Secondo me tali giudizi sulla storia, a distanza di secoli, sono sempre un po' arroganti, L'opera seria è stata de facto per lungo lungo tempo la forma del teatro musicale. Lo stesso identico giudizio potrebbe essere emesso sull'architettura e sull'arte figurativa del barocco, sulle costruzioni rappresentative delle chiese e dei palazzi, sulle opere di Bernini e Borromini. Se le si volessero osservare con occhi incrostati di pregiudizi, si tirerebbero fuori gli stessi criteri, ma al contrario in queste ultime vi si riconoscono grandi qualità artistiche. Penso piuttosto che si tratti di una crisi dell'osservatore odierno, non del genere. Per me la vecchia opera seria è una forma estremamente interessante, poichè lì i caratteri umani vengono ripartiti in diverse figure. Per esempio in un'aria di vendetta si parla solo di vendetta. Ogni opera aveva un'aria irosa, un'aria di vendetta, un duetto amoroso e così via; erano cose prestabilite. Il librettista era nel contesto certamente importante, ma non doveva essere originale, dipendeva solamente da come il compositore si sapesse esprimere all'interno di questi parametri prestabiliti. Per questo l'opera seria poteva sempre rifarsi ai medesimi libretti, perchè vi si rappresentavano i grandi sentimenti umani in tutte le sfumature di emozioni e di affetti. E questi non mutano di certo! Quando un libretto descriveva tutto questo in una buona maniera - ed evidentemente i libretti di Metastasio avevano questo requisito - allora lo si trasponeca in musica.
Mozart non si fa comprimere in una forma. Oltre a pochissime eccezioni, che però possiedono un intenso e profondo significato musicale, egli ha preso anche con La Clemenza di Tito vie del tutto nuove. Non si può dire che in quest'opera si rifaccia alle sue opere precedenti; al contrario, quando mi occupo della Clemenza di Tito ho l'impressione che Mozart abbia trovato qui un nuovo e semplice linguaggio musicale, simile a quello del Flauto magico. E questo sarebbe stato il suo linguaggio musicale del futuro. Entrambe le opere costituiscono per me una visione di come Mozart avrebbe continuato il cammino nell'ambito del melodramma del XIX secolo.
Potrebbe accennare ad alcuni di questi momenti che sembrano accennare il futuro?
Si trova una enorme semplificazione per quanto riguarda la lunghezza dei brani, la strumentazione ed il movimento delle parti. Vi sono pochi insiemi vocali. La strumentazione e la complicatezza del procedere dell'orchestra vengono estremamente ridotte. Ciò si ritrova anche nel Flauto magico e nel Concerto per Clarinetto, ed è sicuramente la via che Mozart aveva davanti a sé. In qualche modo è come un addio al XVIII secolo. D'altro canto si trovano alcuni effetti drammatici che ritroveremo solo nel primo Verdi.
Dunque si potrebbero introdurre un paio di capitoli sulla teoria degli affetti?
Un capitolo sulla teoria degli affetti si rivelerebbe necessario. Il vocabolario della teoria degli affetti, che Mozart ha arricchito non poco nelle sue opere su libretti di Da Ponte, viene in realta posto in disparte nel Flauto magico e nella Clemenza di Tito.
Sono rinvenibili un gran numero di affetti, come per esempio vendetta e gelosia. Sono riconoscibili come momenti singoli, anche dal punto di vista musciale?
Sì, certo. Si trovano moltissimi affetti di questo tipo: vendetta o gelosia, ad esempio. Nell'opera barocca ciò è molto chiaro ed unidimensionale. Solo tutti gli affetti delle figure prese insieme formano per così dire una personalità completa: ogni figura presa da sola rappresenta solamente una parte dell'essere umano. Nella Clemenza di Tito si ha la sensazione però che ad esempio la gelosia non debba essere rappresentata a sé stante, ma che in realtà la figura gelosa possieda ancora uno spettro molto variegato di sentimenti. La vendetta è una necessità proveniente dall'amore, dalla disperazione e così un'aria di vendetta può sfociare subito per mezzo di una minima variazione delle premesse in un'aria amorosa.
