Abbiamo chiesto ad alcuni musicisti, compositori, interpreti, critici e musicologi, tutti non chitarristi, di darci un parere sulla chitarra. Ci sembra interessante riportare, integralmente o parzialmente, le loro risposte, che aiuteranno a comprendere con maggior obiettività quale collocazione possa avere questo strumento nella vita musicale d'oggi.
Franco Donatoni - Avere scritto due pezzi per chitarra sola non significa certamente avere qualcosa da dire intorno alla chitarra; significa, tutt'al più, avere la possibilità di testimoniare la granitica resistenza, l'asperità impervia che lo strumento oppone all'ideazione quando l'ideatore non sia provvisto di una fisiologia chitarristica che lo assista sin dalla punta delle falangi. Non si tratta di frustrazione, ma di inadeguatezza: il pensiero chiede alle dita il consenso, ma spesso le dita ostacolano il pensiero. Non che si voglia chiedere al chitarrista d'esser compositore, si vorrebbe invece che il compositore chitarristico fosse chitarrista: proprio per non esser costretto ad adorare la digitalità ma, piuttosto, utilizzarla in amicizia col pensiero. Non posso dire che questo avvenga facilmente, basti che la simpatia desti, se non una improbabile amicizia improvvisata, la propensione a rendere arrendevole l'ideazione e disponibile il pensiero a modalità di comportamento inusitate. Se pensare una pratica dalla quale si è esclusi può essere scoraggiante, ancor più lo sarebbe escludere la possibilità di praticare un pensiero mai prima d'ora pensato. Anche la chitarra può servire a questo: essere lo strumento di un esercizio.
Riccardo Malipiero - Ho ascoltato per la prima volta, pochi giorni or sono, una mia composizione per chitarra sola.
Non avevo mai scritto, prima, per questo strumento (solo) e l'ho fatto dopo anni di titubanza. Ora che l’ho sentito non mi dispiace d'averlo scritto: ho aggiunto un'esperienza alla mia vita di compositore.
Ma vorrei rispondere a due domande che mi pongo: perché ho aspettato tanto a scrivere questo lavoro? e perché oggi la chitarra è ritornata trionfalmente nel consesso degli strumenti musicali, mentre fino a qualche anno fa era guardata come una rarità e anche con qualche sospetto?
Forse, rispondendo alla seconda domanda, rispondo automaticamente alla prima: tralascio le risposte più ovvie (e spesso banali) per andare un poco più lontano.
La chitarra rappresenta un ritorno e per ciò stesso entra nella nostra civiltà (si fa per dire!) di oggi, genericamente miscredente e tendente chiaramente ai "ritorni", alla ricerca di sicurezze: dall'erboristeria alla così detta musica barocca (che barocca non è, ma che definisco così per brevità), dalla marce più o meno lunghe al ballo liscio e così via. Si ritorna così alla chitarra perché il suo suono è qualcosa di non sofisticato, perché è uno strumento più naturale (certo più degli strumenti elettronici, ma anche dello stesso violino che sembra - ho detto sembra - aver esaurito le sue possibilità tecniche ed espressive). È forse così anche per il flauto che pure ha avuto una rinascita clamorosa.
Si ritorna alla chitarra perché con essa ci si può rincantucciare e stare soli; io credo che il problema dell'incomunicabilità non sia un problema passivo: io non posso comunicare perché non so, non mi riesce di comunicare, ma attivo: non voglio comunicare perché mi sono annoiato di comunicare, perché comunicare è azione per pochi, tutto il resto son parole, parole, parole e basta. Si gira intorno agli stessi argomenti, sempre, e non se ne esce fin tanto che qualcuno non ha veramente qualcosa da comunicare. Ma è raro.
Anche in musica, si dicono parole parole parole, spesso addirittura fonemi, ma in sostanza è sempre più difficile che qualcuno dica qualcosa. Anche perché molti si domandano che cosa si può dire ormai con un pianoforte; sembra proprio che tutto sia stato detto: i "cioè", gli "a monte", le "verifiche situazionali" e tutte le altre espressioni tanto in uso (e abuso) oggi, sono il corrispettivo dell'impossibilità di scrivere una scala, un arpeggio per pianoforte. E allora, in questa generale difficoltà e non volontà di comunicare, uno si prende la chitarra e si racconta una storia che può essere nuova: nuova perché dimenticata (tutta la musica riportata alla luce in questi anni), nuova perché suona nuova.
