La boutade è di quelle che fanno epoca - "Pergolesi? Pulcinella è l'unica 'sua' opera che mi piace"; purtroppo, però, contiene in sé il germe del rovesciamento ironico e beffardo, poichè il confine tra vero e falso, alle volte, è labile, e l'errore sempre in agguato dietro l'angolo. Di smontare miti, credente e attribuzioni che avevano tratto in inganno Stravinskij, si prese la briga, giusto quanrant'anni fa, lo studioso tedesco Helmut Hucke, dimostrando che le musiche adoperate nel "balletto con canto" (1919-20) erano solo in parte di Pergolesi. Piuttosto discendevano dai meno illustri lombi di Domenico Gallo e Fortunato Chelleri (due musicisti settecenteschi di area padano-veneta), o, addirittura, di un maestro di canto vissuto tra Otto e Novecento. Quell'Alessandro Parisotti, autore della fin troppo celebre "Se tu m'ami", da lui contrabbandata per opera dello jesino e introdotta nella raccolta a sua cura di Arie antiche ad una voce per canto e pianoforte (Ricordi, 1885-90).
Morendo poco oltre i vent'anni nel 1736, Pergolesi venne subito circonfuso coll'aureola di genio infelice e in breve conquistò una celebrità tale da favorire la produzione e lo spaccio di falsi a suo nome: "un fenomeno - notò il compianto Francesco Degrada - che sino a quel momento aveva interessato l'ambito delle arti figurative ed era del tutto estraneo alla musica". Già nel 1740 escono ad Amsterdam 6 Concerti armonici a 7 (quattro violini, viola, violoncello e basso continuo), che sebbene intestati a Pergolesi sono invece del conte Unico Wilhelm di Wassenaer. Il diluvio di "patacche" continuò nei secoli, almeno fino agli opera omnia curati tra il 1936 e il '41 da un dilettante di musica romano, il duca Filippo Caffarelli (evidentemente Pergolesi attraeva l'aristocrazia: uno dei suoi primi biografi, nel 1831, è stato il marchese di Villarosa); talmente omnia, da includere un bel po' di apocrifi.
Se all'inizio la spinta alla contraffazione rispondeva per lo più a ragioni pratiche, economiche (la firma Pergolesi faceva vendere; altrettanto Haydn, i cui Quartetti op.3 si debbono probabilmente al suo allievo Roman Hofstetter), il XIX secolo praticò invece la via della divinizzazione e dell'emulazione: chi fabbricava e diffondeva spartiti fasulli lo faceva in primo luogo per celebrare l'artista prediletto, per diffondere la sua fama; e poi, per dimostrare di essere all'altezza del modello, di averne ben appreso la lezione.
Oltretutto, spesso e volentieri i plagiati erano figure la cui parabola terrena vantava risvolti romantici e romanzeschi, e pertanto si prestava a una popolarizzazione su larga scala: se Pergolesi cedetti dinanzi a malattia incurabile, Stradella invece era morto ammazzato per una storia di corna: qualcosa di non troppo dissimile dal Ballo in Maschera.
Ed ecco, appunto, far la sua comparsa, intorno al 1840, l'air d'église Pietà Signor, uno pseudo-Stradella di solito attribuito a Louis Niedermeyer e che invece Guido Salvetti assegna a François-Joseph Fétis, compositore e storico della musica, ideatore dei primi concerti storici dedicati al repertorio antico, dal tardo medioevo al barocco. A proposito di Stradella: un suo biografo dai metodi alquanto spicci (documenti contraffatti o inventati), è lo stesso che all'indomani della seconda guerra mondiale diede alle stampe l'efferato Adagio di Albinoni, in realtà tutta farina del suo sacco: Remo Giazotto.
Il Novecento, anticipato in questa come in tante altre cose da Berlioz (che nel 1850 presentò a Parigi la Fuga in Egitto - più tardi inglobata nell'Enfance du Christ - facendola passare per opera d'un fantomatico maestro di cappella secentesco, Pierre Ducré), ha inteso il falso come gioco e come ammicco: non a caso è il secolo del, o meglio, dei neoclassicismi, del comporre à la manière de. Ancora a mezza via tra scherzo e allusione colta andranno classificati i divertissements di Fritz Kreisler, sommo violinista e contraffattore (sapientissimo) da salotto buono: il suo Preludio e Allegro di [Gaetano] Pugnani, disse un altro violinista, Carl Flesch, è molto più bello di tutto il Pugnani... vero (resterebbe da decidere a quale categoria ascrivere il Duetto buffo per due gatti, talora catalogato sotto il nome di Rossini, in realtà assemblato da tale Robert Lucas de Pearsall a partire dalla Cavatina dei gatti del danese Weyse e da due frammenti dell'Otello: una burla o un omaggio redditizio?).
