Aussee, agosto 1882: nella villa di Ladislaus Wagner, mecenate e buon dilettante di musica, ci si appresta a eseguire una novità di Johannes Brahms, il Quintetto op. 88 in fa maggiore. E' un appuntamento tra amici al quale si sono presentati con i loro strumenti il violinista Ludwig Straus, il dottor Aloys Mayer, noto avvocato viennese che suona egregiamente la viola, e il consigliere finanziario Rudolf Lutz, che è uno stimato suonatore di violoncello. Il padrone di casa terrà la parte del secondo violino, ma i quattro amici sono preoccupati perché manca all'appuntamento colui che avrebbe dovuto tenere la parte della seconda viola. In sua vece si è presentato il capitano Moritz von Keiserfeld di Graz, un ottimo violinista che si è dichiarato pronto a imbracciare la viola e leggere a prima vista la sua parte. Ad ascoltare i cinque e a descriverci la scena c'è Max Kalbeck, noto musicologo al quale dobbiamo una prima ed estesissima monografia su Brahms. Arrivò anche Brahms e i cinque si misero a suonare, ma a questo punto possiamo cedere la parola alla cronaca di Kalbeck: «Mentre i cinque suonavano Brahms andava su e giù per la stanza e brontolava cose ora divertenti ora serie con il sigaro tra i denti. In quei passi del secondo movimento che ogni volta prima dell'entrata del tempo veloce devono suonare come lunghi sospiri, egli spiegò agli strumentisti: "Questo deve suonare pieno di nostalgia; quelli tra voi che sono sposati interpreteranno meglio questi sospiri!". E al dottor Mayer disse: "Da quando ti sei dedicato alla viola, volevo darti la possibilità di metterti in luce". La prova di lettura e quella generale aumentarono talmente la soddisfazione del Maestro che egli acconsenti all'entrata del pubblico per la matinée organizzata per il 25 agosto».
Un mondo nel quale un capitano, un consigliere finanziario, un avvocato e un possidente ungherese suonino un Quintetto di Brahms così bene da soddisfare l'autore, riuscite ancora a immaginarlo?
Che razza di persone potevano essere quei dilettanti così magnificamente agguerriti? Farebbe davvero piacere saperlo, conoscere qualcosa della loro vita privata, di quel loro riuscire a conciliare così bene le esigenze di una professione con quelle della musica. Questa possibilità ci è offerta dalla lettura di questo libro in cui si susseguono le lettere che per più di trent'anni si sono scambiati Johannes Brahms e quello che vorremmo definire l'esemplare più riuscito di quel nobile dilettantismo musicale, il dottor Theodor BilIroth.
A tutti i medici, anche a quelli che non hanno confidenza con la musica di Brahms, il nome di Theodor Billroth ancor oggi dice qualcosa. Sanno infatti che un certo numero di interventi chirurgici attinenti la resezione gastrica porta il nome di quel celebre chirurgo. Nella carriera di questo grande della medicina umanesimo e scienza si coniugano con un equilibrio mirabile che noi romperemo però a favore del lato artistico, poiché il nostro scopo è quello di conoscere più da vicino la personalità musicale di quegli straordinari dilettanti dei quali lo abbiamo scelto come campione.
Theodor Billorth era nato nel 1829 (quattro anni prima di Brahms) nell'isola di Rügen, nel nord della Germania dunque, in una famiglia di solide tradizioni culturali. Cominciò molto presto a studiare la musica e riusci a diventare un eccellente pianista. Un po' a malincuore decise di diventare medico e non musicista di professione; gli piaceva però dichiarare che sarebbe riuscito a dedicarsi con uguale successo sia alla musica sia alla medicina. Dopo studi eccellenti compiuti nelle università di Göttingen e di Berlino, approdò nel 1860 a Zurigo dove era stato chiamato a occupare la cattedra di chirurgia. Furono, quelli di Zurigo, anni straordinari in cui il nostro pose le basi della sua reputazione scientifica a livello internazionale senza per questo trascurare la musica. La coltivò anzi con uno zelo e un'intelligenza straordinari diventando il primo critico musicale ufficiale del noto quotidiano «Neue Zúrcher Zeitung».
Zurigo era in quegli anni un formidabile crocevia di personaggi della cultura e dell'arte: non si era ancora spenta l'eco sollevata dalla relazione fra Richard Wagner e la famiglia Wesendonk, Francesco De Sanctis teneva le sue lezioni all'università dove insegnava anche Jakob Burckhardt e a tutto ciò veniva ad aggiungersi la brillante personalità del nostro chirurgo, che oltre a esercitare con tanta competenza la critica musicale, era l'animatore di raffinate serate concertistiche. Brahms passò nella città svizzera nel 1863 in occasione di una esecuzione della sua Serenata in re maggiore che fu puntualmente recensita da Billroth, e due anni dopo ebbe luogo il primo incontro tra il compositore e il medico‑critico.
