Si è parlato a lungo, sulle riviste specializzate di musicologia, di un personaggio amato, odiato, vezzeggiato, maltrattato: il critico. Egli è l'intermediario fra la musica e l’ascoltatore, colui che è chiamato a spiegare, a raccontare, a interpretare con parole il linguaggio delle note. Ci sono stati autorevoli interventi, ai quali vorremmo aggiungere un nostro modesto contributo.
Sgombriamo il terreno dalle battute facili. Che cos’è, in fondo, un critico musicale? Direi che in primo luogo è un uomo di cultura, cui è affidato il compito non facile di capire il presente, indicare il futuro e talvolta rivisitare con mezzi più moderni il passato. Aggiungerei che oggi la sua competenza non può essere esclusivamente musicale, ma che gli è necessaria una grandissima quantità di informazioni in ogni settore della vita pubblica e privata. Un’altra sua qualità deve essere l’intuizione, l’estrema capacità di sintesi, ciò che lo qualifica, in ultima analisi, come un ”artista”.
Quando si parla di critici, nella società di oggi, ci si riferisce in particolare ai giornali, ai quotidiani. Il dialogo che si apre su questi mezzi di comunicazione deve tener conto di un pubblico di lettori (molti o pochi, non importa) che è molto diverso dal passato. Coloro che fruiscono della musica non sono in generale degli specialisti, ma delle persone che desiderano sapere, che vogliono confrontare le loro reazioni con quelle di un esperto, che hanno bisogno di indicazioni chiare e motivate. Per la maggior parte di queste persone non c’è nulla di scontato, al di fuori di vecchie abitudini tradizionali. Esse hanno il piacere della musica, ma vogliono sapere i perché del loro piacere (e anche del loro non-piacere).
Per costoro il critico non è un oracolo, o un profeta che vive in una dimensione irreale, ma uno scrittore che svolge un servizio. Come in tutte le discipline artistiche, è necessario che tale seruizio sia generoso, e fondamentalmente non partigiano. La realtà è un dato di fatto che non può essere mai trascurato.
In tale dimensione il compito del critico risulterà forse meno glorioso, ma certo assai più utile. In fondo, che cosa si chiede al critico, al di là della normale routine? Proviamo a stendere una specie di dodecalogo;
1) sapere capire le novità, valutarne la durata nel futuro, motivarne i valori;
2) non essere schiavo del nuovo, allo stesso modo in cui è vietato amare soltanto il passato;
3) sapere rispondere a tutti i perché di una creazione, di una esecuzione, di una interpretazione, e quindi possedere il quadro culturale in cui situare il proprio giudizio;
4) avere il gusto della scoperta, per quanto riguarda le composizioni e gli interpreti; e quindi avere una buona carica profetica;
5) possedere sempre e comunque quella dote che si chiama curiosità, anche di fronte alla centesima visione dell’Aida o al millesimo ascolto della Nona Sinfonia;
6) avere anche la capacità di divertirsi, e di non considerare la musica soltanto come una benedizione dello Spirito Santo, ciò che implica una disponibilità anche ad ascoltare Il bel Danubio blu suhito dopo Mantra di Stochhausen;
7) saper evitare l’estasi inutile, e ricondursi sempre alla verità, poiché l’estasi è di pochi e la verità universale;
8) cercare sempre le radici culturali di un'opera o di un autore, né l'una né l'altro sono fuori dalla storia e dalla società;
Per costoro il critico non è un oracolo, o un profeta che vive in una dimensione irreale, ma uno scrittore che svolge un servizio. Come in tutte le discipline artistiche, è necessario che tale seruizio sia generoso, e fondamentalmente non partigiano. La realtà è un dato di fatto che non può essere mai trascurato.
