Omeopatia musicale: pillole per attenuare il male dell'insensibilità culturale dilagante.
Curarsi con la musica senza necessariamente ricorrere al suono...

domenica, aprile 21, 2019

Giovanni De Cecco, il profeta del clavicordo

Giovanni De Cecco
"Giovanni De Cecco canta fuori dal coro, ed è una benedizione che lo faccia", scriveva nel numero 300 di MUSICA Piero Rattalino recensendo il secondo volume dell’integrale delle Sonate mozartiane che il tastierista sta pubblicando per Da Vinci: la scelta del clavicordo vuol dire l’immersione, per l’ascoltatore, in un universo sonoro e, quindi, estetico, affatto nuovo, per le peculiarità di uno strumento ancora ignoto all’ascoltatore odierno. Non ci siamo fatti sfuggire l’occasione, quindi, di conoscere piu a fondo "lo strumento e il suo interprete", come recitava il titolo di una storica rubrica della nostra rivista.
Nella sua biografia si leggono due percorsi musicali apparentemente contrastanti: da una parte la pratica della musica Klezmer, della tradizione romena e ungherese, e dall’altra la riscoperta di uno strumento oggi pochissimo praticato come il clavicordo. Come si conciliano?
In maniera molto naturale: ho sempre avuto una passione per l’"esotico" e quando mi approccio a una partitura di 2-3 secoli fa questo è il mio sentimento, quello cioè di avere a che fare con qualcosa di lontano da noi, in maniera non dissimile a quanto accade quando ascolto musicisti iraniani che suonano il tar (strumento a sei corde simile al liuto, nda). Ovviamente il mio percorso didattico è stato tradizionale, all’inizio: pur con una certa refrattarietà agli studi convenzionali, ho incominciato con il pianoforte "classico", ma ascoltavo soprattutto le registrazioni con strumenti storici. Mi affascinava la scoperta del nuovo, perché la ricerca musicale non è tanto diversa dalla ricerca antropologica
Nel booklet di questo doppio CD dedicato a CPE Bach, riporta una frase molto significativa del compositore tedesco: "Cos’è una buona interpretazione? Esclusivamente l’abilità di far percepire all’orecchio, suonando o cantando, il vero contenuto e il vero sentimento di una composizione musicale". Sembra di leggere le teorie fenomenologiche di Celibidache!
In effetti una frase del genere sembrerebbe limitare il ruolo dell’interprete, ma io la vedo diversamente: ogni musica ha sì un suo contenuto "reale", ma questo si declina in maniera sempre diversa. Se uso una parola, e la ripeto un minuto dopo, questa assumerà sfumature diverse a seconda del contesto, ma la sua semantica non è cambiata: ecco cosa voleva dire, secondo me, CPE Bach, il quale nel suo Versuch fornisce all’interprete tutti i mezzi per elaborare e variare una melodia, rimanendo autenticamente vicini al contenuto.
Questo approccio suggerito da CPE Bach vale quindi per ogni tipo di musica?
Vale per la musica che va "interpretata", ossia quella che noi definiamo "classica": non lo direi mai per un disco dei Beatles che, in quanto tale, è la verità su quei brani, su quelle canzoni.
Ma Stravinski che dirige la sua Sagra non è anch’esso la "verità"?
No, perché Stravinski chiede che la sua musica venga eseguita da altri; i Beatles danno la parola definitiva sulla loro musica attraverso un’incisione e non una partitura.
Torniamo allora all’idea di una verità da cercare: come si declina nel suo approccio pratico alla musica?
E' una questione molto difficile, tanto che io, più che il concetto di "verità", preferisco utilizzare quello di gerarchia di interpretazione: prima viene il compositore, poi l'epoca e gli usi che essa comporta (e a cui il compositore si può adattare, o da cui si può distaccare), quindi lo strumento è solo alla fine l’interprete. Quando tengo un concerto, presento sempre lo strumento come mio "collega" di pari importanza!
Come è arrivato, allora, a suonare il clavicordo?
Adoravo la musica di Carl Philipp Emanuel Bach, che è legata a doppio filo al clavicordo almeno quanto quella di Chopin o Liszt lo è al pianoforte: ho quindi iniziato a suonare una copia di uno strumento Silbermann, con cui ho inciso tre CD, quello per Discantica dedicato ai Concerti veneziani
trascritti da Bach e i primi due dell'integrale mozartiana per Da Vinci (vedi le recensioni Sui numeri 283, 291 e 300, nda), salvo poi rendermi conto che, se si vuole davvero rendere onore a un musicista, bisogna cercarne non solo il testamento lasciato per il passato, ma anche quello rivolto al futuro.
