Qualche tempo fa, in un’intervista sulla "Nazione" di Firenze, rispondevo ad una obiezione di Leonardo Pinzauti sul calo di quantità e di qualità di "musica colta" nei programmi radiotelevisivi, dopo la Riforma, dicendo più o meno: "So che sono state avanzate critiche, riserve e dissensi a questo proposito ... Ma, pur premettendo che non posso seguire, come vorrei, tutto quello che viene trasmesso né conoscere come vorrei, le più importanti realizzazioni del passato, mi pare che si possa obiettivamente dire che ci sia stata più una flessione di quantità che di qualità: basterebbe pensare alle famose trasmissioni televisive in diretta dalla Scala e dal 'Maggio', i prossimi concerti sinfonici sempre dalla Scala, la nostra disponibilità a trasmettere il prossimo Trovatore dal Comunale di Firenze, il Macbeth da Torino, gli impegni assolti con le dirette da Spoleto, con le 'differite' da Montepulciano, Martina Franca, Perugia, ecc. e mi sembra che la qualità sia stata assicurata".
E’ bene dire che nell'intervista citata, accennavo anche al grande avvenimento destinato ad essere trasmesso il 7 dicembre in tutto il mondo, e cioè la ripresa in diretta, per il bicentenario della Scala, del Don Carlos di Verdi, diretto da Abbado e con la regia di Ronconi, senza immaginare allora che interessi economici, estranei alla RAI, incomprensioni e veti assurdi, avrebbero impedito ad una platea mondiale di assistere, se non un mese dopo, con pieno diritto, ad uno spettacolo di eccezionale interesse artistico e culturale.
Questa mancata occasione non impedirà certamente la prosecuzione del nuovo rapporto instaurato fra la RAI e le principali forze musicali, vive ed operanti nel nostro Paese e nel mondo: i recenti collegamenti con il Bolscioi di Mosca che hanno permesso a milioni di telespettatori di seguire via satellite il "Boris Godunov" e lo "Schiaccianoci" sono la testimonianza, non solo di un accordo italo-sovietico stipulato alcuni mesi fa a Mosca, ma di una nuova volontà e di una nuova politica nel campo musicale. E non è soltanto perché alla RAI è arrivato un presidente che viene dal teatro e dalla musica, ma per le precise indicazioni del Consiglio d’Amministrazione che in una recente riunione ha approvato all'unanimità un piano che prevede interventi decisivi nel settore delle scienze, del teatro di prosa, delle arti figurative e anche in quello della musica colta, con particolare riguardo a quella contemporanea ed ai musicisti italiani d’oggi.
Perché, è bene ribadirlo, la nuova politica nei confronti della musica non può e non deve essere puro trionfalismo ed esibizionismo di alcune ricche vetrine musicali, come i più importanti Teatri lirici d’Italia e del mondo - alle quali vetrine, è bene però dirlo, i cittadini medi, nella stragrande maggioranza, si possono avvicinare solo grazie alla televisione, e questa è una funzione insostituibile della TV - ma l’inizio di un nuovo corso in cui accanto a spettacoli musicali di qualità, si prevedono rubriche specializzate d’informazione, di iniziazione e di pedagogia musicale, dibattiti, sceneggiati con protagonisti musicisti ed il mondo della musica (se ne stanno preparando già tre, una vita di Verdi, una di Schubert e il "Giovane Mozart") ed infine le attività collaterali delle "consociate" (fra queste la Fonit-Cetra con una serie di dischi "live"), per dare un senso ed una linea più coerente ai nostri programmi musicali e raggiungere strati sempre più vasti di pubblico.
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E ora una breve riflessione. Sui rapporti tra i grandi mezzi di comunicazione di massa e la musica colta credo che, ormai da un pezzo, sia stato scritto quasi tutto ed in genere per trarne conclusioni quasi sempre negative, a livello di riflessione sociologica: basta pensare a quanto scritto da Adorno nell’"Introduzione alla sociologia della musica", in particolare nel capitolo, dove esaminando la funzione della musica il filosofo tedesco osserva che "la musica come funzione sociale è affine alla truffa, e fallace promessa di gioia che pone se stessa al posto della gioia" ... e ancora "che come i bambini corrono dove succede qualcosa, così solo i tipi umani in regresso corrono dietro alla musica".
