Un fatto. Ripresa stuzzicante su gambe femminili nude, poi la caduta molle di un asciugamano, presumibilmente allacciato ai fianchi, che lascia presumere più peccaminose immagini. Seconda inquadratura: le gambe e il resto sono già nella vasca da bagno. anzi praticamente ne stanno uscendo; tra il visto e il non visto (sali da bagno sulfurei?) la nostra eroina, verso lo scoccare dei fatidici 30 minuti secondi, si riappropria di un accappatoio candido. appena in tempo perché una suadente voce fuori campo insuffli in orecchie ormai corazzate la marca del bagno. Finisce così troncato anche l'arpeggio del beethoveniano Chiaro di Luna che aveva obbedientemente accompagnato (anche se leggermente a disagio nel settore igienico sanitario), le sequenze.
Un antefatto. Tanti anni fa, alla preistoria della televisione. Il cartone animato con un personaggio simpaticissimo mezzo Rascel e mezzo Eta Beta che nelle praterie più ampie concesse dal leggendario Carosello. faceva e disfaceva e poi scappava sempre sul ritmo irresistibile della mozartiana Marcia turca adattata ai suoi passi. Sì, era proprio Angelino. felice parto di un qualche detersivo di epoche remote. L'antefatto è quasi storico mentre il fatto è casuale, uno dei tanti acchiappati involontariamente giocherellando con il telecomando in un uggioso pomeriggio invernale. Ma sono lo spunto per la nostra ricerca.
Perché la pubblicità sente il bisogno di associare a determinate immagini la musica «colta» o più genericamente classica. Perché l`uso fatto e in linea di massima deprimente per la categoria musica classica in toto. Secondo quali principi viene selezionata, più spesso sezionata, quasi sempre trasfigurata. Il discorso poteva essere impostato in due modi. O riferendoci alle più recenti conquiste della semiologia musicale e delle scienze legate ai mass media per teorizzare, con l'apporto dei vari Eco & C., una precisa casistica di sfruttamenti da cui torchiare ed estrarre tutta una serie di principi di comunicazione e/o di sfruttamento sostanziale; un repertorio da complementarizzare con quello già operante nel campo dello specifico visivo per aver un quadro spaventosamente esauriente dell'ambito sempre più scientifico in cui si muove tutto il mondo della pubblicità.
Si poteva farlo, e non è escluso che se ne riparli. Per questa volta ci siamo accontentati di una piccola ricerca «sul campo». Parlando con alcuni tra i più esperti e famosi creative-man, con registi, responsabili di produzioni musicali varie, soprattutto nella prospettiva di raccogliere qualche dato di partenza concreto sulla funzione della musica classica in questo campo così sensibile ai mutamenti di umore, all'aggressività dei creatori, alla frequente incompetenza dei committenti, ai refoli di gusto imprevedibili, causati o sofferti dall`industria stessa.
Suono e immagine - La pubblicità parte dal concetto realistico espresso in modo lapidario dal sociologo americano Marshall McLuhan quando scrive che «l'oggetto della comunicazione non + tanto importante per sé, ma per il modo in cui ci viene comunicato». Semplificando tutte le teorie annesse e derivate, per quel che interessa la nostra ricerca è sufficiente ritenere il concetto di base e che vuole la pubblicità affidata principalmente a tre fattori: immagini, parole e musica. Se sull'importanza dei primi due elementi nessuno nutre dubbi, sul ruolo della musica come vedremo non tutti sono d'accordo (tanto per intenderci ci riferiamo. e lo sottintendiamo quindi. solo alla pubblicità audiovisiva).
In un intervento sullo Speciale Pubblicità Domani del maggio scorso Sandra Mazzucchelli di 'Le Parole e le immagini' indica per la musica un'utilizzazione che tenga conto della specificità simbolica «al di la della sua funzione ludica o di accompagnamento, o di sottolineatura, o di 'tappabuchi'. In un film pubblicitario la musica è un po' la spina dorsale: può raddrizzare. rinforzare indebolire, stonare il tutto (...) può insomma aggiungere sfumature che le altre espressività difficilmente riescono a raggiungere. regalandoci una nuova forma di linguaggio nel linguaggio: la stessa cosa con musiche diverse cambia completamente di significato o di intenzione».