Cosa intende?
Si può credere che solo gli strumenti moderni abbiano una continua evoluzione, ma in realtà anche quelli antichi sono cambiati moltissimo negli anni: quindi la vera opposizione non è tra strumenti antichi e copia degli stessi, ma tra i vari tipi di clavicordo - per restare al nostro caso. Ecco quindi che, per questa ultima incisione, il costruttore, Joris Potvlieghe, ha ricevuto da me istruzioni ben precise...
Quali? Sa bene che al clavicordo si associano abitualmente due teorie: l’essere uno strumento da viaggio e cosi poco sonoro da impedire i concerti pubblici, e quindi da studio.
Non si può negare che queste affermazioni abbiano un fondo di verità, soprattutto per quanto riguarda il Cinque e Seicento, quando i clavicordi davvero erano come lei dice in Italia anche nel primo Settecento; nei paesi nordici, invece, la questione è ben diversa, perché il clavicordo ha avuto un enorme sviluppo ed è diventato il Klavier per eccellenza, con una fase di diffusione che va da Bach padre fino al primo Beethoven (ma persino Brahms e Bruckner lo suonavano) e, in nazioni come la Svezia, fino alla metà dell’800. Parliamo di clavicordi molto grandi, sonori, fino a sei ottave. C'è poi un equivoco: se noi suoniamo uno strumento che può essere ascoltato da poche decine di persone, non vuol dire che lo strumento sia solo da studio. Una Suite di Bach o, talvolta, una Sonata di Mozart non erano musica da concerto ma musica riservata, ideale per uno strumento intimo come il clavicordo. Come accennato, possiedo oggi due strumenti: la copia del Silbermann 1775 è un compromesso tra strumento da viaggio - pur avendo 5 ottave - e da concerto, mentre quello più nuovo è un clavicordo "imperiale", da suonare in pubblico, più sonoro.
E oggi qual è la reazione del pubblico a queste sonorità?
E' fondamentale trovarsi in una sala piccola e riverberante, con un pubblico di non oltre 80 persone: al suono delicato ci si abitua in fretta, come ci si abitua al rumore estremo delle città, e in più sottolineo come il clavicordo abbia un ampio range dinamico, che il pubblico avverte e apprezza.
Quali erano i costruttori pin importanti nel passato?
Certamente Silbermann - già noto per cembali, organi e pianoforti - e i suoi nipoti; poi Friederici, Hass, persino Bartolomeo Cristofori.
Parliamo della sua integrale mozartiana: cosa si perde e cosa si guadagna eseguendone le Sonate al clavicordo?
Non c'è alcuno svantaggio, perché quelle di Mozart sono Sonate per tastiera, non per il solo pianoforte, e l’unica tastiera che suonò, dalla nascita alla morte, fu proprio il clavicordo: due sono conservati fino a noi, e su uno di essi la moglie fece apporre una targhetta in cui leggiamo che vi scrisse i suoi ultimi lavori, compresa parte del Requiem. A noi italiani sembra strano, ma la scelta del clavicordo è del tutto legittima: la sua meccanica permette effetti ricchissimi perché, al di là della Bebung, quando premo un tasto io posso cambiare l’intonazione della nota, perché la tangente non percuote semplicemente la corda, ma vi rimane a contatto. Posso fare una nota crescente, un vibrato, un portamento di suono: un dominio dell’intonazione evidentemente impossibile con clavicembalo e pianoforte. Posso, persino, suonare "stonato"!
Come ha rilevato Piero Rattalino, nelle sue incisioni mozartiane colpisce la scelta di tempi molto lenti; perché?
Questo vale per la maggior parte delle incisioni al clavicordo, perché ogni strumento ha il proprio tactus naturale. Noi pensiamo che il ritmo lo decida solo l’interprete, ma in realtà lo stabilisce l’interprete con lo strumento nella sala: il clavicordo ha un lungo riverbero, quindi un’eccessiva velocita generebbe un suono brutto, confuso. L’interprete non può imporre una sua idea di musica a uno strumento che ha già il proprio "battito cardiaco". Ecco perché è fondamentale scegliere uno strumento coevo alla musica affrontata, perché, ad esempio, mancando nel clavicordo lo smorzatore presente nel fortepiano, che asciuga il riverbero, la prospettiva sonora è del tutto diversa: spesso sono gli stessi strumenti dell’epoca a rivelare anche i "metronomi" plausibili delle partiture, mentre talvolta gli strumenti moderni possono farci andare "fuori rotta" senza la conoscenza dei precedenti.
I pianoforti moderni hanno poi un'omogeneità timbrica sconosciuta a quelli dell'Ottocento: succede lo stesso per i1 clavicordo?
