Sebbene l'Adagio cominci con un do al violoncello, la tonalità di do maggiore sarà raggiunta solo all'inizio dell'Allegro principale. Nel linguaggio formale del classicismo viennese, queste introduzioni lente servono da digressione modulante: si giunge "al dunque" solo attraverso vie indirette, e queste ultime conducono lungo le aree profonde della sottodominante. Generalmente l'introduzione consiste in una cadenza perfetta, estesa e ornata, dove la dominante viene differita attraverso delle modulazioni che precedono nella regione della sottodominante (nel nostro esempio, la triade di dominante di do maggiore appare a battuta 16). La stessa dominante posticipata sarà inoltre prolungata (qui dalla battuta 16 alla battuta 22), accumulando così, conformemente alle convenzioni armoniche dell'epoca, un campo di tensione che si risolverà solo con l'attacco del tema principale sulla tonica (qui con l'inizio dell'Allegro, battuta 23). Nella forma-sonata dell'epoca, l'architettura dei passaggi di transizione che conducono alla ripresa è analoga.
La connotazione "dominante uguale tensione, tonica uguale risoluzione» si è sviluppata gradualmente nella tradizione musicale europea nel corso dei secoli, allorché due abitudini differenti si congiungevano e si rafforzavano reciprocamente: l'aspirazione della sensibile a salire verso la tonica, conseguente alla formazione delle clausole fin dal XIII secolo, e, di riflesso, la discesa per gradi congiunti della settima di dominante, come nota di passaggio, dalla dominante alla terza della tonica (dalla fine del XVI secolo circa). Protraendo il campo della dominante, se ne può aumentare il contenuto di tensione. Nel nostro esempio, la tensione della dominante è mantenuta costantemente da battuta 16 a battuta 22, ornando l'accordo di dominante con accordi di dominanti secondarie: inizialmente grazie al solo fa3# , appoggiatura inferiore del sol3 al violoncello (battuta 16), poi subito completato dall'accordo di settima diminuita fa#-la-do-mib nei restanti tre archi (il la che manca a battuta 16 compare in luogo analogo a battuta 17).
La tensione è ulteriormente rafforzata a battuta 19: la dominante secondaria della dominante secondaria è abbozzata con la sensibile do# che risolve sulla dominante della dominante re (al violoncello). Si tratta certo solo di un'allusione, poiché l'accordo di doppia dominante secondaria do#-mi-sol-si non risolve sulla dominante secondaria re-fa#-la, bensì viene collegato direttamente al secondo rivolto dell'accordo di dominante re-fa-sol-si (cfr. la seconda metà della battuta 19). La tensione della dominante subisce un ulteriore incremento a battuta 20, in quanto alla figura di sensibile do3# -re3 (primo violino) viene ad aggiungersi un'appoggiatura posta sulla terza dell'accordo di dominante, con funzione di sensibile: la2#-si2 (secondo violino). Grazie al consequenziale perfezionamento di questa sensibile ornamentale, a battuta 21 Mozart introduce (al primo violino) la settima di dominante, in un modo particolarmente elegante. Presentata a mo' di contrappeso, la vera e propria sensibile si3 è dunque posposta a battuta 22 - sempre al primo violino - tramite il ritardo do4.
Questa tattica di prolungamento della tensione della dominante era comune nella sintassi musicale del VIII secolo, e sebbene Mozart abbia elaborato magistralmente questo passaggio, esso non si discosta minimamente dalle convenzioni dell'epoca. Totalmente originale, per non dire fuori dalla norma e impressionante - in rapporto alle consuetudini dell'armonia dell'epoca - è la parte precedente dell'Adagio introduttivo, preparazione della dominante che indugia nell'area della sottodominante.
Bisogna prima di tutto notare che, seppur di passaggio, sia la dominante sia la tonica sono già state sfiorate in precedenza. La dominante appare una prima volta a battuta 3 sotto forma di accordo di sesta: si1 al violoncello, sol2 alla viola, poi - ritardato - re3 al secondo violino, con il raddoppio del sol4 due ottave sopra, al primo violino. Ma la funzione di dominante dell'accordo di sol maggiore non è qui ancora palese, poiché nelle immediate vicinanze non vi è alcuna tonica di do maggiore con funzione di riferimento: il do di apertura del violoncello, a battuta 1, si rivela quale presentimento della tonica solo a posteriori, dopo il compimento della vasta e prolungata cadenza perfetta.
Benché ancora in maniera provvisoria e velata, la dominante e la tonica si manifestano in modo relativamente più forte alle battute 13 e 14. Dopo che, a battuta 12, la possibilità di una tonica do è tratteggiata sotto forma di un accordo di sesta di do minore, l'accordo di settima a battuta 13 (fondamentale sol1 al violoncello, si3 terza, posticipato con un ritardo al secondo violino, re3 quinta, alla viola e fa4, settima, al primo violino) appare chiaramente come dominante della tonica do minore, che si risolve quindi a battuta 14 sulla tonica di do maggiore (fondamentale do2 al violoncello, raddoppiata due ottave sopra, dopo un ritardo, al secondo violino; mi4, terza, al primo violino; sol3, quinta, alla viola).