Poiché la dichiarazione viene da un esperto del settore l'assumiamo come punto di partenza. Cioè si postula - per usare le parole di Gino Stefani - che «la musica non è da capire ma da usare». Il semiologo però circoscrive subito il problema: intanto ponendo l'affermazione apparentemente paradossale nel quadro di una serie di ipotesi, anzi di 'punti di vista' di base per Capire la musica. In secondo luogo svolgendo l'assioma: «dietro questa idea si intravede lo schema produzione-prodotto-consumo, analogo a quello della comunicazione. Ora, mentre per il destinatario era essenziale preoccuparsi delle intenzioni del mittente per capire il messaggio, il consumatore invece può prescindere tranquillamente dalle idee del produttore; d'altra parte il prodotto, ossia l`oggetto musicale, non impone di per sé all'utente un modo unico di fruizione, come dimostra la storia delle funzioni e funzionalizzazioni della musica classica e popolare. Conclusioni: libertà di uso (...). Prendiamo pure la musica come oggetto; ma capire un oggetto vuole dire cercare di vedere com'è fatto, a che cosa serve e che cosa significa».
Questo problema non si pone al pubblicitario che, realisticamente. tratta la musica come oggetto, e basta.
Un oggetto non sempre comodo; scomodissimo se si tratta di quella classica difficile da far rientrare nel limite temporale dei famigerati 30 secondi che rappresentano la durata media dello spot. Diventa quindi necessario un ridimensionamento dell'autonomia musicale. Ecco che nasce l`unità di misura musico-pubblicitaria, il 'jingle'. Letteralmente cantilena, melodia ripetitiva; nell'applicazione pratica quel motivo musicale ripetuto (anche poche volte, ma al momento giusto) che non da l'assuefazione ma costringe la gente a memorizzarlo, nell'associazione, con un determinato prodotto. Gli esempi sono innumerevoli, e ognuno ha i suoi.
E chiaro che per definizione il jingle è qualcosa che si contrappone al respiro della musica classica, regolato unicamente da metri di ordine formale o stilistici.
La mentalità comune, in compenso, assegna alla musica classica una serie di convenzioni di significato facilmente commerciabile. Non è una scoperta recente, questa. Anche storici della musica attendibili hanno in varie occasioni tentato di associare stabilmente determinati stati d'animo o situazioni ambientali a singoli accordi o tonalità (non consideriamo quella dichiaratamente descrittiva, che comunque tiene per sé ancora tale autonomia musicale, almeno nelle partiture più famose, da far scivolare la qualifica pittorica quasi in secondo piano). Anche un saggio mozartiano serio come quello scritto nel 1962 da Aloys Greither propone un capitolo dedicato al 'carattere della tonalità' (stimolante per le idee ma pericoloso da assorbire acriticamente) che rivela coincidenze preziose.
Purtroppo il punto di partenza del pubblicitario è meno aristocratico. «Per arte e necessità è dotato di una cultura speculare, nel senso che riproduce quella media del pubblico», afferma Emanuele Pirella della Agenzia Italia, «di conseguenza nel campo della musica classica siamo a livello bassino. Si finisce quindi per ricorrere sempre alle stesse cose, quelle che circondano anche noi come ascoltatori».
E questo è un dato di fatto riconosciuto da tutti, di malavoglia anche dai pubblicitari che per interesse personale hanno con la musica classica un rapporto per niente superficiale. La parola d'ordine per sfruttarla è far finta di non conoscerla.
Classic jingle-man - Continuiamo la conversazione con Pirella. «E quando dico cose note, intendo proprio quelle che non si possono ignorare, almeno all'orecchio, come l'attacco delle Quattro stagioni o il finale della Nona di Beethoven. E l'utilizzazione deve avvenire sempre sul versante descrittivo o d'atmosfera: sono inutili musiche in qualche misura significanti. La gente sente una cosa nota, e ciò basti, perché poi non è in grado di compiere il passo successivo e darle una paternità.
