Se li confrontiamo con quelli di Schubert, di Mendelssohn, di Schumann e di Brahms, i lavori cameristici di Beethoven non offrono inizialmente occasioni di fascino così vivo. Gli esordi beethoveniani in questo genere sono più legati a progetti di nobile routine, talora a destinazioni di medio o buon dilettantismo. Non si mostrano ispirati dalla forza poetica che investe la produzione cameristica dei compositori romantici. Gli esiti conclusivi rovesciano il rapporto. Le ultime opere cameristiche di Beethoven vanno invece non soltanto al di là del registro estetico medio, ma spezzano la forma, aggrediscono la tradizione, tendono ciascuno a una sua fisionomia unica e si configurano come capolavori di primissima linea, interamente esposti alle scosse destabilizzanti di una vera rivoluzione dello spirito. E' possibile che i quartetti o i quintetti o i sestetti o le sonate per duo di Schumann o di Brahms siano scritture piu' perfette che non le sinfonie o le composizioni sinfonico-corali. Ma certo, la sobrietà formale e la fedeltà alla cornice ereditata dalla tradizione, gli abilissimi mascheramenti emotivi, le dimensioni, tutto questo pone quei lavori in una zona di sicurezza, lasciando il primo fronte di combattimento alle opere di grandi dimensioni, di organico complesso e di forti e dichiarati intenti poetici. Le ultime composizioni cameristiche di Beethoven, soprattutto gli ultimi quartetti per archi, superano invece in grandezza e in audacia profetica persino la Nona Sinfonia e la Missa solemnis in re maggiore. Sono un lascito supremo e unico nel suo genere. Si aggiunga un dettaglio di second'ordine, ma non insignificante. Non tanto in Schubert quanto in Mendelssohn, Schumann e Brahms l'insieme della musica da camera costituisce, nel catalogo di ciascuno dei tre compositori, un corpo relativamente esiguo, in cui il numero ristretto dei numeri d'opera stimola una concentrazione di significati e d'intensità emotiva. Beethoven fu invece, all'interno di un catalogo non piu' ampio di quello schumanniano e brahmsiano, molto generoso autore di musica da camera. Ne deriva un ampio arco di metamorfosi e di innovazioni, lungo il quale la fisionomia muta sembianze molto rapidamente nel corso degli anni. Se nella musica da camera dei grandi romantici ammiriamo la maturità precocemente raggiunta e la fermezza con cui i primi esiti stilistici vengono scavati, sondati e accentuati senza che il linguaggio musicale abbandoni i propri tratti originari, Beethoven, in quasi tutti i generi e le forme da lui affrontati ma soprattutto nella musica da camera (in questo, la responsabilità degli ultimi quartetti per archi è decisiva), è forse il compositore moderno che più di ogni altro si è trasformato. Anzi, la trasformazione è tanto clamorosa da suscitare sgomento. Un modo superficiale ma non falso per valutare la vocazione cameristica di un compositore è il prendere atto della tempestività con cui egli, dopo lavori giovanili o addirittura infantili, quasi saggi scolastici, dedicati quasi sempre al pianoforte, affronta i diversi settori della musica da camera. Beethoven non sfugge alla consuetudine: il suo primo lavoro di cui si abbia notizia è appunto una semplice composizione pianistica, le Nove variazioni su una marcia di Ernst Christoph Dressler, scritte nel 1782 a dodici anni d'età . Ma già nel 1783 egli tentò di scrivere una Sonata in la maggiore per violino e pianoforte, di cui restano frammenti, e un Allegretto in mi bemolle maggiore per pianoforte, violino evioloncello. Nel 1785, a quindici anni, egli compose in maniera compiuta tre quartetti per pianoforte, violino, viola e violoncello. Il quartetto per archi fu una conquista piu' difficile e tardiva. Soltanto intorno ai ventiquattro anni d'età , Beethoven affrontò questo organico, ma non nella forma canonica in quattro tempi: si tratta di brevi pezzi: un Minuetto, un Preludio, due Preludi e fughe.
