Ci sono musiche che affermano (Haydn, Bruckner), musiche che negano (Beethoven, Mahler), e ci sono musiche che interpellano (Schumann, Berg). Enigmatico e trasparente, infimo e inesauribile, Schumann non è altro che un vasto e molteplice "perché ?".
Schumann resta comunque problematico. Per chi lo ascolta non v'è alcuna evidenza: conosciuto e misconosciuto al tempo stesso, attende ancora di esser riconosciuto. Egli è poco amato dagli artisti: i direttori preferiscono le sinfonie di Brahms; i cantanti i Lieder di Schubert; i pianisti Liszt o Chopin, più remunerativi in applausi; i cameristi i quartetti di Beethoven o quelli di Dvorak.
Glenn Gould proclamò un giorno "Perché Schumann, un musicista così secondario? Non posso sopportare la sua musica". Un compositore mediocre? Quasi tutta la sua opera smentisce questa provocatrice dichiarazione. Ma un musicista difficile da sopportare sì, talvolta; in questo senso Gould ha ragione. Troppo dolore nelle sue pagine, e spesso, manifesto o nascosto. Il dolore del folle, senza parole, come soltanto alcune musiche possono far sentire. Ed io capisco che ci sia chi, come Gould, preferisce non ascoltare.
Se esistono, tuttavia, delle composizioni che non dovrebbero incontrare una tale diffidenza da parte dei musicologi e del pubblico, di esse fa certamente parte la musica da camera di Schumann. Essa fu, in massima parte, composta nel 1842, e comprende alcuni capolavori, creazioni perfette ed equilibrate di un genio altrove spesso discontinuo. Nei suoi Trii, nei Quartetti e nel Quintetto si trova la sua ispirazione piú forte e poderosa, un mestiere sperimentato, la ricerca paziente della forma e sopratutto un sapiente equilibrio tra la sostanza ed i mezzi e procedimenti tecnici richiesti per l'espressione del pensiero del compositore.
Il territorio difficile e problematico del quartetto per archi ha interessato Schumann sin dagli anni della sua formazione, ma è relativamente tardi che egli si è veramente dedicato a questo genere, senza peraltro più occuparsene in seguito. I vent'anni circa dell'attività creatrice di Schumann possono essere suddivisi in quattro grandi periodi, ciascuno notevolmente centrato con una specie di fissazione ossessiva su uno strumento o un registro sonoro. Dai venti ai trent'anni il pianoforte; il 1840 è l'anno della voce (scriverà 138 Lieder); a partire dal 1841 egli si dedica all'orchestra ed alla sinfonia; nel 1842 (egli ha trentadue anni) si impegna pressoché totalmente in un altro universo sonoro, quello della musica da camera. I tre Quartetti per archi opus 41 (n° l in la minore, n° 2 in fa maggiore e n° 3 in la maggiore) furono composti tra il giugno e il luglio di quell'anno. L'apparizione di questa forma nell'opera di Schumann è quindi tardiva pur se in essa è evidente una straordinaria vitalità di scrittura.
Nel 1838, Schumann scrive a Clara Wieck: "Il pianoforte è diventato troppo limitato per me. In quel che scrivo intendo molte cose che ho della pena a a scrivere. Noto in particolare che le mie idee sono quasi tutte in forma di canone, ed in seguito scopro sempre le voci in imitazione, spesso rovesciate, con i ritmi modificati etc.". Confida quindi all'amata che egli sta lavorando a dei quartetti per archi, che diverranno qualcosa se essa gli è fedele; altrimenti saranno sepolti. Si noterà che, qualsivoglia sia lo strumento e la forma musicale, pianoforte, canto o archi, avanti o dopo il loro matrimonio, è sempre la voce di Clara e la paura di esserne separato che percorrono le composizioni di Schumann. Si trova peraltro nel Quartetti dell'op. 41 la "piccola frase" e l'intervallo di quinta dissonante che rappresentava la donna amata nei grandi cicli per pianoforte.
