Giovanni Bellucci è uno di quei pianisti a cui piace parlare. Prima e dopo i suoi concerti, davanti a un microfono o una telecamera, ovunque. Non lo fa per semplice sfoggio di erudizione. La sua è una missione: portare il pubblico sempre più 'dentro' la musica, discutere e mettersi in discussione con colleghi e amici; sono tutte facce della stessa medaglia, quella del vivo desiderio di conoscere e far conoscere attraverso progetti mirati i segreti più reconditi della musica. Oltretutto, è un pianista dalla rara sensibilità musicale e dalla tecnica ferratissima. Quella tecnica che gli permette, per esempio, di affrontare dal vivo e in disco un progetto monumentale come l'esecuzione dell'integrale beethoveniana delle sonate e delle sinfonie trascritte da Liszt. La storia è nota: il compositore ungherese iniziò a lavorare sulla possibilità di 'ridurre' per pianoforte la Quinta, Sesta e Settima sinfonia già nel 1838, ma è solo col 1865 che l'editore Breitkopf & Härtel si decide a pubblicare l'intero corpus beethoveniano di Sinfonie. Oggi, costituiscono uno dei capolavori dell'arte della trascrizione musicale, e sono tra le sfide più impegnative per un pianista moderno. La nostra chiacchierata con Giovanni Bellucci si snoda così, fra la storia del progetto e la sua realizzazione pratica, dalle questioni terminologiche sul senso della 'trascrizione', all'analisi di alcuni passi delle Sinfonie.
Come è nato il progetto?
«Limpresa è cominciata discograficamente nel 2002 con l'etichetta francese Assai: decisi di pubblicare il primo disco del progetto con la registrazione dal vivo della mia esecuzione della Settíma sinfonia e di due Sonate. Poi, nel 2004, il distributore M10, proprietario della casa discografica, ha chiuso i battenti e la Assai con loro: ho da poco recuperato i diritti delle incisioni precedentemente prodotte in Francia, come quella delle Parafrasi di Liszt su opere di Verdi e Bellini, e ho seriamente cominciato a lavorare al progetto Beethoven con la società Opus 106, che è distribuita in Italia da Jupiter. Recentemente, ho firmato un contratto con la Warner per la distribuzione mondiale delle mie incisioni. Il progetto, comunque, non si ferma alla parte discografica: infatti, sto portando avanti una serie di concerti a Villa Medici a Roma e a Casale Monferrato, durante i quali eseguo l'integrale delle Sinfonie e delle sonate introducendo i concerti con delle brevi analisi e suggestioni dialettiche».
Scorrendo la discografia del maestro Bellucci, non si può non notare la predominanza delle opere di Liszt (Sinfonia fantastica Berlioz/Liszt: per Decca, Parafrasi sulle opere di Bellini e Verdi per Assai, Concerto n. 1 e Totentanz per Accord-Universal), in particolare delle sue trascrizioni e parafrasi. Mi chiedo se non ci sia un legame particolare:
«Avendo inciso, accanto alle opere pianistichè di Beethoven e Liszt, anche la trascrizione della Sinfonia fantastica di Berlioz, ritengo di non avere un approccio settoriale; del resto, mi trovo filosoficamente vicino al concetto di trascrizione formulato da Ferruccio Busoni, per il quale ogni esecuzione di un pezzo, ogni materializzazione sonora di una notazione scritta, si può considerare alla stregua di una trascrizione. Non mi interessano letture basate esclusivamente sul culto quasi 'feticista' del testo come punto di partenza e di arrivo, come se le interpretazioni si potessero riassumere in quello: il testo è la punta di un iceberg, a cui dovremmo guardare con maggiore profondità e scevri da ogni pregiudizio dettato dalla tradizione esecutiva. Un esempio: ero in giuria al Premio Viotti, ed ho visto un candidato che si preparava alla prova ascoltando in cuffia un'incisione discografica del brano che doveva poi eseguire in concorso! A mio
avviso oggi gli esecutori sono molto condizionati dalle soluzioni interpretative tramandate attraverso i dischi, trascurando così il proprio mondo interiore. Forse non si indaga abbastanza il testo. Per tomare alle trascrizioni, credo esse siano un buon mezzo per potersi scrollare di dosso la comoda tentazione di iniziare e finire il proprio viaggio interpretativo con una resa calligrafica del testo musicale».
Lavorare sulle Sonate, oltre che sulle Sinfonie, è utile per comprendere meglio il linguaggio beethoveniano?
«Sì, perché è proprio di linguaggio, di sintassi, di significante e di significato che stiamo parlando: sulla base di questo assunto, Beethoven ha sviluppato tecniche
compositive elevandole a gradi di raffinatezza estrema. Se avessi potuto, avrei aggiunto altri generi a questo progetto, come i Quartetti per archi trascritti per pianoforte a quattro mani. Inoltre, le Sinfonie hanno un carattere pubblico, sono state pensate per delle grandi sale da concerto, mentre le Sonate sono nate per l'intimità di ambienti privati: è in questa zona di passaggio tra due diversi mezzi espressivi e due diverse tipologie di fruitori che sta Beethoven. Per capirlo meglio, quando riuniremo tutte le Sonate e Sinfonie in un unico cofanetto, ricollocheremo tutte le opere cronologicamente: così si potrà osservare come, per esempio, la Prima sinfonia, considerata dagli studiosi un'opera giovanile di Beethoven, sia nata dopo una sonata come la Patetica!»
Quanto Liszt è presente in queste trascrizioni?
«Direi che si sente poco, perché è molto bravo a non farsi sentire. Credo che noi abbiamo un'immagine distorta di Liszt: spesso pianisti dotati ne hanno un approccio che è frutto della convinzione che con lui tutto sia lecito. Mi sembra quasi che si sfrutti Liszt per evidenziare la parte meno nobile del nostro essere musicisti. I trascrittori scarsi traducono alla lettera: Liszt, invece, pur non alterando il senso dell'idea astratta originale, ricrea la corretta immagine sonora attraverso un linguaggio prettamente pianistico».
In fondo, ogni trascrizione è una ri-creazione...
«Più che altro è un cambiamento di linguaggio: preferirei non parlare di trascrizione, ma di traduzione. Trascrivere dà l'idea di una mera copia, secondo lo stesso principio per cui un interprete esclusivamente calligrafico non è un interprete».
Cosa si perde e cosa si guadagna in queste 'traduzioni'?
«Sicuramente si perdono molti anni di vita! Scherzi a parte, l'ascolto di queste Sinfonie al pianoforte significa perdere il concetto di spazialità: alcune di queste opere sono state chiaramente concepite per un spazio preciso. Pensiamo alla Quinta: nel momento in cui si reitera il frammento iniziale (battute 1-58), Beethoven fa rimbalzare la cellula fra una sezione e l'altra dell'orchestra; insomma, ci pone di fronte ad uno spazio fisico in cui sappiamo che può emergere questo lapidario incipit, ma non possiamo prevedere da che zona dell'orchestra ci perverrà quel minaccioso segnale sonoro. Per essere ricreato al pianoforte, questo effetto necessita di una grande ricerca timbrica da parte dell'interprete».
Perché Liszt ha voluto indicare nello spartito i nomi degli strumenti dell'orchestra?
«Credo sia un motivo specificatamente timbrico: la suggestione data può servire al pianista per alimentare la sua immaginazione coloristica. Liszt era consapevole che pochi strumentisti avrebbero potuto eseguire questi lavori, per cui c'è anche un'utilità pratica di lettura per chi volesse seguire l'ascolto delle sinfonie originali leggendo lo spartito per pianoforte».
Qual è il punto di forza di una trascrizione come quella della Settima sinfonia?
«C'è un particolare elemento che la connota come particolarmente adatta per la trascrizione pianistica, ed è l'elemento ritmico, che in questa composizione prevale sugli altri diversi parametri che compongono l'evento sonoro, melodia ed armonia, ad esempio. Essendo questa sinfonia 'l'apoteosi della danza', essa trova nel pianoforte il suo più docile mezzo per accedere alla plasticità di realizzazione delle pulsazioni ritmiche».
La densità di scrittura orchestrale della Settima si trad u ce in un impaginato pianistico molto chiaro, quasi trasparente...
«Ci sono molti raddoppi nelle parti d'orchestra che al pianoforte si trasformerebbero a volte solo in teorici unisoni, altre in giganteschi accordi non eseguibili da due sole, piccole, mani. Pensiamo all'attacco dell'allegretto: in
orchestra il suono dei fiati è caldo e situato nella tessitura più naturalmente congeniale ai legni, che devono quasi snaturare le loro caratteristiche pur di essere veramente incisivi; nella versione pianistica l'accordo è "strozzato" in un registro aspro della tastiera, ma se Liszt avesse dovuto tradurlo diversamente dalla partitura - per dargli profondità - lo avrebbe dovuto addizionare di suoni a tal
punto da renderlo ineseguibile da due sole mani se non arpeggiato... e questo sarebbe stato come tradire l'idea beethoveniana della `sferzata" che ci proietta drammaticamente nell'ombrosa tonalità di la minore».
Veniamo alla Quinta. C'è un momento particolarmente magico, ossia il ponte fra III e IV movimento (bb. 324-373). Come si muove Liszt?
Prima di rispondenni, Bellucci mi mostra il video di un suo concerto durante il quale ha eseguito la Quinta sinfonia. Arrivato al punto esatto, mi fa notare la pausa che dilata prima di attaccare il lungo pedale di la bemolle, poi osservo le facce immobili del pubblico in completa tensione: «Ho concepito questo momento come una sorta di cronaca, quasi oggettiva, in cui però si perde il momento narrativo: si ha una sensazione di smarrimento, bisogna vincere il desiderio di fare un grande crescendo e contrarre tutte le forze emotive in vista dell'esplosione del IV movimento. Sono momenti come questi che fanno capire quanto il lavoro di studio delle sinfonie si possa riflettere anche nell'approccio alle sonate: il lungo trillo dell'op. 111 è un passaggio molto simile a questo quanto a diversità di piani sonori».
A quando l'appuntamento con la Nono sinfonia?
«Dovrò prima stabilire con la produzione discografica il coro e i solisti con i quali registrarla. L'ho eseguita non molto tempo fa in concerto con il Coro dell'Accademia Nazionale di S. Cecilia, ed è stata una bellissima esperienza. Liszt scrive sul testo pianistico le parte vocali, disponendo che si debbano eseguire alla tastiera, e per ripristinare la presenza delle voci è necessario mettere mano allo spartito, eliminando gli eventuali raddoppi delle voci e potenziando la trascrizione dei contrappunti strumentali».
di Carlo Lanfossi ("il giornale della musca", Anno XXV n.255, gennaio 2009)
Come è nato il progetto?
«Limpresa è cominciata discograficamente nel 2002 con l'etichetta francese Assai: decisi di pubblicare il primo disco del progetto con la registrazione dal vivo della mia esecuzione della Settíma sinfonia e di due Sonate. Poi, nel 2004, il distributore M10, proprietario della casa discografica, ha chiuso i battenti e la Assai con loro: ho da poco recuperato i diritti delle incisioni precedentemente prodotte in Francia, come quella delle Parafrasi di Liszt su opere di Verdi e Bellini, e ho seriamente cominciato a lavorare al progetto Beethoven con la società Opus 106, che è distribuita in Italia da Jupiter. Recentemente, ho firmato un contratto con la Warner per la distribuzione mondiale delle mie incisioni. Il progetto, comunque, non si ferma alla parte discografica: infatti, sto portando avanti una serie di concerti a Villa Medici a Roma e a Casale Monferrato, durante i quali eseguo l'integrale delle Sinfonie e delle sonate introducendo i concerti con delle brevi analisi e suggestioni dialettiche».
Scorrendo la discografia del maestro Bellucci, non si può non notare la predominanza delle opere di Liszt (Sinfonia fantastica Berlioz/Liszt: per Decca, Parafrasi sulle opere di Bellini e Verdi per Assai, Concerto n. 1 e Totentanz per Accord-Universal), in particolare delle sue trascrizioni e parafrasi. Mi chiedo se non ci sia un legame particolare:
«Avendo inciso, accanto alle opere pianistichè di Beethoven e Liszt, anche la trascrizione della Sinfonia fantastica di Berlioz, ritengo di non avere un approccio settoriale; del resto, mi trovo filosoficamente vicino al concetto di trascrizione formulato da Ferruccio Busoni, per il quale ogni esecuzione di un pezzo, ogni materializzazione sonora di una notazione scritta, si può considerare alla stregua di una trascrizione. Non mi interessano letture basate esclusivamente sul culto quasi 'feticista' del testo come punto di partenza e di arrivo, come se le interpretazioni si potessero riassumere in quello: il testo è la punta di un iceberg, a cui dovremmo guardare con maggiore profondità e scevri da ogni pregiudizio dettato dalla tradizione esecutiva. Un esempio: ero in giuria al Premio Viotti, ed ho visto un candidato che si preparava alla prova ascoltando in cuffia un'incisione discografica del brano che doveva poi eseguire in concorso! A mio
avviso oggi gli esecutori sono molto condizionati dalle soluzioni interpretative tramandate attraverso i dischi, trascurando così il proprio mondo interiore. Forse non si indaga abbastanza il testo. Per tomare alle trascrizioni, credo esse siano un buon mezzo per potersi scrollare di dosso la comoda tentazione di iniziare e finire il proprio viaggio interpretativo con una resa calligrafica del testo musicale».
Lavorare sulle Sonate, oltre che sulle Sinfonie, è utile per comprendere meglio il linguaggio beethoveniano?
«Sì, perché è proprio di linguaggio, di sintassi, di significante e di significato che stiamo parlando: sulla base di questo assunto, Beethoven ha sviluppato tecniche
compositive elevandole a gradi di raffinatezza estrema. Se avessi potuto, avrei aggiunto altri generi a questo progetto, come i Quartetti per archi trascritti per pianoforte a quattro mani. Inoltre, le Sinfonie hanno un carattere pubblico, sono state pensate per delle grandi sale da concerto, mentre le Sonate sono nate per l'intimità di ambienti privati: è in questa zona di passaggio tra due diversi mezzi espressivi e due diverse tipologie di fruitori che sta Beethoven. Per capirlo meglio, quando riuniremo tutte le Sonate e Sinfonie in un unico cofanetto, ricollocheremo tutte le opere cronologicamente: così si potrà osservare come, per esempio, la Prima sinfonia, considerata dagli studiosi un'opera giovanile di Beethoven, sia nata dopo una sonata come la Patetica!»
Quanto Liszt è presente in queste trascrizioni?
«Direi che si sente poco, perché è molto bravo a non farsi sentire. Credo che noi abbiamo un'immagine distorta di Liszt: spesso pianisti dotati ne hanno un approccio che è frutto della convinzione che con lui tutto sia lecito. Mi sembra quasi che si sfrutti Liszt per evidenziare la parte meno nobile del nostro essere musicisti. I trascrittori scarsi traducono alla lettera: Liszt, invece, pur non alterando il senso dell'idea astratta originale, ricrea la corretta immagine sonora attraverso un linguaggio prettamente pianistico».
In fondo, ogni trascrizione è una ri-creazione...
«Più che altro è un cambiamento di linguaggio: preferirei non parlare di trascrizione, ma di traduzione. Trascrivere dà l'idea di una mera copia, secondo lo stesso principio per cui un interprete esclusivamente calligrafico non è un interprete».
Cosa si perde e cosa si guadagna in queste 'traduzioni'?
«Sicuramente si perdono molti anni di vita! Scherzi a parte, l'ascolto di queste Sinfonie al pianoforte significa perdere il concetto di spazialità: alcune di queste opere sono state chiaramente concepite per un spazio preciso. Pensiamo alla Quinta: nel momento in cui si reitera il frammento iniziale (battute 1-58), Beethoven fa rimbalzare la cellula fra una sezione e l'altra dell'orchestra; insomma, ci pone di fronte ad uno spazio fisico in cui sappiamo che può emergere questo lapidario incipit, ma non possiamo prevedere da che zona dell'orchestra ci perverrà quel minaccioso segnale sonoro. Per essere ricreato al pianoforte, questo effetto necessita di una grande ricerca timbrica da parte dell'interprete».
Perché Liszt ha voluto indicare nello spartito i nomi degli strumenti dell'orchestra?
«Credo sia un motivo specificatamente timbrico: la suggestione data può servire al pianista per alimentare la sua immaginazione coloristica. Liszt era consapevole che pochi strumentisti avrebbero potuto eseguire questi lavori, per cui c'è anche un'utilità pratica di lettura per chi volesse seguire l'ascolto delle sinfonie originali leggendo lo spartito per pianoforte».
Qual è il punto di forza di una trascrizione come quella della Settima sinfonia?
«C'è un particolare elemento che la connota come particolarmente adatta per la trascrizione pianistica, ed è l'elemento ritmico, che in questa composizione prevale sugli altri diversi parametri che compongono l'evento sonoro, melodia ed armonia, ad esempio. Essendo questa sinfonia 'l'apoteosi della danza', essa trova nel pianoforte il suo più docile mezzo per accedere alla plasticità di realizzazione delle pulsazioni ritmiche».
La densità di scrittura orchestrale della Settima si trad u ce in un impaginato pianistico molto chiaro, quasi trasparente...
«Ci sono molti raddoppi nelle parti d'orchestra che al pianoforte si trasformerebbero a volte solo in teorici unisoni, altre in giganteschi accordi non eseguibili da due sole, piccole, mani. Pensiamo all'attacco dell'allegretto: in
orchestra il suono dei fiati è caldo e situato nella tessitura più naturalmente congeniale ai legni, che devono quasi snaturare le loro caratteristiche pur di essere veramente incisivi; nella versione pianistica l'accordo è "strozzato" in un registro aspro della tastiera, ma se Liszt avesse dovuto tradurlo diversamente dalla partitura - per dargli profondità - lo avrebbe dovuto addizionare di suoni a tal
punto da renderlo ineseguibile da due sole mani se non arpeggiato... e questo sarebbe stato come tradire l'idea beethoveniana della `sferzata" che ci proietta drammaticamente nell'ombrosa tonalità di la minore».
Veniamo alla Quinta. C'è un momento particolarmente magico, ossia il ponte fra III e IV movimento (bb. 324-373). Come si muove Liszt?
Prima di rispondenni, Bellucci mi mostra il video di un suo concerto durante il quale ha eseguito la Quinta sinfonia. Arrivato al punto esatto, mi fa notare la pausa che dilata prima di attaccare il lungo pedale di la bemolle, poi osservo le facce immobili del pubblico in completa tensione: «Ho concepito questo momento come una sorta di cronaca, quasi oggettiva, in cui però si perde il momento narrativo: si ha una sensazione di smarrimento, bisogna vincere il desiderio di fare un grande crescendo e contrarre tutte le forze emotive in vista dell'esplosione del IV movimento. Sono momenti come questi che fanno capire quanto il lavoro di studio delle sinfonie si possa riflettere anche nell'approccio alle sonate: il lungo trillo dell'op. 111 è un passaggio molto simile a questo quanto a diversità di piani sonori».
A quando l'appuntamento con la Nono sinfonia?
«Dovrò prima stabilire con la produzione discografica il coro e i solisti con i quali registrarla. L'ho eseguita non molto tempo fa in concerto con il Coro dell'Accademia Nazionale di S. Cecilia, ed è stata una bellissima esperienza. Liszt scrive sul testo pianistico le parte vocali, disponendo che si debbano eseguire alla tastiera, e per ripristinare la presenza delle voci è necessario mettere mano allo spartito, eliminando gli eventuali raddoppi delle voci e potenziando la trascrizione dei contrappunti strumentali».
di Carlo Lanfossi ("il giornale della musca", Anno XXV n.255, gennaio 2009)
1 commento:
La ringrazio per intiresnuyu iformatsiyu
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