Sakari Oramo (26 ottobre 1965) |
Per
il suo atteso ritorno a Roma alla fine di febbraio, nel cartellone
sinfonico dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, dove aveva nel
2012 diretto la Quinta Sinfonia del connazionale Jean Sibelius, il
violinista e direttore finlandese cinquantenne Sakari Oramo ha scelto
il pietrificato oratorio Oedipus Rex di Stravinski (con la voce
recitante dell’attore Massimo De Francovich nel ruolo del
narratore) e la Sinfonia n. 22 “Il filosofo” di Franz Joseph
Haydn.
A
lungo direttore della BBC Symphony e della Royal Stockholm
Philharmonic Orchestra, poi dal 1998 al 2008 della City of Birmingham
Symphony Orchestra, ospite regolare dei prestigiosi Wiener
Philarmoniker, Oramo si è anche distinto nella proposta di numerose
“prime” di compositori inglesi come Norman (Concerto per
percussioni) o Clyne (Concerto per violino), oltre che in una grande
quantità di
partiture di Richard Strauss e nelle Sinfonie di Edward Elgar.
Ma
fra gli autori da lui più
eseguiti ci sono certamente il danese Carl Nielsen (le Sinfonie),
specie in occasione del centocinquantenario della nascita, celebrato
nel 2015, e il norvegese Edward Grieg. Il prossimo CD sarà
pubblicato da Decca e conterrà
musica di Anders Hillborg e Samuel Barber, con la partecipazione di
Renée
Fleming. Un’occasione
ghiotta quindi, tra una prova e l’altra del concerto ceciliano, per
interrogare il maestro, venuto dal profondo nord e alla ricerca di
terreni nuovi di conquista a sud della mitteleuropa, in merito a
questo repertorio ancora poco eseguito dalle nostre orchestre.
Autori come Grieg, Nielsen, Sibelius sono ancora troppo poco eseguiti in Italia. Che contributo possono portare, secondo lei, alla conoscenza complessiva della musica europea?
Sibelius,
Nielsen e Grieg sono certamente nordici di nascita, ma di tradizione
europea, perché hanno studiato in Germania, risentendo
dell’influenza di Brahms e Wagner. Sibelius ha molto a che fare con
la natura, ma intesa come stato reale della mente e non come
cartolina. Sibelius e la sua musica conservano il senso ciclico del
tempo, come le stagioni. La dimensione del tempo è diversa. Grieg,
invece, ha composto in stile più tradizionalmente romantico.
Nielsen, infine, è interessante perché acusticamente considera in
maniera separata spazio e natura, ma anche eticamente, perchè
mette il bene contro il male. Gli elementi si scontrano frontalmente.
In
Sibelius, nelle sue semibrevi legate per decine di battute, si
avverte una nuova dimensione del tempo e dello spazio. Si ravvisano i
chilometri della regione dei laghi, tra acqua e conifere. Ma il clima
può influire sulla musica?
Certamente.
Vale anche per Verdi e Puccini, che non sono pensabili senza il sole
italiano e la mentalità della gente, o per Debussy, inimmaginabile
senza i paesaggi francesi
Quali
sono stati i direttori che più si sono spesi per questa musica? Le
cito Vladimir Ashkenazy che ha registrato tutte le sinfonie di
Sibelius...
Un
direttore importante è stato Paavo Berglund, centrale nella
diffusione di Sibelius e Nielsen diversi anni fa. Ha lavorato molto
in America e in Germania. Anche Simon Rattle con i Berliner, anche se
il suono non è proprio quello adatto a Sibelius. E` ottimo, invece,
quello dell’orchestra dell’Accademia di S. Cecilia. Anche nelle
migliori orchestre scandinave e inglesi Sibelius risulta sempre un
po’ pesante.
Paesi
come la Finlandia coltivano in modo particolare la musica
contemporanea. Forse perché è una
nazione molto recente e un compositore moderno come Sibelius è una
sorta di padre della patria?
Sibelius
è un padre, ma anche un’ombra onnipresente. I compositori venuti
dopo di lui hanno avuto difficoltà a comporre in modo diverso.
Sibelius è stato così enorme che c’è stata una “efflorescenza”
naturale nella musica finlandese. Oggi la musica contemporanea in
Finlandia è rappresentata da molti stili. Sul ceppo di Sibelius,
come una quercia, la musica è cresciuta in direzioni diverse.
Sibelius ha avuto molti ammiratori come William Walton, Lindberg,
Sallinen. Ci sono state generazioni di musicisti, durante e dopo
Sibelius. E` accaduto anche per la musica italiana con Donatoni,
Sciarrino, Francesconi. In Italia, dopo la seconda guerra mondiale,
c’è stata una rottura grazie a Berio e Maderna.