Può darsi che anche in musica si abbia, un giorno più o meno lontano, un riflusso: c'era una volta la musica per pochi, oggi si tende alla musica per tutti. Il sogno romantico della musica per le folle, si sta inverando oggi (cosa ci sia, quale struttura psico-culturale supporti ciò, non è il caso di analizzare qui; non era nemmeno facile capire il perché di quei "pipers", sferisteri, coreostadi o come altro si chiamassero, in cui turbe di giovani ballavano senza sosta al suono assordante e allucinante di "orchestre" elettroniche o elettronificate); non è escluso che il riflusso riporti alla musica fatta da sé. Certo, perché no, il fatelo da voi in musica è la cosa più soddisfacente che ci sia anche se riesce a suonare soltanto Per Elisa, anche se si riesce a pizzicare una sola corda e lasciarla vibrare. La chitarra offre questa introversione, questa introspezione. Può essere l'inizio d'un riflusso (non s'illuda il lettore profano: pizzicare una corda è facile; suonare la chitarra è difficile).
Insomma, la chitarra, il suo successo, può spiegarsi in tanti modi, non necessariamente banali.
Innegabilmente, per me, è stata un'esperienza nuova: non mi sono posto problemi estetici o che altro. Ho scritto un pezzo per chitarra invece che per pianoforte. Voglio dire, in modo diverso. Sembra un discorso ovvio. Non lo è poi molto: perché ho usato la chitarra nel modo più convenzionale. Credo ancora nella possibilità di comunicare, per cui ho tentato un discorso con uno strumento a corde pizzicate e niente più. Certo che così, quel discorso potrà interessare solo dieci persone, magari meno. Fors'anche un solo viandante, non necessariamente in sandali e jeans sdruciti; un viandante dello spirito, un viandante della vita insomma, magari anche in abito scuro, o nudo, che si rifugi in un angolo, un momento, a suonare quel mio pezzo.
Che nasce, curiosamente, ma senza malizia, sullo spunto della tradizionale Follia (preferirei scrivere folia, con una elle sola, come in origine era, ma avendo usato in altra occasione questo termine, rabbrividisco ogni volta che lo sento pronunciare con l'accento sulla o, come se derivasse da folium e non dal portoghese che indicava una danza semplicemente stravagante, non matta...!); ma che, magari inconsciamente, invece, da parte mia, dato il frequente ripetersi dello spunto melodico (magari distorto) e ritmico, quindi come un ragionamento a mordicoda, sia stato un manifestarsi tranquillo di follia dentrofuoritempo?
Ho divagato dal tema.
Chissà...
Fernando Grillo - Quando iniziai a concepire un'opera per chitarra nacque in me una perplessità al riguardo del temperamento dello strumento, e risolsi quindi di utilizzare l'ambito sonoro degli armonici naturali procurando una diversa accordatura, la qual cosa mi ha permesso di donare una varietà timbrica, e con un assai soddisfacente risultato, al corpo sonoro dello strumento.
L'attacco del suono principale del Pizzicato acquista inoltre un rilievo tutto diverso in virtù della migliore tenuta del suono nel tempo. È nata così "Das Mädchen und der Zauber" (La Fanciulla e l'Incanto) che vuole essere un omaggio a questo strumento, delicato e incantevole.
L'occasione mi fornisce ora di avanzare un'ipotesi di miglioramento: i Maestri liutai potrebbero preparare una tastiera senza le barrette di posizione al fine di rendere muta l'intavolatura delle altezze, e ampliare così notevolmente le possibilità tecniche di articolazione e di interpretazione delle chitarre?