Se la dominante e la tonica non fossero attenuate da figurazioni che le occultano, la cadenza perfetta avrebbe già in questa sede un effetto conclusivo, poiché sia la dominante sia la tonica si presentano su un tempo forte, a inizio battuta (il fatto che, a battuta 13, la fondamentale al violoncello entri solo dopo una pausa di croma non cambia granché, poiché la settima al primo violino assicura il peso dell'accordo). In realtà, la vera dominante, quella che supporta la grande cadenza, appare pienamente solo a battuta 16 e, inizialmente, senza settima; cosicché l'aggiunta della settima agirà in modo molto più significativo, dapprima incidentalmente, a battuta 19 alla viola, quindi apertamente a battuta 21, al primo violino.
Il camouflage della cadenza perfetta alle battute 13 e 14 avviene in questo modo: dapprima il sol, fondamentale della dominante, è abbandonato dal violoncello, tramite note di passaggio cromatiche (figurazione completata, due ottave sopra, da quella per terze parallele del secondo violino). Nella successivabattuta 14, quindi, l'accordo di tonica è sì fermamente impiantato sulla sua fondamentale do al violoncello, ma l'inversione della figurazione cromatica al secondo violino (completata nella seconda metà della battuta dalle seste parallele del violoncello) acquisisce un peso tale che - così come abbiamo percepito la doppia figurazione cromatica a battuta 13 quale disegno melodico dominante - la nostra attenzione è ora distolta dal fatto che la tonica sia già stata momentaneamente raggiunta. Questo relativo indebolimento è ulteriormente accentuato dall'andamento cromatico più lento del primo violino: dapprima risuona la terza maggiore mi4, che sembra condurci alla mèta del do maggiore; ciò si rivela essere però solo un inganno poiché immediatamente dopo segue un mi4, che ci riporta al do minore di battuta 12. Ma anche la stessa tonalità di do minore non è più davvero tale, poiché il raddoppio della tonica, il do4 al secondo violino, procede nello stesso momento verso la settima minore si3b e, di seguito, tutte le altre voci abbandonano la tonica per moto discendente.
Quanto qui succede sul piano armonico e nella condotta delle voci si può sempre spiegare nel quadro delle convenzioni dell'epoca e non è affatto estraneo al coevo linguaggio musicale. Come in altre composizioni cromatiche di Mozart - si pensi al Quintetto per archi in sol minore (K 516) o al Concerto per pianoforte in do minore (K 491) -, si tratta qui della continuazione di una tradizione che fin dal tardo XIV secolo, quindi a partire da Solage, passava per un fenomeno marginale e stravagante se paragonato al preponderante diatonismo e alla tendenza della tonalità ad affermarsi grazie a clausole fisse. Naturalmente, Mozart non conosceva né Solage né Gesualdo, però conosceva la formula del basso continuo detta del Lamento, impiegata correntemente da Monteverdi in poi.
Gli influssi diretti erano esercitati dal cromatismo di Buxtehude e di J.S. Bach, poi da quello di C.Ph.E. Bach; stesso valore di modello avevano la Fantasia cromatica, l'Invenzione a tre voci in fa minore e il "Crucifixus" della Messa in si minore (o, ancora, la Cantata "Weinen, Klagen") di J.S. Bach.
Ma la falsa relazione osata da Mozart alla battuta 2 - e ripresa come conseguente a battuta 6 - va ben al di là dei più audaci passaggi cromatici di J.S.Bach. Certo, nei movimenti cromatici di Bach si trovano false relazioni ardite e, spesso, anche la condotta delle voci è ristabilita con violenza al fine di realizzare una modulazione cromatica. Nondimeno, in questo piccolo esempio di Mozart la falsa relazione colpisce intensamente, perché l'anomalia affiora, inattesa, in un contesto "più dolce" rispetto alla musica di Bach, e avviene nel quadro di uno stile ben più indirizzato alla stabilità e all'equilibrio di quanto non lo fosse convenzionalmente nella prima metà del secolo. (Mozart e Haydn stanno a Buxtehude e Bach pressappoco come Dufay e Ockeghem stanno a Solage e Senleches: i fondamenti della sintassi sono identici, ma le asprezze sono state addolcite, i disequilibri controbilanciati e la complessità trasformata in eleganza.)