Questa enorme labilità dei sentimenti è ciò che, secondo me, caratterizza questo pezzo. L'opera tratta della fragilità delle relazioni tra i personaggi. Ciò che un'amicizia - ora penso a Tito e Sesto - deve sopportare e tollerare lo mostra il grande recitativo tra Tito e Sesto, sembra quasi uno psicodramma. Si sente che tra i due vi è un infinito amore, e che nello stesso tempo ogni offesa a quest'amore si trasforma in patimento.
Come si sente Tito alla fine?
Tito si sente miserabilmente alla fine. Perchè tutto quanto gli è riuscito male. Nell'ultimo brano lui canta solo contro tutti gli altri, non prende parte al giubilo generale, allora possiamo sentire la sua grande rassegnazione. Questo già lo conosciamo in Mozart; le sue opere finiscono tutte in tristezza. Sarebbe da stupirsi se avesse dato a quest'opera un finale felice. Sebbene ciò avrebbe corrisposto meglio all'intenzione di mostrare un regnante buono e mite, la cui bontà alla fine viene ricompensata.
Anche con le donne Tito non ha una relazione univoca.
Si ha l'impressione che non ama nessuna delle donne in scena, ma che sa che si deve sposare, per adempiere alle aspettative del popolo.
E lui si trova quella sbagliata.
In verità si era trovato quella giusta. Lui aveva amato Berenice, che però era una orientale.
Appunto, non riconosciuta. E quindi per il suo popolo quella sbagliata, dico bene?
I suoi sentimenti appartenevano a Berenice, ma lui si lascia sopraffare e manda via Berenice. Ciò è contemporaneamente un'ingiustizia verso il suo amore e verso Berenice, e questo lo si capiva anche allora. Dovendo agire secondo un criterio di legittimità sceglie Servilia, perchè è la sorella del suo amico. Quando lei rifiuta prende allora Vitellia.
Vitellia lo vede sotto due aspetti: in primo luogo quello di colui che è ingiustamente sul trono, poichè la famiglia di Tito ha scacciato via la sua ingiustamente. Ma d'altro canto sarebbe disposta a rinunciare a tutto pur di averlo, dato che lo ama. Lei rappresenta un carattere assai complesso, il suo amore vero e forte è mischiato con l'odio tra le due famiglie a causa degli avvenimenti storici.
Quindi il tipico problema di relazioni sentimentali del XVIII secolo?
Così si potrebbe dire. La relazione tra Vitellia e Sesto però al contrario sembra più uscir fuori dal XX secolo. Vitellia gode nell'avere uno schiavo per il sesso, che può costringere ogni volta, grazie al suo fascino ed incanto femminile, a fare tutto ciò che lei vuole. Questa è la classica immagine della dipendenza. La sicurezza con la quale lei usa Sesto è sollecitata dal suo odio amore per Tito, ma la sua relazione con Sesto è una fredda relazione mossa da uno scopo.
Poi vi è il rapporto puro tra Annio e Servilia e la profondissima amicizia tra Annio e Sesto, che è sicuramente meno problematica ma anche meno minacciata di quella tra Tito e Sesto. Tutta l'opera parla in realtà degli errori d'amore e di sesso, dato che non si può chiamare amore la relazione tra Vitellia e Sesto, che è la relazione alla base di tutta l'opera.
In questa ragnatela emozionale tra i personaggi si pone come individuo completamente al di fuori Publio, del quale si ha l'impressione che provi piacere nel distruggere, nel rovinare la gioia di qualcuno. Publio mi fa pensare ai servizi segreti ed al capo della polizia segreta di una dittatura. Quando lascia trapelare la sua malvagità così lentamente, si ha proprio l'impressione che sogghigni, che goda della crudeltà. Fa molto riflettere il fatto che un regnante così moderato e benevolo, come Tito, si tenga vicino un tale esecutore.
Si può trovare qui un riferimento nascosto alla figura storica di Tito?