Personalmente sono portato a credere che la critica sociologica di Adorno sia più "negativa" che "distruttiva": trattandosi di un linguaggio "astratto", a forte carica "espressiva" - come rileva acutamente anche Luigi Rognoni in un suo saggio - la musica, per Adorno, è e rimane essenzialmente il linguaggio dell’interiorità, il linguaggio più carico di implicazioni culturali e spirituali per cui la riproduzione, la diffusione attraverso i mass-media rischia di farle perdere le caratteristiche di arte "auratica" per eccellenza - secondo la nota definizione di Walter Benjamin. Ecco la ragione fondamentale del pessimismo adorniamo: in realtà - e spero di non scandalizzare i sociologi della Scuola di Francoforte e di non dissacrare alcun mito - io credo che la musica è un’arte sociale i cui generi e le cui forme si sono evoluti in funzione degli ambienti ai quali essa si riferiva. Per esempio, la società del XVII e del XVIII secolo ha favorito la moda ed il diffondersi della musica da camera allo stesso modo in cui i perfezionamenti tecnici degli scenari teatrali hanno, più tardi, orientato i soggetti e la composizione delle opere liriche.
Non molto tempo fa, il cinema ha aperto la via ad una forma e ad una concezione originale della musica da scena. E ora che la televisione si è inserita profondamente nella vita quotidiana, non dovrebbe avere nessuna incidenza, nessun rapporto attivo e proficuo con la musica? La musica, ripeto, è un’arte sociale e la televisione ne è il suo moderno profeta, se è anche vero quello che ha detto Luigi Nono nel convegno organizzato dall’ASAC a Venezia, che non si deve più centralizzare l’ascolto della musica nei teatri ma diffonderlo e che il teatro o la sala da concerto, come luoghi deputati per sentire musica sono un "mistero" goduto da pochi.
Subito dopo bisogna precisare che nella nostra nuova linea di tendenza cercheremo di combattere la prevenzione che c’è all'interno dell’Azienda, ma non solo della nostra, nei confronti della musica colta, l’idea che le trasmissioni musicali non facciano spettacolo ed abbiano indici di gradimento molto inferiori alle medie più basse di altri generi più popolari come i film, gli sceneggiati, gli spettacoli di rivista, i documentari giornalistici, ecc. Questa concezione ha relegato spesso, nel passato, le trasmissioni di concerti, balletti, opere liriche, rubriche musicali in posizioni subordinate rispetto ad altri generi, con collocazioni infelici, il concerto sinfonico ed il balletto contro il film del lunedì, ad esempio, l’opera lirica contro il grosso spettacolo di rivista del sabato, così da provocare spesso reazioni e giuste critiche da parte dei telespettatori e dei musicologi, per il ruolo di parente povera "proscritta" assegnato alla musica rispetto alle altre attività.
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Mi sembra che la "diretta" di grossi ed importanti avvenimenti musicali, con collocazioni privilegiate, come l’"Otello", la "Norma", "Napoli milionaria", il "Boris", il "Macbeth" e domani il "Trovatore", il "Ballo in maschera", il "Simon Boccanegra", il "Ballo Excelsior" ecc. insieme all'attenzione che ora si è ristabilita, per il fatto musicale in TV, nei giornali, nelle riviste, nei periodici specializzati (la grande risonanza data alla polemica per il "Don Carlos" non è stata solo scandalistica ma ha un fondo di protesta culturale) contribuirà a dare, nel futuro, alla musica colta il giusto posto che le spetta nell'ambito dei programmi radiotelevisivi. Questo è solo l’inizio di un lungo cammino: è necessario procedere gradualmente, partendo dalla convinzione che le trasmissioni di musica colta, attraverso i mass-media, debbano assolvere ad un duplice compito, spettacolare e pedagogico.
Per quanto riguarda il primo, sono convinto che bisogna tenersi ad eguale distanza dall'esoterismo e dalla volgarizzazione demagogica: spettacoli di alto livello artistico, ma non sofisticati o di troppo impegnato ascolto, se si vuole suscitare in un pubblico eterogeneo e numeroso un interesse reale e sempre più vivo verso la musica. E a questo proposito ho già detto in altra occasione che la RAI deve tener conto della realtà (oggi la Scala, il Bolscioi, domani l’Opera di Parigi, Vienna, Bayreuth, Salisburgo, il Metropolitan, il Colòn, ecc.) ma anche anticiparla: non si può cioè soltanto accorgersi di quel che c’è ma dobbiamo anche noi inventare una linea di produzione. E questo implica un discorso, cui accenneremo più in là, sulle enormi possibilità di visualizzazione che il mezzo televisivo offre e sulle nuove funzioni che la televisione deve assolvere, come strumento più idoneo di rinnovamento delle vecchie concezioni, in una più piena e completa utilizzazione funzionale e "fantastica" dei suoni e dei rumori.