A battuta 1, il la2b della viola, posto una sesta minore sopra il do2 del violoncello, appare inizialmente come qualche cosa di vago, di equivoco, poiché né il lab né il do sono la fondamentale di un accordo. Con l'attacco del secondo violino sul mi3b a battuta 21 il lab assume a posteriori un carattere di fondamentale e noi percepiamo un accordo di sesta di lab maggiore. In seguito si evidenzia che questo accordo, al pari di una porta, permette l'accesso alle regioni più lontane della sottodominante (retrospettivamente, più lontane dalla dominante sol); nel circolo delle quinte esso si trova quattro piani al di sotto della tonica do e corrisponde al sesto grado abbassato di do maggiore e, nello stesso tempo, funge da sesta napoletana in rapporto a sol maggiore. Nelle convenzioni armoniche del XVIII secolo, l'appoggiatura superiore a distanza di semitono dalla dominante (quindi lab in rapporto a sol) giocava un ruolo principale nell'architettura interna del tracciato formale. Che essa sia la terza della sottodominante minore o il basso dei tre possibili accordi eccedenti - accordo di sesta eccedente lab-do-(do-)fa#, accordo di secondo rivolto lab-do-re-fa# e, più frequentemente, terzo rivolto lab-do-mib-fa# spesso dato enarmonicamente come lab-do-re# -fa# -, questa nota è portatrice di forti tensioni nella concatenazione degli accordi, relativamente meno tese se essa è usata come sottodominante minore o come VI grado abbassato, di forza estrema se impiegata come suono eccedente, a causa della doppia direzionalità: ascendente per la sensibile fa# e (simmetricamente) discendente per l'appoggiatura lab verso il sol.
Nel presente esempio, a battuta 2, il la2b della viola è effettivamente impiegato come appoggiatura superiore del sol, il mi3b al secondo violino resta fermo, mentre al primo violino entra improvvisamente un la4 che provoca un vero choc. Ciò che impressiona nell'improvvisa falsa relazione con il lab (fondamentale dell'accordo) che si è appena udito nella parte della viola, non è solo la brusca rottura armonica che esula dal contesto stilistico, bensì anche il registro nel quale la nota estranea è disposta. Certo, le voci dei tre archi inferiori sono disposte in posizione lata, pur se nella loro tessitura abituale. E anche il loro timbro è omogeneo: le corde sol del violoncello, do della viola e sol del secondo violino donano il loro colore scuro e intenso all'accordo di sesta. Ma l'improvviso attacco del la4 al primo violino apre il baratro di un'ottava più un tritono e - a prescindere che sia eseguito sulla corda mi o su quella la - il la4 risuona solitario nel suo registro, del tutto isolato nell'acuto, con un timbro reso estraneo dalla sua luminosità.
In maniera meramente scolastica, l'accordo che ne risulta si può classificare perfettamente: do al basso, con sopra mib, sol e la formano in sol maggiore una sottodominante minore con sesta aggiunta. Di conseguenza, il precedente accordo di sesta di lab maggiore era una sesta napoletana in sol maggiore, mentre quello che segue immediatamente alla sottodominante minore è l'ultimo rivolto della settima di dominante, do-re-fa#-la (sul terzo quarto della seconda battuta), ossia quello che ci si aspetta convenzionalmente. Anche la risoluzione di questo accordo in rivolto sull'accordo di sesta della tonica sol maggiore segue secondo le aspettative (battuta 3). Il basso si al violoncello e la fondamentale sol alla viola corrispondono alla convenzione. Anche il raddoppio della fondamentale al primo violino, sol4, è conforme alle regole in uso, benché giunga dopo un ritardo dissonante. Ciò che accresce invece in maniera insolita la dissonanza del ritardo è la nota d03#, eseguita dal secondo violino contemporaneamente alla risoluzione dell'accordo a mo' di appoggiatura inferiore (con caratteristica di sensibile) della quinta re3 . Non si tratta certo qui di una anomalia armonica, come era il caso della falsa relazione la2b-la4, bensì di una struttura dissonante in doppio ritardo non troppo comune, che può essere interpretata come con trappeso alla falsa relazione.
Come attesta la flessibile eleganza della sua scrittura armonica, melodica e ritmica, riscontrabile anche nelle sue opere minori, il pensiero compositivo di Mozart tende essenzialmente verso l'equilibrio. L'anomalia della falsa relazione - accettabile solo in un contesto scritturale molto denso - necessita però, come contrappeso, non soltanto di dissonanze insolitamente tese (come già detto, anche se possiamo "ufficialmente" classificare l'accordo come sottodominante minore, la sesta aggiunta dopo una sesta napoletana è, in questo stile, una mostruosità): per apparire plausibile, essa deve essere saldamente costretta in un tessuto contrappuntistico, legata e fissata solidamente. Se noi osserviamo le prime tre battute del nostro esempio, possiamo riscontrare una struttura imitativa: la formula della viola "appoggiatura superiore di sottodominante minore - tonica - appoggiatura inferiore con carattere di sensibile tonica", è imitata, una quinta sopra, dal secondo violino e, due ottave sopra, dal primo violino, proprio con l'aberrazione del la4. Questa formula, che oscilla attorno a una nota centrale, è propria alle curve melodiche impiegate frequentemente da Mozart nei suoi movimenti in tono minore.