Esiste un secondo equivoco costituzionale all`utilizzazione del classico, e che ne determina il ruolo subordinato: nell'ambito pubblicitario agiscono due stimoli primari: il noto e l'inaspettato. La musica rappresenta la prima costante quindi non può permettersi ruoli sofisticati. Per di più la cattiva utilizzazione fin qui fatta ha ribadito l'impressione e l'equazione errata per cui il classico va considerato musica vecchia, buona solo per accompagnare e possibilmente in sottofondo. Esiste anche una carenza organizzativa ben precisa; mentre nel campo pop, country e leggero in genere esiste il jingle-man, per la classica si va a spanne e conoscenza personale. Sono comunque persuaso che con maggiore intelligenza e ironia la musica classica potrebbe trovare un campo di utilizzazione molto più vasto e stimolante».
Pace tra lama e pelle - Viceversa capita più spesso che la musica classica venga fraintesa e sfruttata secondo principi da far rabbrividire l'appassionato. Fabio Ritter è il responsabile della Circle. una società che si dedica particolarmente alla produzione musicale. Jingle per tutti i gusti, soprattutto originali; quelli che possono decretare la fortuna di uno spot intero. Ma anche qualche inserzione di classico. D'accordo quando Ritter parla di come la loro ricerca sia volta «a creare uno stimolo di attenzione». È semmai divertente sapere che per una pubblicità radiofonica è stato utilizzato un brano di Haendel, non meglio identificato. di «musica da chiesa». Fin qui niente di strano, bello è il meccanismo
mentale e promozionale che ha portato a tale scelta e che Ritter ci descrive con comprensibile ironia: «Il prodotto era una crema da barba, il messaggio faceva riferimento alla gradevolezza del prodotto tra pelle e lama. In quella musica di Haendel il concetto di pace sembrava evidente, quindi è stata utilizzata per sottolineare la pace tra lama e pelle... È forse un caso limite, ma può anche non esserlo. D'altra parte per conto mio la musica classica è usata fin troppo mentre non è costituzionalmente in grado di sopportare un fatto visivo, a meno di non essere impiegata con distacco, in contrasti divertenti. Comunque all'obbligatorio accostamento visivo si arriva scegliendo musiche descrittive; anche perché e l'unico modo per tranquillizzare il cliente ignorante. Si potrebbe adottare il classico come musica d'ambiente, ma data l'incultura musicale sarebbe ipotetica la resa dell`accostamento».
Sulla medesima linea è l'opinione del regista Livio Mazzotti persuaso che lo sfruttamento classico passi necessariamente attraverso il tramite avviliente delle più radicate «retoriche musicali. Ci sono dei dati sedimentati nell'orecchio della gente; non sono veri dati musicali ma piuttosto la tendenza ad associare alla musica delle sensazioni: l'abbandono, la forza, l'emozione, la solarità. Facendo leva su ciò il pubblicitario finisce per estremizzare in peggio l'operazione intrapresa da Walt Disney con Fantasia: le note della Pastorale riportavano alla memoria immagini della fantasiosa grecità hollywoodiana, oggi le note di uno spot, magari le stesse, rimandano a una scatoletta qualunque. Il definitivo sputtanamento della musica classica da parte dei pubblicitari è limitato solo dall'utilizzazione non frequentissima». Chiediamo il perché. «Fondamentalmente perché, sul mezzo minuto dello spot, solo 5-6 secondi sono quelli che contano veramente: costringere entro questo brevissimo spazio un qualsiasi spunto musicale classico è quasi impossibile e inutile. L'impedimento è quindi fondamentalmente pratico, non certo etico. Talvolta viene superato con l'adattamento moderno dello spunto originale ma solo raramente tale trasformazione vale il lavoro. Tutti questi problemi ovviamente non esistono quando il prodotto da pubblicizzare è già nel campo musicale classico, come può essere una collana editoriale: lì basta scegliere lo spunto più celebre che si ha sottomano. L'attacco della Quinta di Beethoven, per esempio, funziona sempre».
