Omeopatia musicale: pillole per attenuare il male dell'insensibilità culturale dilagante.
Curarsi con la musica senza necessariamente ricorrere al suono...

sabato, febbraio 14, 2009

James Tyler: "La Mantovana"

Tutti i brani scelti per la presente registrazione possono essere classificati sotto la voce «musica popolare italiana», volendosi però indicare, con il termine «popolare», non solamente che tale musica era cantata e suonata nelle vie e nelle taverne dell'italia del XVII secolo, ma - fatto senza dubbio di notevole interesse - che era altresì ben nota ed apprezzata a tutti i livelli della società italiana. Questi brani, la cui popolarità si estendeva in molti casi ben oltre i confini dell'Italia, fino all'Europa orientale e al Nuovo Mondo, compaiono in centinaia di fonti differenti con i loro motivi adattati a tutte le possibili e immaginabili combinazioni di strumenti e di voci, dai grandi complessi orchestrali e vocali al solo xilofono. Alcuni di questi motivi, oltre ad esser restati famosi ai loro tempi per più di cent'anni, sono familiari perfino al pubblico degli odierni concerti, grazie ad Ottorino Respighi, il quale, all'inizio del nostro secolo, elaborò per orchestra alcuni brani liutistici del Seicento e del Settecento nelle sue tre suites «Antiche arie e danze per liuto». Nella presente registrazione non solo sono state adottate versioni originali delle musiche del XVI e del XVII secolo, ma anche autentici strumenti d'epoca.

LATO I
  1. «La Mantovana»
    «La Mantovana», conosciuta anche come «Ballo di Mantova», ebbe le sue origini nei primi anni del XVII secolo alla corte di Mantova, divenendo immediatamente il simbolo musicale della città. Ma nonostante fosse associata e identificata con Mantova, la melodia non tardò ad imporsi in tutt'Europa, sotto titoli diversi e in forme differenti, ivi comprese una versione per liuto del compositore polacco Bartholomij Pekiel ed un'altra per chitarra del compositore spagnolo Gaspar Sanz. In Inghilterra divenne addirittura nota in una sorta di «contaminatio» con un'antica danza inglese ed era così conosciuta come il «"Rant" italiano». Nel 1645 Gaspare Zannetti pubblicò un'opera che, sotto la parvenza di una guida per lo studio del violino, conteneva, oltre ad alcune istruzioni di scarso valore per tale strumento, una stupenda raccolta di musica italiana popolare e di danza, in una versione a quattro parti, che, secondo lo stesso Zannetti, potevano essere eseguite su ogni sorta di strumenti. «La Mantovana», l'«Aria del Gran Duca», «Fuggi, fuggi» e «La Lisfeltina», tutte e quattro presenti in questo album, sono tratte da tale importante raccolta, senz'altro paragonabile a quella famosissima di «arie di danze» di Michael Praetorius intitolata «Terpsichore».

  2. «Spagnoletta»
    Questo titolo si riferisce ad un basso ostinato italiano armonizzato - o, come anche si potrebbe dire oggi, ad una progressione di accordi - che apparve per la prima volta a stampa in un testo francese per chitarra del 1551, di Adrian Le Roy, e, per l'ultima volta, in un testo italiano per xilofono del 1706 di Giuseppe Paradossi. Non posso ovviamente azzardare alcuna ipotesi su come detto brano fosse eseguito e conosciuto molti anni prima e dopo tali date. Un manoscritto fiorentino per mandola degli inizi del XVII secolo (Magl. XIX. 29), contiene una semplice versione della «Spagnoletta», sulla quale mi sono basato per la presente registrazione. Secondo la normale prassi esecutiva del primo barocco ho realizzato e aggiunto vari abbellimenti e ho altresì dato rilievo al basso impiegando una tiorba e un'arpa come strumenti di continuo.

  3. «So ben mi ch'hà bon tempo»
    Questa canzone si trova nella «Selva di varia ricreatione...» di Orazio Vecchi, del 1590, una raccolta di musiche e di «canzoni a ballo» popolari, «canzoni» che possono essere considerate come le dirette antenate delle canzonette moderne, anch'esse cantate e, all'occasione ballate. Nella fattispecie la melodia fu in seguito elaborata da più di un musicista in versioni per singoli strumenti e per organici di varia consistenza. Una di tali elaborazioni si trova in «The First Booke of Balletts to Five Voyces» (Londra, 1595) del compositore inglese Thomas Morley, il quale, tuttavia, non menziona Vecchi.

