Omeopatia musicale: pillole per attenuare il male dell'insensibilità culturale dilagante.
Curarsi con la musica senza necessariamente ricorrere al suono...

sabato, gennaio 09, 2010

Steinway versus Bösendorfer secondo Thomas Bernhard

Roberto Herlitzka "Il soccombente"
[...]
Quelli che suonano sul Bösendorfer contro quelli che suonano sullo Steinway, pensai, i patiti dello Steinway contro quelli del Bösendorfer. All'inizio gli avevano messo in stanza un Bösendorfer, ma Glenn lo fece subito portare via e sostituire con uno Steinway, pensai, io non avrei mai osato accampare a Salisburgo una simile pretesa, pensai, proprio allora che stava incominciando il nostro corso con Horowitz; Glenn già a quell'epoca era sicurissimo del fatto suo, di un Bösendorfer non voleva sentir parlare, gli avrebbe mandato all'aria i suoi piani. E quelli avevano accettato di scambiare il Bösendorfer con lo Steinway senza batter ciglio, pensai, benché Glenn a quell'epoca non fosse ancora Glenn Gould. Ho ancora davanti agli occhi gli operai che portano fuori il Bösendorfer e dentro lo Steinway, pensai. Ma Salisburgo non è adatta allo sviluppo di uno che vuol suonare il pianoforte, diceva spesso Glenn, il clima è troppo umido, rovina lo strumento e rovina colui che lo suona, in brevissimo tempo gli rovina le mani e il cervello. Ma io volevo studiare con Horowitz, diceva Glenn, questo fu per me decisivo. Nella stanza di Wertheimer le tende erano sempre tirate e le serrande abbassate, Glenn suonava con le tende aperte e le serrande alzate, io addirittura con le finestre spalancate. Non avevamo vicini di casa e dunque nessuno che se la prendesse con noi, questa fu una vera fortuna perché in caso contrario il nostro lavoro sarebbe stato irreparabilmente compromesso. La casa che avevamo ottenuto in affitto per la durata del corso di Horowitz era stata in passato di uno scultore nazista morto un anno prima, le creazioni di quell'uomo, che nel quartiere la gente chiamava maestro, si trovavano ancora lì, in tutte quelle stanze alte da cinque a sei metri. Proprio l'altezza delle stanze ci aveva spinti a prendere subito la casa in affitto, le sculture presenti dappertutto non ci davano fastidio erano anzi acusticamente vantaggiose quelle rozze figure appoggiate alle pareti scolpite da un artista del marmo di fama mondiale, come da qualcuno ci era stato detto, il quale aveva lavorato per decenni al servizio di Hitler. In effetti, quelle enormi protuberanze marmoree erano state spinte dai locatori contro le pareti apposta per noi, il che dal punto di vista acustico era l'ideale, pensai. All'inizio ci eravamo spaventati alla vìsta di quelle sculture, di quell'ottuso monumentalismo di marmo e granito, soprattutto Wertheimer ne era stato respinto, ma Glenn aveva detto immediatamente che quelle stanze erano ideali e che la presenza di quei monumenti le rendeva ancor più ideali per i nostri scopi. Le sculture erano talmente pesanti che il nostro tentativo di spostare la più piccola di esse fallì miseramente, le nostre forze non erano sufficienti, e pensare che non eravamo deboli affatto, i virtuosi del pianoforte, contrariamente all'opinione del pubblico, sono uomini robusti e dotati di una incredibile capacità di resistenza. Glenn, che ancora oggi tutti credono fosse un uomo di debolissima costituzione, era invece un tipo atletico. Raggricciato sulla tastiera dello Steinway, sembrava uno storpio, ed è così che lo conosce tutto il mondo musicale, ma questo mondo è stato vittima di un inganno totale, pensai. Sempre e dovunque Glenn è rappresentato come uno storpio e come un debole, come l'uomo tutto spirito per eccellenza, al quale non si può attribuire altro che la deformità e con questa deformità, poiché con essa fa tutt'uno, una grande ipersensibilità, mentre Glenn in effetti era un tipo atletico, assai più forte di Wertheimer e di me messi insieme, ciò che avevamo potuto constatare una volta di più non appena egli si accinse a tagliare via con le proprie mani un frassino davanti alla finestra della sua stanza che, come lui stesso diceva, gli impediva di suonare il pianoforte. Segò da solo il frassino, che aveva un diametro di almeno mezzo metro, a noi non permise neppure di avvicinarci a quel frassino, lo segò in breve tempo in piccoli pezzi che accatastò contro il muro della casa, è il tipico uomo americano, avevo pensato allora, pensai. Glenn aveva appena finito di segare quel frassino che a suo dire gli impediva di suonare il pianoforte quando gli venne in mente di fare una cosa semplicissima, e cioè di tirare le tende e abbassare le serrande della sua stanza. Avrei potuto risparmiarmi di segare quel frassino, così disse, pensai. Noi di frassini come quello ne seghiamo di continuo, ne seghiamo moltissimi di frassini mentali come quello, disse, e pensare che usando qualche ridicolo