Lo storico dell'arte Lübke, Billroth e Wesendonk (il marito di Mathilde), fecero in quell'occasione le cose in grande, organizzando un sontuoso concerto privato per la mattina dell'undici novembre 1865, nel corso del quale, oltre alla Serenata in re maggiore, si esegui il Concerto per pianoforte e orchestra op. 15. All'indomani del concerto Billroth scrisse a Brahms la prima lettera di un epistolario che sarebbe durato fino al 1894. A quell'epoca Brahms ancora non aveva deciso di stabilirsi definitivamente a Vienna ma già era seriamente in procinto di farlo. Nel 1867 Billroth venne chiamato a Vienna, per succedere al professor Schuh sulla cattedra di chirurgia e nella capitale austriaca si trovò così bene da rifiutare l'anno successivo la prestigiosa chiamata dell'università di Berlino. Nella lettera indirizzata al professor Langenbeck per spiegare le ragioni del suo rifiuto, Billroth dichiarò anche di non voler rinunciare all'amicizia che a Vienna aveva stretto con Brahms e il musicologo Eduard Hanslick. Era dunque nato un formidabile sodalizio che aveva il principale punto di riferimento nella bella casa dei grande chirurgo. Brahms, Hanslick, Kalbeck, il quartetto Hellmesberger e, qualche volta, il grande violinista Joachim si ritrovavano in quella casa per dare vita alle prime letture delle nuove opere cameristiche di Brahms. Billroth non era soltanto un generoso anfitrione, ma prendeva attivamente parte alle esecuzioni, spesso suonando la viola. Poteva capitargli perfino di essere sopraffatto dall'emozione, come lui stesso ci riferisce in una lettera del 1866: «Come iniziai a suonare mi prese un tremito così forte e una tale ansia che non fui più in grado di proseguire».
Il rapporto più straordinario con la musica di Brahms Billroth lo viveva però privatamente, davanti al pianoforte, decifrando le opere dell'amico ancora manoscritte. Brahms gli mandava, a mano a mano che li componeva, i fogli con le parti dei nuovi lavori e questo privilegio, davvero raro, toccava a lui soltanto. Neppure ad Hanslick era concesso gettare uno sguardo sulle opere ancora in gestazione. Quelle letture solitarie trovavano un prolungamento nelle lettere che il nostro medicomusicista inviava all'autore. Erano lunghe confessioni nelle quali emozioni e riflessioni scorrevano in maniera ordinata ed estrosa al tempo stesso: «Con la penna straordinariamente mi trasformo, non riuscirei per nessuna ragione a dire a voce ciò che invece dal cuore mi fluisce così facilmente nella penna».
Brahms apprezzava, naturalmente, e avvertiva l'eccezionale intelligenza e gentilezza del suo interlocutore: «Per Lei è talmente naturale fare qualcosa di speciale che non può immaginare l'effetto delle sue azioni, anzi ne rimarrebbe meravigliato». Aveva perfettamente ragione a riporre tanta fiducia nell'intelligenza e nell'acume analitico dell'amico a cui affidava le sue primizie: Billroth aveva infatti concezioni estetiche incredibilmente profonde, capaci di scalfire con critiche implacabili l'atteggiamento di solito tanto ammirato dei Musikliebhaber viennesi: «La maggior parte delle persone viene sfiorata gradevolmente dall'arte solo quando le piacevoli sensazioni che già conosce si ripetono. Arte, serenità e inerzia della fantasia e dei pensiero diventano quasi concetti affini». E' possibile immaginare una critica più severa, più intelligente e, al tempo stesso, più attuale di questa all'atteggiamento della maggior parte degli abbonati delle stagioni concertistiche?
Con il passare degli anni la confidenza tra i due crebbe fino ad arrivare al tu, come dimostra una lettera del luglio 1873: «Stanco di pensare e affarnato di sensazioni, in questi giorni mi immergo di nuovo nei tuoi Lieder. E' molto presuntuoso da parte mia, ma credo che non ci siano molti uomini in grado di penetrare questi poemi musicali come posso farlo io».
Billroth era quanto mai orgoglioso della sua amicizia con Brahms che considerava un raro privilegio e, avendo sentito dire che la casa nella quale abitava era appartenuta a un certo dottor Johann Peter Frank del quale si diceva fosse stato amico di Beethoven, fece compiere delle ricerche catastali che potessero mettere in luce il fatto. Le ricerche confermarono le supposizioni e in quella coincidenza Billroth volle leggere un po' romanticamente un segno del destino che si affrettò a comunicare all'amico: «Ciò che mi interessa maggiormente è che Johann Peter Frank e Beethoven si sono frequentati nella mia casa e che una tale amicizia siamo presuntuosi per una volta ‑ si è ripetuta tra te e me quasi cento anni dopo». Il destino lo aveva dunque sfiorato benevolmente due volte permettendogli di diventare l'amico di un grande compositore e portandolo ad abitare nella stessa casa dove Beethoven aveva, anche lui, un amico medico. Il destino disegna i suoi cerchi con la musica e li depone su un quartiere residenziale di Vienna: come metafora di quella borghese nobiltà dello spirito tanto cara a Thomas Mann non c'è male davvero!
