Robert Schumann (1810-1856) |
L'opera di cui Schumann è andato parlando, da qualche tempo, per vaghe allusioni, l'opera il cui segreto egli rivela a Clara nell'atto di averla quasi interamente compiuta sono, i Lieder, ossia canzoni per una voce e pianoforte.
Un gran numero di codesti capolavori è venuto, alla luce quasi nascostamente, quasi per una complicità gelosa fra il musicista, il pianoforte e la carta necessaria a fissarli.
Si ricorderà come Schumann, alle soglie dell'adolescenza, avesse avuto da Agnes Carus la rivelazione del Lied schubertiano. Nel colmo dell'entusiasmo, colpito da una forte impressione, aveva subito composto alcune melodie su versi di Byron e su versi propri. Poi aveva dimenticato questi incerti tentativi dando a pensare ch'egli volesse definitivamente disinteressarsi del canto.
Ma ecco che alla vigilia della grande felicità, capace ormai di dominare non il suo impulso ma la sua tecnica, egli crea una collana immortale di canti traboccanti di ispirazione.
Non è indifferente per noi (anzi proprio il contrario) sapere a quale poeta Schumann abbia chiesto la base lirica dei suoi componimenti. In un momento tanto grave e tanto radioso come quello che precede le nozze con Clara, la scelta ci appare estremamente caratteristica. Il poeta padrino di Schumann liederista è, infatti, Heinrich Heine. Sappiamo già come Schumann avesse per Heine un'enorme ammirazione; nel caso particolare dobbiamo anche tener presente che Heine fu il primo grande poeta conosciuto in carne ed ossa dal giovane musicista. L'autore di Intermezzo aveva prodotto in lui un'impressione indimenticabile. Al momento di cercar versi per rivestirli di musica, è naturale che Schumann si rivolgesse all'uomo che a Monaco lo aveva affascinato, all'uomo che gli aveva rivolto, un messaggio diretto e confidenziale. Ma oltre a questo, Schumann convibra con la fremente sensibilità di Heine, s'infiamma al contatto di quell'amarezza che sa di salsedine marina, si incanta e si spaventa di quel pudore e di quel cinismo, di quella civetteria e di quel ritegno, di quella malvagità tenera e, insieme, armoniosa. Doppio profilo, doppia personalità di Heine: ecco pronunciata la grande parola.
Il Liederkreis (op.24) comprende nove «Lieder», secondo una curva di massima ascendenza sul n.7, ossia su quel Berg und Burgen scbau'n berunter (Monti e borghi mirano dall'alto) che, dopo aver scintillato, conclude in un accento di atroce delusione. Subito dopo, il Liederkreis, Schumann compone Myrthen (I mirti, op.25). Com'è possibile nell'udire questa collana di canzoni non evocare un mazzolino di fiori profumati, di fiori amorosi, mediterranei? Nel Lied der Suleika (Canto, di Suleika, su versi di Goethe) c'è come un desiderio di pace luminosa; in Die hockländer Witwe (La vedova scozzese), nel Hocbländer Wiegenlied (Ninnananna scozzese), entrambe tratte da Burns, ondeggia un dondolio di culla; nei Canti veneziani di Thomas Moore un'espressività pittoresca; nei due Canti della fidanzata (da Rückert) un'ardente emozione, non minore di quella contenuta in Nussbaum (Il noce), fantastica cascata di note vaporose.
Ugualmente primaverili sono le cinque melodie raccolte nell'opera 27, fra cui Jasminenstrauch (Il gelsomino) e Nur ein lächelnder Blick (Solo uno sguardo sorridente). L'opera 30 è consacrata tutta a Geibel, l'opera 31 a Chamisso. Della prima raccolta vogliamo ricordare particolarmente Der Knabe mit dem Wunderhorn (Il fanciullo dal corno meraviglioso); della seconda Die Löwenbraut (La fidanzata del leone).
Píú tardi esplode il sentimento della natura, radicato cosí fortemente nell'animo di Schunann. Allora, ecco nascere i Dodici canti su parole di Justinus Kerner (op.35), dove Lust der Sturmnacht (Voluttà della notte tempestosa), Erstes Grün (Prima erbetta) e, soprattutto, la splendida Sehnsucht nackt der Waldgegend (Nostalgia delle foreste) si espandono con espressívità affascinante.
