Omeopatia musicale: pillole per attenuare il male dell'insensibilità culturale dilagante.
Curarsi con la musica senza necessariamente ricorrere al suono...

mercoledì, dicembre 11, 2024

Punti di vista sulla chitarra

Abbiamo chiesto ad alcuni musici­sti, compositori, interpreti, critici e musicologi, tutti non chitarristi, di darci un parere sulla chitarra. Ci sembra interessante riportare, integralmente o parzialmente, le loro risposte, che aiuteranno a com­prendere con maggior obiettività quale collocazione possa avere questo strumento nella vita musi­cale d'oggi.

Franco Donatoni - Avere scritto due pezzi per chi­tarra sola non significa certamente avere qualcosa da dire intorno alla chitarra; significa, tutt'al più, avere la possibilità di testimonia­re la granitica resistenza, l'asperi­tà impervia che lo strumento op­pone all'ideazione quando l'ideatore non sia provvisto di una fisiologia chitarristica che lo assi­sta sin dalla punta delle falangi. Non si tratta di frustrazione, ma di inadeguatezza: il pensiero chie­de alle dita il consenso, ma spes­so le dita ostacolano il pensiero. Non che si voglia chiedere al chi­tarrista d'esser compositore, si vorrebbe invece che il compositore chitarristico fosse chitarrista: proprio per non esser costretto ad adorare la digitalità ma, piuttosto, utilizzarla in amicizia col pensiero. Non posso dire che questo avvenga facilmente, basti che la simpatia desti, se non una improbabile amicizia improvvisata, la propensione a rendere arrendevole l'ideazione e disponibi­le il pensiero a modalità di com­portamento inusitate. Se pensare una pratica dalla quale si è esclusi può essere scoraggiante, ancor più lo sarebbe escludere la possi­bilità di praticare un pensiero mai prima d'ora pensato. Anche la chitarra può servire a questo: essere lo strumento di un esercizio.

