Un viaggio quasi vero da Roma a Mantova
Siamo a Roma, nel settembre 1581: Antonio Rizzi è un cantore siciliano al servizio del duca Guglielmo Gonzaga, che viaggia per l’Italia con l’incarico di procurare al suo signore buoni musicisti. E non solo: a volte – come capita a molti servitori – gli viene chiesto di procurare un tessuto prezioso, o qualche altro oggetto di valore. È un buon agente, vivace: insieme al fidato Aurelio Zibramonti sa intessere trattative importanti. Come quella appena abbandonata a Bologna, per una cantante e strumentista, che Guglielmo vorrebbe come dama di compagnia per la giovane nuora Margherita Farnese, da poco giunta a Mantova. Si tratta di Laura Bovio, che tutti lodano per le sue qualità e vanno ad ascoltare ammirati nelle celebrazioni presso il convento di San Lorenzo.
Ora, però, Antonio deve lavorare bene: proprio tramite Aurelio Zibramonti ha ricevuto dal duca «cinquanta scudi d’oro del peso di Roma per andar alla suddetta città in servizio di Sua Altezza, de’ quali gli havrà da render ragione». Il cantore cerca virtuosi di pregio e può avere un aiuto dal nobile Scipione Gonzaga, attorno al quale si radunano tutti i migliori musicisti, come Luca Marenzio, Giovanni Pierluigi da Palestrina, Giovanni Maria Nanino, Ruggero Giovannelli. La relazione che manda a Mantova è dettagliata e offre diverse possibilità: ha ritrovato un castrato che è già stato a corte e può di nuovo tornare; Palestrina gli ha consigliato un contralto («persona molto litterata», già impiegata in San Pietro) che però partirà solo con adeguato compenso, così come l’arpista Giovanni Battista che vuole condurre con sé anche i genitori.
Ma il primo che ha riposto alle richieste del duca Gonzaga e che Antonio pone in cima alla sua lista è un grande organista fiammingo, giunto a Roma a studiare con Filippo Da Monte, dopo essere stato fanciullo cantore nella cappella imperiale di Vienna: Giovanni de Macque. Ha bisogno di alcuni giorni per sistemare le sue faccende (è organista in San Luigi dei Francesi), ma «s’è contentato di venir a servire Sua Altezza» e se ne verrà con lo stesso Rizzi «se accosì piace» a Guglielmo.
È arrivato a Mantova davvero de Macque?
Ancora non lo sappiamo, ma come non pensarlo alla tastiera dell’Antegnati in Santa Barbara, oppure intento ad ascoltare i concerti in corte, o le celebrazioni in chiesa? Possiamo immaginare che anche attraverso il viaggio a Mantova le sue costruzioni musicali raffinate, le sue capacità di creare forme insolite e mobilissime, di sperimentare nei timbri e nei fraseggi, abbiano trovato idee e suggestioni, prime fra tutte sui tasti dell’organo di Graziadio.
In fondo è solo un viaggio da un Gonzaga all’altro, da Scipione a Guglielmo, quest’ultimo così in confidenza con il grande Palestrina. E poi, per de Macque, un nuovo itinerario verso Sud, per altri incarichi importanti a Napoli, cominciando con un allievo di tutto rispetto: Carlo Gesualdo principe di Venosa.
Così la musica percorre gli spazi, fa parlare gli uomini, apre occhi e menti.
E Antonio? Il cantore così servizievole e attento con il duca di Mantova?
È vivace e intraprendente, forse un po’ troppo. Lo ritroviamo a Genova nel 1584, in mezzo ad un piccolo guaio: assunto per educare i giovani figli di un nobile cittadino, è sorpreso a recarsi di notte per vie e palazzi a guadagnare denaro cantando. Il comportamento è troppo disdicevole, andrebbe punito, ma Antonio riesce a salvarsi: grazie alle sue amicizie – e probabilmente anche alle sue qualità – trova impiego come cantore a Palermo. Un altro viaggio al Sud, questa volta un ritorno a casa.