La conquista di una scrittura formalmente compiuta avviene soltanto con i sei quartetti op.18, opere già mature, con segni inequivocabili di fantasia inventiva e di grandezza ideale. Li scrisse quando aveva dai ventotto ai trent'anni (1798-1800). Ma la vocazione comeristica si valuta meglio alla fine di un'esperienza creativa. Schubert concluse la propria operosità con tre grandissime sonate pianistiche, Mendelssohn con il progetto di un'opera teatrale, Loreley, rimasta incompiuta, Schumann, con il genere del concerto per strumento solista e orchestra, Brahms con i Preludi corali per organo. Ciascuno secondo la sua indole morale e poetica, secondo i suoi sogni. Beethoven affidò agli ultimi quartetti per archi le sue idee supreme. Da questi esordi prese forma lo straordinario flusso di lavori, disuguali tra loro per valore e forza, in cui Beethoven s'impegnò certamente per tutta la vita, ma in misura non omogenea. A grandi linee, è possibile tracciare una mappa cronologica. E' consuetudine parlare, per Beethoven come per altri compositori, di tre periodi e di tre stili. La terna significa in questo caso tre respiri, tre fasi naturali, e corrisponde a una realtà fisiologica e psicologica. E' stato il filosofo Alain a formulare l'inevitabilità dei tre stili in maniera icastica, nel suo Sistema delle arti, riprendendo, del resto,un pensiero di Goethe. In un artista, il primo stile è quello attraverso il quale egli fa apprendistato, assorbe la lezione dei maestri e si fa conoscere al pubblico. Il secondo stile è quello mediante il quale l'artista conferma e rafforza la propria immagine, conquistando prestigio. Il terzo e ultimo stile è quello dell'artista vecchio, non più desideroso di affermazione o di potere, che non aspira più a conquistare il pubblico e lavora quasi esclusivamente per sè, inseguendo il proprio ideale artistico distillato e ricondotto allo stato puro. Beethoven si concentrò sulla musica da camera, o almeno produsse lavori davvero grandi e significativi nel genere cameristico, soprattutto nel primo e nel terzo periodo, fatta eccezione per i quartetti, in cui s'impegnò sia pure con minore intensità anche nel periodo centrale. Una sua caratteristica, piaccia o no, è un dato di fatto: i massimi capolavori si collocano tutti in certi settori della musica da camera piuttosto che in altri. Esistono così zone deboli nella cameristica beethoveniana: scritture eleganti, magari ricche di fantasia, che però si mantengono sempre in un'aura media, tra l'intrattenimento di alto livello e il lavoro su commissione. Tali sono i quattro quintetti per archi, scritti tra il 1795 e il 1817, o le composizioni per strumenti a fiato, fra le quali è difficile scorgere qualcosa di memorabile. Il Settimino in mi bemolle maggiore op.20, per clarinetto, fagotto, corno, violino, viola, violoncello e contrabbasso (1800), è di queste composizioni minori il capofila, il centro d'interesse. Ma da esso, come dagli altri lavori affini, risulta l'immagine di un Beethoven a due sole dimensioni, la dottrina contrappuntistica e strumentale e la capacità di comunicare con il pubblico. Altra cosa è il Beethoven demònico e visionario. In questa fisionomia, che costituisce la sua singolarità e la sua atemporalità non condizionata dal gusto di un'epoca ma anticipatrice di tutto ciò che la musica più traumatica e rivoluzionaria dirà nei due secoli venturi, si collocano le sonate per violino e pianoforte, la più celebre delle quali, la Sonata in la maggiore op.47 "a Kreutzer" (1803), costituì un esempio addirittura peccaminoso di destabilizzazione dell'animo nel celebre romanzo di Tolstoj. Le sonate per violino e pianoforte sono tuttavia espressione di un demònico incline all'immaginazione pittorica, alla sperimentazione armonica e timbrica, e consumano la propria carica visionaria all'interno dei grandi problemi della forma e dell'invenzione. I trii per pianoforte, violino e violoncello rappresentano un grado superiore di fantasia, con suggestioni extramusicali ottenute con mezzi rigorosamente musicali. Questo miracolo dell'arte avviene soprattuto nel Trio in re maggiore op.70 "degli spettri" (1808) e nel Trio in si bemolle maggiore op.97 "Arciduca" (1811). A un grado ancora superiore di originalità sono le due tenebrose Sonate per violoncello e pianoforte op.102 (1805). I sedici quartetti per archi sono il vertice della produzione cameristica e, forse, di tutta la musica composta da Beethoven: opere che si liberano progressivamente da ogni norma che non sia l'invenzione di mondi sempre nuovi e inesprimibili con parole, dove due forme supreme, la variazione e la fuga, suggellano conclusivamente una compiuta visione del mondo manifestata che, forse, nessuno in quell'epoca poteva comprendere nella sua vera essenza.
