Che c'è da dire ancora su Igor Stravinskij? Restauratore e progressista, barbaro e cerebrale, neoclassico e seriale, russo e votato all'Occidente: imprevedibile, inesauribile, curioso. Radicato nel proprio secolo, proiettato nel futuro. Ma anche visitatore spregiudicato della storia, pronto a risalirla fino a Pergolesi e a Gesualdo. Straordinario per violenza inventiva e per talento nel cambiare strada restando sempre se stesso. Ma alla forza del genio, l'autore e di Petrouschka e del Sacre du printemps univa un temperamento che definire venale sarebbe un eufemismo. Stravinskij sapeva conquistare bene i suoi guadagni. Manager di se stesso, discuteva i propri contratti con caparbia feroce. Se questa è una caratteristica già nota, documentata dalle varie biografie, a enfatizzarla arricchendola di nuovi episodi arriva il carteggio, rimasto finora sorprendentemente inedito, che il compositore tenne negli anni ' 50 coi responsabili della Biennale di Venezia. Scovata dal musicologo Egidio Pozzi nel fondo dell' Asac, l' Archivio Storico delle Arti Contemporanee di Venezia, la corrispondenza è relativa alla commissione fatta a Stravinskij dal XIX Festival Internazionale di Musica Contemporanea di un nuovo pezzo per tenore, baritono, coro e orchestra. Il progetto sfociò nel Canticum sacrum ad honorem sancti Marci nominis, eseguito in prima mondiale nella Basilica di San Marco, con la direzione dell' autore, il 13 settembre del '56. La serata, spiega Pozzi, ottenne esiti contrastanti: "In molti attaccarono la partitura stravinskiana, che denota un primo approccio alla musica seriale: un critico parlò addirittura di Assassinio nella Cattedrale". Aperto da musiche di Andrea e Giovanni Gabrieli, Monteverdi e Schutz, il programma, nella prima parte, era diretto da Robert Craft, inseparabile "segretario musicale" di Stravinskij, il quale lo aveva imposto ai dirigenti veneziani con una prepotenza che non ammetteva repliche. Passava poi al maestro russo il podio del concerto, che proseguiva col Canticum e con le Variazioni canoniche sopra l'inno natalizio Vom Himmel hoch da komm ich her di Bach, trascritte da Stravinskij per coro e strumenti. Distribuite nell'arco di un triennio, dal '53 al ' 56, e indirizzate soprattutto ad Alessandro Piovesan, organizzatore del festival, le lettere documentano le trattative, travagliatissime, intercorse tra il compositore e la Biennale. In principio Stravinskij avrebbe dovuto scrivere una Passione secondo San Marco, da eseguire proprio nella basilica del santo, idea entuasiasmante per i veneziani, e aveva promesso d'inserire nel festival del '53 la prima mondiale del suo Septet, che fu invece destinata a Washington. Per due motivi: nel '53 il pezzo non era stato terminato e in quell'anno Stravinskij, che viveva in California (è sempre in testa alle sue lettere l'indirizzo di Hollywood: 1260 North Wetherly Drive), aveva deciso di non mettere piede in Europa. Visto che aveva instaurato "la prassi che i miei lavori siano diretti da me stesso fin dall'inizio", scrive in una lettera a Piovesan, abbandonò l'idea di dare il debutto a un'istituzione europea. E' nel '55, dopo una serie lunga e faticosa di discussioni contrattuali, che a Piovesan giunge una notizia poco confortante: non solo la composizione di Stravinskij per Venezia non sarà la Passione, ma il brano sostitutivo non durerà più di 15 minuti. Piovesan, che aveva sperato in 40 minuti, implora di arrivare almeno a 25. Da allora in poi è tutto un bisticcio epistolare, in particolare sui soldi. Stravinskij aveva chiesto alla Biennale un compenso di 15.000 dollari, "di cui 12.000 per la composizione e 3.000 per la direzione d' orchestra, da pagare in dollari negli Usa", scrive il maestro segnalando suddivisioni in versamenti e saldi. Della cifra, spaventosamente alta per gli anni '50, 6.000 dollari erano richiesti all'inizio del lavoro di composizione. Ma non arrivano e Stravinskij è furioso. Quando il problema è risolto ne sorge un altro: Stravinskij vuol dividere la direzione del concerto con Craft, a cui esige siano affidate le musiche dei maestri antichi. Piovesan è irritato, teme una caduta di tono e vorrebbe che il concerto fosse diretto tutto da Stravinskij. Il quale ragisce con un telegramma rovente: "Se non ricevo immediata accettazione telegrafica di tutti i punti....cancellerò mio viaggio a Venezia". Poi si battaglia sui compensi. Piovesan, agitatissimo per la cifra da corrispondergli, timoroso di una richiesta aggiuntiva per la trascrizione delle Variazioni di Bach, scrive a Ernest Roth, direttore della Boosey & Hawkes, casa editrice del compositore: "Glielo voglio subito confessare: non potrei in nessun caso ottenere alcun compenso aggiuntivo a quello del contratto. Se Stravinskij pretendesse qualche somma in più, sarebbe per noi tutti un disastro". Stravinskij non demorde, lancia frecce telegrafiche ("Situazione deve concludersi!"), discute sulla "somma in causa" e sull'"ammontare del cachet". E tra una cifra e l'altra affiora un'indicazione di preveggenza clamorosa: "Per i brani di Schutz e Monteverdi vorrei suggerire....una giovane soprano americana che sarà in Europa in quel periodo, Marylin Horne (futura mezzosoprano-star, ndr)". Ogni volta, di fronte alle incomprensioni, il grande Igor, con autorevolezza e arroganza, minaccia ritorsioni e defezioni. E ogni volta i veneziani reagiscono impauriti o indulgenti alle sue richieste, mentre Stravinskij elenca conteggi dettagliati e anche noiosi, litiga sui diritti radiofonici, impone persino, come fosse il suo agente, quanto la Biennale dovrà corrispondere a Craft, che lui ha preteso fosse impegnato come direttore: 400 dollari, contro i 3.000 del contratto di Stravinskij direttore. Piovesan, accorato, chiede sconti e il musicista cede su qualche punto. Per amore di Venezia, città adorata dal compositore, tanto da eleggerla sua ultima dimora: morto nel '71, fu seppellito nel cimitero veneziano degli ortodossi, vicino alla tomba di Diaghilev. Sostiene Egidio Pozzi, che oltre a essere il ritrovatore delle lettere stravinskiane inedite ha curato il catalogo dell' edizione della Biennale Musica attualmente in corso (nel cui programma appare un'ampia fetta dedicata a Stravinskij, con un'integrale della sua musica da camera): "Quel che più emerge, da questa corrispondenza, è il contributo enorme che il compositore diede all'evoluzione dei rapporti tra musicista e committente. Dall'alto della sua posizione, Stravinskij imponeva tempi e condizioni proprie. Affermò un modello nuovo di musicista nella società, facendo calare il sipario sull' immagine romantica dell' artista preso solo dal fuoco della creazione e sprezzante dei rapporti mercantili". Altro che sprezzante: tonante e perentorio se parla di compensi, Stravinskij può sfiorare toni da contabile spietato. Per esempio quando avverte che in cambio dell'accettazione di una serie di condizioni poste dai veneziani, i quali implorano qualche minuto di durata in più per il suo pezzo nuovo, la rata finale del pagamento potrà essergli corrisposta "solo dieci giorni prima della data del concerto". Che graziosa concessione.
Leonetta Bentivoglio
("la Repubblica", 14 settembre 1999)
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