Bruno Bettinelli- L'interesse che molti compositori contemporanei manifestano per la chitarra ha ormai raggiunto un livello veramente notevole. Quasi tutti scrivono per questo nobilissimo strumento che offre molte risorse d'ogni genere a chi desideri farlo uscire da certi limiti stereotipi entro i quali era stato da tempo ingiustamente relegato. Fino a ieri, infatti, la chitarra era sinonimo quasi esclusivo di "colore locale" iberico o, per estensione, sud americano. Se si eccettua la letteratura di derivazione liutistica, o quella del '700 e del primo '800, culminata con Paganini e pochi altri, la musica per questo strumento era ormai quasi sempre costretta nell'ambito di una accesa espressione a tinte forti o languide, tipicamente "mediterranee". Si era in tal modo creato una sorta di schematismo, non privo di valori autentici e spesso assai piacevoli, ma ormai in via di deterioramento per eccesso di formule scontate.
Il compositore d'oggi, di conseguenza, ricerca ulteriori possibilità tecniche e timbriche intese ad estendere sempre più il raggio d'azione di risorse adatte alle nuove esigenze del linguaggio attuale. Tale ricerca, tuttora in fase di continuo sviluppo, sta dimostrandosi sempre più fruttuosa e ricca di risultati sorprendenti.
La chitarra, dunque, è diventata prezioso ausilio per il musicista che intenda trattarla come strumento solista o incluso in quei gruppi misti che vanno animando sempre più vigorosamente l'attività concertistica da camera in tutto il mondo.
Giovanni Arledler - Osservando l'inesperto impugnare maldestramente, ma con circospezione, una chitarra, tentare la melodia sulla corda acuta tra continue rettifiche di accordatura, si ha spesso l'ingenua impressione di veder riscoprire la musica: dalla suggestione armonica di un corpo posto in vibrazione all'imitazione spontanea del linguaggio, alla liberazione del canto.
Se le riflessioni dei teoreti non ci fanno rinsavire, possiamo seguire lo sviluppo dello strumento primitivo e dell'arte dei suoni con l'aggiunta di una seconda, di una terza corda che soddisfino esigenze espressive e certa insopprimibile ansia virtuosistica, dettata da urgenze d'imitazione ed emulazione. Il numero delle corde, a chi si appaga della meta di strimpellatore e modesto accompagnatore, può risultare imbarazzante, ma quando si ha l'entusiasmo per andare oltre può essere ulteriore stimolo alla fantasia, che arricchisce il linguaggio musicale con altre voci, con altre armonie.
La conquista totale di uno strumento, nelle fasi che si possono intuire, intravedere, aggiunge alla storia della musica almeno qualche modestissimo contributo per quel che riguarda la tecnica e lo stile del suonare, l'accrescimento di un repertorio di composizioni create, scoperte, reinventate, adattate.
Non saprei dire se la prima melodia strappata al cantino sia un motivo originale o canzonettistico, popolare o classico. La mentalità attuale, insita come falsa coscienza anche nei principianti, tende alla delimitazione di tipi e generi musicali, creando esigenze che finiscono con l'imporre caratteristiche precise agli strumenti: abbiamo così la chitarra classica, la chitarra jazz, la chitarra folk, tacendo di quelle elettrificate ed elettroniche, in un'infinità di modelli che rispondono per lo più a mere esigenze di mercato. Comunque è vero che quando oggi si parla di chitarra si può guardare, volendo, ad una realtà abbastanza vasta, che comprende Segovia e Yepes, i Genesis e gli ELP, Giovanna Marini e Otello Profazio, Leadbelly e Woody Guthrie, fino a scomodare suonatori e virtuosi di veri e presunti strumenti affini, quali il banjo, il charango, il sytar.
L'esperienza personale poi, pur orientandosi attraverso precise motivazioni culturali e di gusto, si accresce maggiormente in ambienti e situazioni (liturghiche comprese) dove spesso ciò che più conta è il segnale d'inizio, il sostegno di un canto che magari avrebbe un effetto migliore affidato alle sole voci, la scansione ritmica di una danza, il grido di protesta, il baccano incondizionato.
Non credo di dover deprecare lo scadimento di un nobile strumento o lamentare il contributo pagato dalla chitarra per quella sua estrema disponibilità ad animare lo spazio sonoro che si illustrava all'inizio. Piaccia o meno, è anche questo grosso ruolo sociale e socializzante che spinge qualche ascoltatore in più nei concerti "dotti", salvo rare eccezioni abbastanza disertati dal vasto pubblico.