Riccardo Malipiero - Ho ascoltato per la prima volta, pochi giorni or sono, una mia composizione per chitarra sola.
Non avevo mai scritto, prima, per questo strumento (solo) e l'ho fatto dopo anni di titubanza. Ora che l’ho sentito non mi dispiace d'averlo scritto: ho aggiunto un'e­sperienza alla mia vita di compo­sitore.
Ma vorrei rispondere a due do­mande che mi pongo: perché ho aspettato tanto a scrivere questo lavoro? e perché oggi la chitarra è ritornata trionfalmente nel con­sesso degli strumenti musicali, mentre fino a qualche anno fa era guardata come una rarità e anche con qualche sospetto?
Forse, rispondendo alla seconda domanda, rispondo automaticamente alla prima: tralascio le ri­sposte più ovvie (e spesso banali) per andare un poco più lontano.
La chitarra rappresenta un ritorno e per ciò stesso entra nella nostra civiltà (si fa per dire!) di oggi, genericamente miscredente e tendente chiaramente ai "ritorni", alla ricerca di sicurezze: dall'erboristeria alla così detta musica ba­rocca (che barocca non è, ma che definisco così per brevità), dalla marce più o meno lunghe al ballo liscio e così via. Si ritorna così alla chitarra perché il suo suono è qualcosa di non sofisticato, per­ché è uno strumento più naturale (certo più degli strumenti elettronici, ma anche dello stesso violi­no che sembra - ho detto sembra - aver esaurito le sue possibilità tecniche ed espressive). È forse così anche per il flauto che pure ha avuto una rinascita clamorosa. 
Si ritorna alla chitarra perché con essa ci si può rincantucciare e stare soli; io credo che il problema dell'incomunicabilità non sia un problema passivo: io non pos­so comunicare perché non so, non mi riesce di comunicare, ma attivo: non voglio comunicare per­ché mi sono annoiato di comuni­care, perché comunicare è azione per pochi, tutto il resto son parole, parole, parole e basta. Si gira intorno agli stessi argomenti, sempre, e non se ne esce fin tan­to che qualcuno non ha veramente qualcosa da comunicare. Ma è raro.
Anche in musica, si dicono parole parole parole, spesso addirittura fonemi, ma in sostanza è sempre più difficile che qualcuno dica qualcosa. Anche perché molti si domandano che cosa si può dire ormai con un pianoforte; sembra proprio che tutto sia stato detto: i "cioè", gli "a monte", le "verifiche situazionali" e tutte le altre espressioni tanto in uso (e abuso) oggi, sono il corrispettivo dell'impossibilità di scrivere una scala, un arpeggio per pianoforte. E al­lora, in questa generale difficoltà e non volontà di comunicare, uno si prende la chitarra e si racconta una storia che può essere nuova: nuova perché dimenticata (tutta la musica riportata alla luce in questi anni), nuova perché suona nuova.
Può darsi che anche in musica si abbia, un giorno più o meno lon­tano, un riflusso: c'era una volta la musica per pochi, oggi si tende alla musica per tutti. Il sogno ro­mantico della musica per le folle, si sta inverando oggi (cosa ci sia, quale struttura psico-culturale supporti ciò, non è il caso di ana­lizzare qui; non era nemmeno fa­cile capire il perché di quei "pipers", sferisteri, coreostadi o come altro si chiamassero, in cui turbe di giovani ballavano senza sosta al suono assordante e allu­cinante di "orchestre" elettroni­che o elettronificate); non è escluso che il riflusso riporti alla musica fatta da sé. Certo, perché no, il fatelo da voi in musica è la cosa più soddisfacente che ci sia anche se riesce a suonare soltan­to Per Elisa, anche se si riesce a pizzicare una sola corda e lasciarla vibrare. La chitarra offre questa introversione, questa introspezione. Può essere l'inizio d'un riflus­so (non s'illuda il lettore profano: pizzicare una corda è facile; suo­nare la chitarra è difficile). 
Insomma, la chitarra, il suo suc­cesso, può spiegarsi in tanti modi, non necessariamente bana­li.
Innegabilmente, per me, è stata un'esperienza nuova: non mi sono posto problemi estetici o che altro. Ho scritto un pezzo per chitarra invece che per pianofor­te. Voglio dire, in modo diverso. Sembra un discorso ovvio. Non lo è poi molto: perché ho usato la chitarra nel modo più convenzio­nale. Credo ancora nella possibili­tà di comunicare, per cui ho tentato un discorso con uno strumento a corde pizzicate e niente più. Certo che così, quel discorso potrà interessare solo dieci per­sone, magari meno. Fors'anche un solo viandante, non necessa­riamente in sandali e jeans sdruciti; un viandante dello spirito, un viandante della vita insomma, magari anche in abito scuro, o nudo, che si rifugi in un angolo, un momento, a suonare quel mio pezzo.
Che nasce, curiosamente, ma senza malizia, sullo spunto della tradizionale Follia (preferirei scri­vere folia, con una elle sola, come in origine era, ma avendo usato in altra occasione questo termine, rabbrividisco ogni volta che lo sento pronunciare con l'accento sulla o, come se derivasse da folium e non dal portoghese che indicava una danza sempli­cemente stravagante, non mat­ta...!); ma che, magari inconscia­mente, invece, da parte mia, dato il frequente ripetersi dello spunto melodico (magari distorto) e rit­mico, quindi come un ragiona­mento a mordicoda, sia stato un manifestarsi tranquillo di follia dentrofuoritempo?
Ho divagato dal tema.
Chissà...

Fernando Grillo - Quando iniziai a concepire un'o­pera per chitarra nacque in me una perplessità al riguardo del temperamento dello strumento, e risolsi quindi di utilizzare l'ambito sonoro degli armonici naturali procurando una diversa accorda­tura, la qual cosa mi ha permesso di donare una varietà timbrica, e con un assai soddisfacente risul­tato, al corpo sonoro dello stru­mento.
L'attacco del suono principale del Pizzicato acquista inoltre un rilie­vo tutto diverso in virtù della mi­gliore tenuta del suono nel tem­po. È nata così "Das Mädchen und der Zauber" (La Fanciulla e l'Incanto) che vuole essere un omaggio a questo strumento, delicato e incantevole.
L'occasione mi fornisce ora di avanzare un'ipotesi di miglioramento: i Maestri liutai potrebbero preparare una tastiera senza le barrette di posizione al fine di rendere muta l'intavolatura delle altezze, e ampliare così notevol­mente le possibilità tecniche di articolazione e di interpretazione delle chitarre?