accorgimento potremmo benissimo evitare di segarli, così disse, pensai. Il frassino davanti alla finestra lo aveva disturbato fin dalla prima volta in cui a Leopoldskron si era seduto allo Steinway. Senza neanche interpellare i proprietari, andò al capannone degli attrezzi, prese ascia e sega e abbatté quel frassino. Se sto li a chiedere, così lui, non faccio altro che perdere tempo ed energia, questo frassino lo abbatto subito, disse, e in effetti così fece, pensai. Non appena il frassino giacque sul terreno, a Glenn venne in mente che avrebbe potuto limitarsi a tirare le tende, ad abbassare le serrande. Il frassino abbattuto lo segò in piccoli pezzi senza il nostro aiuto, pensai, e là dove prima sorgeva il frassino Glenn stabili quell'ordine assoluto che a lui si confaceva. Se una cosa ci ostacola dobbiamo eliminarla, aveva detto Glenn, anche se si tratta solamente di un frassino. E non dobbiamo prima domandare se quel frassino abbiamo il permesso di abbatterlo, poiché già questa domanda ci indebolisce. Se prima domandiamo una cosa simile, la debolezza che da ciò consegue ci danneggia, forse addirittura ci distrugge, così lui, pensai. E ripensai anche subito che a nessuno dei suoi ascoltatori e dei suoi adoratori verrebbe, mai in mente che Glenn Gould, quest'uomo noto e celebre in tutto il mondo come l'archetipo della debolezza fisica dell'artista, potesse abbattere da solo e in un tempo brevissimo un forte e sano frassino con un tronco dello spessore di mezzo metro, e poi accatastare contro un muro della casa i pezzi di questo frassino, il tutto tra l'altro in condizioni climatiche spaventose, pensai. Gli adoratori adorano un fantasma, pensai, adorano un Glenn Gould che non è mai esistìto. Ma il mio Glenn Gould è immensamente più grande e più degno di adorazione del loro Glenn Gould, pensai. Quando ci era stato detto che saremmo entrati nella casa di un famoso scultore nazista, Glenn era scoppiato in una sonora risata. Wertheimer si unì a questa sonora risata, pensai, ed entrambi avevano tirato in lungo questa risata fino a sentirsi completamente stremati e alla fine andarono a prendere in cantina una bottiglìa di champagne. Glenn fece esplodere il tappo proprio sul volto di un angelo di marmo di Carrara alto sei metri e sprizzò lo champagne sul volto degli altri mostri in giro per la casa, lasciandone solo un poco che bevemmo direttamente dalla bottiglia. Glenn alla fine scagliò la bottiglia con tale violenza sulla testa dell'Imperatore situato in un angolo della stanza, che noi fummo costretti a metterci al riparo. Nessuno degli adoratorì di Glenn Gould potrebbe mai credere che Glenn Gould sapesse ridere come in effetti rideva, pensai. Il nostro Glenn Gould era capace di risate irrefrenabili, nessun altro al mondo sapeva ridere in quel modo, pensai, per questo più di chiunque altro andava preso sul serio. Chi non è capace dì ridere non va preso sul serio, pensai, e chi non è capace di ridere come Glenn non va preso sul serio come Glenn. Verso le tre del mattino, si accovacciava stremato ai piedi dell'Imperatore, lui e le Variazioni Goldberg, pensai. Ecco un'immagine che mi torna di continu: Glenn è schiacciato contro il polpaccio dell'Imperatore e guarda il pavimento con gli occhi sbarrati. Non gli si poteva rivolgere la parola. All'alba era come appena nato, così lui. Ogni giorno inalbero una testa nuova, così lui, anche se per il mondo ho ancora la solita vecchia testa, così lui. Un giorno sì e un giorno no alle cinque del mattino Wertheimer andava a piedi fino all'Untersberg e tornava indietro, per fortuna aveva scoperto una strada asfaltata che portava fino all'Untersberg, io invece prima della colazione facevo un giro intorno alla casa, uno solo ma con qualsiasi tempo, del tutto svestito e non ancora lavato. Glenn usciva di casa solamente per recarsi da Horowitz e poi tornava indietro. In fondo io odio la natura, diceva continuamente. Io questa frase l'avevo fatta mia, me la dico tuttora e, credo, me la dirò per sempre, pensai. La natura è contro di me, diceva Glenn, intendendo la cosa come la intendo io, che pure questa frase me la dico di continuo, pensai. La nostra esistenza consiste nell'essere e nel lottare perennemente contro la natura, diceva Glenn, lottiamo contro la natura fino a quando rinunciamo a questa lotta perché la natura è più forte di noi, noi che per arroganza ci siamo trasformati in un prodotto artificiale. Noi non siamo in effetti esseri umani, noi siamo prodotti artificiali, l'uomo che suona il pianoforte è un prodotto artificiale, un prodotto disgustoso, diceva lui per concludere. Noi siamo quelli che vogliono continuamente sottrarsi alla natura, ma com'è ovvio non ci riusciamo, così diceva, pensai, e restiamo a metà strada. In sostanza, diceva, non vogliamo essere uomini ma pianoforte, per tutta la vita