorie grossolane fissate dagli ideologi culturali. Quando pochi parlavano di Mahler e ancora meno lo eseguivano, Bernstein scoprì i valori essenziali di questa figura bifronte di fine secolo e nel 1967 presentò al pubblico il suo saggio: "Gustav Mahler - il suo tempo è arrivato". In esso Bernstein scrisse di una "figura colossale a cavallo della magica data '1900'. Egli è là, con il piede sinistro (più vicino al cuore!) saldamente radicato nel ricco, amato diciannovesimo secolo, il destro, un po' meno stabile, che cerca un appoggio sicuro nel ventesimo secolo. Alcuni sono dell'opinione che egli non abbia mai trovato questo appoggio; altri (e io sono d'accordo con loro) continuano a dire che la musica del ventesimo secolo non sarebbe mai diventata come noi la conosciamo se questo piede destro non avesse toccato il terreno con un tonfo imperioso". E dopo un confronto fra Mahler, Strauss, Sibelius e Schönberg, Bernstein arriva alla conclusione: "Soltanto Mahler rimase teso fra i secoli; il suo destino fu di riassumere, di imballare e di accompagnare nell'uttimo viaggio quel fantastico tesoro che era la musica tedesco-austriaca da Bach a Wagner." Bernstein non si limitò a riflessioni cronologiche. Come mente acutamente analitica tesa all'essenza delle cose (senza perdersi mai in un arido intellettualismo), egli vide la psiche dell'uomo Mahler come fonte dalla quale tutto aveva origine: in fondo tutta la musica di Mahler tratta di Mahler - il che significa semplicemente che tratta di conflitti. Pensate: Mahler il creatore contro Mahler l'esecutore; l'ebreo contro il cristiano; il credente contro lo scettico; l'ingenuo contro il sofisticato; il boemo provinciale contro l'homme du monde viennese; il filosofo faustiano contro il mistico orientale; il sinfonista operistico che non scrisse mai un melodramma. Ma la battaglia infuria soprattutto fra l'uomo occidentale a cavallo fra i secoli e la vita dello spirito. Da questa contrapposizione nasce l'infinita lista delle antitesi - l'intero elenco Yan e Yin - che vive nella musica di Mahler". E' partendo da questa cognizione che Bernstein tratteggia il "suo" Mahler sul podio - basta già ascoltare come Bernstein interpreta il folle, addirittura grottesco mutamento di atmosfera nella marcia funebre della Prima Sinfonia!
Non si può negare che Bernstein e Mahler presentino molti punti in comune ma anche altrettante diversità. Mahler e Bernstein tesero ad armonizzare i contrasti, e proprio attraverso questa ricerca venne alla luce per entrambi quella verità artistica che deriva dal mettere a nudo i propri conflitti interiori; d'altra parte non si può ignorare che Bernstein sia riuscito a far tesoro del dono di appartenere a una generazione successiva, e di aver lasciato agire nella sua opera creativa e ri-creativa quel distacco partecipe che possiamo definire come "controllo dell'impulso creativo". Quell'esitazione che Mahler, alla fine di un'epoca, non può non aver provato, Bernstein non l'ha mai conosciuta. Mahler era il morboso, veemente, intellettuale arrangiatore delle sue visioni tonati; Bernstein il non meno furioso, altamente intelligente, sano polimusico di un'epoca nella quale non si dibatte di meno, ma in cui si agisce anche in modo più regolatore. Ed è questa la ragione per cui nelle opere di Bernstein le categorie non sono - per citare 'Leonce e Lena" di Georg Büchner «nella più miserevole confusione". La focosità di Leonard Bernstein si è realizzata in maniera monolitica, non dualistica.