Quale musica - Il problema del repertorio viene affrontato con lucidità da Franco Bellino dell`Agenzia Nck, appassionato di musica classica e particolarmente attratto dalle problematiche della musica contemporanea. Ammette, e come potrebbe non farlo, la limitatezza delle scelte, ma riprende anche il discorso già messo per iscritto qualche mese fa sul settimanale specializzato Pubblico, proponendo una singolare riflessione. «Se va bene la cultura musicale classica della pubblicità si ferma a Strauss aggirando già Mahler; pure l'espressione degli stati d`animo elementari illustrati dagli spot potrebbe benissimo essere sottolineata da musiche di Sciarrino o Togni. Ma nemmeno Ives o Schoenberg trovano posto, né Webern che ha scritto su durate aforistiche singolarmente adattabili ai tempi pubblicitari. Per conto mio la ragione va ricercata, oltre che nell'ignoranza di chi si occupa delle scelte, nella natura stessa di quelle musiche. Tutto il mondo post-tonale esprime una critica sociale così chiara e feroce alla società dei consumi, alla tradizione considerata come punto consolatorio e assoluto. Di qui l'incompatibilità spontanea con tutto il messaggio della pubblicità (che deve essere positivo) e che della società dei consumi è una delle manifestazioni più tipiche. Il rifiuto della musica contemporanea non è solo determinato dal fatto superficiale della difficile memorizzazione, ma va considerato come la rinuncia consapevole a uno strumento inconciliabile costituzionalmente alle finalità della comunicazione necessaria alla pubblicità. Questa caratteristica di accompagnamento che disorienta e mette a disagio accompagna ogni sfruttamento della musica contemporanea; pensiamo soltanto all'applicazione più comune per suspence, tensione o angoscia nei gialli». Finora però s'è parlato in generale di musica classica ma sottintendendo l'esclusione dell'opera, perche? «E' vero, 1'uso è limitatissimo. Principalmente perché fino a qualche anno fa l'appassionato d'opera veniva snobbato a livello comune; poi c'è il problema di conciliare il messaggio pubblicitario verbale con un'accompagnamento da parte sua già vocale. Ci sono stati però esperimenti per sfruttare la popolarità di determinati motivi, ma evitando di mantenere l'originale. Una famosa pubblicità per un brodo era basata su un gruppo di vocalisti che proponevano il messaggio pubblicitario intonandolo su celebri arie d`opera, una più recente lo sovrappone alla cavatina di Figaro, cantata alla maledetta dallo stesso attore protagonista. Ma come si vede sono casi in cui la specificità operistica viene tradita completamente. Ultimo motivo che rende controproducente l'utilizzazione del melodramma (ma per estensione di tutta la musica classica) l'opinione che sappia di vecchio, e non possa giovare al messaggio pubblicitario, che dev'essere necessariamente e totalmente 'nuovo'».
Altro problema è la posizione della musica nel processo di realizzazione audiovisiva. É capitato che sia stato uno spunto musicale a suggerire precisi effetti visivi? Al contrario; esistono spot già destinati nel progetto all'illustrazione musicale classica? «Niente di tutto ciò. La musica nella strategia di comunicazione occupa un ruolo non trascurabile ma gerarchicamente e praticamente finale. Il messaggio pubblicitario di norma è già espresso completamente a livello visivo e verbale; alla musica rimane il compito di rinforzarlo o semplicemente ritmarlo con efficacia. L'intervento musicale avviene sulla fase del montaggio, nel corso del quale si ascoltano vari dischi o si commissionano jingle dalle caratteristiche precise. Può capitare tuttavia che si inciampi in musiche che sembrano proprio fatte apposta, che fanno apparire l'immagine come derivata da esse. Masi tratta di casi».