Nel 1839, dopo esser ritornato da Vienna ed aver completato il Carnevale di Vienna op. 26 che chiude il primo ciclo dell'opera per pianoforte, è al quartetto che egli pensa, ma sempre nell'ambito del rapporto con Clara: "Mi sono rimesso ieri al quartetto, ma mi manca il coraggio, come del resto la calma, per un tale impegno. Ma ci devo riuscire" (giugno 1839). Schumann racconta ad uno dei suoi amici compositori che sta studiando gli ultimi quartetti di Beethoven, e scrive «non v'è genere di composizione più degno della musica da camera".
Tre anni più tardi, a Lipsia, in primavera Schumann attraversa la prima crisi depressiva dopo il suo matrimonio. Clara è assente, in toumée in Danimarca, e Robert precipita in un profondo stato di melancolia e non compone più. Si dedica ai quartetti di Haydn e Mozart e scrive che è "visitato da pensieri di quartetto". Notiamo questa strana formulazione: "visitato da pensieri". E' questo un segreto di molte composizioni schumaniane, che sembrano sovente venute d'altrove, o, al contrario, dall'intimità, una sorta di voce interna, insieme vicinissima e remota. La forma del quartetto, classica per eccellenza, non farà tacere in Schumann il romantico.
Influenzato dai recenti Quartetti op. 44 di Mendelssohn, dei quali ritroviamo le dolci trasparenze degli archi intessute nel movimento lento (adagio) del primo Quartetto op. 41, dopo molti abbozzi, questo capolavoro è iniziato il 4 giugno 1842. Prima ancora che esso sia terminato, la settimana seguente Schumann inizia il secondo. Il terzo ed ultimo sarà scritto in luglio, tra l'8 ed il 22. Essi sono dedicati a Felix Mendelssohn. Il primo Quartetto fu accolto con successo sin dalla prima esecuzione, insieme al celebre Quintetto con pianoforte op. 44 interpretato dagli Schumann al Gewandhaus di Lipsia l'8 gennaio 1843.
Dopo l'esecuzione dei tre quartetti in casa del violinista, direttore e compositore Ferdinand David Moritz Hauptmann, teorico e compositore egli stesso, scriverà: "Il primo quartetto mi ha sorpreso per il talento del compositore, che non avevo sino ad ora considerato straordinario basandomi sulle sue precedenti opere per pianoforte. Esso non manca d'originalità nè per il contenuto né per la forma; è concepito e costruito intelligentemente ed in gran parte molto bello".
Fiero di sé, Schumann li offrirà a Clara per il suo compleanno, il 13 settembre. "Fu quello un giorno pieno di gioia, scrisse ... Tutto quel che posso dire dei Quartetti è che essi mi affascinano sin nei più piccoli dettagli. Tutto vi è nuovo, ma chiaro, ammirevolmente, trattato, e con delicatezza, ma sempre nel vero stile del quartetto". La reazione di Mendelssohn, in occasione di una prima esecuzione avvenuta da lui, fu anch'essa molto favorevole: "Mi sono stati suonati tre quartetti di Schumann, ed il primo mi è straordinariamente piaciuto".
Il Quartetto in la minore, op. 41, n° l, inizia con una lunga introduzione lenta (andante espressivo), un tema meditativo, introspettivo, in la minore e in 2/4, trattato con molta libertà e perizia contrappuntistica, con i quattro strumenti in costante imitazione. Dopo una conclusione in la minore, Schumann non esita a cambiare radicalmente di tonalità, di modo, di tempo e di umore (qui quello, letterario, delle leggende tedesche, le Märchen) per costruire la seconda parte di questo movimento. L'allegro adotta la tonalità di fa maggiore, con una bella melodia dal fascino cattivante come primo tema, e le tracce caratteristiche dell'accento schumaniano. Manca il secondo tema, sostituito da uno sviluppo ben costruito, che riutilizza gli elementi già enunciati con una leggerezza nelle modulazioni che fa pensare a Schubert. Lo scherzo (presto) è in fa minore, in 6/8. Tipicamente schumaniano, con le sue linee ondulanti di rapide crome. La seconda sezione conduce la tonalità verso il do maggiore. Un breve intermezzo dilata il tempo alla breve. L'adagio in fa maggiore è di un umore fervido e romantico. Tre battute di introduzione, poi il canto è enunciato dal primo violino e ripreso, accompagnato dagli arpeggi della viola. L'ultimo movimento (presto, alla breve) ritorna alla tonalità di la minore, su di un ritmo ricco ed energico, con due sezioni alquanto contrastate.