Quanto alla funzione pedagogica, mi sembra che i grandi mezzi di comunicazione di massa abbiano importanti compiti da realizzare, in un reale e operativo collegamento con i Conservatori e con le Scuole di musica del nostro Paese, come è stato auspicato nel recente convegno di Assisi. Oggi c'è da noi, soprattutto da parte dei giovani, un’autentica fame di musica che nessuna Istituzione pubblica e privata, Ente lirico-sinfonico riesce a soddisfare. Ho letto sui giornali che per l'inaugurazione, S. Cecilia ha organizzato una prova generale per studenti all’Auditorium in Vaticano ospitando seimila ragazzi; i nostri concerti, per le stagioni iniziate da poco, a Roma, a Torino, a Milano e perfino a Napoli, dove il M° Bortolotto ha organizzato un’interessantissima stagione di musica contemporanea, sono straboccanti di folla, soprattutto di giovani: è vero quanto ha detto Zurletti in un suo recente articolo su " Repubblica" che "nonostante la sapiente e spietata politica di consumo, i juke-box non sono riusciti ad annullare gli interessi musicali seri, e anzi forse li hanno rivelati".
Per questo, proprio per venire incontro a queste esigenze di un pubblico giovane, fra le altre iniziative, abbiamo favorito la creazione, col patrocinio del "Corriere della sera" e l’entusiasmo di Joy Bryer, dell’Orchestra giovanile della Comunità europea che darà il suo primo concerto a Copenhagen il prossimo 27 marzo sotto la direzione di Claudio Abbado, e che sarà costituita da 135 elementi provenienti da tutti i 9 paesi del Mercato Comune.
E’ anche chiaro che la trasmissione televisiva di un concerto o di un’opera non avrà mai lo stesso valore di un vero concerto, di una vera opera, ma potrà aprire altri orizzonti: spetta a noi sfruttarli. D’altra parte gli spettacoli musicali come le informazioni sulla musica, attraverso le rubriche specializzate, i dibattiti, ecc. che devono favorire una migliore conoscenza e stimolare una maggior curiosità, non potranno raggiungere in nessun altro luogo un’efficacia paragonabile a quella offerta dalla televisione: giovandosi della distanza, del tempo, l’immagine è congiunta e qualche volta precede il suono, quasi a completarlo e moltiplicandone il valore.
Rammento quanto scrisse, quasi profeticamente, il grande Strawinsky nelle "Cronache della mia vita" anticipando certe questioni televisive: "Ho sempre detestato ascoltare la musica a occhi chiusi, senza che l’occhio vi prenda parte attiva. La vista del gesto e del movimento delle varie parti del corpo che la producono è una necessità essenziale per afferrare la musica in tutta la sua pienezza. Infatti ogni musica, dopo essere stata composta, esige ancora un mezzo di esteriorizzazione, per essere percepita dall'ascoltatore".
"Evidentemente è preferibile spesso volgere gli occhi da un’altra parte o chiuderli, quando una gesticolazione superflua dell’esecutore impedisce di concentrare la nostra attenzione auditiva. Ma se questi gesti sono provocati unicamente dalle esigenze della musica e non tendono ad impressionare l’ascoltatore con mezzi extra artistici, perché non seguire con lo sguardo dei movimenti che, come quelli delle braccia del timpanista, del violinista, del suonatore di trombone o del direttore d’orchestra ci facilitano la percezione uditiva?".
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Un altro capitolo importante, che ci e siamo proposti di seguire con particolare attenzione, è quello della musica moderna, alla quale il nostro pubblico deve essere a poco a poco avvicinato: anche in questo caso, in modi diversi, iniziando ad esempio con monografie dei principali autori contemporanei come ha fatto esemplarmente la BBC con la recente serie "Omnibus" dedicata a Berio, Ligeti, Stochhausen, Penderecki, Varese, Slutoslausky, ecc., cui sono state abbinate esecuzioni di altissimo livello.
In questo concordo con Pierre Boulez che in "Per volontà e per caso" dice giustamente che si può imporre la musica contemporanea, anche attraverso i mass-media, solo quando si offrono esecuzioni perfette. E non considero certo, come qualche raffinato musicologo, un punto negativo (come non lo considera neppure il grande Boulez) il fatto che la musica moderna, attraverso la televisione, arriva, in esecuzioni impeccabili, ad un grande pubblico e passa così - come si dice - nella rete della distribuzione del consumo di massa. Qualcuno, con linguaggio falsamente marxista potrebbe obiettare che la musica moderna in questo modo si reifica, ma io ritengo che dal punto di vista della fecondità, un’arte è in una situazione migliore quando è inserita in una rete di grande diffusione come la TV, quando non è più in lotta ed ha moltiplicato i suoi seguaci, ammiratori ed epigoni.