Fra Schumann e la pittura esisteva, se cosí possiam dire, una specie di congenialità. Quel che di seducente, contenuto nei versi che Reinick, autentico virtuoso della tavolozza, aveva voluto intitolare Poemi di un pittore, lo aveva impressionato e colpito in modo insolito. E' questa la ragione dell'intenso colore disteso da Schumann, per esempio, su Sonntags am Rhein (Di domenica, sul Reno), un «Lied» brulicante, popolaresco ma per nulla volgare (op.36).
A Reinick, il pittore, succede Rückert, il lirico puro. Rückert acuisce la beata nostalgia del musicista gettandogli in faccia la famosa invocazione Flügel, um zu fliegen (Ali, ali per volare ... ), oppure lo consola con parole luminose e semplici come O Sonne, o Meer, o Rose... (O sole, o mare, o rosa ... ).
Ma ecco un nuovo Liederkreis (op.39) su versi di Eichendorff del dolce, errabondo, spensierato, Eichendorff, cosí accattivante con le sue Szenen aus dem Leben eines Taugenichts (Scene dalla vita di un fannullone).
Particolarmente riuscite sono, fra le altre, Mondnacht (Chiaro di luna) e Frühlingsnacht (Notte di primavera).
L'opera 40 è attinta in parte a Chamisso e in parte a Andersen, il nordico amico di Schumann.
Ma il musicista tedesco non poteva dimenticare l'ambiziosa lezione che il musicista viennese, ossia Schubert, gli ripeteva col ricordo di quei grandi cicli di «Lieder», dove un'azione drammatica, nascosta nei singoli brani, risuona di poema in poema e di musica in musica, cosí da allargare in modo singolare il campo all'artista. Al Viaggio di inverno, alla Bella molinara, Schumann risponde con Frauenliebe und Leben (Amore e vita di donna, op.42) poi con Dichterliebe (Amor di poeta, op.48). Due poeti ugualmente cari, Chamisso e Heine, forniscono a Schumann il testo e il filo conduttore. Tuttavia, Heine par commuovere Schumann piú di Chamisso, come se la sua sensibilità si adeguasse meglio a quella del musicista.
Fra Amore e vita di donna e Amor di poeta, Schumann intercala un quaderno di Romanze e Ballate (op.45) al quale se ne aggiungeranno, altri due, che portano i numeri d'opera 49 e 53. E', nell'opera 49 che è inserito il «Lied» Die beiden Granadiere (I due granatieri), nel quale inopinatamente e poeticamente riecheggia la Marsigliese.
Tale è, accennata per sommi capi, la, produzione di Robert Schumann durante quell'anno 1840; produzione che ci stupisce per la bellezza, per l'opulenza ed anche per l'imprevisto. Da un compositore che sembrava consacrato, tutto al pianoforte, nessuno si poteva aspettare un orientamento ed un'attività cosí nuovi, un cosí repentino successo. Schumann, di colpo, raggiunge Schubert, e con Schubert non sarà piú uguagliato da nessuno in Germania. Fatto strano, impressionante, che Schumann stesso sembrò aver compreso allorquando decise di mantener segreto il suo lavoro per parecchi mesi.
Come ha potuto avvenire un tale miracolo?
Nessuno, noi crediamo, arriverà a vederci chiaro se prima non si sarà inchinato, umilmente, davanti al mistero del genio. Perché all'origine di tutto sta un fatto inscindibile, refrattario all'analisi e alla suggestione. Dal piú profondo dell'essere, da quelle regioni ignorate quasi interamente dall'uomo, è partito un impulso a creare che ha attraversato l'inconscio, ha scosso la coscienza e col concorso di tutti gli organi, di tutte le cellule, di tutti i sensi del musicista è sfociato nel capolavoro multiplo ed ammirabile. Schumann è stato «ispirato». La verità è questa, non altra.
Ma una volta ammesso l'inesplicabile, è lecito tentare una spiegazione per quel che riguarda la traiettoria seguita dall'ispirazione, la forma da essa scelta. Non c'è dubbio che Schumann abbia sentito avvicinarsi il termine del suo troppo lungo fidanzamento con Clara e la felicità che avrebbe coronato una prova cosí dolorosa. Il suo amore, la sensibilità del suo intuito, le voci risuonanti nel suo essere l'hanno avvertito dello scioglimento imminente.