Al di là di tutto questo, non va dimenticato che Bernstein era anche un pianista di grande valore, che nelle sue esperienze in questo campo non si lasciava corrompere. Quando si sedeva al pianoforte, lo faceva per far musica e non per presentare un ego. Il suo Concerto in sol maggiore di Ravel e il suo Secondo Concerto di Sciostakovic, ad esempio, rivelano la musica in un modo obiettivo che merita rispetto ancora oggi, dopo circa tre decenni. Anche al pianoforte Bernstein non era uno specialista, ma un artista attento alla totalità del fatto musicale. Egli non fece lo stesso errore di almeno due musicisti ancora oggi viventi della generazione di mezzo, quello cioè di voler essere pianista e direttore con le stesse aspettative: non c'è riuscito in questo senso neanche un Bülow (anche se allora non si notava tanto). Il pianoforte era per Bernstein il mezzo con cui poter dimostrare in modo qualificato e in dimensioni più contenute quanto egli voleva dimostrare. Quando era a Harvard e parlava di fonetica e sintassi musicale, di semantica musicale, delle croci e delizie del doppio senso (musicale), della crisi del XX secolo e della poesia della terra - se era necessario, allora andava al pianoforte e illustrava quello per cui la parola non bastava. Ed era perfetto ogni passaggio, ogni successione armonica, ogni dimostrazione di un fatto dinamico.
Ma c'erano anche altre occasioni nelle quali Bernstein si sedeva al pianoforte: l'accompagnamento del Lied, una parte importante della sua attività musicale. In questo il direttore Bernstein ha seguito le orme dei grandi, più vecchi colleghi Bruno Walter e Wilhelm Furtwängler. E si è avventurato su un terreno che "a rigore" non potrebbe funzionare al pianoforte, e cioè i Lieder di Gustav Mahler.
Bernstein accompagnatore non era un sismografo, non tentava di trarre da 88 tasti quello che soltanto 88 archi e fiati potrebbero produrre. Bernstein non era un folle che voleva cavare da uno strumento a tastiera quell'inconfondibile colore che deriva da un impasto sonoro. Egli sapeva che il compito di un pianista che accompagna i Lieder mahleriani non consiste tanto in una riproduzione ermeneutica quanto in una guida vigile della voce umana, alla quale si richiede la rappresentazione significativa dell'espressione. Qui, più che etere sonoro è necessaria intelligenza spirituale - e questa Bernstein la possedeva oltremisura. E ciò rientra in quei presupposti che costituiscono la differenza fra i Lieder di Mahler e quelli del coetaneo Hugo Wolf.
Il Lied mahleriano non è concepito mirando all'equilibrio fra voce e strumento. Esso continua quella linea, forse poco nota all'ascoltatore moderno, di Robert Franz (1815-1892) e Theodor Kirchner (1823-1903). Quello che tuttavia distingue Mahler dai due compositori tedeschi è il messaggio dei testi scelti, i quali in Mahler, non di rado sotto l'apparenza della semplice melodia popolare, diventano valori psicologici universali. Diversamente in Hugo Wolf. nei suoi Lieder la voce canora e lo strumento a tastiera sono legati l'una all'altro come i denti di un ingranaggio. I problemi pianistici sono più complessi; Wolf ha seguito in questo la linea di Schubert, Schumann e Liszt.
I Lieder di Mahler hanno però anche un'altra caratteristica: sono da considerare come le cellule germinali delle sue opere sinfoniche. Non a caso egli ne ha approntate molte in due versioni (con accompagnamento pianistico e orchestrale). E al pianoforte che spesso si svilupparono per Mahler le idee melodiche (non armoniche) fondamentali che dovevano determinare successivamente le sue sinfonie, Nei Lieder di Mahler viene a svilupparsi cioè, se si considera l'opera totale del compositore, una combinazione tanto rara quanto interessante: la melodia del Lied quale germe della sinfonia, cioè la miniatura quale pietra da costruzione di strutture gigantesche. L'elemento liederistico definisce in Mahler l'opera orchestrale, è stato da questa per così dire inglobato senza in essa scomparire, Nella scelta dei testi - quando non ne scrisse di propri, come nel caso dei "Lieder eines fahrenden Gesellen" (Canti di un viandante) Mahler attinse all'anonima poesia popolare romantica. Essa si manifesta nel ciclo di Lieder "Des Knaben Wunderhorn" (Il corno magico del fanciullo). In questa raccolta di poesie, che riflette nella maniera più lineare le condizioni esistenziali elementari, Mahler ritrovò alcuni dei propri desideri più ingenui. In essa egli vide anticipato ciò che doveva segnare le sue sinfonie: la contraddizione fra felicità e anelito, paura e amore per la natura, struggimento e visioni.