Al partito dei savants fieri del loro metacomporre, del loro vestire panni altrui per il gusto d'ingannare altri savants (musicisti e musicologi), appartengono, invece, Luciano Berio e Mikhail Gold'shtein. Il primo, celeberrimo, inserì tra i Folk Songs almeno un canto di sua invenzione; il secondo, russo e ignoto ia più (1917-89), creò svariati lavori diffusi o sotto il nome di figure riverite (una Sonata per violoncello finì a Borodin, per esempio) o tramite autori inventati di sana pianta: vedi il caso di Nikolaj Ovsjaniko-Kulikovskij (1768-1846, le date fittizie) e della sua Sinfonia n.21, "ritrovata" nel 1948 e registrata anche da Evgenij Mravinskij colla Filarmonica di Leningrado.
Un altro caso esemplare di culto dei numi musicali, ovvero di "arrampicata" sulle loro spalle per ritagliarsi una fettina d'immortalità, è di recente approdato all'onore delle cronacche grazie alle ricerche compiute per la propria tesi dottorale (dedicata agli esercizi tecnici per il pianoforte di Beethoven) da un musicista e musicologo italiano di stanza in Spagna, Luca Chiantore: la bagatella Per Elisa, suprema aspirazione d'ogni principiante alla tastiera, sarebbe il frutto dell'assemblaggio di alcuni abbozzi beethoveniani compiuto da un giovane e ambizioso ricercatore tedesco del seconto Ottocento, Ludwig Nohl. Studi musicali in patria (Monza, Conservatorio di Milano, Scuola di Imola; maestri prediletti Emilia Crippa Stradelle e Alexander Lonquich), universitari a Barcellona, docente alla Scuola superiore di musica della Catalogna e nei corsi di analisi e interpretazione pianistica da lui annualmente organizzati a Valencia, Chiantore allinea con ordine (e con lieve accento iberico) tutti i suoi indizi: "I temi musicali di Per Elisa compaiono su pentagrammi tra loro non collegati in un bifolio, conservato a Bonn, che si può considerare uno studio preparatorio, quantunque non sia del tutto chiaro se si tratti di materiale per un unico pezzo o in quale ordine Beethoven lo avrebbe disposto. Quanto al manoscritto autografo di Per Elisa, Nohl, che editò nel 1867, asserisce di averlo visto, ma nessuno dopo di lui l'ha mai rinvenuto. Nohl, inoltre, è famoso per l'approssimazione e la sbrigatività con cui trattò e trascrisse le fonti beethoveniane".
Sono però soprattutto ragioni di forma musicale quelle che minano alla base la presunta autenticità di Per Elisa: "Pochi nel tempo, hanno avanzato dei dubbi su di essa - osserva Chiantore: forse perchè i 'padri fondatori' della musicologia (e Nohl è tra questi) non si discutono, forse perchè si tratta di un lavoro marginale, riservato ai bimbi. Eppure, a ben guardare, l'indicazione di tempo riportata, Poco moto, non era in uso all'epoca; l'architettura del pezzo, un rondò con due episodi e senza coda finale, è stranissima per Beethoven; e ancora più strano è il piano tonale: su 125 battute complessive, 114 sono in la minore: troppe per una composizione datata 1810. Secondo me, Nohl, quando si rese conto di trovarsi dinanzi a un Beethoven sconosciuto, pensò bene di realizzare una specie di collage, creando un ponte tra episodi non correlati. Per Elisa fu inclusa nell'appendice agli opera omnia, nel 1888; ma che lo stesso Nohl non desiderasse più di tanto attirare l'attenzione su questa sua scoperta giovanile, lo dimostra il fatto che nell'edizione tedesca della sua biografia beethoveniana (in 4 volumi!) della bagatella non compare neanche il titolo".
di Jacopo Pellegrini ("Classic Voice", gennaio 2010, n.128)
1 commento:
Com'è che NON si parla del duo che tanto caro ti è: Luchesi/Taboga?
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