La complessa realtà attuale pesa a volte in modo paralizzante su interpreti, compositori, critici e musicologi, ma la soluzione non sta in impossibili sintesi di pensiero e di creazione quanto in un'etica riappropriazione di compiti, che consente la fiducia e la convinzione nell'operare, quale che sia il valore e la portata delle proposte avanzate.
Luis de Pablo - E' difficile per un compositore spagnolo parlare con tranquillità della chitarra: è uno strumento troppo contraddittorio. In vaste zone del paese rappresenta per eccellenza il veicolo popolare della musica, e ciò significa che il suo uso ed abuso ha una serie di connotazioni inevitabili. Attraverso questa strada, ad esempio, la chitarra è entrata nella canzone di protesta. D'altro canto, esiste la tradizione colta, con i santi patroni della vihuela in qualità di celestiali avvocati... Si aggiunga a ciò la chitarra centroeuropea da salon, che ha prodotto la insperata resurrezione viennese al principio del secolo, con le sue conseguenze, e si avrà un'idea dei poteri di assimilazione e digestione necessari per ottenere qualcosa di equilibrato attraverso simili differenti linguaggi: una chitarra acrobata capace di passare dalla "soléa" a Luis Milan, dalla "cueca" a Gustav Mahler, da Gaspar Sanz alle alchimie weberniane, da Heitor Villa Lobos a un famoso sonetto di Petrarca e a un non meno famoso testo di René Char... Si potrà provare questo comune luogo sognato dove, almeno temporalmente, tutte queste apocalittiche "molte voci" saranno non un dialogo di sordi, ma una polifonia organica?
A mio giudizio, questo "desideratum" deve ancora nascere, però, se nel passato esiste un nome che si deve salvare dall'incendio, esso è quello di Fernando Sor (o Sors, così come in ambo i modi egli lo scriveva). La chitarra di Sor si trova equidistante nella tradizione strumentale così come egli la ricevette; dall'inevitabile eredità popolare, da lui soavizzata a causa della sua origine catalana - in Catalogna la chitarra non è protagonista fra il popolo, ma è inclusa tra questo e le classi "colte" (insopportabile terminologia) poiché qui non esiste la divergenza o antagonismo di linguaggio presente nelle altre regioni di Spagna dall'idioma musicale presente nel suo tempo; dalla ricerca specificamente strumentale, tanto tipica della sua epoca... Mi piacerebbe poter dire che qualcuno di noi è stato oggi capace di ripetere questa impresa. In attesa di tale giorno diciamo con Cervantes: "Pazienza e fai passare il tempo".
Luciano Chailly - Da parte mia non occorrono molte parole, perché ho dato prova coi fatti di amare la chitarra. Come autore, avendo composto lavori per chitarra ed avendola in inclusa in composizioni liriche e sinfoniche, e come operatore culturale, avendo organizzato all'Angelicum nel 1975 un ciclo per tale strumento, in una panoramica temporale ed etnica che ne metteva in vista tutte le possibilità espressive mercè l'interpretazione di chitarristi quali Chiesa, Ghiglia, Ponce, Oltremari, Gilardino, Minella, Sicca, Saldarelli, il duo Ako Ito - Dorigny, il trio chitarristico italiano, ecc.
Se debbo aggiungere, come autore, una parola sul mio "modo" od il mio indirizzo di impiego di tale strumento dirò che prediligo l'omofonia sulla polifonia, i suoni distesi e puliti nello spazio, filiformi, piuttosto che le grandi architetture polivoche, quali invece corrisposero allo spirito del barocco.
So che ci sono chitarristi che non sono d'accordo su tale punto, ritenendo la chitarra uno strumento in ogni caso polifonico. Tra questi Alirio Diaz, il quale, quando diteggiò la mia Sonata per chitarra, mi fece sapere attraverso l'editore, delicatamente, che, escluso il Notturno assai denso di armonie, sarebbe stato bene che "arricchissi" gli altri tempi. Cosa che non riuscii a fare, nonostante l'autorità dell'interprete, e se cito questo fatto personale è proprio perché così si viene a profilare, a conclusione del breve intervento, ciò che in sede espressiva, specie nel caso di strumenti solistici (chitarra compresa), io temo più di tutto, ossia il pericolo del trucco apocrifo e della supremazia tecnologica.
