Prosegue la riscoperta della musica colta-contemporanea dell'autore siciliano. Ne parliamo con ii compositore e direttore d'orchestra, fondatore dell'ensemble Sentieri Selvaggi, da anni impegnato nel riportare in superficie brani ancora troppo poco conosciuti nella produzione di questo mistico d'Occidente.
Nel campionato della musica, Franco Battiato ha giocato una partita tutta sua. Sempre in attacco e mai in difesa. Con schemi originali, senza arrangiare quelli degli altri. Perseguendo l'indipendenza del pensiero e dei contenuti, e mai l'esibizionismo o la spettacolarizzazione dell'atto virtuosistico. Tanto nella musica pop quanto in quella colta-contemporanea. Battiato, caso a parte nel vasto mondo della creazione, in “Tecnica mista su tappeto" (conversazioni con Franco Pulcini) del 1992 diceva: «Tra il rumore di un`automobile che va piano e una musica che non mi piace, che urta la mia sensibilità, preferisco il rumore di un'automobile». E ancora: «Spero che una musicalità istintiva mi abbia sempre tenuto fuori dal kitsch e dal cattivo gusto».
È questo l'autore che Carlo Boccadoro, in “Battiato. Cafè Table Musik" (La Nave di Teseo), ritrae con vasta documentazione e attenzione chirurgica. Scrivendo di un artista che «ha attraversato la lunga strada che va dai locali milanesi alla composizione contemporanea nei teatri d'opera senza darsi inutili gerarchie stilistiche interne, e affrontando ogni sfida musicale che gli si presentava davanti con professionalità e leggerezza». Con senso estetico ed essenziale, irrequieto eppure meditativo, libero. E proprio per questo, autore di «musiche che quarant'anni fa erano in grado di intuire le direzioni del futuro», sottolinea Boccadoro. Che in prima nazionale, il 2 ottobre, ha presentato al pianoforte con Giulia Perri (voce e oggetti), Andrea Rebaudengo (pianoforte e oggetti) e Piercarlo Sacco (violino), in occasione del Romaeuropa Festival 2023, una selezione di brani scritti da Battiato tra il 1977 e il 1978: tre pezzi da “Juke Box", “Campane”, “Hiver”, “Martyre Celeste", “L'Egitto prima delle sabbie", “Cafè-Table-Musik" e “Sud Afternoon”.
“La camera di Franco", titolo della serata, ha portato in superficie quell'esplorazione profonda «dell'universo sonoro degli strumenti acustici» - pianoforte, voce e violino - sui quali si concentrò l'artista siciliano una volta abbandonato il sintetizzatore VCS3 che tanta importanza ebbe nei suoi primi dischi da solista.
Ne parliamo con il Maestro Carlo Boccadoro partendo proprio da “L'Egitto prima delle sabbie" (1977). Il brano, ispirato ad un racconto di Georges Ivanovic Gurdjieff, si classifica al primo posto al Concorso di composizione “K. Stockhausen” organizzato dal Festival Pianistico Internazionale di Brescia e Bergamo. Così ne parlò Battiato, la dichiarazione è inserita nel libro “Cafè Table Musik", in un'intervista
del 2007: «Credo che si tratti di una delle mie vette assolute, eppure non c'è neanche una briciola di ispirazione, semmai studio al servizio di una concezione meditativa, riscontrabile nelle sonorità, nella purezza delle risonanze... Si tratta di un linguaggio micro-polifonico. Queste risonanze rappresentano ancora oggi, secondo me, la forma ideale per esprimere un certo mondo».
Maestro, la musica classico-contemporanea di Franco Battiato può aiutare l'ascoltatore a capire, meglio, anche il lato “mistico-pop” del cantautore?
Assolutamente no, eccezion fatta per il brano pianistico “L'Egitto prima delle sabbie", la cui qualità riflessiva - secondo Battiato - aveva la capacità di provocare uno stato d'animo incline alla riflessione interiore: lui stesso ascoltava talvolta questa musica quando faceva i propri esercizi di meditazione. A parte questo nulla di mistico, tantomeno di pop.