Una seconda fonte per i suoi testi Mahler la trovò nel poeta tedesco Friedrich Rückert (1788-1866), il quale - cosa che oggi viene quasi sempre dimenticata - era di professione professore di lingue orientali e traduttore di poesie indiane, arabe e persiane. Il realismo psicologico di Rückert stimolò Mahler soltanto nel periodo tardo della sua vita, quando il compositore era già più avanti sulla strada dell'autocoscienza e dell'esperienza esistenziale.
I Lieder di Mahler furono creati fra il 1880 circa e il 1904, quindi in un periodo di soli due decenni e mezzo circa. Essi sboccano nel ciclo, dall'impianto sinfonico, di sei canti per orchestra "Das Lied von der Erde" (Il canto della terra). Anche qui viene ad evidenziarsi quale trasformazione abbia subito in Mahler il genere del Lied. Lo studio intenso del Lied e il suo inserimento nelle sinfonie è significativo anche per la riflessione programmatica che è alla base delle partiture mahleriane, le quali proprio per questo non possono essere considerate musica assoluta. Il fatto che gli appunti dello stesso Mahler sul tema confermino una tale osservazione è senz'altro l'argomento decisivo.
Se si scindono i Lieder di Mahler dal loro contesto spesso ingannevolmente ingenuo e si interpreta il loro contenuto così come Mahler lo ha concepito, essi diventano attraverso la specificità della loro forma musicale dei precursori della musica moderna, o, come s i è espresso Leonard Bemstein: la musica di Mahler "nella predizione ha riversato su questo mondo scrosci di bellezza che non hanno mai più avuto eguali."
Nei testi dei Lieder di Mahler si rispecchiano in gran parte quelle gioie e paure umane che nessun altro musicista dei nostri tempi ha saputo formulare in modo altrettanto esplicito quanto Leonard Bernstein. Sì, perché l'artista che accompagna in questa registrazione Dietrich Fischer-Dieskau, Christa Ludwig e Walter Berry ha messo a frutto la sua autorità e competenza per trasmetterci un messaggio non soltanto della musica, ma anche della parola parlata e scritta, un messaggio politico il cui significato ammonitore è derivato non da ultimo anche dal suo impegno con le opere di Gustav Mahler.
Bernstein è sempre stato un antesignano. In un'epoca di rigido schematismo intellettuale, con la semplice frase che non esiste una musica "leggera o seria", ma solo musica "buona o cattiva", egli infranse tutte quelle categorie grossolane fissate dagli ideologi culturali. Quando pochi parlavano di Mahler e ancora meno lo eseguivano, Bernstein scoprì i valori essenziali di questa figura bifronte di fine secolo e nel 1967 presentò al pubblico il suo saggio: "Gustav Mahler - il suo tempo è arrivato". In esso Bernstein scrisse di una "figura colossale a cavallo della magica data '1900'. Egli è là, con il piede sinistro (più vicino al cuore!) saldamente radicato nel ricco, amato diciannovesimo secolo, il destro, un po' meno stabile, che cerca un appoggio sicuro nel ventesimo secolo. Alcuni sono dell'opinione che egli non abbia mai trovato questo appoggio; altri (e io sono d'accordo con loro) continuano a dire che la musica del ventesimo secolo non sarebbe mai diventata come noi la conosciamo se questo piede destro non avesse toccato il terreno con un tonfo imperioso". E dopo un confronto fra Mahler, Strauss, Sibelius e Schönberg, Bernstein arriva alla conclusione: "Soltanto Mahler rimase teso fra i secoli; il suo destino fu di riassumere, di imballare e di accompagnare nell'uttimo viaggio quel fantastico tesoro che era la musica tedesco-austriaca da Bach a Wagner." Bernstein non si limitò a riflessioni cronologiche. Come mente acutamente analitica tesa all'essenza delle cose (senza perdersi mai in un arido intellettualismo), egli vide la psiche dell'uomo Mahler come fonte dalla quale tutto aveva origine: in fondo tutta la musica di Mahler tratta di Mahler - il che significa semplicemente che tratta di conflitti. Pensate: Mahler il creatore contro Mahler l'esecutore; l'ebreo contro il cristiano; il credente contro lo scettico; l'ingenuo contro il sofisticato; il boemo provinciale contro l'homme du monde viennese; il filosofo faustiano contro il mistico orientale; il sinfonista operistico che non scrisse mai un melodramma. Ma la battaglia infuria soprattutto fra l'uomo occidentale a cavallo fra i secoli e la vita dello spirito. Da questa contrapposizione nasce l'infinita lista delle antitesi - l'intero elenco Yan e Yin - che vive nella musica di Mahler". E' partendo da questa cognizione che Bernstein tratteggia il "suo" Mahler sul podio - basta già ascoltare come Bernstein interpreta il folle, addirittura grottesco mutamento di atmosfera nella marcia funebre della Prima Sinfonia!