Brahms nelle sue risposte è molto più sobrio, piuttosto che delle lettere invia all'amico delle cartoline postali in cui può capitare che annoti anche riflessioni dall'apparenza stravagante come questa del 1876: «A Vienna si può restare celibi senza problemi, invece in una piccola città un vecchio scapolo è una caricatura». Altre volte quella sobrietà si incrina lasciando intravvedere spiragli di malinconia propri di una vita solitaria, come nella lettera del maggio 1878 in cui si fa cenno a un viaggio in Italia: «Abbiamo avuto giorni stupendi e c'è stata anche una bella gita a Fiesole. E' immensamente appagante ricordare mentre sono immerso in questa calma; solo per te il ricordo ha qualcosa di più bello, quando alla sera diventa un racconto per la tua famiglia».
Brahms usa toni dimessi e perfino ironici quando parla della musica che sta componendo, la definisce sempre una piccola cosa: sentite come annuncia a Billroth l'invio della bellissima Sonata per violino e pianoforte op. 78: «Ho una sonata, della quale [il copistal può già darti i primi due movimenti... spediscimela subito, non appena l'hai letta una volta. Di più non vale la pena e oltretutto solo una tranquilla ora di pioggia serale potrebbe darle l'atmosfera necessaria».
In altre lettere Biliroth descrive la sua attività professionale: interventi chirurgici nella clinica, lezioni all'università, stesura di appunti per lezioni e trattati, visite ai pazienti privati. Possiede una straordinaria capacità di organizzazione che gli consente di non perdere neppure un minuto, e questa strategia che lui ricorda di aver praticato fin da quando era ragazzo gli consente di accudire la musica con tanta finezza, di organizzare eleganti serate musicali alle quali invita Brahms, il rettore dell'università, Hanslick, Kalbeck e qualche altro eminente musicista di passaggio a Vienna. Si fa musica, si festeggiano compleanni e anniversari, si celebrano i successi che sempre più spesso accompagnano l'apparizione delle opere nuove, e alla musica seguono cene sontuose copiosamente annaffiate dallo champagne che Brahms predilige. A seguire il racconto che attraverso queste lettere si dipana il dottor Billroth ci appare un uomo straordinariamente fortunato e felice, dotato di intelligenza, meticolosità ed equilibrio della specie più rara. Tutto gli sorride, il successo nella carriera scientifica e l'amicizia di Brahms, che illumina musicalmente la sua vita per altro già allietata da una bella famiglia. E il Brahms che pur essendo oggetto di tante cure affettuose se ne sta un po' in disparte limitandosi a inviare con le sue cartoline postali messaggi laconici e non di rado carichi di sottintesi? Il Maestro partecipa volentieri a quelle serate, anche se gli secca un po' indossare l'abito scuro, ma si ha l'impressione che sia in fondo riluttante a uscire dal ruvido guscio della sua solitudine. Può essere cordiale e buontempone ‑ più durante i viaggi in Italia e nelle serate all'osteria che non nella raffinata dimora di Billroth ‑ ma nelle sue frasi corte e dense la confidenza non è mai espressa a chiare lettere; bisogna intuirla abituandosi a cogliere il raro peso specifico di ogni parola che esce dalla bocca di quell'uomo che, a differenza di Billroth, è tutto fuorché eloquente. Si sarebbe tentati di dire che, da quel grande musicista che era, Brahms conosceva meglio di chiunque altro il valore delle pause, e confrontando le lettere dei due amici non possiamo non ammettere che se le parole di Billroth sono d'argento, i silenzi di Brahms sono d'oro.
Non tutte le attenzioni di Billroth sono di suo gradimento e quando quest'ultimo ritaglia un frammento del manoscritto del Quartetto op. 51 che aveva ricevuto in dono per collocarlo entro una cornice d'argento accanto alla foto dell'autore, si indigna. Non glielo dice, naturalmente, ma veniamo a sapere, da una lettera indirizzata ad altri, che la cosa, a lui che era un appassionato collezionista di manoscritti musicali, sembrava inconcepibile e irritante. Qualche nube incombe su quell'amicizia così radiosa, ma non bisogna stupirsi: in fondo nei rapporti umani la perfezione non esiste. La cosa più straordinaria nella storia affidata a queste lettere è il confronto intimo tra le due personalità, il loro sfiorarsi, comprendersi e volersi bene lasciando però molte cose sospese all'orizzonte. Molte cose sono dette in questo epistolario, sincere e commoventi, ma altre ancora, forse più profonde e più vere sono taciute, e la presenza di queste ultime vibra anch'essa aggiungendo a quelli espliciti altri significati che possiamo solo intravvedere. Non v'è dubbio che tra l'eloquenza di Billroth e i silenzi di Brahms esiste una profonda complementarità: le ansie dell'uno sono anche dell'altro, ma in quest'ultimo risultano in qualche modo già assorbite, e sublimate e in questa complementarità di cose dette e taciute sta la ragione profonda di quella grande amicizia.