In tale dimensione il compito del critico risulterà forse meno glorioso, ma certo assai più utile. In fondo, che cosa si chiede al critico, al di là della normale routine? Proviamo a stendere una specie di dodecalogo;
1) sapere capire le novità, valutarne la durata nel futuro, motivarne i valori;
2) non essere schiavo del nuovo, allo stesso modo in cui è vietato amare soltanto il passato;
3) sapere rispondere a tutti i perché di una creazione, di una esecuzione, di una interpretazione, e quindi possedere il quadro culturale in cui situare il proprio giudizio;
4) avere il gusto della scoperta, per quanto riguarda le composizioni e gli interpreti; e quindi avere una buona carica profetica;
5) possedere sempre e comunque quella dote che si chiama curiosità, anche di fronte alla centesima visione dell’Aida o al millesimo ascolto della Nona Sinfonia;
6) avere anche la capacità di divertirsi, e di non considerare la musica soltanto come una benedizione dello Spirito Santo, ciò che implica una disponibilità anche ad ascoltare Il bel Danubio blu suhito dopo Mantra di Stochhausen;
7) saper evitare l’estasi inutile, e ricondursi sempre alla verità, poiché l’estasi è di pochi e la verità universale;
8) cercare sempre le radici culturali di un'opera o di un autore, né l'una né l'altro sono fuori dalla storia e dalla società;
9) cercare la chiarezza, pensando che il lettore non deve essere costretto a inventare quello che c'è dietro alla critica;
10) sapere vedere, oltre che sentire, la musica, e offrire punti di riferimento che possano essere senza troppa fatica ricevuti da chi legge;
11) visto che la musica è avanzata sul piano della modernità, usare un linguaggio contemporaneo anche nello scrivere.
Un dodicesimo punto è edonistico: riguarda la soddisfazione di avere capito, di avere previsto, di avere compreso, e di riceverne, da se stessi o dagli altri, completa gratificazione.
Un buon critico dovrebbe anche avere il coraggio, non solo di essere libero, ma anche di ammettere i propri sbagli e i propri errori. Un pessimo critico, invece, va a rimorchio dei potenti, e si appropria delle scoperte degli altri. E' certo più facile lodare i geni e non curarsi di quelli che potranno esserlo domani: è l'esatta riproduzione di quel modo commerciale di vivere e giudicare che non favorisce lo sviluppo dell'arte.
Un buon critico non deve essere soltanto un recensore, ma anche un divulgatore: è giusto quindi che faccia degli interventi prima dell'avvenimento, ma è sbagliato pensare che la recensione sia uno strumento superato e inutile. L'anticipazione è astratta, la recensione è "live". E poi, perché penalizzare gli interpreti non parlando di loro?
Non c'è bisogno di spiegare che cosa "non deve" fare il critico: ogni buon padre di famiglia, come dicono gli antichi, ha un suo codice di comportamento. Il peggiore elemento è il vile prezzolato, così come l'ignorante, l'accidioso, il frustrato. E' meglio, visto che le virtù civili non sono poi così diffuse, che il critico non faccia anche il compositore, o l'interprete. Sono molto rari i musicisti che sanno scrivere...
Ma ciò che mi sembra importante, è che il critico deve aiutare - è un obbligo sociale - il progresso della musica, in un periodo storico come il nostro in cui la musica conquista nuovi spazi e nuovi pubblici. Ma come? Privilegiando il buono e il bello, evitando fughe in avanti che si rivelano dannose a tempi brevi, usando severità e consensi nel modo più equilibrato e onesto, difendendo le proprie scelte oggettivamente, ovvero in quanto giuste.
Solo così avrà rispetto e ammirazione. Da un critico giusto se non sei d'accordo con lui, perché sai che li motiva, li giustifica, li sostiene, e che un elogio avrà lo stesso peso, la stessa validità. Non si pretende l'infallibilità, ma l'onore. Il resto non conta; sono parole vuote, e scritti che non lasciano traccia.
Mario Pasi
("Rassegna Musicale Curci", anno XXXIII n. 3 - dicembre1980)
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