Bruno Bettinelli- L'interesse che molti compositori contemporanei manifestano per la chitarra ha ormai raggiunto un livello veramente notevole. Quasi tutti scrivono per questo nobilis­simo strumento che offre molte risorse d'ogni genere a chi desi­deri farlo uscire da certi limiti stereotipi entro i quali era stato da tempo ingiustamente relegato. Fino a ieri, infatti, la chitarra era sinonimo quasi esclusivo di "colore locale" iberico o, per esten­sione, sud americano. Se si eccettua la letteratura di derivazione liutistica, o quella del '700 e del primo '800, culminata con Paganini e pochi altri, la musica per questo strumento era ormai quasi sempre costretta nell'ambi­to di una accesa espressione a tinte forti o languide, tipicamente "mediterranee". Si era in tal modo creato una sorta di sche­matismo, non privo di valori autentici e spesso assai piacevoli, ma ormai in via di deterioramento per eccesso di formule sconta­te.
Il compositore d'oggi, di conse­guenza, ricerca ulteriori possibili­tà tecniche e timbriche intese ad estendere sempre più il raggio d'azione di risorse adatte alle nuove esigenze del linguaggio at­tuale. Tale ricerca, tuttora in fase di continuo sviluppo, sta dimostrandosi sempre più fruttuosa e ricca di risultati sorprendenti.
La chitarra, dunque, è diventata prezioso ausilio per il musicista che intenda trattarla come stru­mento solista o incluso in quei gruppi misti che vanno animando sempre più vigorosamente l'atti­vità concertistica da camera in tutto il mondo.

Giovanni Arledler - Osservando l'inesperto impugna­re maldestramente, ma con circo­spezione, una chitarra, tentare la melodia sulla corda acuta tra continue rettifiche di accordatura, si ha spesso l'ingenua impressio­ne di veder riscoprire la musica: dalla suggestione armonica di un corpo posto in vibrazione all'imi­tazione spontanea del linguaggio, alla liberazione del canto.
Se le riflessioni dei teoreti non ci fanno rinsavire, possiamo seguire lo sviluppo dello strumento primi­tivo e dell'arte dei suoni con l'ag­giunta di una seconda, di una ter­za corda che soddisfino esigenze espressive e certa insopprimibile ansia virtuosistica, dettata da urgenze d'imitazione ed emulazio­ne. Il numero delle corde, a chi si appaga della meta di strimpellatore e modesto accompagnatore, può risultare imbarazzante, ma quando si ha l'entusiasmo per andare oltre può essere ulteriore stimolo alla fantasia, che arricchi­sce il linguaggio musicale con al­tre voci, con altre armonie.
La conquista totale di uno stru­mento, nelle fasi che si possono intuire, intravedere, aggiunge alla storia della musica almeno qual­che modestissimo contributo per quel che riguarda la tecnica e lo stile del suonare, l'accrescimento di un repertorio di composizioni create, scoperte, reinventate, adattate.
Non saprei dire se la prima melo­dia strappata al cantino sia un motivo originale o canzonettistico, popolare o classico. La men­talità attuale, insita come falsa coscienza anche nei principianti, tende alla delimitazione di tipi e generi musicali, creando esigenze che finiscono con l'imporre caratteristiche precise agli strumenti: abbiamo così la chitarra classica, la chitarra jazz, la chitarra folk, tacendo di quelle elettrificate ed elettroniche, in un'infinità di mo­delli che rispondono per lo più a mere esigenze di mercato. Co­munque è vero che quando oggi si parla di chitarra si può guarda­re, volendo, ad una realtà abba­stanza vasta, che comprende Se­govia e Yepes, i Genesis e gli ELP, Giovanna Marini e Otello Profazio, Leadbelly e Woody Guthrie, fino a scomodare suona­tori e virtuosi di veri e presunti strumenti affini, quali il banjo, il charango, il sytar.
L'esperienza personale poi, pur orientandosi attraverso precise motivazioni culturali e di gusto, si accresce maggiormente in am­bienti e situazioni (liturghiche comprese) dove spesso ciò che più conta è il segnale d'inizio, il sostegno di un canto che magari avrebbe un effetto migliore affi­dato alle sole voci, la scansione ritmica di una danza, il grido di protesta, il baccano incondiziona­to.
Non credo di dover deprecare lo scadimento di un nobile strumen­to o lamentare il contributo pagato dalla chitarra per quella sua estrema disponibilità ad animare lo spazio sonoro che si illustrava all'inizio. Piaccia o meno, è anche questo grosso ruolo sociale e socializzante che spinge qualche ascoltatore in più nei concerti "dotti", salvo rare eccezioni abbastanza disertati dal vasto pubblico.
La complessa realtà attuale pesa a volte in modo paralizzante su interpreti, compositori, critici e musicologi, ma la soluzione non sta in impossibili sintesi di pen­siero e di creazione quanto in un­'etica riappropriazione di compiti, che consente la fiducia e la con­vinzione nell'operare, quale che sia il valore e la portata delle pro­poste avanzate.

