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Juilliard Quartet |
Quante volte mi è successo di sentir parlare di un "vecchio" e di un "nuovo" Juilliard? È una semplificazione usata nei negozi di dischi a cui non corrisponde nessuna realtà effettiva. Si può parlare di due Quartetti Pro Arte, di due Quintetti Boccherini, ma il Juilliard è uno solo, guidato da Robert Mann fin dal 1946, anno di nascita della formazione, auspice l'allora presidente della scuola, William Schuman. Mann aveva ventisei anni, come il violoncellista Arthur Winograd.
Questi veniva dalla Boston S. O. e dalla NBC S. O., mentre Mann aveva già vinto la Naumburg Competition ed era guidato da Edouard Déthier, un autentico entusiasta della musica da camera, e da Felix Salmond, il grande violoncellista primo interprete del concerto di Elgar e della Seconda Sonata di Enescu. Più anziano di sei anni, il violista Raphael Hillyer era la colonna portante del gruppo. Aveva studiato violino con Serge Korgueff e composizione con Shostakovic a Mosca e Leningrado. Dopo aver frequentato il Curtis, Dartmouth e Harvard, nel 1942 era entrato nella Boston S. O. di Kussevitzky; inoltre faceva parte del Quartetto Stradivari e insegnava alla Longy School, cosicché la sua esperienza doveva rivelarsi preziosa per il quartetto al quale davano vita i tre musicisti che ho detto, insieme al violinista Robert Koff. Negli anni quaranta eseguirono per la prima volta in America i sei quartetti di Bartok, e quelli di Schönberg dinanzi al compositore, stabilendo la reputazione di specialisti di musica moderna, ma anche di esemplari interpreti dei grandi classici. Nel 1954 Winograd fu nominato Staff Conductor alla MGM Records (passò alla Audio Fidelity Records nel '58) e poi chiamato a capo della Birmingham S. O. e della Hartford S. O. Come successore venne prescelto Claus Adam, figlio del celebre etnologo Tassilo Adam.
Era nato a Sumatra, aveva studiato a Salzburg, ed era divenuto membro del New Music Quartet dopo un periodo come primo violoncello alla Minneapolis S. O. All'interno del quartetto gli equilibri cominciarono a spostarsi. Winograd accordava grande importanza alla chiarezza didascalica della conduzione della frase; era al tempo stesso un po' rigido, si esprimeva con personalissima fragilità, con senso ritmico abbastanza indefinito, una certa "liquidità" di origine espressionista. Adam, allievo di Feuermann, reggeva l'edificio quartettistico con prodigiosa energia ritmica, mentre il suo cantabile rivaleggiava con la calda intensità di Hillyer. Lo riconoscerete agevolmente nel "Très Lent" del Quartetto di Ravel, mentre per lo stile di Winograd consiglio il "Mesto introduttivo" al 2° movimento del Sesto di Bartok.
Finora l'elemento di maggior evidenza ritmica era stato Koff, musicista di splendido respiro. Sapeva dialogare con Mann con inimitabile omogeneità (ascoltare l'inizio del Primo di Bartok) e la sua partenza - avvenuta tre anni dopo la scelta di Adam - impoverì la sezione dei violini, rendendo meno netta la posizione di Mann; la cui personale riflessione lo stava allontanando da quella rivalutazione virtuosistica del primo violino che sarebbe avvenuta negli anni '70 e di cui è stato fiero avversario. Col suo insegnamento Mann si sforzava di raggiungere ciò che definisce «lo stato originale, vulnerabile, del
nuovo-nato››. Legato a questo pensiero di Reichiana memoria, affidava all'esecuzione un valore quasi mistico e, insieme, profondamente umano. Leggiamo le sue parole da un'intervista di S. Epstein apparsa nel l98l sul disco CBS D4 37873: «Non apparteniamo al mondo di Heifetz che si diceva non ammettesse una sola giuntura nelle registrazioni; se c'era una nota fuori posto, voleva che fosse lasciata. E tutti amavano tale posizione perché provava che anche lui poteva sbagliare. Il nostro scopo, però, non è di dimostrare se suoniamo o no come maghi della tecnica, bensì creare una continuità vivente nel pezzo. Non sempre ci riusciamo, ma l'esecuzione offerta è sempre la più "calda". L'idea di Gould - che non ci sia nulla di male a tagliare e cucire il nastro - ha una certa validità razionale; ma in effetti già da molti anni aveva scelto di rinunciare alla musica che vuole comunicare con un pubblico vivo. Per noi, o per me, l'idea di arrivare agli altri è di estrema importanza. Pur avendo fatto del nostro meglio durante ogni registrazione, non ci siamo mai sentiti come quando suoniamo davanti a un pubblico attento e avvertiamo un silenzio quasi tangibile quando sulla scena avviene qualcosa di magico».