Passano gli anni e Billroth si sente via via più stanco: «Il mio lavoro è fonte di grande gioia per me, l'unica cosa spiacevole è che mi stanca molto più di prima... Però ho goduto di molte cose belle nella vita quindi devo esserle grato e considerarmi fortunato». Come potrebbe essere diversamente se con tono segreto Brahms gli scrive: «Caro amico, ti mando un paio di piccoli pezzi per pianoforte ma ti prego di non mostrarli a nessuno e di rimandarmeli al più presto»? Pensate che quei «piccoli pezzi» sono in realtà parti del colossale e meraviglioso Secondo Concerto per pianoforte e orchestra!
Nel 1887 Billroth si ammala seriamente: una brutta broncopolmonite che comporta anche un grave scompenso cardiaco lo riduce in fin di vita. Amici e luminari della medicina si avvicendano al capezzale di quell'uomo di 58 anni. Viene in mente il dottor Sloper, descritto da Henry James in Washington Square, che arrivato alla sessantina avverte la figlia che un giorno o l'altro potrebbe buscarsi una broncopolmonite e andarsene all'altro mondo prefigurando implacabilmente la propria diagnosi. Billroth se la cavò ma, a detta di Brahms, dopo la malattia non era più lui. Era preda di una malinconia e di un'ansia che si sentiva di confidare solo a Brahms. Ormai è un uomo vecchio e fragile e la musica, che da sempre gli sta conficcata nell'anima, non fa che accrescere le sue malinconie. Si sforza di rimembrare le ore felici e fortunate che la musica di Brahms gli ha regalato: «Ho avuto la fortuna di vivere con te una grande parte della tua maturazione, e tu con me. Questo è un legame come quello che lega i fratelli nelle buone famiglie. Ognuno va per la sua strada, ma ci si ritrova sempre insieme. Una volta ti dava molta gioia se ti dicevo questo o quello a proposito di una tua nuova composizione. Negli ultimi tempi non ti ho più detto nulla, perché non so dire altro che: musicalmente bello, meraviglioso; oppure qualcosa come: chiaro, anche al primo ascolto, chiaro come il blu del cielo», ma un'insoddisfazione profonda turba perfino lo scenario incantato della musica. Il ciclo evolutivo di Billroth è ormai concluso e quell'uomo stanco non è più in grado di dialogare positivamente con la bellezza che l'amico instancabilmente continua a produrre. Billroth è letteralmente sopraffatto dalla bellezza delle nuove opere di Brahms, può soltanto prenderne atto poiché in lui non c'è più quell'energia intellettuale che in passato lo induceva a dialogare con quelle opere cercando di carpirne i significati più profondi. Vecchio e stanco, sapiente e raffinato, il nostro campione dell'era borghese non esita a mettere a nudo la radice faustiana della sua Weltanschauung: «Come devono essere felici le persone che sono in grado di porre dei limiti agli obbiettivi che vogliono conseguire e che si sanno espandere agevolmente entro questi limiti. La felicità sta alla fine in questa loro inconscia rassegnazione. A me purtroppo ciò non è dato. Sono una persona anziana, ma non c'è frontiera che io possa tollerare. Mi turba una nostalgia, nostalgia di qualcosa che io stesso non conosco e non so godere della vita tranquilla. Forse è una cosa stupida, ma non posso cambiare... E' la giovinezza quello che io cerco! Ho nostalgia di me stesso. Questo deve suonare maledettamente arrogante, ma so che tu mi comprendi. Il mio essere, la mia forza, il mio lavoro sono andati in mille pezzi».
Brahms annuisce e risponde: «Suona sempre un po' malinconico quando scrivi della tua grande solitudine. Certo anch'io sono così. Da molto tempo, o forse da sempre: ero e sono uno che se ne sta in disparte», ma alla supposizione che certe esistenze possano sembrare più serene replica senza esitazione: «Ah, se solo la tua supposizione fosse giusta! Noi vediamo e giudichiamo solo da quelle singole cose che l'amico ci lascia vedere quando sono compiute e terminate. In questo modo, almeno occasionalmente puoi ritenere davvero felice anche il tuo Johannes Brahms che ti saluta con affetto».