La convenzionalità della formula e il suo incrocio in una doppia imitazione permettono di perdonare l'audacia della falsa relazione. Malgrado ciò, molti rinomati musicologi del XIX secolo hanno pensato che Mozart fosse incappato in un errore: François J. Fétis voleva persino correggere il la4. Ma, in primo luogo, un la4b nello stesso luogo sarebbe di una banalità insopportabile, e d'altronde la falsa relazione si ripete in sequenza a battuta 6; non si può dunque trattare né di un errore di scrittura né di uno sbaglio concettuale di Mozart.
La ripetizione dell'intera situazione armonica una seconda maggiore sotto (dopo che Mozart, a battuta 4, ha incurvato il sol maggiore dapprima verso sol minore, quindi, all'inizio di battuta 5, per allusioni, verso sù minore) conduce, con la sesta napoletana di fa maggiore (fondamentale solb alla viola, battuta 6), a regioni ancora più profonde della sottodominante: nel circolo delle quinte, l'accordo di solb maggiore si trova sei piani al di sotto della tonica do. Questo accordo di solb maggiore - a distanza di tritono da do, dunque al polo opposto dello spazio modulante - è nello stesso tempo l'insenatura più profonda dell'abisso della sottodominante.
Segue, di conseguenza, la risoluzione a fa maggiore (battuta 8), quindi la flessione verso fa minore; ma la catena verrà interrotta, poiché invece che sul lab minore, Mozart porta la doppia figurazione del primo violino e del violoncello verso il lab maggiore, in seguito interpretato come sottodominante di mib maggiore. Con l'approdo della tonica di mib maggiore (battuta 10), noi ci troviamo solo tre piani sotto il do1. Il disegno generale di questo "peregrinare della sottodominante" conduce quindi dapprima nelle profondità di entrambi gli accordi di sesta napoletana per risalire in seguito verso la tonalità della mediante mib maggiore (che appartiene ancora alla sfera della sottodominante); a sua volta, il mib maggiore è trasportato nel suo tono relativo, do minore (battuta 12), in modo che noi raggiungiamo il già citato punto dove dominante e tonica si sfiorano di passaggio. A partire da questo punto si dipana un'abile catena cromatica di note di passaggio che porta dall'accordo eccedente "doppiamente teso" in secondo rivolto (la2b al violoncello, do3 al secondo violino, re4 al primo violino e la sensibile fa3# alla viola, sull'ultima croma della battuta 15) verso le alture della dominante, a un piano dalla tonica e due, tre piani sopra rispetto alle dominanti secondarie ornamentali.
Ancora un'osservazione sull'ambivalenza delle funzioni armoniche. All'inizio ho menzionato l'accordo di sesta di sol maggiore a battuta 3 come prima allusione alla dominante. Nel contesto generale dell'Adagio introduttivo questo accordo ha certamente una funzione globale di dominante (in rapporto con la tonica do maggiore), ma localmente, nell'ambiente armonico delle prime quattro battute, l'accordo di sesta di sol maggiore ha una funzione di tonica, a causa della citata cadenza "sottodominante minore con sesta aggiunta - accordo di dominante secondaria - accordo di sesta della tonica sol maggiore", e infine perché la tonalità principale di do maggiore non è ancora apparsa. Ciò significa che, inizialmente, anche il do di apertura del violoncello non è la tonica di do maggiore, bensì la sottodominante della tonica locale sol.
Credo che, dopo queste esposizioni concrete, si renda superfluo un elogio della suprema raffinatezza della tecnica compositiva di Mozart. Questa celebre falsa relazione ci mostra come la sottigliezza e l'eleganza si possano ottenere (talvolta!) anche tramite mezzi ordinari. Una tale analisi delle strategie di modulazione e dell'oscillazione tra squilibrio ed equilibrio ci indica che è possibile giudicare il valore artistico di una composizione a partire esclusivamente dall'artigianato e dalle procedure tecniche del compositore, sempre a patto che una convenzione del linguaggio musicale, così come sviluppato in un dato momento, sia stata stabilita univocamente. A parte Mozart, solo Haydn e Beethoven erano in grado di creare, ognuno a proprio modo, una introduzione in un movimento di sonata di tale ricchezza sul piano delle modulazioni e di tale complessità per la condotta delle voci, impiegando ciascuno il medesimo linguaggio ma trasformandolo in maniera diversa. Nessun altro contemporaneo ha padroneggiato l'artigianato a questo livello. Schubert, certo, ma egli ha spinto l'arte della modulazione verso tutt'altri lidi: l'architettura armonica di Haydn, Mozart e Beethoven era fondata sulla stabilità delle relazioni di quinta e dell'aspirazione ascendente della sensibile; Schubert amplia tutto ciò con una mentalità basata sulle relazioni di terza, che introducono una vaga condizione di incertezza in seno alla dinamica direzionale delle forme classiche. Superare la perfezione delle strutture di Haydn, Mozart e Beethoven era impossibile, poiché il linguaggio tonale aveva raggiunto nelle loro opere il più alto grado di equilibrio. Schubert, in quanto compositore dello stesso rango degli altri tre, ha dissolto la solidità dell'architettura musicale, così come, nella stessa epoca, William Turner ha dissolto la precisione dei contorni in pittura. Entrambi aprivano una nuova epoca.