Francesco Pennisi - Il mio è un interesse precisamente rivolto al timbro e al suono che, rivelato, rapidamente svanisce: "toccato appena e spento, nel torpore ch'esala". Ritrovo quindi insieme, in questo interesse, gli strumenti a pizzico. Del suono di questi strumenti (e in questo caso particolarmente della chitarra) forse mi attrae anche la esilità, il suo esigere un silenzio di fondo, una rispettosa attenzione. Potrei anche dire che, come nel mondo visivo da qualche tempo la mia predilezione si è spostata ai colori freddi, così la "freddezza" dei timbri mi attrae sempre più. Se sento l'arpa "calda" e il clavicembalo decisamente "freddo", mi pare che il timbro della chitarra si riveli in una "escursione termica" ampia, ambigua e quindi accattivante o respingente: questo certamente contribuisce ad affascinarmi.
Carlo Prosperi - Penso che la chitarra sia lo strumento "nuovo" e più d'ogni altro "rivelato" dalla cultura musicale del nostro tempo.
E' vero che il novecento ha riproposto all'attenzione altri pregevolissimi strumenti come il clavicembalo e l'organo, ha introdotto l'uso del vibrafono e della marimba, ha sviluppato il timbro della percussione e via dicendo. Ma in questi casi si è trattato: o di recuperare una letteratura solistica prestigiosa trascurata dal secolo precedente, oppure d'inserire inusati timbri e colori nel tessuto orchestrale.
Per la chitarra è diverso. Questo strumento finora usato, almeno da noi in Italia, come sottofondo al folklore, rappresenta l'autentica scoperta del secolo, assumendo un proprio ruolo da protagonista e inserendosi con precisa personalità nel mondo del concertismo.
Sulla nascita della chitarra in Italia non va taciuto il merito dei maestri Alvaro Company e Ruggero Chiesa che furono i primi fondatori delle scuole di Firenze e di Milano e i primi ricercatori del repertorio appropriato, Company quali animatore e suggeritore della moderna letteratura. Chiesa come accurato revisore di musiche del passato.
Ritengo la chitarra, col suo timbro tenero e splendente, con la sua duttilità armonica e polifonica, uno strumento "intimista" per eccellenza, ancora ormeggiato al gusto del "privato" e al senso interiore dell'espressione.
Francesco Bussi - "Non mi sono mai occupato a fondo di chitarra e di chitarristica. Ma da quando mi è dato di captare in qualità di ascoltatore animato da un sincero interesse, mi pare che la chitarra sia oggi, se non la protagonista assoluta certo una delle maggiori interpreti dell'anima musicale, soprattutto, giovanile. Lo dicono - oltre allo stuolo di dilettanti più o meno provveduti, oltre alla penetrazione 'mondana'', non so fino a che punto accettabile, dello strumento entro i sacri recinti - la massiccia presenza di alunni di chitarra nei nostri conservatori, tale da muovere seria concorrenza alla legione degli aspiranti pianisti, e il numero crescente di concertisti generalmente validi e agguerriti; lo confermano e convalidano l'affinarsi della precettistica e lo scrupolo filologico nel riesumare l'antico repertorio strumentale.
Chitarra, certo, purché non si trascenda sull'onda facile e cattivante della moda; chitarra come testimonianza di una rinsaldata coscienza culturale, come espressione di felice reviviscenza neoumanistica, come ritorno all'antico - quell'attuale ritorno all'antico che ha avuto l'alfiere nel clavicembalo - e insieme, in ultima analisi, anelito a rintracciare nel suono vivo e palpitante di un glorioso strumento vecchio di secoli le mitiche vie di un paradiso perduto".
da "I quaderni di Settembre Musica", 1978
(a cura di Roberto Chiesa)
Nessun commento:
Posta un commento