Licia Mari
Siamo a Roma, nel settembre 1581: Antonio Rizzi è un cantore siciliano al servizio del duca Guglielmo Gonzaga, che viaggia per l’Italia con l’incarico di procurare al suo signore buoni musicisti. E non solo: a volte – come capita a molti servitori – gli viene chiesto di procurare un tessuto prezioso, o qualche altro oggetto di valore. È un buon agente, vivace: insieme al fidato Aurelio Zibramonti sa intessere trattative importanti. Come quella appena abbandonata a Bologna, per una cantante e strumentista, che Guglielmo vorrebbe come dama di compagnia per la giovane nuora Margherita Farnese, da poco giunta a Mantova. Si tratta di Laura Bovio, che tutti lodano per le sue qualità e vanno ad ascoltare ammirati nelle celebrazioni presso il convento di San Lorenzo.
Ora, però, Antonio deve lavorare bene: proprio tramite Aurelio Zibramonti ha ricevuto dal duca «cinquanta scudi d’oro del peso di Roma per andar alla suddetta città in servizio di Sua Altezza, de’ quali gli havrà da render ragione». Il cantore cerca virtuosi di pregio e può avere un aiuto dal nobile Scipione Gonzaga, attorno al quale si radunano tutti i migliori musicisti, come Luca Marenzio, Giovanni Pierluigi da Palestrina, Giovanni Maria Nanino, Ruggero Giovannelli. La relazione che manda a Mantova è dettagliata e offre diverse possibilità: ha ritrovato un castrato che è già stato a corte e può di nuovo tornare; Palestrina gli ha consigliato un contralto («persona molto litterata», già impiegata in San Pietro) che però partirà solo con adeguato compenso, così come l’arpista Giovanni Battista che vuole condurre con sé anche i genitori.
Ma il primo che ha riposto alle richieste del duca Gonzaga e che Antonio pone in cima alla sua lista è un grande organista fiammingo, giunto a Roma a studiare con Filippo Da Monte, dopo essere stato fanciullo cantore nella cappella imperiale di Vienna: Giovanni de Macque. Ha bisogno di alcuni giorni per sistemare le sue faccende (è organista in San Luigi dei Francesi), ma «s’è contentato di venir a servire Sua Altezza» e se ne verrà con lo stesso Rizzi «se accosì piace» a Guglielmo.
È arrivato a Mantova davvero de Macque?
Ancora non lo sappiamo, ma come non pensarlo alla tastiera dell’Antegnati in Santa Barbara, oppure intento ad ascoltare i concerti in corte, o le celebrazioni in chiesa? Possiamo immaginare che anche attraverso il viaggio a Mantova le sue costruzioni musicali raffinate, le sue capacità di creare forme insolite e mobilissime, di sperimentare nei timbri e nei fraseggi, abbiano trovato idee e suggestioni, prime fra tutte sui tasti dell’organo di Graziadio.
In fondo è solo un viaggio da un Gonzaga all’altro, da Scipione a Guglielmo, quest’ultimo così in confidenza con il grande Palestrina. E poi, per de Macque, un nuovo itinerario verso Sud, per altri incarichi importanti a Napoli, cominciando con un allievo di tutto rispetto: Carlo Gesualdo principe di Venosa.
Così la musica percorre gli spazi, fa parlare gli uomini, apre occhi e menti.
E Antonio? Il cantore così servizievole e attento con il duca di Mantova?
È vivace e intraprendente, forse un po’ troppo. Lo ritroviamo a Genova nel 1584, in mezzo ad un piccolo guaio: assunto per educare i giovani figli di un nobile cittadino, è sorpreso a recarsi di notte per vie e palazzi a guadagnare denaro cantando. Il comportamento è troppo disdicevole, andrebbe punito, ma Antonio riesce a salvarsi: grazie alle sue amicizie – e probabilmente anche alle sue qualità – trova impiego come cantore a Palermo. Un altro viaggio al Sud, questa volta un ritorno a casa.
Licia Mari
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