La riscoperta - potremmo dire “ricostruzione” - di queste musiche quanto è stata complessa e come si è lavorato per portarle sul palco?
Ho già ampiamente documentato nei dettagli la complicata vicenda del ritrovamento di questi lavori nel mio libro “Cafè Table Musik" uscito circa un anno e mezzo fa per le edizioni de “La Nave di Teseo": non c'è spazio qui per ripeterla. E' stata comunque una lunga operazione che ha coinvolto all'inizio lo stesso Battiato nel 2009 e successivamente è stata portata a termine con l'aiuto di Antonio Ballista, della casa editrice Ricordi e dell'archivio SIAE.
Nel libro-intervista “Tecnica mista su tappeto", Battiato dice di «aver bisogno, ogni tanto, di armonie tradizionali e pacate. All'interno di certe asperità c'era il viaggio del suono come ripetizione, come veicolo per cavalcare dimensioni diverse». Battiato come affronta la musica contemporanea, come la pensa e la sviluppa?
La sua posizione era in assoluto contrasto con qualsiasi estetica dominante allora nel mondo delle cosiddette avanguardie. Le sue idee si rifacevano piuttosto ai minimalisti americani come Terry Riley, Steve Reich e Philip Glass, a quell'epoca assolutamente tabù nelle nostre stagioni di concerti. L`unica personalità con cui Battiato trovava una affinità era quella di un altro grande “escluso” da quel giro di sperimentazione, Paolo Castaldi, con cui all'epoca collaborò anche in una serie di concerti assieme. Al centro di tutta la sua ricerca di quegli anni, come sottolineava lo stesso Battiato, c'era proprio la ricerca dell'esplorazione dei suoni acustici degli strumenti, in particolare del pianoforte.
Nei lavori di Battiato quali sono le caratteristiche della composizione che l'hanno colpita di più? L'autore come si differenzia dal panorama colto di quegli anni Settanta?
Il suo linguaggio non ha nulla a che vedere né con i residui del serialismo allora ancora in voga e neppure con esperienze come lo strutturalismo o l'alea di John Cage (che pure Battiato ammirava molto). Hanno semmai idealmente a fare con Morton Feldman, oltre che coni minimalisti americani (come ho detto prima). Una musica fatta di micro-dettagli, di sfumature minime che cambiano quasi impercettibilmente nel tempo, e che richiede appunto una diversa concezione del tempo di ascolto per essere apprezzata come si deve.
Lei afferma che in “Martyre Celeste" «vengono in mente le soluzioni compositive di Arvo Pärt e Giya Kancheli, che difficilmente all'epoca potevano essere conosciute perché non avevano circolazione nei paesi dell'Ovest europeo». Ma nella musica di Battiato si trovano riferimenti anche a Cage, Stockhausen, Ligeti, Messiaen, Morton Feldman: l'interprete come può affrontare così tanti e diversi stimoli musicali?
E' necessario avere una preparazione completa e una conoscenza storica approfondita su quello che si scriveva in quegli anni per non affrontare queste pagine con superficialità, o con un approccio Ambient o New age (per carità!!). Ogni nota è essenziale e questo richiede un lavoro intenso sul tocco pianistico esul suono in generale.
Lei si è confrontato direttamente con Battiato proprio su questi materiali perduti e irrintracciabili: quali le sensazioni che conserva ancora oggi di quell'incontro?
Purtroppo, quando Battiato era in vita l'unico lavoro che è stato possibile rintracciare era una versione molto approssimativa del pezzo per due pianoforti “Sud Afternoon”, che io ho successivamente ricostruito ed eseguito assieme ad Andrea Rebaudengo. La conoscenza con Battiato è durata diversi anni, fin da quando mi chiese di dirigere al Teatro Rendano di Cosenza la sua ultima opera lirica, “Telesio". Ho dei bellissimi ricordi di questa frequentazione, ma sono troppi e non li considero materiale per un'intervista...
intervista di Davide Ielmini a Carlo Boccadoro
("Musica", N. 351, Novembre 2023)
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