Anche la creazione di opere originali per il repertorio lirico, coreografico, sinfonico televisivo è un problema che dobbiamo sentire profondamente, anche se molto difficile: penso tuttavia che un grande compositore moderno (Henze ad esempio o Berio o Nono) possa essere invogliato a scrivere un’opera pensando al pubblico vasto della TV. Non si scrive, del resto, un’opera semplicemente per il piacere di comunicarla ad alcuni amici: anche se a tutta prima sarebbe interessante farlo, in ciascun artista c’è il bisogno di comunicare con molte persone ed un desiderio di essere compresi e assimilati. Un’operazione di questo genere può essere resa possibile dalla televisione: il rapporto musica-TV, soprattutto per quanto riguarda la creazione di opere originali, è un tema importantissimo e posso anticipare che costituirà l’argomento del convegno del prossimo Premio Italia, che si svolgerà in settembre a Milano.
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Una breve riflessione a parte riguarda la creazione di una raccolta di esecuzioni autenticamente valide, raccolta che non dovrebbe avere come suo canone solo la perfezione tecnica (sotto il profilo della ripresa video e soprattutto audio, nel quale ultimo settore la nostra Azienda deve raggiungere rapidamente i traguardi della stereo-quadrifonia, studiati attualmente presso la Z.D.F. di Mainz dal prof. Schumann), ma la qualità musicale medesima, che - come a suo tempo osservava già Webern - è minacciata da ogni parte per via dell’inarrestabile perdita del senso della tradizione. Per raggiungere ciò, sarebbe opportuno mettere a disposizione di certi grandi interpreti, per certi autori, un numero di prove a piacere: una vera interpretazione ha probabilmente bisogno di "sperpero" di tempo come la grande architettura ha bisogno di sprecare spazio. Non posso soffermarmi, come forse dovrei, sulla musica elettronica, elettroacustica e per computer: ricordo che c’è un progetto, per ora in fase di studio, di sviluppare la parte della visualizzazione del Centro di Fonologia di Milano, nato nel lontano 1955, un tempo all'avanguardia, in questo campo, in Europa: luogo di educazione e sviluppo musicale per tanti musicisti famosi come Maderna, Berio, Nono, Stockhausen, Clementi, Cage, ecc., ora purtroppo ha perso il suo primato, anche perché nel frattempo altri organismi hanno fatto passi da gigante, come l’Ircam di Parigi ad esempio, dove lavora però un italiano, il geniale Di Giugno.
Desidero solo rammentare che in questo studio, Luigi Nono ha creato opere come "Ricorda cosa ti hanno fatto ad Auschwitz", "Contrappunto dialettico alla mente" ed il bellissimo lavoro teatrale "Al gran sole carico d’amore", un importante e contrastato successo della Scala nel 1976 che quest’anno la televisione porterà al suo grande pubblico.
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Pensare di risolvere tutti i numerosi e difficili problemi della musica colta in tempi brevi sarebbe sbagliato e altrettanto sarebbe contentarsi di tempi lunghi. Bisogna pensare in tempi brevi-medi e credo che già si notino inversioni di tendenza rispetto al calo di cui parlavo all'inizio.
Da parte mia non posso interferire nell'autonomia delle Reti: ma non posso nemmeno tradire la mia vita, tutta un’esistenza che ha avuto dimestichezza non soltanto con lo spettacolo ma anche con la musica...
Credo insomma nella musica come fatto vitale che sta in mezzo a noi e credo, s’intende, all'aristocrazia ma anche alla popolarità del fatto musicale, di cui tutti hanno bisogno e di cui sta crescendo una vera e propria fame.
E la televisione può diventare veramente il korrepetitor, il fido maestro sostituto, di cui parlava Adorno, al quale una volta si affidava la responsabilità di educare i cantanti e al quale oggi si può affidare il compito dell’educazione musicale del pubblico: la musica attraverso l’ascolto non inficiato dal rituale della sala da concerto o del teatro d’opera, esce dal suo sacrario - come ha osservato Giacomo Manzoni - si smitizza definitivamente acquistando però, con questo, nuove qualità anziché perdere il suo senso. La televisione, la tecnica cioè, diventa dunque mezzo di assoluto progresso positivo: e questo è la base e anche la speranza per il nostro lavoro di domani.
Paolo Grassi
("Rassegna Musicale Curci", anno XXX n.3 dicembre 1977 / anno XXXI n.1 gennaio 1978)
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