Omeopatia musicale: pillole per attenuare il male dell'insensibilità culturale dilagante.
Curarsi con la musica senza necessariamente ricorrere al suono...

sabato, gennaio 23, 2010

Schott: l'editore di Wagner...

Tutto, nel grande edificio settecentesco di Weihergarten a Magonza, trasuda storia, dal silenzioso giardino interno dominato da un grande tiglio, fino alle sale del piano nobile, con i pavimenti originali ancora mantenuti e i soffitti riccamente intagliati. Qui, nella stanza attigua alla Wagner-Saal, mi riceve con squisita cordialità il presidente della casa editrice, il dottor Peter Hanser-Strecker.

Schott è una delle case editrici più antiche del mondo, nata nella stessa città di Gutenberg. Può ricordarci alcune date importanti della vostra storia?
Un'altra coincidenza è il fatto che la casa venne fondata da Bernhard Schott nel 1770, lo stesso anno di nascita di Beethoven. Solo dieci anni dopo successe un fatto decisivo: l'arcivescovo di Magonza concesse, con il privilegium exclusivum - un antenato del copyright - il diritto esclusivo, appunto, di pubblicare e vendere musica in questa zona della Germania. Dopo essersi trasferita, nel 1792, in questo edificio, la casa editrice non si è più mossa, passando nel 1874 dalle mani di Franz Schott, l'ultimo erede della famiglia e sindaco di Magonza, a quelle del mio bisnonno, Ludwig Strecker.
Quali sono stati più importanti dei compositori che hanno pubblicato con voi?
Innanzitutto Wagner. Quando venne qui la prima volta, chiese una stanza per sé con una chaise-longue e tendaggi pesanti, per schermare le finestre durante gli incontri - due tre alla settimana - con la sua «fidanzata», la giovane Mathilde Maier, cui aveva chiesto di sposarlo, nonostante fosse già impegnato. Wagner veniva sempre a chiedere soldi, di cui era costantemente sprovvisto, tanto che si inventò per lui il pagamento in anticipo. Mentre scriveva il Parsifal pretese 100.000 marchi d'oro, all'incirca un milione di euro attuali, solo per le recite a Bayreuth: una somma immensa per un'opera non finita da eseguirsi in un teatro ugualmente non terminato! Il mio bisnonno però acconsentì e fu un grande successo economico, poiché negli anni seguenti vendette fra i venticinque e i trentamila spartiti canto e piano all'anno, uno dei più grandi affari della nostra storia: d'altronde non c'erano registrazioni, avere lo spartito era l'unico modo di conoscere l'opera. Nel 1883, un mese prima di morire, nacque mio nonno, e Wagner avrebbe dovuto esserne il padrino, ma non fece, purtroppo, in tempo.
Non dimentico naturalmente Beethoven, a proposito del quale Le racconto un aneddoto: ormai molto malato, chiese a Schott di procurargli del vino. Quasi in punto di morte, gli annunciarono l'arrivo del prezioso regalo, ma fece solo in tempo a rispondere «peccato, troppo tardi» e spirò. E ricordo anche Liszt, Stravinski, Ravel, Orff, Hindemith, Korngold, Henze, Nono, Reimann, Pendereeki, Ligeti, Hartmann fino ai più giovani come, oggi, Widmann, Jost o Czernowin.
Nel Novecento le relazioni fra editore e compositore sono cambiate: in che modo?
Il più grande cambiamento è la distanza, fattasi minore, fra i due: la maggiore facilità di comunicazione cambia le relazioni fra le persone. Con la maggior parte dei nostri autori siamo amici, c'è un senso di intimità maggiore, mentre il rapporto professionale non è cambiato rispetto al passato: il compositore è sempre scontento dell'editore e l'editore del compositore!
E questo rapporto intimo, umano, rimane nonostante le dimensioni della casa editrice.
Certo: va aggiunto che il compositore deve essere convinto che l'editore davvero sappia fare bene il suo lavoro, anche pensando alla tutela della moglie e degli eredi, che godono dei diritti fino a settant'anni dopo la sua morte. E' una sorte di assicurazione permanente!
Quale struttura gestionale ha la vostra azienda?
E' tuttora di proprietà fimiliare, pur impiegando duecentosessanta persone in tutto il mondo, Ha acquisito case editrici come Panton, Ars Viva, Eulenburg, Atlantis, Hohner, Fürstner, Cranz e Boosey & Hawkes e possiede anche tre etichette discografiche (Wergo, Intuition e Tuition) e otto riviste specializzate, fra le quali spicca la «Neue Zeitschrift für Musik», fondata nell'Ottocento da Robert Schumann. C'è poi il nostro fiore all'occhiello, MDS, il centro di distribuzione e logistica con oltre venti milioni di spartiti, che non tratta solo i nostri cataloghi ma le pubblicazioni di oltre sessanta case editrici. Circa centotrentamila titoli (spartiti, libri, CD e oggetti vari) sono spediti da Magonza in tutto il mondo ogni anno.
In un catalogo davvero omnicomprensivo, quale parte vorrebbe migliorare?
La sfida del futuro è l'educazione musicale per tutte le generazioni, non solo i bambini ma anche i neonati e gli ultracinquantenni: la musica è più di un hobby; è una necessità e un compagno per tutta la vita. Di un progetto in particolare molto orgogliosi: si chiama Jeki, «Jedem Kind Sein Instrument» (A ogni bambino il suo strumento). Grazie a uno stanziamento di quaranta milioni di euro del Land della Vestfalia del Nord, uno dei più poveri in Germania, ogni bambino riceverà, a partire dal prossimo anno, uno strumento musicale e un'educazione all'interno della scuola e noi forniremo le pubblicazioni necessarie; altri Länder si sono mostrati interessati e probabilmente il progetto si estenderà.