Il dottor Billroth si lamenta delle forze perdute, della malinconia e della solitudine che lo incalzano mostrando così la sua stretta parentela con un personaggio come Thomas Buddenbrook. Sotto tanta intelligenza e tanta capacità di navigare nelle acque della vita c'è un'ansia esistenziale che erode tutte le certezze e che appanna perfino le pure gioie della musica, e dopo tanto travaglio Billroth si consegna riluttante al destino della solitudine con la quale sente di non riuscire a convivere. Con la solitudine Brahms aveva invece stretto un sodalizio molto più antico e più profondo ‑ «Da molto tempo, o forse da sempre: ero e sono uno che se ne sta in disparte», ‑ dal quale gli veniva una forza incrollabile. La solitudine l'aveva accettata e domata con un'operosità inesauribile, facendo nascere nel suo intimo una saggezza e uno splendore senza uguali e ora, di fronte alla solitudine e alla malinconia dell'amico, Brahms cerca di illuminare con qualche raggio della sua superiore saggezza la mesta penombra nella quale si dibatte il caro Billroth.
Un mondo nel quale un capitano, un consigliere finanziario, un avvocato e un possidente ungherese suonino un Quintetto di Brahms così bene da soddisfare l'autore, riuscite ancora a immaginarlo?
Che razza di persone potevano essere quei dilettanti così magnificamente agguerriti? Farebbe davvero piacere saperlo, conoscere qualcosa della loro vita privata, di quel loro riuscire a conciliare così bene le esigenze di una professione con quelle della musica. Questa possibilità ci è offerta dalla lettura di questo libro in cui si susseguono le lettere che per più di trent'anni si sono scambiati Johannes Brahms e quello che vorremmo definire l'esemplare più riuscito di quel nobile dilettantismo musicale, il dottor Theodor BilIroth.
A tutti i medici, anche a quelli che non hanno confidenza con la musica di Brahms, il nome di Theodor Billroth ancor oggi dice qualcosa. Sanno infatti che un certo numero di interventi chirurgici attinenti la resezione gastrica porta il nome di quel celebre chirurgo. Nella carriera di questo grande della medicina umanesimo e scienza si coniugano con un equilibrio mirabile che noi romperemo però a favore del lato artistico, poiché il nostro scopo è quello di conoscere più da vicino la personalità musicale di quegli straordinari dilettanti dei quali lo abbiamo scelto come campione.
Theodor Billorth era nato nel 1829 (quattro anni prima di Brahms) nell'isola di Rügen, nel nord della Germania dunque, in una famiglia di solide tradizioni culturali. Cominciò molto presto a studiare la musica e riusci a diventare un eccellente pianista. Un po' a malincuore decise di diventare medico e non musicista di professione; gli piaceva però dichiarare che sarebbe riuscito a dedicarsi con uguale successo sia alla musica sia alla medicina. Dopo studi eccellenti compiuti nelle università di Göttingen e di Berlino, approdò nel 1860 a Zurigo dove era stato chiamato a occupare la cattedra di chirurgia. Furono, quelli di Zurigo, anni straordinari in cui il nostro pose le basi della sua reputazione scientifica a livello internazionale senza per questo trascurare la musica. La coltivò anzi con uno zelo e un'intelligenza straordinari diventando il primo critico musicale ufficiale del noto quotidiano «Neue Zúrcher Zeitung».
Zurigo era in quegli anni un formidabile crocevia di personaggi della cultura e dell'arte: non si era ancora spenta l'eco sollevata dalla relazione fra Richard Wagner e la famiglia Wesendonk, Francesco De Sanctis teneva le sue lezioni all'università dove insegnava anche Jakob Burckhardt e a tutto ciò veniva ad aggiungersi la brillante personalità del nostro chirurgo, che oltre a esercitare con tanta competenza la critica musicale, era l'animatore di raffinate serate concertistiche. Brahms passò nella città svizzera nel 1863 in occasione di una esecuzione della sua Serenata in re maggiore che fu puntualmente recensita da Billroth, e due anni dopo ebbe luogo il primo incontro tra il compositore e il medico‑critico.
Lo storico dell'arte Lübke, Billroth e Wesendonk (il marito di Mathilde), fecero in quell'occasione le cose in grande, organizzando un sontuoso concerto privato per la mattina dell'undici novembre 1865, nel corso del quale, oltre alla Serenata in re maggiore, si esegui il Concerto per pianoforte e orchestra op. 15. All'indomani del concerto Billroth scrisse a Brahms la prima lettera di un epistolario che sarebbe durato fino al 1894. A quell'epoca Brahms ancora non aveva deciso di stabilirsi definitivamente a Vienna ma già era seriamente in procinto di farlo. Nel 1867 Billroth venne chiamato a Vienna, per succedere al professor Schuh sulla cattedra di chirurgia e nella capitale austriaca si trovò così bene da rifiutare l'anno successivo la prestigiosa chiamata dell'università di Berlino. Nella lettera indirizzata al professor Langenbeck per spiegare le ragioni del suo rifiuto, Billroth dichiarò anche di non voler rinunciare all'amicizia che a Vienna aveva stretto con Brahms e il musicologo Eduard Hanslick. Era dunque nato un formidabile sodalizio che aveva il principale punto di riferimento nella bella casa dei grande chirurgo. Brahms, Hanslick, Kalbeck, il quartetto Hellmesberger e, qualche volta, il grande violinista Joachim si ritrovavano in quella casa per dare vita alle prime letture delle nuove opere cameristiche di Brahms. Billroth non era soltanto un generoso anfitrione, ma prendeva attivamente parte alle esecuzioni, spesso suonando la viola. Poteva capitargli perfino di essere sopraffatto dall'emozione, come lui stesso ci riferisce in una lettera del 1866: «Come iniziai a suonare mi prese un tremito così forte e una tale ansia che non fui più in grado di proseguire».
