Nell'immenso repertorio di Herbert von Karajan è oltremodo interessante andare alla ricerca di quelle composizioni con le quali - per i motivi più disparati - evitò di confrontarsi nel corso di tutta la sua attività. Volendo usare termini meno perentori, si potrebbe anche parlare di composizioni che in questa o quella fase della sua carriera forse non si accordavano con il programma artistico del momento o che per un futuro immediato valevano solo come eventuali, vaghe intenzioni. La situazione è particolarmente interessante nel caso delle sinfonie di Gustav Mahier; infatti nel repertorio concertistico e nella discografia di Karajan, che fatta eccezione per alcuni titoli coincidevano, non rientravano le sinfonie con coro, e cioè la n. 2 ("Resurrezione"), la n. 3 e la n. 8 ("Sinfonia dei mille"). Ma anche le Sinfonie n. 1 (il "Titano") e n. 7 (il "Canto della notte") si cercheranno invano nei programmi concertistici e nella discografia di Karajan. Vi comparivano invece la Sinfonia n. 4 (con soprano solista), la n. 5 e la n. 9, e appunto la Sesta, una sinfonia monumentale che conosce la sensibilità più delicata come l'esplosione più veemente, e che lo stesso Gustav Mahler definì "Tragica". E' inutile ora ripensare e sottilizzare su queste scelte di Karajan, ma ciò fa supporre che il direttore avesse un rapporto ambivalente con la musica di Mahler: se da una parte se ne sentiva grandemente attratto, dall'altra nutriva un certo scetticismo - uno scetticismo affettuoso, critico, esitante. Herbert von Karajan registrò la Sesta Sinfonia in la minore di Gustav Mahler nel 1978, e quando essa fu pubblicata - in un box di due dischi - ebbe un'accoglienza entusiastica e un sorprendente impatto a livello pubblicitario. Il motivo era da ricercarsi nel fatto che Karajan, insieme ai Berliner Philinarmoniker, era riuscito a rilevare le durezze radicali e le impietose fratture della composizione senza indulgere ad alcun alleggerimento estetizzante. E tuttavia la sua interpretazione tradiva sempre quella patina, quell'atmosfera autunnale propria di un'epoca al tramonto, segnata da un dolce brivido e una raffinata nobiltà, che ormai da tempo erano divenute peculiari della concezione e della sensibilità di Karajan, e soprattutto della sua psicologia timbrica. La "Tragica" di Gustav Mahler era offerta dunque nella sua integrale cifra espressiva, ma per la sua veste sonora s'imponeva anche come splendido esempio di virtuosismo strumentale e raffinatezza timbrica, che anche nei gesti più crudi sapeva attenersi alle regole artistiche della calibratura sonora. Se si ascolta oggi e a una certa distanza di tempo questa interpretazione di Karajan della Sesta, si potrà credere a stento che la sua registrazione si compisse in quattro fasi di lavoro in un arco di oltre tre anni, dal 20 gennaio 1975 al 9 marzo 1977. Eppure, nonostante le ripetute cesure che costellarono questa produzione, tutto sembra procedere come di petto. Ciò significa che Karajan ed i suoi Berliner Philharmoniker e naturalmente i tecnici della Deutsche Grammophon, seppero quasi misteriosamente creare una continuità interpretativa e musicale tra l'ultima nota della seduta di registrazione del 20 febbraio 1975 (ore 13.00) e la prima nota del pomeriggio del 18 febbraio 1977 (ore 16.00) - la pausa più lunga nella storia dell'incisione. Per creare tale coesione di sonorità, nel dettaglio come nella sua globalità, e una pregnanza drammaturgica così convincente non era solo necessaria una grande esperienza tecnica, ma anche una forza di immaginazione e suggestione che sfocia nel mistico. Nelle diverse peripezie di questa sinfonia ciò diveniva quasi un miracolo di moderna produzione musicale, dal momento che la composizione è già di per sé un testamento di sensibilità e un pensiero di assillante instabilità. A tale proposito, nella nota di presentazione pubblicata nella prima edizione discografica, Hanspeter Krellmann aveva rilevato: "Mentre la musica di Bruckner si mostra sempre sicura di se stessa, quella di Mahler cerca di raggiungere tale sicurezza. Nella sua Sesta Sinfonia l'intenzione di fondo rimane sempre manifestamente chiara, dal grave incedere dell'esordio (dove sembrano preannunciate le pesanti movenze della 'Sagra' stravinskiana) alla conclusione dispersiva del quarto movimento: quella di descrivere, non in senso programmatico ma quasi psicoanalitico, la tragicità della sua vita d'artista, di presentarne non una riproduzione ma una visione ideale - per parafrasare un'espressione di Paul Kee".
Peter Cossé (traduzione di Gabriele Cervone) - DGG 1998
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