Un omaggio musicale all'opera di Gramsci "I semi di Gramsci" di Sylvano Bussotti, eseguiti insieme con il "Quarto quartetto" di Malipiero e la "Grande aulodia" di Maderna a ricordo dei due musicisti scomparsi.
Siena, 27 agosto.
Celebre un tempo per avere ravvivato l'archeologia musicale, portando a contatto del pubblico i risultati dello scavo musicologico, la Settimana musicale senese, che giunge ogni anno a coronamento dei fortunati corsi di studio internazionali, sente sempre più forte l'attrazione del moderno. Ieri la trentunesima edizione della manifestazione fondata un tempo dal conte Chigi Saracini con Alfredo Casella, si è aperta con un atto di fede nella musica, italiana contemporanea. Nel pomeriggio hanno avuto luogo i consueti discorsi inaugurali: del direttore artistico Luciano Alberti su Spontini, di Leonardo Pinzauti su Puccini (autori presenti entrambi in questa «settimana»), dell'avv. Danilo Verzili, presidente dell'Accademia musicale chigiana, che nella sua relazione ha dato notizia d'un lusinghiero riconoscimento attribuito dalla Cee all'istituzione senese, e dell'on. Fracassi, sottosegretario al Turismo e Spettacolo, il quale ha portato il saluto del governo e la promessa di maggiori e concreti riconoscimenti. La sera, sempre nella sala dell'Accademia, perché l'incertezza del tempo impediva di tenere il concerto nel cortile del palazzo pubblico, il Quartetto italiano e, in coppia, Severino Gazzelloni flautista e Lothar Paber oboista, docenti dei corsi estivi dell'Accademia, hanno impartito una splendida lezione di interpretazione musicale ad altissimo livello, presentando opere di Malipiero e Maderna, i due compositori perduti l'anno scorso dalla musica italiana, e di Sylvano Bussotti, ben vivo questo, ed ormai assurto, dai capricci sperimentali di un tempo, a un rango incontestabile di maestro, per quanto strano possa suonare questo epiteto addosso a un personaggio così pieno di estri fuori ordinanza. Di Malipiero i meravigliosi artisti del Quartetto italiano hanno presentato il Quarto quartetto: del 1934, è meno famoso dei due che l'avevano preceduto, i Cantari alla madrigalesca e Rispetti e strambotti, forse perché non porta un titolo, ma non ne è meno essenziale e denso. Una polifonica melodia incessante nasconde l'asprezza del contrappunto nell'apparente spontaneità di un canto a più voci, dalle cui onde perennemente agitate e sovrapposte ogni tanto un rivolo di melodia isolata va a finire, come per un fenomeno di risacca, nel tranquillo golfo timbrico della viola. La Grande aulodia di Maderna e I semi di Gramsci, di Bussotti, sono stati eseguiti in una versione cameristica, consentita dagli autori, che isola gli strumenti solistici — rispettivamente la coppia di flauto ed oboe e il quartetto d'archi — prescindendo dall'orchestra. Nella Grande aulodia viene così proiettata in primo piano la disperata volontà melodica ch'era una costante dell'arte di Bruno Maderna, e quasi, si direbbe, un simbolo della sua personalità, tutta protesa alla conquista d'una felicità terrena malgré tout. Non direi che non si senta, qua e là, un'impressione di vuoto: Maderna era un tale maestro dell'orchestra, proprio come la sua vita d'uomo felice per vocazione è stata così crudelmente piena d'affanno. Tanto più poetica risulta la bellissima chiusa del pezzo, uno di quei momenti miracolosi che fioriscono ogni tanto nella sua arte, quando il possesso della melodia vi si insedia come un pegno di raggiunta beatitudine. Gazzelloni e Faber, col loro arsenale di flauti, oboi ed affini, grandi e piccoli, hanno eseguito il pezzo non solo con la bravura ben nota, ma con affetto e commozione di amici, rendendo trasparenti le intenzioni espressive dell'artista scomparso, che del diverso registro degli strumenti d'una stessa famiglia si serviva come d'un mezzo sicuro di caratterizzazione poetica. I semi di Gramsci sono una composizione, anzi, un «poema sinfonico per quartetto e orchestra», dedicato da Bussotti al Quartetto italiano. Non conoscendone la versione integrale, devo dire che nella esecuzione per solo quartetto non si avvertono segni d'incompletezza. L'autore spiega di avere concepito la partitura orchestrale quasi come la prigione in cui il protagonista — il quartetto — è rinchiuso. Ciò nonostante, e malgrado la provocatoria qualifica di «poema sinfonico», nel pezzo non c'è nulla di descrittivo. Mille allusioni estensive si possono leggere nel titolo: ma I semi di Gramsci, documentati da una scelta di passi delle lettere dal carcere, sono semplicemente i semi vegetali che il detenuto coltivava in «un quarto di metro quadrato» di terreno del penitenziario, appassionandosi al loro sviluppo con la stessa lucidità d'intelligenza storicistica con cui esplorava le ragioni della storia d'Italia e delle classi sociali europee. Da queste premesse si potrebbe temere un sentimentalismo bucolico di georgica carceraria. No: negli ispidi e arruffati scatti del discorso quartettistico, solo placati in un a solo del secondo violino, tagliato su misura per il suono della Pegreffi, e nella bellissima chiusa per il violoncello solo, il Gramsci che viene fuori non è il povero carcerato tubercolotico, bensì il maestro, la guida, perfino il tribuno, tanto forte di cervello e di carattere quanto macilento nel fisico. Una bella serata musicale, stimolante e coraggiosa: il calore spontaneo degli applausi non andava forse soltanto allo splendore delle esecuzioni, ma, nella persona di Bussotti e nel ricordo di Malipiero e Maderna, anche a questa nostra nuova musica che, cresciuta attraverso tante diffidenze ed ostacoli, mostra di meritare la fiducia in essa riposta, e a dispetto delle previsioni pessimistiche di interessati demagoghi, si sta perfino, piano piano, conquistando un pubblico.
Massimo Mila ("La Stampa", mercoledì 28 agosto 1974)
Massimo Mila ("La Stampa", mercoledì 28 agosto 1974)
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