Il rapporto più straordinario con la musica di Brahms Billroth lo viveva però privatamente, davanti al pianoforte, decifrando le opere dell'amico ancora manoscritte. Brahms gli mandava, a mano a mano che li componeva, i fogli con le parti dei nuovi lavori e questo privilegio, davvero raro, toccava a lui soltanto. Neppure ad Hanslick era concesso gettare uno sguardo sulle opere ancora in gestazione. Quelle letture solitarie trovavano un prolungamento nelle lettere che il nostro medicomusicista inviava all'autore. Erano lunghe confessioni nelle quali emozioni e riflessioni scorrevano in maniera ordinata ed estrosa al tempo stesso: «Con la penna straordinariamente mi trasformo, non riuscirei per nessuna ragione a dire a voce ciò che invece dal cuore mi fluisce così facilmente nella penna».
Brahms apprezzava, naturalmente, e avvertiva l'eccezionale intelligenza e gentilezza del suo interlocutore: «Per Lei è talmente naturale fare qualcosa di speciale che non può immaginare l'effetto delle sue azioni, anzi ne rimarrebbe meravigliato». Aveva perfettamente ragione a riporre tanta fiducia nell'intelligenza e nell'acume analitico dell'amico a cui affidava le sue primizie: Billroth aveva infatti concezioni estetiche incredibilmente profonde, capaci di scalfire con critiche implacabili l'atteggiamento di solito tanto ammirato dei Musikliebhaber viennesi: «La maggior parte delle persone viene sfiorata gradevolmente dall'arte solo quando le piacevoli sensazioni che già conosce si ripetono. Arte, serenità e inerzia della fantasia e dei pensiero diventano quasi concetti affini». E' possibile immaginare una critica più severa, più intelligente e, al tempo stesso, più attuale di questa all'atteggiamento della maggior parte degli abbonati delle stagioni concertistiche?
Con il passare degli anni la confidenza tra i due crebbe fino ad arrivare al tu, come dimostra una lettera del luglio 1873: «Stanco di pensare e affarnato di sensazioni, in questi giorni mi immergo di nuovo nei tuoi Lieder. E' molto presuntuoso da parte mia, ma credo che non ci siano molti uomini in grado di penetrare questi poemi musicali come posso farlo io».
Billroth era quanto mai orgoglioso della sua amicizia con Brahms che considerava un raro privilegio e, avendo sentito dire che la casa nella quale abitava era appartenuta a un certo dottor Johann Peter Frank del quale si diceva fosse stato amico di Beethoven, fece compiere delle ricerche catastali che potessero mettere in luce il fatto. Le ricerche confermarono le supposizioni e in quella coincidenza Billroth volle leggere un po' romanticamente un segno del destino che si affrettò a comunicare all'amico: «Ciò che mi interessa maggiormente è che Johann Peter Frank e Beethoven si sono frequentati nella mia casa e che una tale amicizia siamo presuntuosi per una volta ‑ si è ripetuta tra te e me quasi cento anni dopo». Il destino lo aveva dunque sfiorato benevolmente due volte permettendogli di diventare l'amico di un grande compositore e portandolo ad abitare nella stessa casa dove Beethoven aveva, anche lui, un amico medico. Il destino disegna i suoi cerchi con la musica e li depone su un quartiere residenziale di Vienna: come metafora di quella borghese nobiltà dello spirito tanto cara a Thomas Mann non c'è male davvero!
Brahms nelle sue risposte è molto più sobrio, piuttosto che delle lettere invia all'amico delle cartoline postali in cui può capitare che annoti anche riflessioni dall'apparenza stravagante come questa del 1876: «A Vienna si può restare celibi senza problemi, invece in una piccola città un vecchio scapolo è una caricatura». Altre volte quella sobrietà si incrina lasciando intravvedere spiragli di malinconia propri di una vita solitaria, come nella lettera del maggio 1878 in cui si fa cenno a un viaggio in Italia: «Abbiamo avuto giorni stupendi e c'è stata anche una bella gita a Fiesole. E' immensamente appagante ricordare mentre sono immerso in questa calma; solo per te il ricordo ha qualcosa di più bello, quando alla sera diventa un racconto per la tua famiglia».
Brahms usa toni dimessi e perfino ironici quando parla della musica che sta componendo, la definisce sempre una piccola cosa: sentite come annuncia a Billroth l'invio della bellissima Sonata per violino e pianoforte op. 78: «Ho una sonata, della quale [il copistal può già darti i primi due movimenti... spediscimela subito, non appena l'hai letta una volta. Di più non vale la pena e oltretutto solo una tranquilla ora di pioggia serale potrebbe darle l'atmosfera necessaria».