  4. «La Bertazzina»
    Questa popolarissima melodia doveva avere con tutta probabilità un testo, che, sfortunatamente, è andato perduto. In una versione per chitarra (Stefano Pesori c. 1645) è descritta come un'«arietta» del Duca di Mantova. Secondo la prassi esecutiva del tempo storicamente ricostruibile, ho provveduto ad aggiungere anche a questa accattivante melodia - qui eseguita da una viola - un buon numero di abbellimenti.

  5. «Pavaniglia»
    La «Pavaniglia» apparve per la prima volta a stampa in un'intavolatura spagnola per «vihuela» di Alonso Mudarra (1546) e, subito dopo, in un'intavolatura italiana per liuto di Melchiorre de Barberiis (1549). La melodia, un basso ostinato armonizzato, ebbe probabilmente le sue origini in Italia, e infatti un'altra fonte spagnola (Cabezón, 1578) la chiama «Pavana italiana». E' poi incontrovertibile il fatto che le innumerevoli fonti nelle quali essa è contenuta, fino alla sua ultima comparsa in una pubblicazione per chitarra del Ricci nel 1677, sono tutte italiane. Le tre versioni consecutive che si ascoltano in questo disco furono realizzate dal compositore tedesco Michael Praetorius, e sono contenute nella sua famosa raccolta del 1612 di danze di corte francesi: una serie di brani di successo veramente internazionale.

  6. «Aria del Gran Duca»
    Il tema originale dell'«Aria del Gran Duca» (nota anche come «Aria di Firenze») fu composto da Emilio de' Cavalieri in occasione dei festeggiamenti per le nozze di Ferdinando de' Medici, Granduca di Toscana, con Cristina di Lorena, nel 1589. Come la «Mantovana» divenne subito anch'esso il simbolo musicale della sua città d'origine, Firenze.

  7. «Fuggi, fuggi»
    Questa è un'altra versione della «Mantovana» con uno dei vari testi popolari che erano stati adattati alla melodia, secondo un uso che ricorda quanto avveniva frequentemente anche nella ballata inglese della medesima epoca. Il testo, davvero caustico, scelto per questa registrazione, si pone in netto contrasto con la tradizione italiana dei soliti versi da "ardente innamorato".
LATO II
  1. «Sonata sopra l'Aria Musicale del Gran Duca»
    Ecco un'altra versione, in ostinato, del tema originale di Emilio de' Cavalieri, particolarmente apprezzata dal Banchieri, che ne fece ulteriori arrangiamenti in almeno cinque diverse circostanze, una delle quali riguardava un'elaborazione per la messa. Questo breve pezzo è tratto da una raccolta dei Banchieri del 1626, «Il Virtuoso ritrovo...», nella quale è espressamente indicata la strumentazione per due violini, trombone e continuo, come nella presente esecuzione.

  2. «Anchor che col partire»
    Questo famosissimo madrigale fu pubblicato per la prima volta nel 1547 da Cipriano de Rore, un compositore fiammingo che operava in Italia, e servì in seguito da base, durante tutto il resto del XVI secolo e per buona parte del XVII, ad un numero incredibile di elaborazioni strumentali e vocali con ogni sorta di abbellimenti. Riccardo Rogniono, del quale si sa molto poco era al servizio del Governatore Generale di Milano e, secondo quanto si può leggere sul frontespizio di un suo lavoro del 1592 (che dà esempi su come «diminuire»), era stato «esiliato dalla Val Tavegia». La sua versione di «Anchor che col partire» presenta la voce superiore dell'originaie madrigale a quattro parti con gli abbellimenti realizzati per esteso. Le tre voci inferiori sono invece immutate, come furono scritte da Cipriano de Rore.

  3. «La Lisfeltina»
    «La Lisfeltina» era probabilmente, all'origine, un pezzo per liuto solo del famoso compositore e virtuoso di liuto Santino Garsi, che operava alla corte dei Duca di Parma. Poiché appare nella raccolta di musica e danza popolare dello Zannetti (di cui si è detto sopra), è difficile stabilire se questa versione per complesso strumentale sia del Garsi o dello Zannetti.

  4. «Va pur superba va»
    Ci troviamo qui di fronte ad una canzone evidentemente notissima, il cui testo però è andato perduto. Una delle sue varie versioni è questa per liuto, tratta da un manoscritto iniziato nel 1615 e redatto, da Ascanio Bentivoglio. Attualmente si trova nell'archivio dello State College di San Francisco.

  5. «Pavana»
    Nato a Mantova, Carlo Farina è stato uno dei più importanti compositori di musica per archi del primo Seicento. Fu violinista alle dipendenze di Heinrich Schütz a Dresda e, a partire da quel periodo, è databile la sua enorme mole di imponenti composizioni per il solo violino e per vari gruppi di strumenti ad arco (anche se egli in genere precisava, secondo una consuetudine dei tempo: «per ogni sorta di strumenti»).