Il Quartetto in fa maggiore, op. 41, n° 2, mostra una grande economia del materiale tematico. Schumann non ama utilizzare i frammenti di un tema principale per costruire i suoi sviluppi. Il movimento comincia direttamente, senza introduzione, con un tema amoroso, una melodia che annuncia chiaramente che siamo «dalla parte di Chiarina» piuttosto che dei maestri del quartetto. La melodia, dall'apparenza seducente, trattiene come una sorta di voce interna la chiara fiamma di un'eloquenza appassionata. A questo primo movimento (allegro vivace in 3/4) succede un ammirabile andante quasi variazioni (la bemolle maggiore in 12/8 che reca la traccia dell'influenza degli ultimi quartetti di Beethoven (in particolar modo l'adagio dell'op. 127). Il terzo movimento, scherzo presto, (do minore, in 6/8) si basa sugli arpeggi dagli accenti sincopati del primo violino, di volta in volta ascendenti e discendenti, di una scrittura chiaramente pianistica. Il finale, allegro molto vivace (fa maggiore in 2/4), è pieno di umorismo, con uno strano solo del violoncello, ripreso nella coda di un virtuosismo un po' superficiale.
Composizione dalle dimensioni più vaste e dai propositi più ambiziosi delle due precedenti, il Quartetto in la maggiore n° 3, op. 41, inizia in maniera inabituale, con un andante espressivo in 4/4. Meditazione poetica, il cui tono evoca ancora una volta il pianoforte, questo movimento è seguito da un allegro molto moderato in 3/4 e molto contrappuntistico. L'assai agitato (fa diesis minore, in 3/8) è un intermezzo seguito da quattro variazioni. L'adagio molto (in re maggiore, in 4/4 ) è uno dei più sublimi canti schumaniani che adotta un cromatismo teso e dissonanze rare nella sua scrittura. Qui il poeta non racconta, ma, come nell'ultima, delle Scene d'infanzia, sogna. Egli s'inabissa nelle sue voci interne. Il finale, allegro molto vivace (la maggiore, in 2/2) ritrova l'atmosfera gioiosa e sconnessa dei grandi carnevali pianistici. Una danza, vagamente spettrale e piena d'humour, con il doppio senso di umore ed umorismo, come Schumann ama sino a smarrirsi.
La scrittura dell'opus 41 nel suo insieme smentisce le critiche di mancanza di unità e di rigore fatte talvolta a queste composizioni. C'è una articolare risonanza interna tra i quartetti (specialmente tra il primo e l'ultimo) e tra i differenti movimenti di ciascuno sì che si potrebbe parlare d'un unico e vasto «quartetto in dodici movimenti» o di «un'unica opera in tre atti e dodici scene» secondo il felice paragone di Brigitte Francois-Sappey.
L'insieme dell'opus 41 è in effetti di una grande unità. Unità tonale: le tonalità impiegate (la minore / fa maggiore per il primo; la bemolle maggiore / do minore / fa maggiore per il secondo; la maggiore / fa diesis minore / re maggiore e la maggiore per l'ultimo) si raccolgono attorno al la minore. Unità d'umore: le tre composizioni si inscrivono chiaramente sul versante di Eusebio, sognatore malinconico e tenero, nella polarità che anima le composizioni di Schumann. Nell'autunno seguente, con il Quintetto op. 44 ed il Quartetto con pianoforte op. 47, Florestano, con la sua «personalità dinamica, vivace e gioiosa», riprenderà la parola con una seconda ondata di musica da camera attorno alla tonalità eroica di mi bemolle maggiore.