La connotazione "dominante uguale tensione, tonica uguale risoluzione» si è sviluppata gradualmente nella tradizione musicale europea nel corso dei secoli, allorché due abitudini differenti si congiungevano e si rafforzavano reciprocamente: l'aspirazione della sensibile a salire verso la tonica, conseguente alla formazione delle clausole fin dal XIII secolo, e, di riflesso, la discesa per gradi congiunti della settima di dominante, come nota di passaggio, dalla dominante alla terza della tonica (dalla fine del XVI secolo circa). Protraendo il campo della dominante, se ne può aumentare il contenuto di tensione. Nel nostro esempio, la tensione della dominante è mantenuta costantemente da battuta 16 a battuta 22, ornando l'accordo di dominante con accordi di dominanti secondarie: inizialmente grazie al solo fa3# , appoggiatura inferiore del sol3 al violoncello (battuta 16), poi subito completato dall'accordo di settima diminuita fa#-la-do-mib nei restanti tre archi (il la che manca a battuta 16 compare in luogo analogo a battuta 17).
La tensione è ulteriormente rafforzata a battuta 19: la dominante secondaria della dominante secondaria è abbozzata con la sensibile do# che risolve sulla dominante della dominante re (al violoncello). Si tratta certo solo di un'allusione, poiché l'accordo di doppia dominante secondaria do#-mi-sol-si non risolve sulla dominante secondaria re-fa#-la, bensì viene collegato direttamente al secondo rivolto dell'accordo di dominante re-fa-sol-si (cfr. la seconda metà della battuta 19). La tensione della dominante subisce un ulteriore incremento a battuta 20, in quanto alla figura di sensibile do3# -re3 (primo violino) viene ad aggiungersi un'appoggiatura posta sulla terza dell'accordo di dominante, con funzione di sensibile: la2#-si2 (secondo violino). Grazie al consequenziale perfezionamento di questa sensibile ornamentale, a battuta 21 Mozart introduce (al primo violino) la settima di dominante, in un modo particolarmente elegante. Presentata a mo' di contrappeso, la vera e propria sensibile si3 è dunque posposta a battuta 22 - sempre al primo violino - tramite il ritardo do4.
Questa tattica di prolungamento della tensione della dominante era comune nella sintassi musicale del VIII secolo, e sebbene Mozart abbia elaborato magistralmente questo passaggio, esso non si discosta minimamente dalle convenzioni dell'epoca. Totalmente originale, per non dire fuori dalla norma e impressionante - in rapporto alle consuetudini dell'armonia dell'epoca - è la parte precedente dell'Adagio introduttivo, preparazione della dominante che indugia nell'area della sottodominante.
Bisogna prima di tutto notare che, seppur di passaggio, sia la dominante sia la tonica sono già state sfiorate in precedenza. La dominante appare una prima volta a battuta 3 sotto forma di accordo di sesta: si1 al violoncello, sol2 alla viola, poi - ritardato - re3 al secondo violino, con il raddoppio del sol4 due ottave sopra, al primo violino. Ma la funzione di dominante dell'accordo di sol maggiore non è qui ancora palese, poiché nelle immediate vicinanze non vi è alcuna tonica di do maggiore con funzione di riferimento: il do di apertura del violoncello, a battuta 1, si rivela quale presentimento della tonica solo a posteriori, dopo il compimento della vasta e prolungata cadenza perfetta.
Benché ancora in maniera provvisoria e velata, la dominante e la tonica si manifestano in modo relativamente più forte alle battute 13 e 14. Dopo che, a battuta 12, la possibilità di una tonica do è tratteggiata sotto forma di un accordo di sesta di do minore, l'accordo di settima a battuta 13 (fondamentale sol1 al violoncello, si3 terza, posticipato con un ritardo al secondo violino, re3 quinta, alla viola e fa4, settima, al primo violino) appare chiaramente come dominante della tonica do minore, che si risolve quindi a battuta 14 sulla tonica di do maggiore (fondamentale do2 al violoncello, raddoppiata due ottave sopra, dopo un ritardo, al secondo violino; mi4, terza, al primo violino; sol3, quinta, alla viola).