Luis de Pablo - E' difficile per un compositore spagnolo parlare con tranquillità della chitarra: è uno strumento troppo contraddittorio. In vaste zone del paese rappresenta per eccellenza il veicolo popolare del­la musica, e ciò significa che il suo uso ed abuso ha una serie di connotazioni inevitabili. Attraverso questa strada, ad esempio, la chitarra è entrata nella canzone di protesta. D'altro canto, esiste la tradizione colta, con i santi pa­troni della vihuela in qualità di celestiali avvocati... Si aggiunga a ciò la chitarra centroeuropea da salon, che ha prodotto la insperata resurrezione viennese al princi­pio del secolo, con le sue conse­guenze, e si avrà un'idea dei po­teri di assimilazione e digestione necessari per ottenere qualcosa di equilibrato attraverso simili differenti linguaggi: una chitarra acrobata capace di passare dalla "soléa" a Luis Milan, dalla "cueca" a Gustav Mahler, da Gaspar Sanz alle alchimie weberniane, da Heitor Villa Lobos a un famoso sonetto di Petrarca e a un non meno famoso testo di René Char... Si potrà provare questo comune luogo sognato dove, al­meno temporalmente, tutte que­ste apocalittiche "molte voci" sa­ranno non un dialogo di sordi, ma una polifonia organica?
A mio giudizio, questo "desideratum" deve ancora nascere, però, se nel passato esiste un nome che si deve salvare dall'incendio, esso è quello di Fernando Sor (o Sors, così come in ambo i modi egli lo scriveva). La chitarra di Sor si trova equidistante nella tradizione strumentale così come egli la ricevette; dall'inevitabile eredità popolare, da lui soavizzata a causa della sua origine catalana - in Catalogna la chitarra non è protagonista fra il popolo, ma è inclusa tra questo e le classi "colte" (insopportabile terminolo­gia) poiché qui non esiste la divergenza o antagonismo di lin­guaggio presente nelle altre re­gioni di Spagna dall'idioma musicale presente nel suo tempo; dalla ricerca specificamente stru­mentale, tanto tipica della sua epoca... Mi piacerebbe poter dire che qualcuno di noi è stato oggi capace di ripetere questa impre­sa. In attesa di tale giorno dicia­mo con Cervantes: "Pazienza e fai passare il tempo".

Luciano Chailly - Da parte mia non occorrono mol­te parole, perché ho dato prova coi fatti di amare la chitarra. Come autore, avendo composto lavori per chitarra ed avendola in­ inclusa in composizioni liriche e sinfoniche, e come operatore culturale, avendo organizzato all'Angelicum nel 1975 un ciclo per tale strumento, in una panorami­ca temporale ed etnica che ne metteva in vista tutte le possibilità espressive mercè l'interpreta­zione di chitarristi quali Chiesa, Ghiglia, Ponce, Oltremari, Gilardino, Minella, Sicca, Saldarelli, il duo Ako Ito - Dorigny, il trio chitarristico italiano, ecc.
Se debbo aggiungere, come au­tore, una parola sul mio "modo" od il mio indirizzo di impiego di tale strumento dirò che prediligo l'omofonia sulla polifonia, i suoni distesi e puliti nello spazio, filiformi, piuttosto che le grandi archi­tetture polivoche, quali invece corrisposero allo spirito del ba­rocco.
So che ci sono chitarristi che non sono d'accordo su tale punto, ri­tenendo la chitarra uno strumen­to in ogni caso polifonico. Tra questi Alirio Diaz, il quale, quando diteggiò la mia Sonata per chi­tarra, mi fece sapere attraverso l'editore, delicatamente, che, escluso il Notturno assai denso di armonie, sarebbe stato bene che "arricchissi" gli altri tempi. Cosa che non riuscii a fare, nonostante l'autorità dell'interprete, e se cito questo fatto personale è proprio perché così si viene a profilare, a conclusione del breve intervento, ciò che in sede espressiva, specie nel caso di strumenti solistici (chitarra compresa), io temo più di tutto, ossia il pericolo del trucco apocrifo e della supremazia tecnologica.