Può essere curioso confrontare l'opinione di Earl Carlyss, più giovane di Mann di ben ventun'anni, apparsa nella stessa intervista: «Mi piace l'allestimento tradizionale delle registrazioni in studio, più che ai miei colleghi. Trovo ci sia una sfida estetica nel cercare di ricreare l'atmosfera di un'esecuzione pubblica. Sono due universi del tutto differenti, e le possibilità sembrano inesauribili››. Carlyss giungeva al Juilliard dopo che per otto anni il suo posto era stato di Isidore Cohen, che nel '68 avrebbe sostituito Guilet nel Beaux Arts. Allievo del persiano Ivan Galamian, un insegnante analitico e razionale se mai ve ne furono, Cohen è molto dissimile dai condiscepoli (tra i quali si contano Miriam Fried, Laredo, Perlman, Zukerman, Rabin e Kyung-Wha-Chung): la sua tecnica è piuttosto antiquata e il fraseggio spezzato, spesso "nota per nota", lo obbliga a un uso di corte, onnipresenti "poussèes d'archet" dalle quali consegue una condotta un po' imprecisa. Artista intelligente, è sempre capace di amalgamare pregi e difetti in prestazioni., di indubbia professionalità, ma il suo pur onesto apporto Juilliard è difficilmente comparabile alle grandi figure che gli sono state vicino.
Tre anni dopo l'arrivo di Carlyss, Hillyer decise di dedicarsi all'insegnamento, formando tra gli altri il Tokio, il Panoche, il Varsovia, il Kreutzberg e l'Eder, affiancato dalla moglie Kazuko Tatsumura, impresaria meritevole di aver sviluppato gli scambi artistici tra America e Asia. In quel periodo la presenza di Carlyss innestò una sorta di reazione in seno al gruppo: amava tempi rapidi e si confrontava volentieri con il robusto vitalismo di Adam. Ma il suo fraseggio non aveva la finezza dei colleghi e si basava sul rilievo degli accenti, contrastando con l'accuratezza lirica di Mann e Hillyer, in modo lontanissimo dall'amalgama possente e meditata della formazione del '46 (ascoltate, per esempio, l'Op. 96 di Dvorak).
L'inserto di Samuel Rhodes, nel 1969, riuscì sorprendentemente a riequilibrare le parti e il suo Peregrino Zanetto (uno strumento molto raro, dal suono velato, misterioso) arricchì il timbro generale di una maggiore intimità. Rhodes proveniva dal Quartetto Galimir, aveva studiato con .quello straordinario ricercatore che fu Sydney Beck e con Walter Trampler (quello della Sequenza VI di Berio). Il suo modo di affrontare l'interpretazione, la lettura di certi dati storici, lo avvicinava in maniera speciale a Mann. Nel frattempo Adam aveva lasciato il Juilliard per dedicarsi interamente alla composizione: il primo lavoro che lo impegnò nel 1974 fu - evidentemente - un quartetto. Premi e onorificenze hanno accompagnato il lavoro nei nove anni che gli restavano da vivere.
Gli successe Joel Krosnick, allievo suo e di Luigi Silva, un grande maestro fuggitivo in America nel 1938 tra la costernazione degli amici, tra i quali era mio nonno: uno dei tanti "regali" che una dittatura ottusa ha potuto fare all'arte. Coetaneo di Rhodes e di Carlyss, Krosnick - uno dei fondatori del Group for Contemporary Music della Columbia University - aveva insegnato alle Università dello Iowa e del Massachussets, e al California Institute of Arts. Straordinariamente agile, dotato di un'intonazione magnifica e di un bel timbro non molto potente, sa affrontare il repertorio contemporaneo con disinvoltura. Ciò risalta nella registrazione dei quartetti di Carter, il secondo e il terzo dei quali (di gran lunga i più geniali) sono stati dati in prima esecuzione proprio dal Juilliard. Di Carter, Mann aveva in repertorio il Duo per violino e piano, e Krosnick aveva inciso la Sonata per violoncello (è stato anche il primo interprete del Concerto di Ligeti).
Nelle affermazioni di Krosnick contenute nella solita intervista è facile individuare la lunga pratica con le partiture contemporanee, sia per il vocabolario utilizzato, sia per uno specifico procedimento speculativo: «Il nostro punto di partenza è di creare una continuità drammatica, ogni volta che suoniamo, riesaminiamo e definiamo ulteriormente il nostro approccio, soprattutto riguardo alle indicazioni originali di tempo; abbiamo rivisto le nostre posizioni nei confronti delle istanza armoniche, in opposizione alla pura bellezza del suono, realizzando una integrazione assai personale di diversi elementi. Qualcuno si accorgerà, forse marginalmente, della presenza di alcuni dettagli usati per interpretare materiale simile in modo differente ogni volta che ricompare; dettagli che un pubblico non sarà capace di individuare. Ma l'artista sa dove sta andando ed è profondamente coinvolto in questa integrazione di tutti gli elementi in un insieme emotivamente persuasivo».
Accanto all'attività del quartetto, gli anni '80 hanno visto Mann impegnato col Lyric Trio (Mann, sua moglie Lucy Rowan - voce recitante - e un pianista) per il quale ha composto un vasto repertorio; e con il Mann Duo, insieme al figlio Nicholas, anch'egli violinista. E del 1980 data la sua prima integrale delle Sonate di Beethoven con Emanuel Ax. La formazione attuale vede Joel Smirnoff al posto di Carlyss dal 1986, quarantesimo anniversario del Juilliard; o dovrei dire del primo dei Juilliard? Quanti Rubinstein, Menuhin, Bernstein sono cambiati col tempo senza sollevare simili interrogativi! E comunque, prima di cercare una risposta, si dovrà vedere se la durevole influenza dell'insegnamento di Mann si cancellerà mai dallo stile, dall'arte del Juilliard Quartet.
Gregorio Nardi
("Symphonia" N° 52 Anno VI, Luglio 1995)
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