Unità formale: essenziale, lo stile è confidenziale, al limite dello sfogo, ma trattenuto. L'unità dei tre Quartetti è anche nei temi che vengono ripresi dall'uno all'altro: le battute di modulazione servono da transizione tra l'introduzione lenta e l'allegro iniziale del primo Quartetto (battute da 30 a 34) e si ritrovano come introduzione al secondo. L'unità è altresì melodica: il Lied Es leuchtet meine Liebe (Il mio amore risplende) del 1840 serve da tema ai due movimenti centrali del primo Quartetto, l'andante quasi variazioni e scherzo-presto del secondo quartetto riutilizzerà una composizione per pianoforte che diventerà il Larghetto n°13 degli Albumblätter op. 124.
Esiste, infine, un'unità tra tutte le opere del 1842. Nei tre Quartetti il pianoforte non è assente, non in quanto strumento e timbro, ma come modo di scrittura: certi passaggi sembrano piuttosto pensati per le mani di un pianista che per quelle di un violinista. I violinisti, d'altronde, hanno sempre trovato questi passaggi difficili quando li interpretarono le prime volte, e bisogna riconoscere che Schumann non aveva una chiara visione della scrittura per gli strumenti ad arco, non avendoli mai praticati. Nelle composizioni da camera che seguirono, nel Quartetto e nel Quintetto, il pianoforte riaffermerà nuovamente la sua presenza.
Ancor oggi poco conosciuti, e raramente suonati in concerto, questi meravigliosi Quartetti non hanno il posto che meritano nel repertorio di questa forma musicale. Perché questa disaffezione sia da parte del pubblico che degli interpreti? Perché, eccezion fatta per il Quintetto per pianoforte e archi, è soprattutto la musica da camera di Schumann a non essere riconosciuta al suo giusto valore, pur essendo di alta ispirazione e di grande qualità di scrittura? La ragione è senza dubbio nel fatto che la forma è sempre subordinata alla voce, e la struttura all'espressione degli umori e degli affetti. Schumann non raggiunge mai una forma del tutto controllata; in un certo senso ha troppo da dire per poterlo dire bene. Il suo linguaggio è quello dell'anima, non quello della forma pura. Nel giugno 1839 egli scrive al suo amico Hermann Hirschbach: "Vivo qualcuno degli ultimi quartetti di Beethoven, anche per l'amore e l'odio che essi contengono". Tutto è detto: per Schumann la musica è e resterà una questione di amore, di morte, di paura, di respiro, di vita. Sensazioni e sentimenti più che forme e costruzioni.
Quando ringraziava Félix Mendelssohn per gli aiuti e le attenzioni di cui il suo mentore lo gratificava, egli rispondeva, invariabilmente: "Ma, caro Schumann, e i Quartetti!". Ma mai Schumann fu convinto che la sua musica, per la sua singolare bellezza, potesse sostenere il paragone con quella del suo ammirato maestro, ed ancor meno con quella di Beethoven che costituiva per lui un vertice.
«Una musica ancora più musica», questa è la ricerca iniziata nel 1841 da Schumann, e che illustra la bellezza segreta de sui tre Quartetti del 1842. La concezione del contrappunto ed il rigore degli sviluppi dei maestri del quartetto lo hanno aiutato a dare una forma alla sua depressione. Al di là della sofferenza alla quale egli da qui ancora una volta il nome di «Clara», egli affronta il dolore senza nome che si infonde dalla separazione da se stesso e dall'impossibile riconciliazione tra il suo mondo interiore e la realtà. La cosa più emozionante nel destino di Schumann non è la sua follia, ma il suo accanimento a combatterla trasferendola nelle sue opere.
di Michael Schneider, autore di "Schumann" (Les Voix Intérieures, Gallimard, 2005). Traduzione di Ferruccio Nuzzo
Schumann resta comunque problematico. Per chi lo ascolta non v'è alcuna evidenza: conosciuto e misconosciuto al tempo stesso, attende ancora di esser riconosciuto. Egli è poco amato dagli artisti: i direttori preferiscono le sinfonie di Brahms; i cantanti i Lieder di Schubert; i pianisti Liszt o Chopin, più remunerativi in applausi; i cameristi i quartetti di Beethoven o quelli di Dvorak.