  6. «Pargoletta, che non sai»
    In Italia, nel primo barocco, i suoni e i timbri dell'accompagnamento a basso continuo erano ricchi e multiformi. Per la musica popolare e di genere leggero un tipo di sonorità particolarmente gradita era quella che si otteneva con gli accordi strappati della chitarra, come si può ascoltare in questa canzone, pubblicata dallo Stefani nel 1618, con la melodia appunto accompagnata da una serie di accordi della chitarra e dal continuo.

  7. «La Nizzarda»
    Fra le più notevoli caratteristiche della «Nizzarda» vanno annoverate le impressionanti serie di cambiamenti ritmici e la melodia particolarmente scorrevole. Una delle fonti del brano è il trattato sulla danza «Le Gratie d'Amore...» (1602), di Cesare Negri, nel quale esso è riportato in una riduzione per liuto. Nella presente registrazione è stata ricostruita la versione a quattro parti ed affidata all'esecuzione di un complesso comprendente molti strumenti sia melodici che di continuo: proprio il tipo di complesso descritto da un contemporaneo del Negri, il compositore e teorico Agostino Agazzari.
GLI STRUMENTI
  • il violino, la viola e il violoncello dell'età barocca hanno, in genere, lo stesso aspetto dei corrispondenti strumenti moderni, ma le loro corde, interamente di minugia, sono più corte e molto più vicine alle relative casse, e producono così, con un minor tiraggio, un suono più cristallino. Pure l'arco, per la forma diversa e per il minor peso, reagisce, al contatto con le corde, in maniera differente dagli archi moderni. La tecnica esecutiva infine e le diteggiature degli strumenti barocchi sono anch'esse, chiaramente, del tutto particolari. Per ulteriori informazioni si può consultare: David D. Boyden, «The History of Violin Playing from its Crigins to 1761», Oxford University Press, 1965.

  • La viola da gamba è uno strumento ad arco dotato in genere di sei corde di minugia armate su un manico con traversine. Si suona tenendola fra le ginocchia (donde il termine italiano «da gamba») ed ha un timbro più chiaro e delicato di quello dei moderni strumenti della famiglia del violino. Due dei vari modelli di viola da gamba sono stati usati nella presente registrazione: il tenore, con accordatura sol3 - re3 fa2 - do2 - sol1; e il basso, con accordatura re3 - la2 - mi2 - do2 - sol1 - re1.

  • Il trombone antico (chiamato in Inghilterra «sackbut») è molto simile, a prima vista, al trombone moderno, ma, grazie alla sua struttura considerevolmente più leggera, può essere suonato con molta più delicatezza, e non è raro trovare nel repertorio del primo barocco opere scritte espressamente per trombone e archi.

  • La dulciana (chiamata in Inghilterra «curtal») è uno strumento a fiato ad ancia doppia ed è la diretta antenata del fagotto, ma, rispetto a quest'ultimo, ha un timbro pù chiaro e meno sonoro. Nel rinascimento e nel primo barocco la famiglia della dulciana comprendeva una vasta gamma di strumenti di vari ambiti e misure; in questa registrazione è stata impiegata una dulciana bassa.

  • Il flauto diritto del primo barocco non si discosta dal classico modello ririascimentale. E' ricavato cioè da un unico blocco di legno completamente traforato ed è caratteristico per i forti suoni fondamentali. Soltanto molto più tardi venne a modificarsi e a trasformarsi nel flauto conosciuto da Bach e da Telemann.

  • Il liuto rimase in Italia nel primo barocco sostanzialmente uguale al liuto del primo rinascimento, con la sola differenza dell'aggiunta di più corde gravi. Vi sono armate sei coppie di corde principali, dette «ordini» o «cori con la seguente accordatura: sol3 - re3 - la2 - fa2 - do2 - sol1. Molto spesso l'ordine più acuto comprendeva una sola corda e si vennero poi man mano aggiungendo altre corde al grave, accordate sotto l'ultimo ordine. C'erano liuti di varie dimensioni ed ambiti dall'acuto al basso, con corde di minugia che venivano pizzicate con le dita. Nella presente registrazione si può ascoltare un liuto basso con il primo ordine accordato a re3.