Coincidente è il giudizio di un altro regista, Alberto De Maria della Film 77 secondo cui la musica è «l'espediente che permette di montare le sequenze in un modo invece di un altro. Per questo il jingle deve tenere presente la configurazione numerica delle sequenze, che nei 30 secondi possono essere due-tre (allora va bene uno spunto musicale conseguente) ma anche di più, richiedendo una spezzettatura corrispondente (che può essere ripetizione)». Da De Maria veniamo a sapere che la tendenza decrescente nell'utilizzazione (anzi nella sottoutilizzazione) della musica classica è un fenomeno che non si rileva in altri paesi. In Inghilterra per esempio ne viene fatto largo uso «nonostante effettivamente caratteristica della pubblicità è proprio quella di non avere prodotti classici. Si preferisce sempre l'ennesimo 'finalmente dagli Stati Uniti' anche conoscendone abbastanza sicuramente la provenienza casalinga, piuttosto che cercare una collocazione pubblicitaria non umiliante alla musica classica. Visto che deve soprattutto 'fare campagna' andrebbe considerata non inferiore, nell'apporto, ai suggerimenti scenografici. Invece la tendenza al 'più nuovo' nel nostro caso si riduce alla mortificante rivisitazione in chiave moderna dei poveri classici».
Del ruolo «finale» della musica non è invece persuasa la Mazzucchelli che nel già citato intervento scritto affermava che «quando e dove si può, cioè, bisognerebbe fare di tutto perché la colonna sonora nasca prima e non dopo il montaggio. A evitare cadute di ritmo, che sono poi cadute d'attenzionalità, di
credibilità, di coinvolgimento».
«Il grande sogno del committente è solo che la sua pubblicità sia sottolineata da un jingle che tutto il pubblico prima o poi si ritrovi a canticchiare» specifica Marco Vecchia direttore creativo della Cpv che parla chiaramente di 'sfruttamento' della musica classica e lo fa non senza un po' di malinconia. «Spesso addirittura il classico è impiegato in funzione kitsch, anche se tutto sommato viene tenuto come un 'testimonial' autorevole. Non necessariamente per la popolarità in sé di quel brano: conta piuttosto la popolarità indotta, quella che viene a un motivo dal fatto di essere stato utilizzato in un film di successo (per esempio Così parlò Zaratustra ripreso in tutte le salse, ma solo dopo 2001 Odissea nello spazio e quasi sempre per ambientazioni fantascientifiche...). E in genere la presenza della musica classica tende solo alla comunicazione di un certo tipo di atmosfera. secondo discutibili concezioni per cui il Settecento serve per definire ambienti raffinati e freddi, Ciaikovskij per le ambientazioni romantiche e sdate..._».
Crea un'atmosfera - Il discorso in sé sarebbe concluso, anche perché in linea di massima tutti gli intervistati si sono trovati d'accordo sull`analisi dell'anomalo rapporto tra comunicazione pubblicitaria e musica classica. Per completare il quadro con l'altra faccia del fenomeno abbiamo parlato con due famose ditte che hanno legato il proprio marchio a popolari spunti di musica classica. Si trattava di vedere in che misura l'atteggiamento critico e complessivamente poco persuaso dei pubblicitari trovasse riscontro nei committenti. In altre parole si cercava la conferma dell'equivoca utilizzazione del classico e di tutte le prevenzioni.
Musica classica come atmosfera. Non era possibile evitare l'incontro con il brandy che dell'atmosfera sembra possedere il brevetto, complice il felice motivo della Romanza in fa maggiore per violino e orchestra di Beethoven, nell'arrangiamento di James Last. Roberto Canaider, responsabile dell'ufficio pubblicità racconta con ingenuità tenera e con un pizzico d'orgoglio la nascita di questo fortunato accoppiamento. «Stavamo preparando la pubblicità natalizia del 1977, avevamo già a disposizione una serie di sequenze (scene con pupazzetti, presepi olandesi del Seicento). Scopriamo questo motivo arrangiato da Last perchè era ai primi posti della hit-parade radiofonica e ci sembrò subito una musica adatta per il Natale...poi venne tenuta come jingle anche per altri spot, poiché in effetti il messaggio verbale vi trovava una corrispondenza ideale». A voi spetta anche l'immagine del pugno di ferro del Petrus; lì è venuta prima l'immagine o la musica? «Sempre l'immagine. Il difficile è stato trovare una musica che desse l'impressione di vigore e che continuasse conseguentemente come sottofondo. In effetti l'aver scelto la Quinta di Beethoven con quel famosissimo ta-ta-ta-taa (errore madornale o semplice lapsus? Come tutti sanno la musica è quella dell'ouverture Coriolano) e stato un vero colpo grosso».
