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Beniamino Dal Fabbro (1910-1989) |
Poeta e traduttore di poeti (esemplari al punto da assurgere a paradigma le sue versioni da Paul Valery, raccolte in un volume edito dal Feltrinelli) ha fra l'altro il dono di possedere la lingua italiana come pochi. Di essa si serve per la costruzione di un linguaggio che proprio nell'esercizio della sua attività di critico musicale piega, nel fervore della polemica o nell'analisi illuminante di una composizione o di una esecuzione, ad impensate e impensabili modalità narrative o ad un`acre ironia di natura enciclopedistica. La prosa critica di Dal Fabbro non grava mai sul lettore, piuttosto lo stimola e talvolta lo eccita, Tal'altra lo ingolosisce e perfino lo irrita sottilmente, sempre lo interessa, facendosi divorare fino all'ultima riga, non compiutamente saziandolo. Perché questo è un po' il segreto del Dal Fabbro esegeta: lasciare aperta ogni possibilità di sviluppo del discorso per le successive puntate. Occasionalmente, il periodare si allarga in ampie volute, ove i vocaboli anziché attingere al barocco (come si potrebbe supporre vistone l'aspetto da lontano) sgorgano con disinvoltura dai grandi movimenti dell'epoca nostra: il simbolismo, il surrealismo e, perché no, il cubismo, il futurismo, il dadaismo.
«La cravatta bianca» si denomina dall'ultimo capitolo, tragico, pietoso e crudele («...potrei scegliere i giorni in cui mi mettevo al collo una cravatta bianca, la mia bella cravatta di seta bianca, in opposizione d'odio e di sfida a quanti indossavano nere insegne, issavano sul nero berretto uccelli rapaci, si decoravano il petto con teschi umani di pirateria e di farmacia su fondo nero...»). Raggruppa prose liriche, saggi, dialoghi, aforismi, caratteri, ricordi, note di viaggio e di taccuino fino a comporre un perfetto ritratto intimo dell'autore. Si tratta, in sostanza, d'una serie di confessioni e non v'è bisogno di leggere tra le righe o di seguire dei corsi di psicanalisi o di psicologia onde comprenderle: l`uomo che si consegna nelle pagine de «La cravatta bianca» è due volte moderno: nella mancanza di esitazioni e nella denuncia della sua condizione di solitario. Le sue debolezze e i suoi furori, le sue passioni e le sue nostalgie, la sua melanconia e la sua esaltazione contrappuntano la carta geografica della memoria da lui disegnata a poco a poco. Colorata con l'ingenuità disarmante della fanciullezza («Firenze dopo il diluvio», con un'interpretazione della citta destinata ad avvinghiarsi ai ricordi personali del lettore in maniera inobliabile); con gli slanci e il ritegno, le effusioni e i pudori della giovinezza, appena stemperati da un'oggettività che sfiora l'indifferenza voluta («Quaderno di Villapluvia» e «Tre stagioni marine», per fare degli esempi); con l'esperienza, da tante prove filtrata, della maturità («Das Leben in Venedig», «Carte veneziane», «Interno I» e «Interno II», tanto per fare altri esempi).
I lombardi in genere e i milanesi in particolare nel capitolo «Carte milanesi» hanno modo di sentire il profumo, tutto e veramente poetico, di una città perduta e chi non ne ha mai vissuto le ore e i giorni rievocati da Dal Fabbro, scopre nello stato emozionale dell'archeologo (ma potrebbe trattarsi di un alluminatore intimista) i costumi e le civiltà di un altro mondo.
L'intero libro trabocca di musica e non solo e non tanto per l'armoniosità del linguaggio, quanto per la presenza vorrei dire fisica della più umana e della più divina delle arti, estrinsecata dalla creazione di atmosfere o dalla rievocazione di compositori e di esecutori o dal tratteggio degli strumenti. «Fu nella sala grande della Pensione Demidoff, dov'era uno strumento di mogano chiaro eccessivamente incrostato di madreperla, che per la prima volta ebbi a sedermi davanti agli avori d'una tastiera, con l`atteggiamento di chi si prepara a trarne dei suoni secondo una qualche regola o tecnica dell'arte» (pag. 21). Ancora qualche citazione. «Al segnale dell`ultime trombe faticherà Rossini a smuovere i suggelli dorati della sua dimora di marmo, a farsi largo tra le opulente figure femminili del trionfo funebre. Dietro l`alto spigolo della navata di Santa Croce, Cherubini aspetterà qualche minuto per non incontrarlo» (pagg. 39, 40), «D'una giovane pianista che ha dato un pubblico concerto nessun giornale osa dare un meritato giudizio negativo e nemmeno alludere a un suo grave fallo di memoria, mentre a insigni e anziani concertisti si sogliono addebitare le note false incidentali. Si viene poi a sapere che alla virtuosa è padre un colonnello dei carabinieri» (pag. 50) E Donna Laura? (pagg. 66, 67). E la musica in Via San Marco? (pagg. 112, 114). E i vari aspetti della musica a Venezia (pagg. 150, 151; 160, 161; 165, 166) e anche a Villapluvia? (pagg. 231, 235). E poi «Un alloggio nel melodramma» e il «Dialogo di Florestano e di un amico» e la recita della «Mignon» di Thomas.
Su tutto il libro s`innalza una testimonianza d'amore tenero e disperato per quel pianoforte nel cui crepuscolo (oggetto di un indimenticabile libro di Dal Fabbro, edito da Einaudi) sono destinate a dissolversi alcune delle pagine più belle della storia della musica. Questa testimonianza s'intitola «Pianoforte sul mare» e va dalla pagina 193 alla pagina 196, terminando con la seguente frase: «Stanotte vorrei ascoltare da questo muretto sepolcrale rosicchiato dalla salsedine gli echi del concerto, il piccolo, gracile, futile grandinìo del pianoforte laggiù, lontano dalla vita come dalla morte».
Giovanni Attilio Baldi
("Disclub" 19, anno IV, marzo-aprile 1966)
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