Se la dominante e la tonica non fossero attenuate da figurazioni che le occultano, la cadenza perfetta avrebbe già in questa sede un effetto conclusivo, poiché sia la dominante sia la tonica si presentano su un tempo forte, a inizio battuta (il fatto che, a battuta 13, la fondamentale al violoncello entri solo dopo una pausa di croma non cambia granché, poiché la settima al primo violino assicura il peso dell'accordo). In realtà, la vera dominante, quella che supporta la grande cadenza, appare pienamente solo a battuta 16 e, inizialmente, senza settima; cosicché l'aggiunta della settima agirà in modo molto più significativo, dapprima incidentalmente, a battuta 19 alla viola, quindi apertamente a battuta 21, al primo violino.
Il camouflage della cadenza perfetta alle battute 13 e 14 avviene in questo modo: dapprima il sol, fondamentale della dominante, è abbandonato dal violoncello, tramite note di passaggio cromatiche (figurazione completata, due ottave sopra, da quella per terze parallele del secondo violino). Nella successivabattuta 14, quindi, l'accordo di tonica è sì fermamente impiantato sulla sua fondamentale do al violoncello, ma l'inversione della figurazione cromatica al secondo violino (completata nella seconda metà della battuta dalle seste parallele del violoncello) acquisisce un peso tale che - così come abbiamo percepito la doppia figurazione cromatica a battuta 13 quale disegno melodico dominante - la nostra attenzione è ora distolta dal fatto che la tonica sia già stata momentaneamente raggiunta. Questo relativo indebolimento è ulteriormente accentuato dall'andamento cromatico più lento del primo violino: dapprima risuona la terza maggiore mi4, che sembra condurci alla mèta del do maggiore; ciò si rivela essere però solo un inganno poiché immediatamente dopo segue un mi4, che ci riporta al do minore di battuta 12. Ma anche la stessa tonalità di do minore non è più davvero tale, poiché il raddoppio della tonica, il do4 al secondo violino, procede nello stesso momento verso la settima minore si3b e, di seguito, tutte le altre voci abbandonano la tonica per moto discendente.
Quanto qui succede sul piano armonico e nella condotta delle voci si può sempre spiegare nel quadro delle convenzioni dell'epoca e non è affatto estraneo al coevo linguaggio musicale. Come in altre composizioni cromatiche di Mozart - si pensi al Quintetto per archi in sol minore (K 516) o al Concerto per pianoforte in do minore (K 491) -, si tratta qui della continuazione di una tradizione che fin dal tardo XIV secolo, quindi a partire da Solage, passava per un fenomeno marginale e stravagante se paragonato al preponderante diatonismo e alla tendenza della tonalità ad affermarsi grazie a clausole fisse. Naturalmente, Mozart non conosceva né Solage né Gesualdo, però conosceva la formula del basso continuo detta del Lamento, impiegata correntemente da Monteverdi in poi.
Gli influssi diretti erano esercitati dal cromatismo di Buxtehude e di J.S. Bach, poi da quello di C.Ph.E. Bach; stesso valore di modello avevano la Fantasia cromatica, l'Invenzione a tre voci in fa minore e il "Crucifixus" della Messa in si minore (o, ancora, la Cantata "Weinen, Klagen") di J.S. Bach.
Ma la falsa relazione osata da Mozart alla battuta 2 - e ripresa come conseguente a battuta 6 - va ben al di là dei più audaci passaggi cromatici di J.S.Bach. Certo, nei movimenti cromatici di Bach si trovano false relazioni ardite e, spesso, anche la condotta delle voci è ristabilita con violenza al fine di realizzare una modulazione cromatica. Nondimeno, in questo piccolo esempio di Mozart la falsa relazione colpisce intensamente, perché l'anomalia affiora, inattesa, in un contesto "più dolce" rispetto alla musica di Bach, e avviene nel quadro di uno stile ben più indirizzato alla stabilità e all'equilibrio di quanto non lo fosse convenzionalmente nella prima metà del secolo. (Mozart e Haydn stanno a Buxtehude e Bach pressappoco come Dufay e Ockeghem stanno a Solage e Senleches: i fondamenti della sintassi sono identici, ma le asprezze sono state addolcite, i disequilibri controbilanciati e la complessità trasformata in eleganza.)
A battuta 1, il la2b della viola, posto una sesta minore sopra il do2 del violoncello, appare inizialmente come qualche cosa di vago, di equivoco, poiché né il lab né il do sono la fondamentale di un accordo. Con l'attacco del secondo violino sul mi3b a battuta 21 il lab assume a posteriori un carattere di fondamentale e noi percepiamo un accordo di sesta di lab maggiore. In seguito si evidenzia che questo accordo, al pari di una porta, permette l'accesso alle regioni più lontane della sottodominante (retrospettivamente, più lontane dalla dominante sol); nel circolo delle quinte esso si trova quattro piani al di sotto della tonica do e corrisponde al sesto grado abbassato di do maggiore e, nello stesso tempo, funge da sesta napoletana in rapporto a sol maggiore. Nelle convenzioni armoniche del XVIII secolo, l'appoggiatura superiore a distanza di semitono dalla dominante (quindi lab in rapporto a sol) giocava un ruolo principale nell'architettura interna del tracciato formale. Che essa sia la terza della sottodominante minore o il basso dei tre possibili accordi eccedenti - accordo di sesta eccedente lab-do-(do-)fa#, accordo di secondo rivolto lab-do-re-fa# e, più frequentemente, terzo rivolto lab-do-mib-fa# spesso dato enarmonicamente come lab-do-re# -fa# -, questa nota è portatrice di forti tensioni nella concatenazione degli accordi, relativamente meno tese se essa è usata come sottodominante minore o come VI grado abbassato, di forza estrema se impiegata come suono eccedente, a causa della doppia direzionalità: ascendente per la sensibile fa# e (simmetricamente) discendente per l'appoggiatura lab verso il sol.