Glenn Gould proclamò un giorno "Perché Schumann, un musicista così secondario? Non posso sopportare la sua musica". Un compositore mediocre? Quasi tutta la sua opera smentisce questa provocatrice dichiarazione. Ma un musicista difficile da sopportare sì, talvolta; in questo senso Gould ha ragione. Troppo dolore nelle sue pagine, e spesso, manifesto o nascosto. Il dolore del folle, senza parole, come soltanto alcune musiche possono far sentire. Ed io capisco che ci sia chi, come Gould, preferisce non ascoltare.
Se esistono, tuttavia, delle composizioni che non dovrebbero incontrare una tale diffidenza da parte dei musicologi e del pubblico, di esse fa certamente parte la musica da camera di Schumann. Essa fu, in massima parte, composta nel 1842, e comprende alcuni capolavori, creazioni perfette ed equilibrate di un genio altrove spesso discontinuo. Nei suoi Trii, nei Quartetti e nel Quintetto si trova la sua ispirazione piú forte e poderosa, un mestiere sperimentato, la ricerca paziente della forma e sopratutto un sapiente equilibrio tra la sostanza ed i mezzi e procedimenti tecnici richiesti per l'espressione del pensiero del compositore.
Il territorio difficile e problematico del quartetto per archi ha interessato Schumann sin dagli anni della sua formazione, ma è relativamente tardi che egli si è veramente dedicato a questo genere, senza peraltro più occuparsene in seguito. I vent'anni circa dell'attività creatrice di Schumann possono essere suddivisi in quattro grandi periodi, ciascuno notevolmente centrato con una specie di fissazione ossessiva su uno strumento o un registro sonoro. Dai venti ai trent'anni il pianoforte; il 1840 è l'anno della voce (scriverà 138 Lieder); a partire dal 1841 egli si dedica all'orchestra ed alla sinfonia; nel 1842 (egli ha trentadue anni) si impegna pressoché totalmente in un altro universo sonoro, quello della musica da camera. I tre Quartetti per archi opus 41 (n° l in la minore, n° 2 in fa maggiore e n° 3 in la maggiore) furono composti tra il giugno e il luglio di quell'anno. L'apparizione di questa forma nell'opera di Schumann è quindi tardiva pur se in essa è evidente una straordinaria vitalità di scrittura.
Nel 1838, Schumann scrive a Clara Wieck: "Il pianoforte è diventato troppo limitato per me. In quel che scrivo intendo molte cose che ho della pena a a scrivere. Noto in particolare che le mie idee sono quasi tutte in forma di canone, ed in seguito scopro sempre le voci in imitazione, spesso rovesciate, con i ritmi modificati etc.". Confida quindi all'amata che egli sta lavorando a dei quartetti per archi, che diverranno qualcosa se essa gli è fedele; altrimenti saranno sepolti. Si noterà che, qualsivoglia sia lo strumento e la forma musicale, pianoforte, canto o archi, avanti o dopo il loro matrimonio, è sempre la voce di Clara e la paura di esserne separato che percorrono le composizioni di Schumann. Si trova peraltro nel Quartetti dell'op. 41 la "piccola frase" e l'intervallo di quinta dissonante che rappresentava la donna amata nei grandi cicli per pianoforte.