Non si può negare che Bernstein e Mahler presentino molti punti in comune ma anche altrettante diversità. Mahler e Bernstein tesero ad armonizzare i contrasti, e proprio attraverso questa ricerca venne alla luce per entrambi quella verità artistica che deriva dal mettere a nudo i propri conflitti interiori; d'altra parte non si può ignorare che Bernstein sia riuscito a far tesoro del dono di appartenere a una generazione successiva, e di aver lasciato agire nella sua opera creativa e ri-creativa quel distacco partecipe che possiamo definire come "controllo dell'impulso creativo". Quell'esitazione che Mahler, alla fine di un'epoca, non può non aver provato, Bernstein non l'ha mai conosciuta. Mahler era il morboso, veemente, intellettuale arrangiatore delle sue visioni tonati; Bernstein il non meno furioso, altamente intelligente, sano polimusico di un'epoca nella quale non si dibatte di meno, ma in cui si agisce anche in modo più regolatore. Ed è questa la ragione per cui nelle opere di Bernstein le categorie non sono - per citare 'Leonce e Lena" di Georg Büchner «nella più miserevole confusione". La focosità di Leonard Bernstein si è realizzata in maniera monolitica, non dualistica.
Al di là di tutto questo, non va dimenticato che Bernstein era anche un pianista di grande valore, che nelle sue esperienze in questo campo non si lasciava corrompere. Quando si sedeva al pianoforte, lo faceva per far musica e non per presentare un ego. Il suo Concerto in sol maggiore di Ravel e il suo Secondo Concerto di Sciostakovic, ad esempio, rivelano la musica in un modo obiettivo che merita rispetto ancora oggi, dopo circa tre decenni. Anche al pianoforte Bernstein non era uno specialista, ma un artista attento alla totalità del fatto musicale. Egli non fece lo stesso errore di almeno due musicisti ancora oggi viventi della generazione di mezzo, quello cioè di voler essere pianista e direttore con le stesse aspettative: non c'è riuscito in questo senso neanche un Bülow (anche se allora non si notava tanto). Il pianoforte era per Bernstein il mezzo con cui poter dimostrare in modo qualificato e in dimensioni più contenute quanto egli voleva dimostrare. Quando era a Harvard e parlava di fonetica e sintassi musicale, di semantica musicale, delle croci e delizie del doppio senso (musicale), della crisi del XX secolo e della poesia della terra - se era necessario, allora andava al pianoforte e illustrava quello per cui la parola non bastava. Ed era perfetto ogni passaggio, ogni successione armonica, ogni dimostrazione di un fatto dinamico.
Ma c'erano anche altre occasioni nelle quali Bernstein si sedeva al pianoforte: l'accompagnamento del Lied, una parte importante della sua attività musicale. In questo il direttore Bernstein ha seguito le orme dei grandi, più vecchi colleghi Bruno Walter e Wilhelm Furtwängler. E si è avventurato su un terreno che "a rigore" non potrebbe funzionare al pianoforte, e cioè i Lieder di Gustav Mahler.
Bernstein accompagnatore non era un sismografo, non tentava di trarre da 88 tasti quello che soltanto 88 archi e fiati potrebbero produrre. Bernstein non era un folle che voleva cavare da uno strumento a tastiera quell'inconfondibile colore che deriva da un impasto sonoro. Egli sapeva che il compito di un pianista che accompagna i Lieder mahleriani non consiste tanto in una riproduzione ermeneutica quanto in una guida vigile della voce umana, alla quale si richiede la rappresentazione significativa dell'espressione. Qui, più che etere sonoro è necessaria intelligenza spirituale - e questa Bernstein la possedeva oltremisura. E ciò rientra in quei presupposti che costituiscono la differenza fra i Lieder di Mahler e quelli del coetaneo Hugo Wolf.