Qualsiasi uomo che allora ascoltava La clemenza di Tito sapeva che Tito realmente non fu quel gran moderato, ma chea veva messo a fuoco Gerusalemme ed aveva disperso ed ucciso centinaia di migliaia di ebrei. Egli fu uno dei più sanguinari imperatori romani in assoluto. Le figure degli imperatori romani erano senza dubbio note all'epoca.
Si depreca talvola l'interruzione della serie di arie attraverso i recitativi musicalmente insignificanti.
I recitativi mozartiani sono geniali interpretazioni del testo: purtroppo i recitativi della Clemenza di Tito sono di Süssmayr (a Mozart mancò il tempo), e la loro qualità non è certo alta; per questo noi li abbiamo notevolmente accorciati.
Vi è poi la leggenda secondo la quale Mozart abbia scritto l'opera in soli diciotto giorni.
Io ritengo che Mozart si sia dedicato a questo lavoro già in precdenza, ma credo anche che Mozart fosse capace di tutto. Del resto è tutt'uno. Un'opera che esce dall'officina mozartiana porta i suoi segni magistrali. Non avrebbe accettato quest'incarico, se non avesse anche saputo di poterlo portare a termine.
Nelle Sue interpretazioni i caratteri fissati nei tratti fondamentali della musica diventano personaggi, diventano figure umane. Mi piacerebbe che rivelasse i segreti del Suo lavoro per poterLa comprendere meglio. Vorrei cominciare col pezzo che Mozart compose alla fine dell'opera: l'ouverture.
L'Ouverture è una preparazione all'opera intera. Nella Clemenza di Tito non sussistono collegamenti tematici. Non si tratta di un'ouverture a programma, come ad esempio nel Don Giovanni. Si tratta soprattutto del repertorio degli affetti, che viene rappresentato in maniera abbastanza ampia, e si sente che si ha di fronte un pezzo di corte, dato che inizia con un marcia. Il no. 1, il duetto tra Vitellia e Sesto, è praticamente l'accordo caratterizzante di tutta l'opera. Con l'entrata di Vitellia nella battuta 14 di questo duetto si ha subito l'idea della sua freddezza e durezza, attraverso il particolare martellare dell'orchestra.
Come realizza Mozart questo martellare?
Primo violino, violoncello e contrabbasso hanno una configurazione simmetrica e velocissima e il secondo violino e la viola eseguono il martellìo. Sesto invece viene qui dipinto come una figura ancora malleabile. Questo perchè deve ancora accadere qualcosa, prima che acquisti la propria spina dorsale, in modo che lo si possa capire come una figura chiave. Già dalla sua prima apparizione si comprende che è completamente nelle mani di Vitellia.
Nell'aria no. 2 si vede una Vitellia totalmente differente.
E vi è anche una sonorità orchestale del tutto diversa: non vi sono ora gli oboi, ma al loro posto due flauti, mediante i quali il suono degli archi viene reso più tenero, morbido, carezzevole. Vitellia assume ora il suo successivo registro, offrendo il suo amore se lui, Sesto, esegue i suoi ordini. In quest'aria vi sono innumerevoli finezze, come quando lei gli dice di non infastidirla con i suoi dubbi eterni. A questo punto vi sono figurazioni così pressanti che si ha di nuovo l'idea della durezza di Vitellia. Nel momento successivo, quando Vitellia pensa che Sesto possa comprendere le sue intenzioni, diviene nuovamente molto lusinghiera.
Il carattere di Tito viene invece stbilito già nella sua prima aria.
Esattamente. Normalmente un'aria nell'opera seria, ed anche nelle opere mozartiane, è preceduta da una introduzione strumentale. Qui avviene il contrario, il cantante comincia prima dell'orchestra. Questa entrata ritardata dell'orchestra, questa indecisione, che rappresenta un notevole ed importante lato del carattere di Tito, viene molto evidenziata dal fatto che questo inizio non avviene contemporaneamente. Nella battiua 5 si stabilisce una spece di energia, che è però un continuo ondeggiare tra insicurezza e forza. La conclusione è una figura di consolazione: "Tutto è tormento e servitù", dove il tutto si sintetizza in qualche modo in una personalità completa.