Senza dubbio: Leopold Mozart parla, in una lettera al figlio, di un clavicordo che aveva "i bassi come tromboni e gli acuti come violini". E questo va sfruttato in sede esecutiva, perché la musica evolve partendo dagli strumenti, sporcandosi le mani con legni e vernici.
Anche le voci, nel1’Ottocento, avevano una difformità timbrica marcata fra i registri: e questo ci porta al suo progetto di affrontare anche i Lieder mozartiani col clavicordo. A che tipo di voce pensa?
Anche qui non immagino un grande teatro con una grande voce lirica, ma una piccola saletta di un palazzo d’epoca e una cantante seduta che quasi sussurra: in senso più madrigalesco che operistico.
Ha accennato alla famosa Bebung, ossia il vibrato applicato alla singola nota con la pressione del tasto: come si applica alla musica mozartiana?
Si parte sempre dallo spartito: buonsenso impone che i suoni più importanti o dissonanti si suonino forte, e viceversa. E come, ad esempio, un flauto suonato forte è leggermente crescente, lo stesso vale per il clavicordo: il vibrato della Bebung (o il portamento) si applica alle note più dolorose, più intense. Un effetto che ha un’immensa gamma di declinazioni e sfumature, che si avvicina più alle possibilità della voce che del pianoforte moderno: d’altronde CPE Bach suggeriva ai tastieristi di ascoltare i bravi cantanti.
Va detto che, ad esempio, una pagina stranota come l’Andante della K 311 assume nella sua incisione prospettive davvero diverse...
Sa, noi pensiamo di essere moderni o liberi perché suoniamo uno strumento moderno per della musica antica: ma anzitutto moderno non è, perché da 130 anni circa il pianoforte non si è sostanzialmente evoluto, e poi pensi che nel ‘700 si usavano clavicordi, spinette, fortepiani, fortepiani a tangente, cembali, Lautenwerk, organi, pianoforti-organi... La ricerca era enorme, con una varietà che oggi ci sogniamo: il nostro mondo sonoro si è impoverito.
E come si comporta con variazioni e abbellimenti?
In Mozart troviamo un’evidente separazione fra le Sonate più spoglie come la K 545 - la cosiddetta Sonata "facile" - che quindi esigono un intervento dell’esecutore, e che quindi sono paradossalmente più difficili, e quelle come la K 457 che hanno un alto dettaglio di scrittura. Bisogna quindi partire da
queste, per comprendere il linguaggio di ornamentazione di Mozart, per poi applicarlo a quelle più spoglie. In certi casi io vado addirittura per sottrazione, togliendo battute perché lo suggerisce la stessa scrittura mozartiana. Entro il 2020 completerò le registrazioni, che credo saranno pubblicate entro l’anno dopo, e includeranno tutte le Sonate e la Fantasia in do.
Veniamo ora alla pubblicazione più recente, i Sei concerti per il cembalo concertato di CPE Bach...
Sono i lavori forse più importanti del loro autore, i più citati nell’epistolario: li definisce "facili" perché è tutto scritto, ivi incluse le cadenze e alcune diteggiature. Sono dei Concerti fortemente legati al loro interno, con citazioni fra i diversi movimenti, e persino con rimandi tematici fra uno e l’altro: per quanto ancorati agli schemi settecenteschi, sembra di intravedere prospettive beethoveniane.
Ma - azzardo - il repertorio beethoveniano può essere suonato sul clavicordo?
Lo strumento può affrontare musiche scritte tra il ‘400 e le prime Sonate di Beethoven (ci suono anche la Patetica): poi ci si scontra con i limiti dello strumento, perché la musica tedesca si fa sempre più pianistica, e non semplicemente tastieristica. Ma non solo il repertorio austro-tedesco: sul clavicordo sta benissimo anche la musica veneziana o anche diverse sonate di Domenico Scarlatti. E se dovessi indicare una data "finale", direi il 1799, più o meno l’anno dell’op. 13 di Beethoven.
Torna ancora a suonare il pianoforte moderno?
Si, ma evitando sempre di più il repertorio che affronto al clavicordo: scelgo Brahms e la musica del tardo Ottocento, di preferenza. E poi continua a vivere in me l'esperienza della musica Klezmer e rom, benché in maniera non più attiva: quando oggi suono una Suite di Bach, riemergono strutture e sequenze di danze che hanno forti legami anche con un repertorio che non appartiene al mondo della musica occidentale "colta", pur con le ovvie differenze. Un ponte ideale tra Occidente ed Oriente, tra il Barocco e la musica popolare.
Intervista di Nicola Cattò
(MUSICA, n.304, marzo 2019)

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