Nel 1839, dopo esser ritornato da Vienna ed aver completato il Carnevale di Vienna op. 26 che chiude il primo ciclo dell'opera per pianoforte, è al quartetto che egli pensa, ma sempre nell'ambito del rapporto con Clara: "Mi sono rimesso ieri al quartetto, ma mi manca il coraggio, come del resto la calma, per un tale impegno. Ma ci devo riuscire" (giugno 1839). Schumann racconta ad uno dei suoi amici compositori che sta studiando gli ultimi quartetti di Beethoven, e scrive «non v'è genere di composizione più degno della musica da camera".
Tre anni più tardi, a Lipsia, in primavera Schumann attraversa la prima crisi depressiva dopo il suo matrimonio. Clara è assente, in toumée in Danimarca, e Robert precipita in un profondo stato di melancolia e non compone più. Si dedica ai quartetti di Haydn e Mozart e scrive che è "visitato da pensieri di quartetto". Notiamo questa strana formulazione: "visitato da pensieri". E' questo un segreto di molte composizioni schumaniane, che sembrano sovente venute d'altrove, o, al contrario, dall'intimità, una sorta di voce interna, insieme vicinissima e remota. La forma del quartetto, classica per eccellenza, non farà tacere in Schumann il romantico.
Influenzato dai recenti Quartetti op. 44 di Mendelssohn, dei quali ritroviamo le dolci trasparenze degli archi intessute nel movimento lento (adagio) del primo Quartetto op. 41, dopo molti abbozzi, questo capolavoro è iniziato il 4 giugno 1842. Prima ancora che esso sia terminato, la settimana seguente Schumann inizia il secondo. Il terzo ed ultimo sarà scritto in luglio, tra l'8 ed il 22. Essi sono dedicati a Felix Mendelssohn. Il primo Quartetto fu accolto con successo sin dalla prima esecuzione, insieme al celebre Quintetto con pianoforte op. 44 interpretato dagli Schumann al Gewandhaus di Lipsia l'8 gennaio 1843.
Dopo l'esecuzione dei tre quartetti in casa del violinista, direttore e compositore Ferdinand David Moritz Hauptmann, teorico e compositore egli stesso, scriverà: "Il primo quartetto mi ha sorpreso per il talento del compositore, che non avevo sino ad ora considerato straordinario basandomi sulle sue precedenti opere per pianoforte. Esso non manca d'originalità nè per il contenuto né per la forma; è concepito e costruito intelligentemente ed in gran parte molto bello".
Fiero di sé, Schumann li offrirà a Clara per il suo compleanno, il 13 settembre. "Fu quello un giorno pieno di gioia, scrisse ... Tutto quel che posso dire dei Quartetti è che essi mi affascinano sin nei più piccoli dettagli. Tutto vi è nuovo, ma chiaro, ammirevolmente, trattato, e con delicatezza, ma sempre nel vero stile del quartetto". La reazione di Mendelssohn, in occasione di una prima esecuzione avvenuta da lui, fu anch'essa molto favorevole: "Mi sono stati suonati tre quartetti di Schumann, ed il primo mi è straordinariamente piaciuto".
Il Quartetto in la minore, op. 41, n° l, inizia con una lunga introduzione lenta (andante espressivo), un tema meditativo, introspettivo, in la minore e in 2/4, trattato con molta libertà e perizia contrappuntistica, con i quattro strumenti in costante imitazione. Dopo una conclusione in la minore, Schumann non esita a cambiare radicalmente di tonalità, di modo, di tempo e di umore (qui quello, letterario, delle leggende tedesche, le Märchen) per costruire la seconda parte di questo movimento. L'allegro adotta la tonalità di fa maggiore, con una bella melodia dal fascino cattivante come primo tema, e le tracce caratteristiche dell'accento schumaniano. Manca il secondo tema, sostituito da uno sviluppo ben costruito, che riutilizza gli elementi già enunciati con una leggerezza nelle modulazioni che fa pensare a Schubert. Lo scherzo (presto) è in fa minore, in 6/8. Tipicamente schumaniano, con le sue linee ondulanti di rapide crome. La seconda sezione conduce la tonalità verso il do maggiore. Un breve intermezzo dilata il tempo alla breve. L'adagio in fa maggiore è di un umore fervido e romantico. Tre battute di introduzione, poi il canto è enunciato dal primo violino e ripreso, accompagnato dagli arpeggi della viola. L'ultimo movimento (presto, alla breve) ritorna alla tonalità di la minore, su di un ritmo ricco ed energico, con due sezioni alquanto contrastate.