E perchè servitù?
Servitù, incatenamento, che sono imposti ai regnanti. Con servitù si intende appunto la catena, il laccio che lega anche il regnante ai suoi obblighi.
Ora finalmente segue un vero duetto d'amore, il duetto tra Servilia e Annio.
Questo è un grande amore romantico. L'unica coppia che è unita da un vero sentimento deve cantare un duetto d'amore, affinchè anche tale sentimento possa esprimersi. Qui Mozart utilizza anche una interessante strumentazione, fa accompagnare Annio da un fagotto in modo da incupirgli la voce, e Servilia da un flauto attraverso il quale la voce viene resa più chiara. Ciò era un usuale modo di Strumentare i duetti d'amore.
La seconda aria di Tito comincia con una movimentata figurazione al basso, che ritengo debba esprimere gioia. Appena poco prima Servilia lo ha respinto. Tito dovrebbe essere ora triste od adirato, invece è felice.
La sua ammirazione per Servilia è più grande del suo amore per lei. E si trasforma quasi in gaudio. Qui si trova la parola "felicità" che dà quasi l'impressione di volersi ubriacare di ciò. Come se lui volesse convincersi con impeto che una tale sconfitta sarebbe alla fin fine una gioia.
Nella prima aria di Sesto "Parto, ma tu ben mio" si nota che Mozart ha composto una grossa parte solistica per clarinetto, o più precisamente per il clarinetto d bassetto.
Quest'aria è una totale esplicazione di servitù. Vitellia manda via Sesto, dicendogli di andare a fare quello che gli ha detto. Lui le risponde che se ne va. pregandola di essere buona con lui. Questo esprime il testo, che riceve però mediante l'assolo di clarinetto un significato più profondo. La voce ed il clarinetto sono strettamente intrecciati l'una con l'altro. Il clarinetto suona qualcosa e la voce lo segue. Secondo me il clarinetto rappresenta l'idealizzazione di Vitellia che Sesto segue continuamente. Lo conduce sù in alto e poi giù nel profondo. E' quasi come il programma di un ipnotizzatore, che ora nella forma del clarinetto fissa nella mente di Sesto l'idea di Vitellia. L'ipnosi totale mediante il clarinetto.
Quindi Vitellia è qui indirettamente il punto centrale?
Anche il terzetto no. 10 "Vengo... aspettate ..." in realtà appartiene a Vitellia, non è un vero terzetto. La sua reazione di spavento alla notizia di dover diventare la sposa di Tito - mentre lei ha già messo in moto il suo marchingenio di distruzione - non viene riconosciuta come tale dagli altri due, che la scambiano per contentezza; in realtà lei è sull'orlo del suicidio. Non sa assolutamente cosa deve fare, perchè la miccia ormai è innescata e lei non può più farci nulla. Questo terzetto è uno di quei pezzi che per la strumentazione e la ripartizione musicale non appartengono più alla musica del XVIII secolo - queste figurazioni spezzettate del primo violino che svolazzano attorno al disperato ondeggiare di Vitellia, mentre il resto dell'orchestra quasi si irrigidisce.
Il primo atto si chiude con un "Quintetto con coro", quindi non con un vero e proprio finale.
Questo quintetto è determinato dal pentimento di Sesto e sfocia in una marcia funebre per la presunta morte di Tito. Questa è una delle più grandiose musiche funebri che siano mai state scritte. Il turbamento, il lutto, il pianto, e poi di nuovo grida e improvvisi sforzati. E' come se si volesse dire qualcosa, ma si fosse sopraffatti dal olore che spinge a lanciare un grido.
Urlano dal dolore o dalla disperazione: questo si dovrebbe aspettare anche da Sesto quando viene condotto via per mano da Publio, ma il "terzetto dell'addio" "Se al volto mai ti senti" comincia con un suono molto lirico dei fiati.
Le prime battute dei fiati rappresentano i pensieri della disperazione più profonda di Sesto, che giungono alla compagna attraverso l'aria. E' un'immagine molto antica secondo la quale gli amanti separati l'uno dall'altra affidano i loro baci, le loro parole, le loro lettere spirituali all'aria, e il compagno riceve ciò con un bacio del vento. Si trova questa immagine in Monteverdi nei suoi episodi dell'addio e nel "Lamento d'Arianna". Anche nelle arie da concerto di Mozart questa situazione si ritrova spesso. Con l'entrata in scena di Vitellia si stabilisce una ripartizione del tutto diversa nell'orchestra, strettamente omofonica. E lei fa una incredibile asserzione, diretta più o meno a se tssa: in brevissimo tempo il mondo verrà a conoscenza del suo crimine. Il suo problema principale è il suo proprio destio, le importa poco che a causa sua Sesto cadrà nell'infaia. Quando appare Publio c'è di nuovo u cambiamento di coloritura nell'orchestra: figurazioni involute l'una nell'altra, sfalsate di un'ottava tra di loro, primo violino, secondo violino e viola, in modo da avere l'impressione che venga strofinato qualcosa tra due superfici. Qui Publio altro non dice che «Vieni». Arresta Sesto e lo disarma. Anche questo in sé nn è un ver e proprio.
Mi ero chiesta perchè l'aria "Tu fosti tradito" per contralto e mezzosoprano fosse scritta fa Mozart in un registro così alto.
Mozart si districava molto bene con le voci, e questa scelta corrisponde esattamente ad un affetto, perchè qui Annio esce fuori dal suo equilibrio. Deve esigere da se stesso l'impossibile, affinchè Tito lasci libero Sesto. E così Mozart lo invia in una regione in cui la voce deve essere forzata. Il cantare continuato nel registro alto produce una infinita commozione e durezza.
A proposito della commozione, non della durezza, si potrebbe fare qui un parallelo con l'aria di Sesto "Deh per questo istante solo"?
Questo è uno dei pezzi più profondi che Mozart abbia mai scritto. L'aspetto della loro passata amicizia e amore è eseguito musicalmente in modo semplicemente incredibile. Penso per esempio al punto in cui Sesto dice: «Se vedessi questo cor». Il testo intende: qui c'è qualcosa che io non posso esternare, e quindi vi è nelle battute 25 e 26 uno sviluppo cromatico di grandissima intensità che è estremamente scioccante. Questo è lo sguardo all'interno dell'animo di Sesto, finora ignoto a Tito, ma che in questo momento deve vedere la disperazione e la compassione profonda.
Dunque questo sarebbe il momento del riconoscimento per Tito?
Non ancora. Il vero e proprio riconoscimento si trova nel finale. La sua aria successiva è un'aria di trionfo, anche dal punto di vista formale. Egli è soddisfatto della sua decisione di non far uccidere Sesto. In quest'aria eroica i corni in si bemolle esprimono la vittoria contro se stesso. Non si tratta ancora di un riconoscimento, ma Tito percepisce felice e trionfante che è rimasto fedele a se stesso. Ciò viene espresso per lo più a livello musicale e non così intensamente nel testo.
Tra tutte queste arie e scene altamente drammatiche appare improvvisamente un pezzo molto grazioso, l'aria di Servilia "S'altro che lacrime", come si spiega ciò?
Io ho gia ascoltato molte volte quest'opera e mi sono sempre meravigliato di quest'aria. Questo minuetto ha una melodia meravigliosa, è la graziosità in persona. Il suo testo dice però: "Ora fa' qualcosa, il tuo pianto non serve a nulla". Vi è una contraddizione tra testo e melodia e nel tipo di dinamica. Mozart scrive nel punto in cui nel minuetto classico una certa figurazione avrebbe dovuto dissiparsi in lentamente un crescendo o un subito piano. Questa dinamica è appunto la chiave del brano. Estraniando in tal modo il pezzo, in sé così delicato, si creano nel suo interno dei riagganci che fanno sentire che una persona gentile e amabile viene totalmente scossa nel suo equilibrio.
Anche nel caso di un altro brano ho l'impressione che ci si trovi di fronte ad un corpo estraneo musicale, ilcoro n. 24.