  • La tiorba è un membro a sé stante nella famiglia dai liuti e colpisce, a prima vista, per il vistoso e caratteristico allungamento della cassa, ciò che consente allo strumento di armare un numero di corde basse accordate ancor più al grave, e «a vuoto», cioè non tastate dalla mano sinistra. La differenza più importante fra l'accordatura del liuto e quella della tiorba consiste nel fatto che i primi due ordini della tiorba sono accordati un'ottava sotto rispetto a quelli del liuto, dando così luogo ad un'accordatura (tipicamente italiana) che permetteva di ottenere accordi molto sonori e corposi, adattissimi al basso continuo barocco. Le corde gravi a vuoto (non tastate) si estendono fino al basso sol-1, e raggiungono il fa-1, con quattro tagli sotto il rigo della chiave di basso.

  • La mandola è uno dei membri di tessitura più acuta nella famiglia dei liuti, e, come tale, ha funzioni essenzialmente melodiche. L'accordatura delle sue quattro o cinque coppie di corde di minugia - suonate, in Italia, con un plettro - era in genere la seguente: sol4 - do4 - sol3 - do3 (sol2).

  • La chitarra barocca è generalmente più piccola e stretta della moderna consorella ed arma cinque coppie di corde di minugia con la seguente accordatura (tipicamente italiana): mi3 - si2 - sol2 - re3 (raddoppiato da una corda più spessa accordata un'ottava sotto) - la2.
    La chitarra di questo periodo era uno strumento di tessitura contralto, a differenza della chitarra moderna (il cui ambito è più esteso verso il basso), ed era apprezzata, nella realizzazione del continuo, per la vitalità ritmica dei suoi accordi strappati. Per ulteriori informazioni si può consultare: James Tyler, «The Early Guitar», Oxford University Piress, 1970.

  • La cister è uno strumento a plettro, la cui popolarità durò dal rinascimento fino alla metà del XVIII secolo. L'accordatura delle sue sei coppie di corde di acciaio e ottone è la seguente: mi3 - re3 - sol2 - si2 - do3 - la2. Nonostante il suo repertorio, come quello della chitarra, fosse eminentemente solistico, era anche impiegata in tutt'Europa in funzione di continuo.

  • L'arpa del primo periodo barocco era un piccolo strumento il cui ambito si estendeva generalmente dal re4 al fa-1, ed era priva dei pedali per gli innalzamenti o abbassamenti semitonali. Per le note alterate (corrispondenti ai tasti neri dei pianoforte) era impiegato un secondo ordine di corde fissato, a fianco del primo, al listello, sulla tavola armonica. Questo tipo di arpa - il più diffiuso per la realizzazione del continuo - era di conseguenza conosciuto con il nome di «arpa doppia». Per la presente registrazione, non essendo disponibile uno strumento di tal genere, si è fatto ricorso ad un'appropriata arpa piccola, con singole leve per le alterazioni disposte in prossimità dei cavicchi. Insieme alla tiorba l'arpa era uno dei più importanti strumenti di continuo del primo barocco.

  • Il lirone, uno strumento molto usato come continuo nella prima età barocca, è forse, oggi, fra il meno conosciuti di quel periodo. E' uno strumento ad arco, dalle dimensioni di una piccola viola da gamba, con una larga tastiera con traversine sulla quale erano armate almeno undici corde. Con una sola arcata si potevano suonare con facilità gruppi di note di tre o quattro accordi, grazie ad una accordatura che - pur sembrando bizzarra al giorno d'oggi - permetteva di raggiungere altrettanto bene sia gli accordi nelle tonalità più lontane che quelli nelle tonalità più usuali. Tale accordatura, dalla prima corda all'undicesima, è la seguente: do3 - fa3 - si2 - mi3 - la2 - re3 - sol2 - do3 - do2 - sol2 - sol1.

  • Il clavicembalo italiano di questo periodo aveva una sola tastiera ed era, con la tiorba, l'arpa e l'organo, un importante strumento di continuo, in special modo per la musica «colta» e per quella che richiedeva grandi organici. In quest'epoca, tuttavia, non era adoperato con la frequenza della più tarda età barocca (almeno non quanto i moderni studiosi hanno asserito).
The London Early Music Group - James Tyler, dir.

Paul Elliott (tenor), Duncan Druce (violin), Roderick Skeaping (violin), Ian White (viola), Oliver Brookes (cello, viola da gamba), Alan Lumsden (trombone, tenor recorder), Andrew van der Beek (bass dulcian), Kevin Mason (theorbo), Peter Tent (lute, guitar, viola da gamba), Joseph Skeaping (lirone), David Watkins (harp), Nicholas Kraemer (harpsichord), James Tyler (bass lute, mandora, viola da gamba, guitar, cittern)
Recording site and date: Kingsway Hall, London; 17-18 August 1978

James Tyler (traduzione di Paolo Rossi Randone, RCA RL 25199 (lp), (p) 1979)

Nessun commento: