Se la Terza di Brahms è una Sinfonia fuori dalla norma, a maggior ragione Das Lied von der Erde (Il canto della Terra) costituisce un caso a sé. Il sottotitolo recita "Sinfonia per contralto, tenore e orchestra da "Die chinesische Flöte (Il flauto cinese) di Hans Bethge", ma la discussione se si tratti di una Sinfonia o piuttosto di un ciclo di lieder è tuttora aperta.
Mahler sembra sia stato molto superstizioso, sicché temeva che, dato il suo stato di salute decisamente compromesso, non sarebbe riuscito a superare il numero fatale per un sinfonista, ovvero nove (la numerazione delle Sinfonie di Schubert arriva talvolta a dieci, ma solo contando due opere frammentarie, oltre alla cosiddetta Incompiuta, sicché anch'egli, come Beethoven, in realtà non scrisse più di nove Sinfonie, come del resto anche Dvorák). Già il suo maestro Anton Bruckner non era riuscito a terminare la sua nona (in compenso esistono due Sinfonie giovanili), e Mahler non poteva non tenere presente questa circostanza; egli perciò aveva escogitato un piano per ingannare il destino: non contava Das Lied von der Erde come Sinfonia (sarebbe stata, appunto, la nona) bensì come opera a parte, per cui aveva agio (per modo di dire, visti i suoi numerosi guai sia sul piano del lavoro come direttore a New York, sia sul piano affettivo) di comporre una nona Sinfonia che in realtà sarebbe stata già la sua Decima. Quando poi si accinse a scrivere una Sinfonia effettivamente contata come Decima, essa tuttavia fatalmente rimase incompiuta a causa della sua morte prematura (egli riusci a completarne il solo Adagio iniziale).
Sinfonia sui generis, dunque, Il canto della terra, composto fra l'autunno del 1907 e il 1908, nacque in quello che probabilmente fu il peggior momento di tutta la vita di Mahler: le polemiche della stampa viennese (specie quella apertamente antisemita) avevano portato nella primavera del 1907 alle sue dimissioni dal posto del direttore generale della Hofoper, che lasciò con un'ultima recita di Fidelio (15 ottobre 1907); nell'estate era morta di difterite la figlia maggiore Maria Anna, il che gli aveva provocato un crollo psico-fisico; quando si cercò di rimetterlo in sesto i medici gli diagnosticarono un male incurabile al cuore (che in effetti lo avrebbe portato alla tomba meno di quattro anni dopo); infine il matrimonio con Alma Schindler, bella e intelligente, anch'essa musicista raffinata, una delle donne più desiderate dell'impero austroungarico, era entrato definitivamente in crisi. In questo momento di profonda angoscia Mahler volse il suo pensiero ancora alla letteratura, trovando in un'antologia di poesie cinesi pubblicate da Hans Bethge con il titolo di Die chinesische Flöte (Il flauto cinese) qualcosa che potesse fare sia da contraltare alla sua crisi esistenziale, sia anche, volendo, da 'cassa di risonanza'.
I gusti letterari di Mahler erano piuttosto eterogenei: egli, infatti, accanto ai classici, da Tirso de Molina a Goethe, da Klopstock a Rückert a Nietzsche, amava molto la poesia popolare (o anche popolareggiante), sicché compose parecchi lieder su testi dell'antologia romantica Des Knaben Wunderhorn (Il corno magico del fanciullo), curata da Achim von Arnim e Clemens Brentano, ma anche su testi propri, scritti in uno stile pseudopopolare.
L'interesse per l'estremo oriente sembra però sia da considerarsi una novità nella vita di Mahler; viceversa non lo era nella storia della cultura occidentale, perché negli ultimi decenni dell'ottocento il Giappone era diventato un paese alla moda.
Da quando nel 1853 un manipolo di navi americane forzò il blocco all'occidente (a parte i cinesi, dal 1641 al 1854 i soli olandesi ebbero il permesso di svolgere attività commerciale in Giappone, limitata peraltro a Nagasaki), ebbe termine l'isolamento dell'arcipelago autoimpostosi nel 1637/38. Nei decenni successivi, i più svariati oggetti giapponesi (e molte copie occidentali) invasero i mercati europei, in primis quelli francesi, da cui lo japonisme si diramò nel resto del mondo. Madame Chrysanthème di Pierre Loti (lo pseudonimo con cui Julien Vaud, scrittore entrato nell'Académie Française nel 1891, pubblicò i suoi numerosi libri d'ambientazione esotica) uscì a puntate sul Figaro nel 1887 e in volume l'anno seguente: questo romanzo - tradotto anche in tedesco (1896) e in italiano (1908) - per molto tempo costituì una sorta di breviario europeo a uso popolare degli usi e costumi giapponesi: la storia di una geisha sposata a tempo a un ufficiale di marina francese, musicata da André Messager (Paris 1893) e più tardi riccheggiata dalla più celebre Madama Butterfly di Puccini (Milano 1904) sembra abbia ispirato a Luigi Illica più di un dettaglio del suo libretto di Iris, intonata da Pietro Mascagni nel 1898.
Alla esposizione Universale di Parigi del 1889 (quella rimasta celebre per la costruzione della Torre Eiffel) si esibirono dei musicisti indonesiani, suscitando l'entusiasmo non passeggero di Debussy, che avrebbe impiegato scale esatonali (a toni interi) in molte delle sue opere a venire. Da La princesse jaune di Camille Saint-Saéns (Paris 1872) e The Mikado di Sir William Schwenck Gilbert e Sir Arthur Seymour Sullivan (London 1885) a The Geisha di Sidney Jones (London 1896) e Das Land des Lächelns (Il paese dei sorrisi) di Franz Lehár (Berlin 1929) è tutta una fioritura di titoli teatrali ambientati in Giappone; ricordare la Turandot gozziano-pucciniana (completata da Franco Alfano e rappresentata a distanza di un anno e mezzo dalla morte dell'autore alla Scala di Milano nel 1926) è quasi superfluo, ma non va dimenticato nemmeno un amico di Mahler, Alexander Zemlinsky (1871-1942), che poco dopo si sarebbe fatto tentare da Der Kreidekreis (Il cerchio di gesso, 1925) di Klabund (pseudonimo di Alfred Henschke, 1890-1928), a sua volta basato su un dramma cinese del XVIII secolo; l'opera di Zemlinsky sarebbe stata rappresentata nel 1933 a Zurigo.
Il Premio nobel per la letteratura nel 1913 venne conferito a uno scrittore indiano, Rabindranath Tagore (1861~194 1): insomma, tra otto e novecento le culture orientali godevano di grande popolarità nei salotti francesi e mitteleuropei.
Mahler, ricorrendo a poesie classiche cinesi, tradotte e adattate da Hans Bethge, non indugiò tuttavia su un orientalismo di maniera; gli elementi musicali che eventualmente potrebbero essere identificati come asiatici sono assai pochi: salta all'occhio l'inizio del terzo lied, Von der jugend, laddove ai legni (flauti, oboe, clarinetti) spetta qualche figurazione similpentatonica (fa-sol-si bemolle-do-re), ma si tratta di momenti episodici. Quel che interessa davvero a Mahler è il lato direi mistico delle poesie: apparentemente semplici, cantano la gioventù, l'amicizia, la natura, le stagioni (primavera e autunno), ma in realtà in esse si manifesta un micro (o piuttosto macro) cosmo che giustifica appieno il titolo di Canto della terra.
Tra gli autori, infatti, si conta il maggior poeta classico cinese, Il T'ai Po (altre grafie in uso sono li Bo, li Taibo, li Tai-peh), nato intorno al 700 e scomparso nel 762 o 765; inoltre Wang Wei e Meng Hao-jan, tutti più o meno contemporanei, nonché il più tardo Chang Chi.
La veste strumentale come sempre assai curata e la qualità dell'invenzione melodica dei primi cinque lieder ne fanno alcune delle più sentite creazioni di Mahler, che aveva previsto, accanto al tenore, cui spettano il primo, il terzo e il quinto lied, in alternativa al contralto anche il baritono, cui toccano i restanti tre, quelli pari. Bruno Walter alla prima assoluta, postuma, avvenuta il 20 novembre 1911 a Monaco di Baviera, aveva scritturato un contralto, Sara Jane Cahier; alla prima viennese, sempre diretta da Walter (1912), cantò invece un baritono, ma questa scelta timbrica è stata condivisa da pochissimi interpreti.
Senza dubbio l'epicentro spirituale e musicale del Lied von der Erde è tuttavia l'ultimo brano, Der Abschied (L'addio), che da solo occupa ben cinquanta delle centoquaranta quattro pagine della partitura dell'Universal-edition e la cui esecuzione dura all'incirca ventotto minuti.
Fin dalle prime battute il clima si fa ancor più desolato: il motivo dolente dell'oboe, basato su un gruppetto, fa da controccanto alla voce scura del contralto che narra dell'abbandono da parte del sole, da cui nasce uno dei momenti più struggenti della storia della musica. L'icasticità dell'abbinamento testo-musica è ancor più mirabile se si tiene presente che Mahler combinò due poesie in origine separate, di due poeti diversi: ne nacque però un tutt'uno omogeneo nella sua assoluta essenzialità. A tratti si fa musica da camera (Es wehet kühl), con la riduzione dell'organico a pochi solisti (nella fattispecie, oltre al contralto vi si ascolta il solo flauto su un pedale del contrabbasso), laddove poche battute dopo trova spazio anche il mandolino, in un momento assai aereo, ma riemerge sempre il motivo iniziale dell'oboe a fare da collante, cui si aggiunge il corpo degli archi, mai trattati, se possibile, con simile umana partecipazione e quasi fisica simpatia, nel senso di sofferenza comune. Mai il pathos fu meno patetico.
Un grande direttore alcuni anni fa propose l'esecuzione separata (peraltro mirabile) di Der Abschied, abbinato alla nona Sinfonia dello stesso Mahler. A mio modesto avviso fu una scelta infelice: dopo L'addio non si può suonare altro, oltre la metafisica non può che seguire il nulla.
Johannes Streicher (Festspiele Südtirol 2010)
Mahler sembra sia stato molto superstizioso, sicché temeva che, dato il suo stato di salute decisamente compromesso, non sarebbe riuscito a superare il numero fatale per un sinfonista, ovvero nove (la numerazione delle Sinfonie di Schubert arriva talvolta a dieci, ma solo contando due opere frammentarie, oltre alla cosiddetta Incompiuta, sicché anch'egli, come Beethoven, in realtà non scrisse più di nove Sinfonie, come del resto anche Dvorák). Già il suo maestro Anton Bruckner non era riuscito a terminare la sua nona (in compenso esistono due Sinfonie giovanili), e Mahler non poteva non tenere presente questa circostanza; egli perciò aveva escogitato un piano per ingannare il destino: non contava Das Lied von der Erde come Sinfonia (sarebbe stata, appunto, la nona) bensì come opera a parte, per cui aveva agio (per modo di dire, visti i suoi numerosi guai sia sul piano del lavoro come direttore a New York, sia sul piano affettivo) di comporre una nona Sinfonia che in realtà sarebbe stata già la sua Decima. Quando poi si accinse a scrivere una Sinfonia effettivamente contata come Decima, essa tuttavia fatalmente rimase incompiuta a causa della sua morte prematura (egli riusci a completarne il solo Adagio iniziale).