Questa è l'unica volta che nella Clemenza di Tito Mozart utilizza una vera e propria musica barocca. Il ritmo puntato del Maestoso, l'introduzione con trombe, tromboni e corni, e il coro Maestoso. Questo è un pomposo inizio del Settecento, rivisto attraverso gli occhi di Mozart. Con questo coro da cerimonia ossequia il passato, i tempi antichi.
C'è dell'ironia in questo pezzo o si tratta di vera e propria ammirazione?
Musicalmente l'ironia è sempre difficile da riconoscere. Mozart si è occupato moltissimo di musica barocca, basta ricordare solamente i numerosi adattamenti delle opere di Händel che ha anche fortemente trasposto nella sua epoca. Qui fa esattamente il contrario e compone con la sua brillantezza di idee e di strumentazione un pezzo di primo settecento. Per me è il pezzo con cui Mozart prende conuniato dal barocco e dal passato.
Dunque una reminiscenza dei "bei vecchi tempi" come si direbbe oggi?
No, è troppo grandioso per questo. Io penso le cose stiano all'incirca così: durante il barocco, specialmente in quello austriaco, si è costruito il palazzo di un principe quasi come una chiesa, e una chiesa come un palazzo, per così dire la dimora di Dio. Se si osservano le imponenti porte, le stanze e le finestre, si ha l'impressione che da lì debba passare un uomo alto tre metri e mezzo. Perchè si è fatto questo? Iddio viene trasfigurato in un regnante barocco, e il regnante innalzato a Dio. Qui si esprime esattamente questo concetto, testualmente nel coro e musicalmente nel brano. Potrei ben pensare che ciò abbia una intenzione ironica. Se si osserva la profondità delle intenzioni che Mozart ha avuto scrivendo questo pezzo, colpisce davvero questa grandiosa antichità stilistica all'interno di un pezzo assai progressista.
Dopo questa "grandiosa antchità" del coro omaggio, l'azione precipita bruscamente verso la fine.
Prima del suo ultimo accompagnato, no. 25, Tito ha scoperto che Vitellia è colpevole dell'attentato. «Quale il motivo?» le chiede, e lei risponde: «La tua bontà. Credei che questa fosse amor». Ed a questo punto si ode un vero e proprio grido da parte di Tito. I primi tre accordi sono come un tendersi della spina dorsale. Deve decidere a questo punto tra vendetta e giustizia, e sceglie la giustizia. Ed ora (battuta 29) dopo "e vita, e libertà" appaiono improvvisamente questi accordi del potere. Nel linguaggio musicale dell'epoca, e successivamente fino al secolo XIX, questa configurazione simboleggiava appunto il potere. Tito allora prende nuovamente in mano le redini della situazione e decide di graziare tutti gli esecutori dell'attentato.
Si potrebbe quasi dire che lui ritrova in se stesso la causa di tutte le azioni. Il vero motivo del comportamento di Vitellia è proprio lui, come anche di quello della rivolta. I congiurati hanno tramato contro di lui perchè non ha esercitato il suo potere leggittimamente, perchè i suoi predecessori si sono impadroniti del trono con la violenza. E perchè lui è così penetrantemente buono.
Il riconoscimento gli viene allora perchè Vitellia glielo dice?
Questa è l'ultimo dispositivo di scatto. In un altro punto dell'opra Tito dice: "Ad un regnante non si dice mai la verità". Un subordinato, è ancora oggi così, non dirà mai la verità al suo superiore, perchè ciò avrà ripercussioni sulla sua carriera. Tutto quello che si è accumulato nel corso dell'opera esplode ora in questo ultimo recitativo. Tito si sente colpevole del comportamento degli altri. Questa colpa propria è quello contro cui urta sempre. Non può far uccidere qualcuno, se in fondo è lui stesso il colpevole. Questo è il motivo er cui nel finale echeggia un suono così triste.
Redazione dell'intervista: Ingrid-H. Verch (traduzione di Giuseppe Trezza) - Warner (p) 1994
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