Musica classica o trascritta. Ci siamo rivolti a un'altra grande casa di aperitivi milanese di cui non vogliamo citare il nome visto che ci è anche stato intimato di non indicare che abbiamo avuto un colloquio telefonico con un responsabile (peraltro gentile) della pubblicità. Dunque la ditta in questione si è appropriata della Polacca n.3 «Eroica» di Chopin per i propri spot. Ma con una raffinatissima differenziazione rivelata dal signore di cui sopra. Cioè il prodotto classico ha l'onore di essere accompagnato dalla versione originale, quindi per pianoforte, del pezzo, mentre quello più giovanile «che non si sposava bene al carattere serio della musica» viene reclamizzato con il medesimo motivo nella «trascrizione disco-music» (molto discutibile musicalmente questa specificazione di genere...), con file di archi. ottoni, grandi glissandi di arpe e via dicendo. Il pateracchio risultante viene in compenso definito «sinfonia» con buona pace dei puristi e degli appassionati generici.
Per concludere - Si può fare solo un piccolo punto di partenza per qualcosa di più scientifico e documentato. La veloce chiacchierata, soprattutto quella finale con i due produttori, mi pare che lasci pochi dubbi.
Della musica classica in pubblicità se ne fa un uso atroce. Eppure si continua a infilare sotto un paesaggio Vivaldi, Bach con la fiera del bianco, Wagner con i formaggini bavaresi; frotte di bambini seminudi sciamano sulle note della Pastorale, il risveglio dietetico di un pacioso signore avviene sulle avvolgenti melodie del Peer Gynt di Grieg, un altro brandy di casa s'è appoggiato per anni al Concerto per violino di Ciaikovski, e il saccheggiamento continua, sempre però con i limiti stilistici di cui abbiamo già parlato (De Maria per uno spot girato in Francia tra fieno, cascate e amenità rurali volle tentare musicalmente la carta Debussy: si sentì chiedere per quale ragione voleva cambiare il regista...).
E quello che spaventa non è l'impiego fin qui fatto, ma 1'ancora ferma convinzione di molti operatori pubblicitari - ciò si legge tra le righe poiché a noi è capitata la fortuna di parlare con persone intelligenti e sensibili al problema - che con l'ennesimo tradimento del classico di moda pensano di poter risolvere ogni situazione rognosa, senza ricorrere all'opera del compositore moderno o del ritmo alla moda. Il tutto poi condito dalla suprema ignoranza di fatti musicali per cui gli accoppiamenti musica-immagine sono sempre al limite del casuale, e alla musica tocca sempre la fatica di riportare credibilità a tutta la baracca: la sua personale piuttosto screditata, è quella dello sponsor di turno. Forse ha proprio ragione Pirella quando dice che i pubblicitari e quindi i loro prodotti rispecchiano il livello medio della cultura musicale italiana. Credevamo di essere a stadi da Terzo Mondo solo per quanto riguardava l'educazione musicale, invece anche qui non siamo molto distanti.
E non salti su nessuno a dire che (però, tutto sommato, in fondo, almeno) qualcuno di questi motivi straziati rimangono in testa accumulando dati musicali, sia pure scheletrici, e che quindi un minimo contributo culturale c'è...Di questo genere di cose possiamo tranquillamente farne a meno. Anche dell'arpa haendeliana che ci amministra gli intervalli televisivi rendendo operante l'equazione classico-noia.
Se proprio si vuole iniziare un discorso diverso, sarà meglio prendere il toro dalle corna; c'è bisogno di jingle classici? Benissimo, si bandiscano le squallide esercitazioni fin qui intraprese e si cominci a considerare seriamente la musica classica. Potranno esserci delle sorprese.
«Ripetizione è incantazione: la tecnica pubblicitaria ne ha ben fatto una sua legge fondamentale» scrive Stefani a proposito di un pezzo costruito regolarmente, con un unico modulo ripetuto, come il jingle ideale. L'affermazione può suonare ironica: la pagina musicale esaminata è il primo Preludio del Clavicembalo ben temperato. Ancora una volta Bach e davanti a tutti; e con lui la musica.
Angelo Foletto
("Musica Viva", N. 2, Anno V, Febbraio 1981)
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