In altre lettere Biliroth descrive la sua attività professionale: interventi chirurgici nella clinica, lezioni all'università, stesura di appunti per lezioni e trattati, visite ai pazienti privati. Possiede una straordinaria capacità di organizzazione che gli consente di non perdere neppure un minuto, e questa strategia che lui ricorda di aver praticato fin da quando era ragazzo gli consente di accudire la musica con tanta finezza, di organizzare eleganti serate musicali alle quali invita Brahms, il rettore dell'università, Hanslick, Kalbeck e qualche altro eminente musicista di passaggio a Vienna. Si fa musica, si festeggiano compleanni e anniversari, si celebrano i successi che sempre più spesso accompagnano l'apparizione delle opere nuove, e alla musica seguono cene sontuose copiosamente annaffiate dallo champagne che Brahms predilige. A seguire il racconto che attraverso queste lettere si dipana il dottor Billroth ci appare un uomo straordinariamente fortunato e felice, dotato di intelligenza, meticolosità ed equilibrio della specie più rara. Tutto gli sorride, il successo nella carriera scientifica e l'amicizia di Brahms, che illumina musicalmente la sua vita per altro già allietata da una bella famiglia. E il Brahms che pur essendo oggetto di tante cure affettuose se ne sta un po' in disparte limitandosi a inviare con le sue cartoline postali messaggi laconici e non di rado carichi di sottintesi? Il Maestro partecipa volentieri a quelle serate, anche se gli secca un po' indossare l'abito scuro, ma si ha l'impressione che sia in fondo riluttante a uscire dal ruvido guscio della sua solitudine. Può essere cordiale e buontempone ‑ più durante i viaggi in Italia e nelle serate all'osteria che non nella raffinata dimora di Billroth ‑ ma nelle sue frasi corte e dense la confidenza non è mai espressa a chiare lettere; bisogna intuirla abituandosi a cogliere il raro peso specifico di ogni parola che esce dalla bocca di quell'uomo che, a differenza di Billroth, è tutto fuorché eloquente. Si sarebbe tentati di dire che, da quel grande musicista che era, Brahms conosceva meglio di chiunque altro il valore delle pause, e confrontando le lettere dei due amici non possiamo non ammettere che se le parole di Billroth sono d'argento, i silenzi di Brahms sono d'oro.
Non tutte le attenzioni di Billroth sono di suo gradimento e quando quest'ultimo ritaglia un frammento del manoscritto del Quartetto op. 51 che aveva ricevuto in dono per collocarlo entro una cornice d'argento accanto alla foto dell'autore, si indigna. Non glielo dice, naturalmente, ma veniamo a sapere, da una lettera indirizzata ad altri, che la cosa, a lui che era un appassionato collezionista di manoscritti musicali, sembrava inconcepibile e irritante. Qualche nube incombe su quell'amicizia così radiosa, ma non bisogna stupirsi: in fondo nei rapporti umani la perfezione non esiste. La cosa più straordinaria nella storia affidata a queste lettere è il confronto intimo tra le due personalità, il loro sfiorarsi, comprendersi e volersi bene lasciando però molte cose sospese all'orizzonte. Molte cose sono dette in questo epistolario, sincere e commoventi, ma altre ancora, forse più profonde e più vere sono taciute, e la presenza di queste ultime vibra anch'essa aggiungendo a quelli espliciti altri significati che possiamo solo intravvedere. Non v'è dubbio che tra l'eloquenza di Billroth e i silenzi di Brahms esiste una profonda complementarità: le ansie dell'uno sono anche dell'altro, ma in quest'ultimo risultano in qualche modo già assorbite, e sublimate e in questa complementarità di cose dette e taciute sta la ragione profonda di quella grande amicizia.
Passano gli anni e Billroth si sente via via più stanco: «Il mio lavoro è fonte di grande gioia per me, l'unica cosa spiacevole è che mi stanca molto più di prima... Però ho goduto di molte cose belle nella vita quindi devo esserle grato e considerarmi fortunato». Come potrebbe essere diversamente se con tono segreto Brahms gli scrive: «Caro amico, ti mando un paio di piccoli pezzi per pianoforte ma ti prego di non mostrarli a nessuno e di rimandarmeli al più presto»? Pensate che quei «piccoli pezzi» sono in realtà parti del colossale e meraviglioso Secondo Concerto per pianoforte e orchestra!