E' cosí eccitato, cosí giubilante, cosí fremente di comunicare agli altri il suo raggiante turbamento, che cantare gli dívien necessario. Ma non col pianoforte, che non gli consentirebbe di esprimersi con chiarezza, bensí con la voce umana. E' di essa che la bisogno, appunto, perché umana, come sublimemente umana è la sua emozione.
Voce umana è la sua e voce umana è quella di Clara. Ogni volta che un «Lied» sta per nascere e chiede imperiosamente di venir trascritto, nulla vieta a Schumann di identificare, per effetto di una misteriosa sostituzione, la parola che risuona cosí prepotente in lui con la parola dell'amata.
Se è vero che Schumann ha scelto con somma cura quei poeti e quei testi per i quali ha sempre provato una predilezione particolare, non si è però forse osservato sufficientemente fino a qual punto i «Lieder» del 1840 siano in accordo col clima interiore del musicista, con le circostanze della sua vita di allora. I «Lieder» son dunque comunioni: comunioni con Clara e con l'amore, con l'universo, con la poesia, o, per lo meno, tentativi di comunione, con la poesia. I centotrentotto «Lieder» dell'anno del canto infatti, ripropongono ancora l'immenso, angoscioso problema: Schumann ha finalmente avuto la sensazione di aver scoperto nel «Lied» il segreto dell'incontro di musica e poesia, ha creduto di possedere la formula magica, capace di unire consustanzialmente i due elementi, già da sempre sentiti cosí affini e cosí nemici? Oppure, nell'istante medesimo in cui pensava di compiere, la fusione suprema, ha invece scoperto che le due arti apparivano cosí fraterne soltanto per rivelarsi piú tardi ferocemente irriconoscibili nelle loro conseguenze estreme?
Bisogna intendersi: per Schumann non si tratta ormai più di scegliere fra musica e poesia. Egli ha superato questo stadio, ha posto fine al dubbio crudele optando definitivamente per la musica. Non si sfugge, infatti, al proprio genio. La poesia però, non ha mai smesso, di ossessionarlo e in particolar modo la questione dei suoi rapporti con la musica.
Schumann era troppo intelligente, per non aver intuito come la sua critica poetico-musicale non gli potesse fornire la desiderata soluzione, Quella affrontata col «Lied» fu dunque una esperienza decisiva.
Da qualunque parte si consideri la cosa, un fatto non può essere trascurato: la poesia è fatta di parole; di parole che hanno un senso formale, un dato, concreto, un nocciolo di resistenza, senza il quale si dissolverebbero rapidamente. Tali parole, prese al linguaggio, offrono dunque al poeta una materia che l'uso prolungato, ha fissato, caricato di volgarità, d'impersonalità, ha logorato e avvilito. La poesia resta tuttavia ineffabile, perché essa è assai piú che una pura esaltazione della parola; fra quest'ultima e la poesia è intervenuto l'atto poetico, cioè un atto magico.
Ora, la musica è direttamente, spontaneamente, integralmente, magia. Ecco perché essa è irriducibile a poesia: una creazione magica non può confondersi con un'altra.
Scbumann ha vissuto tutto ciò? Interrogativo che non ha risposta. Questo musicista che, con Wagner, rimane forse quello che piú di ogni altro abbia sentito in tutta la sua forza l'esistenza della poesia e abbia tentato disperatamente di incorporarvisi, non ci ha rivelato il risultato della sua ricerca.
Non abbiamo dunque il diritto di concludere in vece sua. Ci è tuttavia permesso mettere l'accento su due coincidenze significative. Quando l'emozione di Schumann tocca il vertice della parabola, essa si allontana dalla parola, la respinge, per esprimersi soltanto attraverso il pianoforte, come appare evidente in Amor di poeta. Appena sposato con Clara, e dunque penetrato in quella grande felicità che lo aveva ispirato quando non era che presentimento, egli lascerà la melodia, la musica cantata, per consacrarsi alla sinfonia, alla musica da camera, alla musica pura.
Quanto piú ci pensiamo, tanto piú andiamo convincendoci che Schumann ha suonato lo strumento piú patetico e più ricco di suoni armonici: la voce umana.
Nient'altro che musica, in una parola.
Alfred Colling ("Schumann", Edizioni Accademia, 1979)
Nessun commento:
Posta un commento