vogliamo essere pianoforte e non uomini, sfuggiamo all'uomo che è in noi per diventare pianoforte in tutto e per tutto, ma in questo siamo destinati a fallire anche se non vogliamo crederci. Il sonatore di pianoforte ideale (Glenn non usava mai il termine pianista!) è colui che vuol essere pianoforte, e infatti ogni giorno mi dico appena sveglio, voglio essere lo Steinway, non voglio essere l'uomo che suona lo Steinway, voglio essere lo Steinway, lo Steinway in sé. Qualche volta ci avviciniamo, anzi ci avviciniamo moltissimo a questo ideale, diceva, ed è allora che ci sembra di impazzire, di essere quasi arrivati alla follia che temiamo più di ogni altra cosa al mondo. Per tutta la sua vita Glenn aveva avuto il desiderio di essere lo Steinway in sé, gli era odiosa l'idea di porsi solamente come intermediario musicale tra Bach e lo Steinway e di essere un giorno stritolato tra Bach e lo Steinway, un giorno, così lui, verrò stritolato tra Bach da una parte e lo Steinway dall'altra, così diceva, pensai. Da quando sono in vita ho sempre avuto paura di essere stritolato tra Bach e lo Steinway e mi costa una fatica enorme sfuggire a questo atroce pensiero, diceva. L'ideale sarebbe che io fossi lo Steinway, che non avessi bisogno di Glenn Gould, diceva, se fossi lo Steinway potrei fare in modo di rendere Glenn Gould del tutto superfluo. Tuttavia, così Glenn, non c'è mai stato al mondo un solo sonatore di pianoforte al quale sia riuscito, essendo Steinway, di rendere se stesso superfluo. Svegliarsi un bel giorno ed essere insieme Steinway e Glenn, così diceva, pensai, Glenn Steinway, Steinway Glenn soltanto per Bach. E' possibile che Wertheimer odiasse Glenn, ed è possibile che odiasse anche me, pensai, questo pensiero era fondato su migliaia se non decine di migliaia di osservazioni che riguardavano non solo Wertheimer, ma anche Glenn e me. E io stesso non ero stato esente dall'odio per Glenn, pensai, odiavo Glenn tutti i momenti e nello stesso tempo lo amavo con estrema coerenza. Non c'è niente di più tremendo che vedere un essere umano il quale è talmente grandioso che la sua grandiosità ci annienta, e mentre noi questo processo lo osserviamo e lo sopportiamo e alla fin fine non possiamo far altro che accettarlo, in realtà non crediamo affatto a questo processo, e rimaniamo increduli ancora per molto tempo, fino a quando, pensai, esso non si trasforma ai nostri occhi in un fatto incontrovertibile, ma allora non c'è più niente da fare, per noi è finita. Wertheimer ed io, come del resto ogni altro aspetto di Glenn stesso, eravamo stati indispensabili all'evoluzione di Glenn, e Glenn, cosi pensai nella sala della locanda, ci ha sfruttati entrambi. Pensai alla sfacciataggine con cui Glenn affrontava ogni cosa, e per contro alle atroci esitazioni di Wertheimer e alle mie riserve nei confronti di tutto e di tutti. Lui ad un tratto diventò Glenn Gould, ma il momento della trasformazione in Glenn Gould, questo devo dirlo, gli altri non riuscirono a percepirlo, e non ci riuscimmo nemmeno noi, né Wertheimer né io. Per mesi Glenn ci aveva trascinati con sé in un comune processo di dimagramento, pensai, ci aveva trascinati nel suo invasamento per Horowitz, perché in effetti è probabile che io da solo non avrei resistito quei due mesi a Salisburgo con Horowitz, e men che meno Wertheimer, è probabile, dicevo, che senza Glenn ci avrei rinunciato. Perfino Horowitz in mancanza di Glenn non sarebbe stato lo stesso Horowitz, quei due si condizionavano a vicenda. Fu un corso che Horowitz fece apposta per Glenn, pensai in piedi nella locanda, nient'altro che questo. Fu Glenn che fece di Horowitz il proprio maestro, non Horowitz che fece di Glenn il genio, pensai. In quei mesi salisburghesi, grazie al proprio genio Glenn fece di Horowitz il maestro ideale per il proprio genio, pensai. Nella musica si entra come un tutto oppure non si entra affatto, diceva spesso Glenn, anche rivolto a Horowitz. Ma era il solo a sapere il significato di questa frase, pensai. Un uomo come Glenn deve incontrarsi con un uomo come Horowitz, pensai, e questo ha da succedere in un momento ben preciso, nell'unico momento giusto. Se non si incontrano nel momento giusto, non può accadere ciò che è accaduta tra Glenn e Horowitz. Il maestro, pur non essendo un genio, è reso dal genio un maestro geniale, il maestro geniale di questo genio appunto, in un certo momento e per un certo periodo, pensai. In realtà la vera e propria vittima del corso, di Horowitz non sono stato io, pensai, ma piuttosto Wertheimer, il quale, in mancanza di Glenn, sarebbe certo diventato un eccellente virtuoso. del pianoforte, celebre forse in tutto il mondo.
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da "Il soccombente" di Thomas Bernhard ("gli Adelphi", 1999)

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