Il Lied mahleriano non è concepito mirando all'equilibrio fra voce e strumento. Esso continua quella linea, forse poco nota all'ascoltatore moderno, di Robert Franz (1815-1892) e Theodor Kirchner (1823-1903). Quello che tuttavia distingue Mahler dai due compositori tedeschi è il messaggio dei testi scelti, i quali in Mahler, non di rado sotto l'apparenza della semplice melodia popolare, diventano valori psicologici universali. Diversamente in Hugo Wolf. nei suoi Lieder la voce canora e lo strumento a tastiera sono legati l'una all'altro come i denti di un ingranaggio. I problemi pianistici sono più complessi; Wolf ha seguito in questo la linea di Schubert, Schumann e Liszt.
I Lieder di Mahler hanno però anche un'altra caratteristica: sono da considerare come le cellule germinali delle sue opere sinfoniche. Non a caso egli ne ha approntate molte in due versioni (con accompagnamento pianistico e orchestrale). E al pianoforte che spesso si svilupparono per Mahler le idee melodiche (non armoniche) fondamentali che dovevano determinare successivamente le sue sinfonie, Nei Lieder di Mahler viene a svilupparsi cioè, se si considera l'opera totale del compositore, una combinazione tanto rara quanto interessante: la melodia del Lied quale germe della sinfonia, cioè la miniatura quale pietra da costruzione di strutture gigantesche. L'elemento liederistico definisce in Mahler l'opera orchestrale, è stato da questa per così dire inglobato senza in essa scomparire, Nella scelta dei testi - quando non ne scrisse di propri, come nel caso dei "Lieder eines fahrenden Gesellen" (Canti di un viandante) Mahler attinse all'anonima poesia popolare romantica. Essa si manifesta nel ciclo di Lieder "Des Knaben Wunderhorn" (Il corno magico del fanciullo). In questa raccolta di poesie, che riflette nella maniera più lineare le condizioni esistenziali elementari, Mahler ritrovò alcuni dei propri desideri più ingenui. In essa egli vide anticipato ciò che doveva segnare le sue sinfonie: la contraddizione fra felicità e anelito, paura e amore per la natura, struggimento e visioni.
Una seconda fonte per i suoi testi Mahler la trovò nel poeta tedesco Friedrich Rückert (1788-1866), il quale - cosa che oggi viene quasi sempre dimenticata - era di professione professore di lingue orientali e traduttore di poesie indiane, arabe e persiane. Il realismo psicologico di Rückert stimolò Mahler soltanto nel periodo tardo della sua vita, quando il compositore era già più avanti sulla strada dell'autocoscienza e dell'esperienza esistenziale.
I Lieder di Mahler furono creati fra il 1880 circa e il 1904, quindi in un periodo di soli due decenni e mezzo circa. Essi sboccano nel ciclo, dall'impianto sinfonico, di sei canti per orchestra "Das Lied von der Erde" (Il canto della terra). Anche qui viene ad evidenziarsi quale trasformazione abbia subito in Mahler il genere del Lied. Lo studio intenso del Lied e il suo inserimento nelle sinfonie è significativo anche per la riflessione programmatica che è alla base delle partiture mahleriane, le quali proprio per questo non possono essere considerate musica assoluta. Il fatto che gli appunti dello stesso Mahler sul tema confermino una tale osservazione è senz'altro l'argomento decisivo.
Se si scindono i Lieder di Mahler dal loro contesto spesso ingannevolmente ingenuo e si interpreta il loro contenuto così come Mahler lo ha concepito, essi diventano attraverso la specificità della loro forma musicale dei precursori della musica moderna, o, come s i è espresso Leonard Bemstein: la musica di Mahler "nella predizione ha riversato su questo mondo scrosci di bellezza che non hanno mai più avuto eguali."
Nei testi dei Lieder di Mahler si rispecchiano in gran parte quelle gioie e paure umane che nessun altro musicista dei nostri tempi ha saputo formulare in modo altrettanto esplicito quanto Leonard Bernstein. Sì, perché l'artista che accompagna in questa registrazione Dietrich Fischer-Dieskau, Christa Ludwig e Walter Berry ha messo a frutto la sua autorità e competenza per trasmetterci un messaggio non soltanto della musica, ma anche della parola parlata e scritta, un messaggio politico il cui significato ammonitore è derivato non da ultimo anche dal suo impegno con le opere di Gustav Mahler.
di Knut Franke (Traduzione: Mirella Noack-Rofena) - Sony (c) 1991
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