Il Quartetto in fa maggiore, op. 41, n° 2, mostra una grande economia del materiale tematico. Schumann non ama utilizzare i frammenti di un tema principale per costruire i suoi sviluppi. Il movimento comincia direttamente, senza introduzione, con un tema amoroso, una melodia che annuncia chiaramente che siamo «dalla parte di Chiarina» piuttosto che dei maestri del quartetto. La melodia, dall'apparenza seducente, trattiene come una sorta di voce interna la chiara fiamma di un'eloquenza appassionata. A questo primo movimento (allegro vivace in 3/4) succede un ammirabile andante quasi variazioni (la bemolle maggiore in 12/8 che reca la traccia dell'influenza degli ultimi quartetti di Beethoven (in particolar modo l'adagio dell'op. 127). Il terzo movimento, scherzo presto, (do minore, in 6/8) si basa sugli arpeggi dagli accenti sincopati del primo violino, di volta in volta ascendenti e discendenti, di una scrittura chiaramente pianistica. Il finale, allegro molto vivace (fa maggiore in 2/4), è pieno di umorismo, con uno strano solo del violoncello, ripreso nella coda di un virtuosismo un po' superficiale.
Composizione dalle dimensioni più vaste e dai propositi più ambiziosi delle due precedenti, il Quartetto in la maggiore n° 3, op. 41, inizia in maniera inabituale, con un andante espressivo in 4/4. Meditazione poetica, il cui tono evoca ancora una volta il pianoforte, questo movimento è seguito da un allegro molto moderato in 3/4 e molto contrappuntistico. L'assai agitato (fa diesis minore, in 3/8) è un intermezzo seguito da quattro variazioni. L'adagio molto (in re maggiore, in 4/4 ) è uno dei più sublimi canti schumaniani che adotta un cromatismo teso e dissonanze rare nella sua scrittura. Qui il poeta non racconta, ma, come nell'ultima, delle Scene d'infanzia, sogna. Egli s'inabissa nelle sue voci interne. Il finale, allegro molto vivace (la maggiore, in 2/2) ritrova l'atmosfera gioiosa e sconnessa dei grandi carnevali pianistici. Una danza, vagamente spettrale e piena d'humour, con il doppio senso di umore ed umorismo, come Schumann ama sino a smarrirsi.
La scrittura dell'opus 41 nel suo insieme smentisce le critiche di mancanza di unità e di rigore fatte talvolta a queste composizioni. C'è una articolare risonanza interna tra i quartetti (specialmente tra il primo e l'ultimo) e tra i differenti movimenti di ciascuno sì che si potrebbe parlare d'un unico e vasto «quartetto in dodici movimenti» o di «un'unica opera in tre atti e dodici scene» secondo il felice paragone di Brigitte Francois-Sappey.
L'insieme dell'opus 41 è in effetti di una grande unità. Unità tonale: le tonalità impiegate (la minore / fa maggiore per il primo; la bemolle maggiore / do minore / fa maggiore per il secondo; la maggiore / fa diesis minore / re maggiore e la maggiore per l'ultimo) si raccolgono attorno al la minore. Unità d'umore: le tre composizioni si inscrivono chiaramente sul versante di Eusebio, sognatore malinconico e tenero, nella polarità che anima le composizioni di Schumann. Nell'autunno seguente, con il Quintetto op. 44 ed il Quartetto con pianoforte op. 47, Florestano, con la sua «personalità dinamica, vivace e gioiosa», riprenderà la parola con una seconda ondata di musica da camera attorno alla tonalità eroica di mi bemolle maggiore.
