Un silenzio totale, protrattosi per più di un minuto, ha preceduto l’esplosione degli applausi al termine della Nona Sinfonia di Mahler diretta da Daniel Harding al Teatro Grande per l’inaugurazione del 48.mo Festival pianistico di Brescia e Bergamo (2 maggio 2011). Sottolineiamo con piacere l’eccezionalità di un silenzio così prolungato e perfino magico, logico sbocco di una sinfonia monumentale, che termina con un vastissimo Adagio, a sua volta sfociante in suoni degli archi sempre piu` rarefatti, tenui, sottili. Un lungo silenzio non può che essere l’unico sbocco della Nona di Mahler: sarebbe stato inopportuno affrettare l’applauso, togliere alla musica quel silenzio che le appartiene di diritto.
E` stato un concerto memorabile per piu` di un aspetto. Oggi ci sono direttori d’orchestra che vengono proiettati nello star-system in giovanissima età. Anche Harding, sul cui talento hanno scommesso maestri quali Simon Rattle e Claudio Abbado, ha bruciato le tappe, ma a differenza di altri colleghi ha saputo mantenere le promesse e le ha perfino oltrepassate. La Nona di Mahler, per la sua complessità a tratti quasi indecifrabile, sembra uno di quei testi musicali che si possono affrontare solo in età più che matura: Harding, a trentacinque anni, si è spinto molto più in profondità di tanti maestri con il doppio della sua esperienza, e con esiti di perfezione unica.
Ecco il primo movimento, Andante comodo, restituito con la massima trasparenza fin dalle prime decisive battute, in cui, sottovoce, compaiono le cellule generatrici di un brano oltre modo complesso, che rappresenta sempre – come lo stesso Harding ha dichiarato – una suprema «sfida intellettuale». Ecco l’enigmatico Ländler, reso con la necessaria rudezza iniziale e poi rilanciato ad alta velocità come nell’universo vertiginoso de La Valse di Ravel.
Ecco l’ancor più misterioso Rondo-Burleske, apparentemente centrifugo, ma in realtà compatto nella sua densità polifonica. Ecco infine l’Adagio, non più pensato come un momento lirico a sè stante, ma come il logico coronamento di quanto precede.
Forse la chiave di questa felicissima introspezione da parte del direttore inglese consiste in un atto di fiducia nella scrittura mahleriana. Considerando Mahler come un compositore avvenirista (e non decadente), come un autore dallo spirito giovane (dunque pieno di energie, malgrado la morte che lo avrebbe precocemente strappato a questo mondo), Harding ci ha fatto scoprire l’organicità e la coerenza interna di un’opera come la Nona Sinfonia che pensavamo fosse giocata soprattutto sui contrasti, su esaltazioni e depressioni, su momenti intellegibili e su lunghi interludi magmatici. E invece, con una concertazione finissima e con un’acuta lettura di quanto Mahler ha effettivamente scritto, il direttore inglese ha liberato la partitura dagli aloni tardo-romantici per consegnarla a quella galleria dei classici che, più che alla storia, appartengono al futuro.
Esemplare e impeccabile, in questo affascinante processo, l’apporto dei musicisti dell’Orchestra Sinfonica della Radio Svedese.
Marco Bizzarini (Musica, n.227, giugno2011)
E` stato un concerto memorabile per piu` di un aspetto. Oggi ci sono direttori d’orchestra che vengono proiettati nello star-system in giovanissima età. Anche Harding, sul cui talento hanno scommesso maestri quali Simon Rattle e Claudio Abbado, ha bruciato le tappe, ma a differenza di altri colleghi ha saputo mantenere le promesse e le ha perfino oltrepassate. La Nona di Mahler, per la sua complessità a tratti quasi indecifrabile, sembra uno di quei testi musicali che si possono affrontare solo in età più che matura: Harding, a trentacinque anni, si è spinto molto più in profondità di tanti maestri con il doppio della sua esperienza, e con esiti di perfezione unica.
Ecco il primo movimento, Andante comodo, restituito con la massima trasparenza fin dalle prime decisive battute, in cui, sottovoce, compaiono le cellule generatrici di un brano oltre modo complesso, che rappresenta sempre – come lo stesso Harding ha dichiarato – una suprema «sfida intellettuale». Ecco l’enigmatico Ländler, reso con la necessaria rudezza iniziale e poi rilanciato ad alta velocità come nell’universo vertiginoso de La Valse di Ravel.
Ecco l’ancor più misterioso Rondo-Burleske, apparentemente centrifugo, ma in realtà compatto nella sua densità polifonica. Ecco infine l’Adagio, non più pensato come un momento lirico a sè stante, ma come il logico coronamento di quanto precede.
Forse la chiave di questa felicissima introspezione da parte del direttore inglese consiste in un atto di fiducia nella scrittura mahleriana. Considerando Mahler come un compositore avvenirista (e non decadente), come un autore dallo spirito giovane (dunque pieno di energie, malgrado la morte che lo avrebbe precocemente strappato a questo mondo), Harding ci ha fatto scoprire l’organicità e la coerenza interna di un’opera come la Nona Sinfonia che pensavamo fosse giocata soprattutto sui contrasti, su esaltazioni e depressioni, su momenti intellegibili e su lunghi interludi magmatici. E invece, con una concertazione finissima e con un’acuta lettura di quanto Mahler ha effettivamente scritto, il direttore inglese ha liberato la partitura dagli aloni tardo-romantici per consegnarla a quella galleria dei classici che, più che alla storia, appartengono al futuro.
Esemplare e impeccabile, in questo affascinante processo, l’apporto dei musicisti dell’Orchestra Sinfonica della Radio Svedese.
Marco Bizzarini (Musica, n.227, giugno2011)
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