Omeopatia musicale: pillole per attenuare il male dell'insensibilità culturale dilagante.
Curarsi con la musica senza necessariamente ricorrere al suono...

giovedì, febbraio 02, 2017

"Starless", King Crismson: Grazie Clara...

Tour italiano 2016
Noi che ascoltiamo musica da tutta la vita siamo gente strana.
A guardarci oggi sembra che ci sia ben poco che ci stupisce e ci emoziona nella musica in circolazione, eppure quando ascoltiamo i nostri vecchi dischi, o ne parliamo, ci brilla una luce negli occhi, un guizzo di furore da iniziati che ci fa riconoscere tra di noi.
Non si tratta solo di appartenere alla stessa generazione, ma è l’aver provato le stesse emozioni, per le stesse cose, nello stesso momento.
Caso ha voluto che quel momento fosse quello in cui è cominciato tutto, e non lo dico con la presunzione di chi esprime giudizi di merito, ma perché è un dato di fatto.
Poi la musica, ovviamente, come ogni arte, ha avuto la sua evoluzione ed anche ora ci sono eccelsi musicisti e vengono prodotti splendidi dischi, ma tornare indietro di qualche decennio non è solo un nostro esercizio di nostalgia, bensì permette di comprendere come si è arrivati ad oggi.
Noi questa musica non l’abbiamo solo ascoltata, l’abbiamo vissuta sulla nostra pelle, talvolta quando eravamo giovanissimi e non sapevamo riconoscere le nostre emozioni, figuriamoci descriverle.
Provarci ora, dopo tanto tempo offre una personale chiave di lettura di un periodo magico, giusto perché si può liquidare la Storia con “mi piace” o “non mi piace” -ed è rispettabilissimo farlo- ma si può anche provare a comprenderla attraverso quello che hanno provato coloro che l’hanno vissuta.
Non c’è nessuna pretesa di oggettività: sono emozioni, solo emozioni.
Così, per iniziare questo viaggio nella memoria, comincio da Starless, quello che per me è il pezzo più bello del mondo.
E’ tratto da Red, disco dei King Crimson del 1974, da molti considerato la massima espressione di quella corrente musicale che viene definita Progressive Rock.
Avevo quattordici anni allora e, naturalmente, non avevo neanche il vago sentore che questa musica, che mi piaceva tanto, fosse il Progressive Rock, ma tanto non avrebbe cambiato nulla.
Per comporre un pezzo come Starless non basta essere tecnicamente eccelsi, bisogna avere il
coraggio di osare.
“It is spring, moonless night in the small town, starless and bible-black…” è l’incipit del dramma Under Milk Wood di Dylan Thomas, ispirazione della frase che ricorre nel testo interpretato da Wetton.
Starless inizia in modo classico, in una sinfonia di archi e mellotron che introducono la voce malinconica di Wetton, che pare miele colato, cullata dal carezzevole sax soprano di Collins e dal fraseggio di chitarra di Fripp, che insieme dipingono la melodia romantica di un tramonto di luminosa bellezza. Tutto l’oro che tinge il cielo immenso, evoca tuttavia il profondo senso di vacuità della nostra vita, malata di incurabile solitudine.
Quattro minuti di incanto: avrebbero potuto chiudere lì e sarebbe stato bellissimo, triste ma bellissimo.
Ma non era quello che volevano descrivere i King Crimson, sarebbe stato troppo facile.
Volevano invece far percepire quanto l’armonia non esista anche dentro di noi, quanto gli stessi occhi rapiti dalla luce dorata del cielo vedano solo buio nell’anima, un buio senza stelle.
Per farlo dovevano spezzare l’incanto: inizia la dissonanza, e con essa il coraggio di osare.
Ci vuole coraggio per muovere passi incerti a tentoni in quel buio, accompagnati dal tempo dispari del basso lento, soprattutto quando su due sole corde della Gibson di Fripp inizia a ripetersi in modo ossessivo un accordo che sale progressivamente di tono in modo tagliente e minaccioso.
Ad ogni salto entra uno strumento, cresce la tensione.
E tu resti lì, appeso a quell’accordo, ogni volta ti aspetti che finisca mentre ti monta un senso di attesa che gonfia il cuore.
Altri quattro minuti, ma di tormento. Si sale di tono, sempre più in alto e insieme si precipita nella nostra profondità, sempre più a fondo.
Poi, quando ormai la vertigine è insopportabile, la musica esplode, in modo convulso e caotico, quasi free jazz, esasperato e furibondo, velocissimo, aggressivo.
Ancora una volta ti ritrovi ad aspettare che smetta, e ad un tratto hai la breve illusione che sia davvero così, ma la ridda infernale ricomincia, ancora più dissonante, ognuno sembra andare per i fatti suoi al di fuori da ogni schema, in modo folle.
Altri due minuti, ti senti sfinito.
Ed ecco che quando ormai non sai più cosa aspettarti si riapre il tema iniziale, travolgente, questa volta con il sax che trascina verso un’ondata di luce abbagliante su un tappeto di basso e batteria di poderosa potenza.
Non ci si crede: hanno esagerato tutto.
Hanno rischiato per portarci con loro ad esplorare il buio senza stelle che talvolta impedisce alla nostra anima di far entrare la luce.
Tu lo hai sentito, hai visto il tramonto, sei stato sopraffatto dalla malinconia, hai visto tutto il tuo buio interiore, ne hai avuto paura, l’hai sentito esplodere.
Poi passi trentasette anni a riascoltare questo pezzo, resisti su quell’accordo anche se ogni volta sai che devi affrontare nuovamente tutta la tensione che provoca, perché ogni volta ti ricorda che alla bellezza, quella vera e profonda, si accede solo attraversando il buio ed affrontandolo.
Ma quando l’avrai accolta, quella bellezza farà parte di te, perchè tu fai parte di lei.
Tutte le volte che lo si ascolta esplode il cuore, nello stesso modo della prima volta.
Sempre.

Clara (https://agesofrock.wordpress.com/2011/12/26/starless-king-crimsonred1974/)

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