Le edizioni Urtext sono, forse, il fiore all'occhiello di una grande casa editrice musicale: con che criteri sono concepite?
Lavoriamo nello stesso modo di altri concorrenti, come Henle, Peters o Bärenreiter: esiste un chief editor e altri musicologi responsabili dei singoli progetti che cercano le fonti originali, comparandole con le prime edizioni a stampa. Cerchiamo di ottenere un livello qualitativo della massima perfezione: e inoltre, va ammesso, le Urtext sono un modo per prolungare i diritti! Certo, un'orchestra potrebbe preferire di risparmiare non usando le edizioni più aggiornate, ma questo influirebbe sulla qualità dell'esecuzione, vitale in un mondo così competitivo.
Il catalogo di Schott, oltre alla musica stampata, comprende moltissimi libri: come sono concepiti?
Ci sono oltre mille titoli, il catalogo più grande d'Europa, coordinati dal nostro ufficio di Berlino. Naturalmente vorremmo che tutti i libri vendessero bene, ma, essendo questo un sogno, spesso ci troviamo a pubblicare titoli che, già in partenza sappiamo non saranno dei successi, perché è un investimento culturale. Un grande successo sono i dizionari sulla musica, oppure quelli che chiamiamo Fachbücher, manuali che spiegano con molta semplicità aspetti pratici della musica: certamente il manuale di armonia, ma anche un titolo che insegna come pronunciare chiaramente le parole, utilissimo per cantanti e oratori professionisti. Tengo molto, poi, a una serie di volumi sulla musica cinese, un mondo tanto affascinante quanto completamente sconosciuto agli occidentali.
Anche per i compositori contemporanei si pone il problema del rischio economico nel pubblicare nuove opere...
Scegliere un nuovo compositore è una decisione ardua, è una scommessa sul futuro di un artista, sul suo sviluppo artistico; il rischio va preso, anche perché guadagnare non è certo lo scopo primario della nostra attività, basata piuttosto sulla passione. Alcuni compositori diventano popolari solo dopo molti anni: pensiamo a Schönberg, i cui lavori oggi sono eseguiti molto di più di venti o trent'anni fa.
Non c'è dubbio che l'invasione di internet, con i download illegali, ha profondamente mutato il vostro mondo...
Per quanto riguarda l'editoria, la svolta è avvenuta per colpa delle macchine fotocopiatrici: una volta avevamo un piccolo dipartimento interno che forniva centinaia, migliaia di parti ai cori di tutta la Germania, cosa del tutto scomparsa dopo l'avvento delle fotocopiatrici. C'è poi la questione della disponibilità di quasi ogni partitura in modo gratuito su internet. In Germania abbiamo leggi sul copyright molto rigide, ma non penso sia la soluzione: la mighore protezione è convincere la gente che rubare musica è come inquinare l'ambiente. Con la nostra fondazione stiamo finanziando un programma dal titolo «Play fair, respect music», che andrà a tutti gli insegnanti e in tutte le scuole, per formare la coscienza dei bambini; le generazioni più grandi sono, in un certo senso, «perse», ma cercheremo di convincere anche loro.
Di quali traguardi è maggiormente orgoglioso?
Ricordo che da ragazzino mio nonno mi chiese quali compositori avremmo dovuto scegliere per il futuro e io risposi Ligeti e Penderecki: una scelta davvero felice! Penderecki mi è particolarmente caro: con i primi soldi della mia paghetta comprai il disco della sua Passione secondo San Luca e, poi, i suoi Teufel von Loudon sono un nostro bestseller. Sono lieto che sempre più giovani apprezzino la musica contemporanea, grazie anche all'impegno degli interpreti: penso per esempio a Anne-Sophie Mutter che esegue il Concerto per violino di Penderecki.
Dalle sue parole, insomma, sembra trasparire uno sguardo ottimistico per il futuro della musica classica.
Dipende. Sicuramente la musica continuerà a giocare un ruolo importante nella vita delle persone, però c'è il rischio che si traduca in un museo di cose vecchie: persino in Germania i media guardano con sospetto la musica contemporanea, riservandole ben poco spazio. Penso inoltre che nel futuro la musica dal vivo giocherà un ruolo sempre maggiore, a scapito di quella registrata.
Quali progetti attendono Schott?
Il sogno è quello di creare un'accademia che insegni ad ascoltare la musica a persone di ogni età: esistono già studi preparatori, e noi vorremmo davvero colmare il gap che esiste fra chi ha una formazione musicale, e capisce il linguaggio in cui i suoni si organizzano, e chi ne è privo, incapace quindi di godere di questa ricchezza. Per quanto riguarda Schott io sono sicuro che, nonostante i progressi elettronici, le persone avranno ancora il piacere e la necessità della musica e dei libri stampati su carta, per toccarli, scriverci sopra, riempirci una libreria: anche se il consumatore diventerà prosumer (produttore più consumatore, ndr), grazie ai sistemi on demand, alcuni aspetti tradizionali non verranno mai meno.

intervista di Nicola Cattò ("Musica", giugno 2009, n.207)

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