Esiste
una tradizione interpretativa nordica (penso a Leif Segerstam,
Esa-Pekka Salonen o agli Järvi) differente da quella mitteleuropea
o mediterranea?
Sono
strade del tutto individuali, non c’è una tradizione vera e
propria. In Italia ci sono, ad esempio, Abbado o Muti, che hanno
caratteri individuali, pur venendo dalla radice dell’opera
italiana. I finlandesi vengono anch’essi da Sibelius, ma per vie
individuali. Ci sono anche orchestre che influenzano i direttori:
l’importante è dialogare sempre con i musicisti.
Come
mai a Roma ha scelto la Sinfonia “Il filosofo” di Haydn per
accompagnare l’Oedipus Rex di Stravinski?
Haydn
e Stravinski sono quasi "fratelli di artigianato" musicale in
tempi diversi. Edipo viene da Sofocle, mentre Haydn dà come
sottotitolo “Il filosofo” alla propria partitura. Più in genere,
è interessante accostare musica antica e moderna. E l’Oedipus è una delle opere più spettacolari di Stravinski, un compositore che
amo in tutti i suoi cosiddetti “tre stili”.
Ma
in cosa
consiste la modernità di
Stravinski? Ha ancora senso la contrapposizione Schönberg-Stravinski,
di cui hanno parlato Adorno e Boulez?
Schönberg è stato tanto radicale nel trattamento della tonalità quanto
conservatore nell’utilizzo delle forme; Stravinski, invece,
sviluppa ogni singolo aspetto della musica e per questo, secondo me,
è piu` importante. La sua attualità consiste nella concentrazione
dei materiali, intelletto e emozione: parte da elementi semplici, e
mette insieme i materiali più disparati, anche di origine popolare.
All’epoca, e oggi ancora di più, la dissonanza ha perso
significato: quando nella Prima Sinfonia Beethoven iniziava con una
dissonanza, era per tutti uno shock, mentre oggi suona "bene" al
nostro orecchio.
Ma
quali sono le pietre miliari del sinfonismo europeo?
Beethoven
e Brahms, innanzitutto, poi Sibelius, Nielsen e Shostakovich.
E`
più difficile
dirigere una grande orchestra o una di medio livello?
Dipende
dal repertorio e dall’orchestra. Quando ho diretto i Wiener nel
“grande repertorio”, sono rimasto impressionato dalla loro
professionalità. Lavoravano
molto anche nelle prove.
Cosa
pensa del dirigere a memoria, è
importante? E poi, lei usa o no la
bacchetta?
Se
non si ha la sicurezza necessaria, non è
obbligatorio dirigere a memoria. Ma se
sei tranquillo, allora devi, perché sei
più libero.
La bacchetta resta un oggetto magico, così
almeno la definì
un vecchio orchestrale. Ma ci sono
direttori come Pappano o Temirkanov che dirigono senza.
Quanto
conta il gesto di un direttore da un punto di vista anche estetico?
Il
gesto è il
biglietto da visita del direttore, è la
sua firma.
Per
quanto riguarda la direzione d’orchestra, il ricambio generazionale
appare rassicurante?
Si.
Ma le carriere iniziano prima e finiscono prima. Pochi riescono ad
andare avanti. C’è ad
esempio un giovane finlandese di cui prendere nota, si chiama
Santtu-Matias Rouvali, e poi una donna che è
appena stata nominata direttore musicale
della City of Birmingham Symphony Orchestra: Mirga Grazinyté-Tyla.
E`plausibile
che un direttore appaia più dotato
nel repertorio sinfonico che in quello operistico, o viceversa?
Certamente:
io amo l’opera tedesca, ma non dirigerei mai Verdi, ho diretto
Tosca, ma preferisco dedicarmi al repertorio sinfonico.
Quale
è, tra
quelle di repertorio, la partitura più
difficile in assoluto da dirigere?
La
trasfigurazione di Nostro Signore di Olivier Messiaen, un imponente
oratorio per grande orchestra, difficile perché
non è
scritto in modo “pratico”. C’è
bisogno di virtuosismo da parte di
tutti. Anche la Quinta di Beethoven, però,
è
difficile: la mia orchestra da due anni vuole che la diriga. Ma ci ho
pensato troppo, e ogni orchestra ha già
la sua idea di una sinfonia così
famosa.
Solo
se sei sicuro di quello che vuoi, allora puoi guidare, dominare
l’orchestra.
Lorenzo
Tozzi (“Musica”, n.275, aprile 2016)
Nessun commento:
Posta un commento