Sinfonia sui generis, dunque, Il canto della terra, composto fra l'autunno del 1907 e il 1908, nacque in quello che probabilmente fu il peggior momento di tutta la vita di Mahler: le polemiche della stampa viennese (specie quella apertamente antisemita) avevano portato nella primavera del 1907 alle sue dimissioni dal posto del direttore generale della Hofoper, che lasciò con un'ultima recita di Fidelio (15 ottobre 1907); nell'estate era morta di difterite la figlia maggiore Maria Anna, il che gli aveva provocato un crollo psico-fisico; quando si cercò di rimetterlo in sesto i medici gli diagnosticarono un male incurabile al cuore (che in effetti lo avrebbe portato alla tomba meno di quattro anni dopo); infine il matrimonio con Alma Schindler, bella e intelligente, anch'essa musicista raffinata, una delle donne più desiderate dell'impero austroungarico, era entrato definitivamente in crisi. In questo momento di profonda angoscia Mahler volse il suo pensiero ancora alla letteratura, trovando in un'antologia di poesie cinesi pubblicate da Hans Bethge con il titolo di Die chinesische Flöte (Il flauto cinese) qualcosa che potesse fare sia da contraltare alla sua crisi esistenziale, sia anche, volendo, da 'cassa di risonanza'.
I gusti letterari di Mahler erano piuttosto eterogenei: egli, infatti, accanto ai classici, da Tirso de Molina a Goethe, da Klopstock a Rückert a Nietzsche, amava molto la poesia popolare (o anche popolareggiante), sicché compose parecchi lieder su testi dell'antologia romantica Des Knaben Wunderhorn (Il corno magico del fanciullo), curata da Achim von Arnim e Clemens Brentano, ma anche su testi propri, scritti in uno stile pseudopopolare.
L'interesse per l'estremo oriente sembra però sia da considerarsi una novità nella vita di Mahler; viceversa non lo era nella storia della cultura occidentale, perché negli ultimi decenni dell'ottocento il Giappone era diventato un paese alla moda.
Da quando nel 1853 un manipolo di navi americane forzò il blocco all'occidente (a parte i cinesi, dal 1641 al 1854 i soli olandesi ebbero il permesso di svolgere attività commerciale in Giappone, limitata peraltro a Nagasaki), ebbe termine l'isolamento dell'arcipelago autoimpostosi nel 1637/38. Nei decenni successivi, i più svariati oggetti giapponesi (e molte copie occidentali) invasero i mercati europei, in primis quelli francesi, da cui lo japonisme si diramò nel resto del mondo. Madame Chrysanthème di Pierre Loti (lo pseudonimo con cui Julien Vaud, scrittore entrato nell'Académie Française nel 1891, pubblicò i suoi numerosi libri d'ambientazione esotica) uscì a puntate sul Figaro nel 1887 e in volume l'anno seguente: questo romanzo - tradotto anche in tedesco (1896) e in italiano (1908) - per molto tempo costituì una sorta di breviario europeo a uso popolare degli usi e costumi giapponesi: la storia di una geisha sposata a tempo a un ufficiale di marina francese, musicata da André Messager (Paris 1893) e più tardi riccheggiata dalla più celebre Madama Butterfly di Puccini (Milano 1904) sembra abbia ispirato a Luigi Illica più di un dettaglio del suo libretto di Iris, intonata da Pietro Mascagni nel 1898.
Alla esposizione Universale di Parigi del 1889 (quella rimasta celebre per la costruzione della Torre Eiffel) si esibirono dei musicisti indonesiani, suscitando l'entusiasmo non passeggero di Debussy, che avrebbe impiegato scale esatonali (a toni interi) in molte delle sue opere a venire. Da La princesse jaune di Camille Saint-Saéns (Paris 1872) e The Mikado di Sir William Schwenck Gilbert e Sir Arthur Seymour Sullivan (London 1885) a The Geisha di Sidney Jones (London 1896) e Das Land des Lächelns (Il paese dei sorrisi) di Franz Lehár (Berlin 1929) è tutta una fioritura di titoli teatrali ambientati in Giappone; ricordare la Turandot gozziano-pucciniana (completata da Franco Alfano e rappresentata a distanza di un anno e mezzo dalla morte dell'autore alla Scala di Milano nel 1926) è quasi superfluo, ma non va dimenticato nemmeno un amico di Mahler, Alexander Zemlinsky (1871-1942), che poco dopo si sarebbe fatto tentare da Der Kreidekreis (Il cerchio di gesso, 1925) di Klabund (pseudonimo di Alfred Henschke, 1890-1928), a sua volta basato su un dramma cinese del XVIII secolo; l'opera di Zemlinsky sarebbe stata rappresentata nel 1933 a Zurigo.