Francesco Pennisi - Il mio è un interesse precisamen­te rivolto al timbro e al suono che, rivelato, rapidamente svani­sce: "toccato appena e spento, nel torpore ch'esala". Ritrovo quindi insieme, in questo interes­se, gli strumenti a pizzico. Del suono di questi strumenti (e in questo caso particolarmente della chitarra) forse mi attrae anche la esilità, il suo esigere un silenzio di fondo, una rispettosa attenzione. Potrei anche dire che, come nel mondo visivo da qualche tempo la mia predilezione si è spostata ai colori freddi, così la "freddez­za" dei timbri mi attrae sempre più. Se sento l'arpa "calda" e il clavicembalo decisamente "fred­do", mi pare che il timbro della chitarra si riveli in una "escursione termica" ampia, ambigua e quindi accattivante o respingente: questo certamente contribuisce ad affascinarmi.

Carlo Prosperi - Penso che la chitarra sia lo stru­mento "nuovo" e più d'ogni altro "rivelato" dalla cultura musicale del nostro tempo.
E' vero che il novecento ha riproposto all'attenzione altri pregevolissimi strumenti come il clavicembalo e l'organo, ha introdotto l'uso del vibrafono e della marimba, ha sviluppato il timbro della percussione e via dicendo. Ma in questi casi si è trattato: o di recuperare una letteratura solistica prestigiosa trascurata dal secolo precedente, oppure d'inserire inusati timbri e colori nel tessuto orchestrale.
Per la chitarra è diverso. Questo strumento finora usato, almeno da noi in Italia, come sottofondo al folklore, rappresenta l'autentica scoperta del secolo, assumendo un proprio ruolo da protagonista e inserendosi con precisa perso­nalità nel mondo del concertismo.
Sulla nascita della chitarra in Ita­lia non va taciuto il merito dei maestri Alvaro Company e Rug­gero Chiesa che furono i primi fondatori delle scuole di Firenze e di Milano e i primi ricercatori del repertorio appropriato, Company quali animatore e suggeritore del­la moderna letteratura. Chiesa come accurato revisore di musi­che del passato.
Ritengo la chitarra, col suo timbro tenero e splendente, con la sua duttilità armonica e polifoni­ca, uno strumento "intimista" per eccellenza, ancora ormeggiato al gusto del "privato" e al senso in­teriore dell'espressione.

Francesco Bussi - "Non mi sono mai occupato a fondo di chitarra e di chitarristica. Ma da quando mi è dato di cap­tare in qualità di ascoltatore ani­mato da un sincero interesse, mi pare che la chitarra sia oggi, se non la protagonista assoluta cer­to una delle maggiori interpreti dell'anima musicale, soprattutto, giovanile. Lo dicono - oltre allo stuolo di dilettanti più o meno provveduti, oltre alla penetrazione 'mondana'', non so fino a che punto accettabile, dello strumento entro i sacri recinti - la massiccia presenza di alunni di chi­tarra nei nostri conservatori, tale da muovere seria concorrenza alla legione degli aspiranti piani­sti, e il numero crescente di con­certisti generalmente validi e ag­guerriti; lo confermano e convali­dano l'affinarsi della precettistica e lo scrupolo filologico nel riesu­mare l'antico repertorio strumen­tale.
Chitarra, certo, purché non si tra­scenda sull'onda facile e cattivante della moda; chitarra come testimonianza di una rinsaldata coscienza culturale, come espres­sione di felice reviviscenza neou­manistica, come ritorno all'antico - quell'attuale ritorno all'antico che ha avuto l'alfiere nel clavi­cembalo - e insieme, in ultima analisi, anelito a rintracciare nel suono vivo e palpitante di un glo­rioso strumento vecchio di secoli le mitiche vie di un paradiso perduto".
da "I quaderni di Settembre Musica", 1978
(a cura di Roberto Chiesa)

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