Nel 1887 Billroth si ammala seriamente: una brutta broncopolmonite che comporta anche un grave scompenso cardiaco lo riduce in fin di vita. Amici e luminari della medicina si avvicendano al capezzale di quell'uomo di 58 anni. Viene in mente il dottor Sloper, descritto da Henry James in Washington Square, che arrivato alla sessantina avverte la figlia che un giorno o l'altro potrebbe buscarsi una broncopolmonite e andarsene all'altro mondo prefigurando implacabilmente la propria diagnosi. Billroth se la cavò ma, a detta di Brahms, dopo la malattia non era più lui. Era preda di una malinconia e di un'ansia che si sentiva di confidare solo a Brahms. Ormai è un uomo vecchio e fragile e la musica, che da sempre gli sta conficcata nell'anima, non fa che accrescere le sue malinconie. Si sforza di rimembrare le ore felici e fortunate che la musica di Brahms gli ha regalato: «Ho avuto la fortuna di vivere con te una grande parte della tua maturazione, e tu con me. Questo è un legame come quello che lega i fratelli nelle buone famiglie. Ognuno va per la sua strada, ma ci si ritrova sempre insieme. Una volta ti dava molta gioia se ti dicevo questo o quello a proposito di una tua nuova composizione. Negli ultimi tempi non ti ho più detto nulla, perché non so dire altro che: musicalmente bello, meraviglioso; oppure qualcosa come: chiaro, anche al primo ascolto, chiaro come il blu del cielo», ma un'insoddisfazione profonda turba perfino lo scenario incantato della musica. Il ciclo evolutivo di Billroth è ormai concluso e quell'uomo stanco non è più in grado di dialogare positivamente con la bellezza che l'amico instancabilmente continua a produrre. Billroth è letteralmente sopraffatto dalla bellezza delle nuove opere di Brahms, può soltanto prenderne atto poiché in lui non c'è più quell'energia intellettuale che in passato lo induceva a dialogare con quelle opere cercando di carpirne i significati più profondi. Vecchio e stanco, sapiente e raffinato, il nostro campione dell'era borghese non esita a mettere a nudo la radice faustiana della sua Weltanschauung: «Come devono essere felici le persone che sono in grado di porre dei limiti agli obbiettivi che vogliono conseguire e che si sanno espandere agevolmente entro questi limiti. La felicità sta alla fine in questa loro inconscia rassegnazione. A me purtroppo ciò non è dato. Sono una persona anziana, ma non c'è frontiera che io possa tollerare. Mi turba una nostalgia, nostalgia di qualcosa che io stesso non conosco e non so godere della vita tranquilla. Forse è una cosa stupida, ma non posso cambiare... E' la giovinezza quello che io cerco! Ho nostalgia di me stesso. Questo deve suonare maledettamente arrogante, ma so che tu mi comprendi. Il mio essere, la mia forza, il mio lavoro sono andati in mille pezzi».
Brahms annuisce e risponde: «Suona sempre un po' malinconico quando scrivi della tua grande solitudine. Certo anch'io sono così. Da molto tempo, o forse da sempre: ero e sono uno che se ne sta in disparte», ma alla supposizione che certe esistenze possano sembrare più serene replica senza esitazione: «Ah, se solo la tua supposizione fosse giusta! Noi vediamo e giudichiamo solo da quelle singole cose che l'amico ci lascia vedere quando sono compiute e terminate. In questo modo, almeno occasionalmente puoi ritenere davvero felice anche il tuo Johannes Brahms che ti saluta con affetto».
Il dottor Billroth si lamenta delle forze perdute, della malinconia e della solitudine che lo incalzano mostrando così la sua stretta parentela con un personaggio come Thomas Buddenbrook. Sotto tanta intelligenza e tanta capacità di navigare nelle acque della vita c'è un'ansia esistenziale che erode tutte le certezze e che appanna perfino le pure gioie della musica, e dopo tanto travaglio Billroth si consegna riluttante al destino della solitudine con la quale sente di non riuscire a convivere. Con la solitudine Brahms aveva invece stretto un sodalizio molto più antico e più profondo ‑ «Da molto tempo, o forse da sempre: ero e sono uno che se ne sta in disparte», ‑ dal quale gli veniva una forza incrollabile. La solitudine l'aveva accettata e domata con un'operosità inesauribile, facendo nascere nel suo intimo una saggezza e uno splendore senza uguali e ora, di fronte alla solitudine e alla malinconia dell'amico, Brahms cerca di illuminare con qualche raggio della sua superiore saggezza la mesta penombra nella quale si dibatte il caro Billroth.
Enzo Restagno (prefazione a "Caro Johannes! Billroth/Brahms, Lettere 1865-1894", EDT editore Torino, 1997)
1 commento:
Dilettante...
Oggi un dilettante è poco più di uno sciocco che si cimenta in qualcosa che un "professionista" farebbe meglio...
Un tempo era una persona che faceva, benissimo, qualcosa per diletto, per puro piacere, accanto al dovere.
E forse non aveva una fiamma artistica interiore che bruciasse: Billroth non era il suo amico Brahms. Certo però era una persona certamente piacevolissima, e sicuramente competente.
E l'abitudine a fare della Hausmusik non era affatto male...
Ma oggi ci sono i PC, internet, il nostro stesso navigare hic et nunc...
Un abbraccio
Cecilia
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