Il Premio nobel per la letteratura nel 1913 venne conferito a uno scrittore indiano, Rabindranath Tagore (1861~194 1): insomma, tra otto e novecento le culture orientali godevano di grande popolarità nei salotti francesi e mitteleuropei.
Mahler, ricorrendo a poesie classiche cinesi, tradotte e adattate da Hans Bethge, non indugiò tuttavia su un orientalismo di maniera; gli elementi musicali che eventualmente potrebbero essere identificati come asiatici sono assai pochi: salta all'occhio l'inizio del terzo lied, Von der jugend, laddove ai legni (flauti, oboe, clarinetti) spetta qualche figurazione similpentatonica (fa-sol-si bemolle-do-re), ma si tratta di momenti episodici. Quel che interessa davvero a Mahler è il lato direi mistico delle poesie: apparentemente semplici, cantano la gioventù, l'amicizia, la natura, le stagioni (primavera e autunno), ma in realtà in esse si manifesta un micro (o piuttosto macro) cosmo che giustifica appieno il titolo di Canto della terra.
Tra gli autori, infatti, si conta il maggior poeta classico cinese, Il T'ai Po (altre grafie in uso sono li Bo, li Taibo, li Tai-peh), nato intorno al 700 e scomparso nel 762 o 765; inoltre Wang Wei e Meng Hao-jan, tutti più o meno contemporanei, nonché il più tardo Chang Chi.
La veste strumentale come sempre assai curata e la qualità dell'invenzione melodica dei primi cinque lieder ne fanno alcune delle più sentite creazioni di Mahler, che aveva previsto, accanto al tenore, cui spettano il primo, il terzo e il quinto lied, in alternativa al contralto anche il baritono, cui toccano i restanti tre, quelli pari. Bruno Walter alla prima assoluta, postuma, avvenuta il 20 novembre 1911 a Monaco di Baviera, aveva scritturato un contralto, Sara Jane Cahier; alla prima viennese, sempre diretta da Walter (1912), cantò invece un baritono, ma questa scelta timbrica è stata condivisa da pochissimi interpreti.
Senza dubbio l'epicentro spirituale e musicale del Lied von der Erde è tuttavia l'ultimo brano, Der Abschied (L'addio), che da solo occupa ben cinquanta delle centoquaranta quattro pagine della partitura dell'Universal-edition e la cui esecuzione dura all'incirca ventotto minuti.
Fin dalle prime battute il clima si fa ancor più desolato: il motivo dolente dell'oboe, basato su un gruppetto, fa da controccanto alla voce scura del contralto che narra dell'abbandono da parte del sole, da cui nasce uno dei momenti più struggenti della storia della musica. L'icasticità dell'abbinamento testo-musica è ancor più mirabile se si tiene presente che Mahler combinò due poesie in origine separate, di due poeti diversi: ne nacque però un tutt'uno omogeneo nella sua assoluta essenzialità. A tratti si fa musica da camera (Es wehet kühl), con la riduzione dell'organico a pochi solisti (nella fattispecie, oltre al contralto vi si ascolta il solo flauto su un pedale del contrabbasso), laddove poche battute dopo trova spazio anche il mandolino, in un momento assai aereo, ma riemerge sempre il motivo iniziale dell'oboe a fare da collante, cui si aggiunge il corpo degli archi, mai trattati, se possibile, con simile umana partecipazione e quasi fisica simpatia, nel senso di sofferenza comune. Mai il pathos fu meno patetico.
Un grande direttore alcuni anni fa propose l'esecuzione separata (peraltro mirabile) di Der Abschied, abbinato alla nona Sinfonia dello stesso Mahler. A mio modesto avviso fu una scelta infelice: dopo L'addio non si può suonare altro, oltre la metafisica non può che seguire il nulla.
Johannes Streicher (Festspiele Südtirol 2010)
1 commento:
Grazie davvero per questo post.
E ora via con l'ascolto :)
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