Unità formale: essenziale, lo stile è confidenziale, al limite dello sfogo, ma trattenuto. L'unità dei tre Quartetti è anche nei temi che vengono ripresi dall'uno all'altro: le battute di modulazione servono da transizione tra l'introduzione lenta e l'allegro iniziale del primo Quartetto (battute da 30 a 34) e si ritrovano come introduzione al secondo. L'unità è altresì melodica: il Lied Es leuchtet meine Liebe (Il mio amore risplende) del 1840 serve da tema ai due movimenti centrali del primo Quartetto, l'andante quasi variazioni e scherzo-presto del secondo quartetto riutilizzerà una composizione per pianoforte che diventerà il Larghetto n°13 degli Albumblätter op. 124.
Esiste, infine, un'unità tra tutte le opere del 1842. Nei tre Quartetti il pianoforte non è assente, non in quanto strumento e timbro, ma come modo di scrittura: certi passaggi sembrano piuttosto pensati per le mani di un pianista che per quelle di un violinista. I violinisti, d'altronde, hanno sempre trovato questi passaggi difficili quando li interpretarono le prime volte, e bisogna riconoscere che Schumann non aveva una chiara visione della scrittura per gli strumenti ad arco, non avendoli mai praticati. Nelle composizioni da camera che seguirono, nel Quartetto e nel Quintetto, il pianoforte riaffermerà nuovamente la sua presenza.
Ancor oggi poco conosciuti, e raramente suonati in concerto, questi meravigliosi Quartetti non hanno il posto che meritano nel repertorio di questa forma musicale. Perché questa disaffezione sia da parte del pubblico che degli interpreti? Perché, eccezion fatta per il Quintetto per pianoforte e archi, è soprattutto la musica da camera di Schumann a non essere riconosciuta al suo giusto valore, pur essendo di alta ispirazione e di grande qualità di scrittura? La ragione è senza dubbio nel fatto che la forma è sempre subordinata alla voce, e la struttura all'espressione degli umori e degli affetti. Schumann non raggiunge mai una forma del tutto controllata; in un certo senso ha troppo da dire per poterlo dire bene. Il suo linguaggio è quello dell'anima, non quello della forma pura. Nel giugno 1839 egli scrive al suo amico Hermann Hirschbach: "Vivo qualcuno degli ultimi quartetti di Beethoven, anche per l'amore e l'odio che essi contengono". Tutto è detto: per Schumann la musica è e resterà una questione di amore, di morte, di paura, di respiro, di vita. Sensazioni e sentimenti più che forme e costruzioni.
Quando ringraziava Félix Mendelssohn per gli aiuti e le attenzioni di cui il suo mentore lo gratificava, egli rispondeva, invariabilmente: "Ma, caro Schumann, e i Quartetti!". Ma mai Schumann fu convinto che la sua musica, per la sua singolare bellezza, potesse sostenere il paragone con quella del suo ammirato maestro, ed ancor meno con quella di Beethoven che costituiva per lui un vertice.
«Una musica ancora più musica», questa è la ricerca iniziata nel 1841 da Schumann, e che illustra la bellezza segreta de sui tre Quartetti del 1842. La concezione del contrappunto ed il rigore degli sviluppi dei maestri del quartetto lo hanno aiutato a dare una forma alla sua depressione. Al di là della sofferenza alla quale egli da qui ancora una volta il nome di «Clara», egli affronta il dolore senza nome che si infonde dalla separazione da se stesso e dall'impossibile riconciliazione tra il suo mondo interiore e la realtà. La cosa più emozionante nel destino di Schumann non è la sua follia, ma il suo accanimento a combatterla trasferendola nelle sue opere.
di Michael Schneider, autore di "Schumann" (Les Voix Intérieures, Gallimard, 2005). Traduzione di Ferruccio Nuzzo
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