Nel presente esempio, a battuta 2, il la2b della viola è effettivamente impiegato come appoggiatura superiore del sol, il mi3b al secondo violino resta fermo, mentre al primo violino entra improvvisamente un la4 che provoca un vero choc. Ciò che impressiona nell'improvvisa falsa relazione con il lab (fondamentale dell'accordo) che si è appena udito nella parte della viola, non è solo la brusca rottura armonica che esula dal contesto stilistico, bensì anche il registro nel quale la nota estranea è disposta. Certo, le voci dei tre archi inferiori sono disposte in posizione lata, pur se nella loro tessitura abituale. E anche il loro timbro è omogeneo: le corde sol del violoncello, do della viola e sol del secondo violino donano il loro colore scuro e intenso all'accordo di sesta. Ma l'improvviso attacco del la4 al primo violino apre il baratro di un'ottava più un tritono e - a prescindere che sia eseguito sulla corda mi o su quella la - il la4 risuona solitario nel suo registro, del tutto isolato nell'acuto, con un timbro reso estraneo dalla sua luminosità.
In maniera meramente scolastica, l'accordo che ne risulta si può classificare perfettamente: do al basso, con sopra mib, sol e la formano in sol maggiore una sottodominante minore con sesta aggiunta. Di conseguenza, il precedente accordo di sesta di lab maggiore era una sesta napoletana in sol maggiore, mentre quello che segue immediatamente alla sottodominante minore è l'ultimo rivolto della settima di dominante, do-re-fa#-la (sul terzo quarto della seconda battuta), ossia quello che ci si aspetta convenzionalmente. Anche la risoluzione di questo accordo in rivolto sull'accordo di sesta della tonica sol maggiore segue secondo le aspettative (battuta 3). Il basso si al violoncello e la fondamentale sol alla viola corrispondono alla convenzione. Anche il raddoppio della fondamentale al primo violino, sol4, è conforme alle regole in uso, benché giunga dopo un ritardo dissonante. Ciò che accresce invece in maniera insolita la dissonanza del ritardo è la nota d03#, eseguita dal secondo violino contemporaneamente alla risoluzione dell'accordo a mo' di appoggiatura inferiore (con caratteristica di sensibile) della quinta re3 . Non si tratta certo qui di una anomalia armonica, come era il caso della falsa relazione la2b-la4, bensì di una struttura dissonante in doppio ritardo non troppo comune, che può essere interpretata come con trappeso alla falsa relazione.
Come attesta la flessibile eleganza della sua scrittura armonica, melodica e ritmica, riscontrabile anche nelle sue opere minori, il pensiero compositivo di Mozart tende essenzialmente verso l'equilibrio. L'anomalia della falsa relazione - accettabile solo in un contesto scritturale molto denso - necessita però, come contrappeso, non soltanto di dissonanze insolitamente tese (come già detto, anche se possiamo "ufficialmente" classificare l'accordo come sottodominante minore, la sesta aggiunta dopo una sesta napoletana è, in questo stile, una mostruosità): per apparire plausibile, essa deve essere saldamente costretta in un tessuto contrappuntistico, legata e fissata solidamente. Se noi osserviamo le prime tre battute del nostro esempio, possiamo riscontrare una struttura imitativa: la formula della viola "appoggiatura superiore di sottodominante minore - tonica - appoggiatura inferiore con carattere di sensibile tonica", è imitata, una quinta sopra, dal secondo violino e, due ottave sopra, dal primo violino, proprio con l'aberrazione del la4. Questa formula, che oscilla attorno a una nota centrale, è propria alle curve melodiche impiegate frequentemente da Mozart nei suoi movimenti in tono minore.
La convenzionalità della formula e il suo incrocio in una doppia imitazione permettono di perdonare l'audacia della falsa relazione. Malgrado ciò, molti rinomati musicologi del XIX secolo hanno pensato che Mozart fosse incappato in un errore: François J. Fétis voleva persino correggere il la4. Ma, in primo luogo, un la4b nello stesso luogo sarebbe di una banalità insopportabile, e d'altronde la falsa relazione si ripete in sequenza a battuta 6; non si può dunque trattare né di un errore di scrittura né di uno sbaglio concettuale di Mozart.
La ripetizione dell'intera situazione armonica una seconda maggiore sotto (dopo che Mozart, a battuta 4, ha incurvato il sol maggiore dapprima verso sol minore, quindi, all'inizio di battuta 5, per allusioni, verso sù minore) conduce, con la sesta napoletana di fa maggiore (fondamentale solb alla viola, battuta 6), a regioni ancora più profonde della sottodominante: nel circolo delle quinte, l'accordo di solb maggiore si trova sei piani al di sotto della tonica do. Questo accordo di solb maggiore - a distanza di tritono da do, dunque al polo opposto dello spazio modulante - è nello stesso tempo l'insenatura più profonda dell'abisso della sottodominante.
Segue, di conseguenza, la risoluzione a fa maggiore (battuta 8), quindi la flessione verso fa minore; ma la catena verrà interrotta, poiché invece che sul lab minore, Mozart porta la doppia figurazione del primo violino e del violoncello verso il lab maggiore, in seguito interpretato come sottodominante di mib maggiore. Con l'approdo della tonica di mib maggiore (battuta 10), noi ci troviamo solo tre piani sotto il do1. Il disegno generale di questo "peregrinare della sottodominante" conduce quindi dapprima nelle profondità di entrambi gli accordi di sesta napoletana per risalire in seguito verso la tonalità della mediante mib maggiore (che appartiene ancora alla sfera della sottodominante); a sua volta, il mib maggiore è trasportato nel suo tono relativo, do minore (battuta 12), in modo che noi raggiungiamo il già citato punto dove dominante e tonica si sfiorano di passaggio. A partire da questo punto si dipana un'abile catena cromatica di note di passaggio che porta dall'accordo eccedente "doppiamente teso" in secondo rivolto (la2b al violoncello, do3 al secondo violino, re4 al primo violino e la sensibile fa3# alla viola, sull'ultima croma della battuta 15) verso le alture della dominante, a un piano dalla tonica e due, tre piani sopra rispetto alle dominanti secondarie ornamentali.
Ancora un'osservazione sull'ambivalenza delle funzioni armoniche. All'inizio ho menzionato l'accordo di sesta di sol maggiore a battuta 3 come prima allusione alla dominante. Nel contesto generale dell'Adagio introduttivo questo accordo ha certamente una funzione globale di dominante (in rapporto con la tonica do maggiore), ma localmente, nell'ambiente armonico delle prime quattro battute, l'accordo di sesta di sol maggiore ha una funzione di tonica, a causa della citata cadenza "sottodominante minore con sesta aggiunta - accordo di dominante secondaria - accordo di sesta della tonica sol maggiore", e infine perché la tonalità principale di do maggiore non è ancora apparsa. Ciò significa che, inizialmente, anche il do di apertura del violoncello non è la tonica di do maggiore, bensì la sottodominante della tonica locale sol.
Credo che, dopo queste esposizioni concrete, si renda superfluo un elogio della suprema raffinatezza della tecnica compositiva di Mozart. Questa celebre falsa relazione ci mostra come la sottigliezza e l'eleganza si possano ottenere (talvolta!) anche tramite mezzi ordinari. Una tale analisi delle strategie di modulazione e dell'oscillazione tra squilibrio ed equilibrio ci indica che è possibile giudicare il valore artistico di una composizione a partire esclusivamente dall'artigianato e dalle procedure tecniche del compositore, sempre a patto che una convenzione del linguaggio musicale, così come sviluppato in un dato momento, sia stata stabilita univocamente. A parte Mozart, solo Haydn e Beethoven erano in grado di creare, ognuno a proprio modo, una introduzione in un movimento di sonata di tale ricchezza sul piano delle modulazioni e di tale complessità per la condotta delle voci, impiegando ciascuno il medesimo linguaggio ma trasformandolo in maniera diversa. Nessun altro contemporaneo ha padroneggiato l'artigianato a questo livello. Schubert, certo, ma egli ha spinto l'arte della modulazione verso tutt'altri lidi: l'architettura armonica di Haydn, Mozart e Beethoven era fondata sulla stabilità delle relazioni di quinta e dell'aspirazione ascendente della sensibile; Schubert amplia tutto ciò con una mentalità basata sulle relazioni di terza, che introducono una vaga condizione di incertezza in seno alla dinamica direzionale delle forme classiche. Superare la perfezione delle strutture di Haydn, Mozart e Beethoven era impossibile, poiché il linguaggio tonale aveva raggiunto nelle loro opere il più alto grado di equilibrio. Schubert, in quanto compositore dello stesso rango degli altri tre, ha dissolto la solidità dell'architettura musicale, così come, nella stessa epoca, William Turner ha dissolto la precisione dei contorni in pittura. Entrambi aprivano una nuova epoca.
György Ligeti
Nessun commento:
Posta un commento