La conquista di una scrittura formalmente compiuta avviene soltanto con i sei quartetti op.18, opere già mature, con segni inequivocabili di fantasia inventiva e di grandezza ideale. Li scrisse quando aveva dai ventotto ai trent'anni (1798-1800). Ma la vocazione comeristica si valuta meglio alla fine di un'esperienza creativa. Schubert concluse la propria operosità con tre grandissime sonate pianistiche, Mendelssohn con il progetto di un'opera teatrale, Loreley, rimasta incompiuta, Schumann, con il genere del concerto per strumento solista e orchestra, Brahms con i Preludi corali per organo. Ciascuno secondo la sua indole morale e poetica, secondo i suoi sogni. Beethoven affidò agli ultimi quartetti per archi le sue idee supreme. Da questi esordi prese forma lo straordinario flusso di lavori, disuguali tra loro per valore e forza, in cui Beethoven s'impegnò certamente per tutta la vita, ma in misura non omogenea. A grandi linee, è possibile tracciare una mappa cronologica. E' consuetudine parlare, per Beethoven come per altri compositori, di tre periodi e di tre stili. La terna significa in questo caso tre respiri, tre fasi naturali, e corrisponde a una realtà fisiologica e psicologica. E' stato il filosofo Alain a formulare l'inevitabilità dei tre stili in maniera icastica, nel suo Sistema delle arti, riprendendo, del resto,un pensiero di Goethe. In un artista, il primo stile è quello attraverso il quale egli fa apprendistato, assorbe la lezione dei maestri e si fa conoscere al pubblico. Il secondo stile è quello mediante il quale l'artista conferma e rafforza la propria immagine, conquistando prestigio. Il terzo e ultimo stile è quello dell'artista vecchio, non più desideroso di affermazione o di potere, che non aspira più a conquistare il pubblico e lavora quasi esclusivamente per sè, inseguendo il proprio ideale artistico distillato e ricondotto allo stato puro. Beethoven si concentrò sulla musica da camera, o almeno produsse lavori davvero grandi e significativi nel genere cameristico, soprattutto nel primo e nel terzo periodo, fatta eccezione per i quartetti, in cui s'impegnò sia pure con minore intensità anche nel periodo centrale. Una sua caratteristica, piaccia o no, è un dato di fatto: i massimi capolavori si collocano tutti in certi settori della musica da camera piuttosto che in altri. Esistono così zone deboli nella cameristica beethoveniana: scritture eleganti, magari ricche di fantasia, che però si mantengono sempre in un'aura media, tra l'intrattenimento di alto livello e il lavoro su commissione. Tali sono i quattro quintetti per archi, scritti tra il 1795 e il 1817, o le composizioni per strumenti a fiato, fra le quali è difficile scorgere qualcosa di memorabile. Il Settimino in mi bemolle maggiore op.20, per clarinetto, fagotto, corno, violino, viola, violoncello e contrabbasso (1800), è di queste composizioni minori il capofila, il centro d'interesse. Ma da esso, come dagli altri lavori affini, risulta l'immagine di un Beethoven a due sole dimensioni, la dottrina contrappuntistica e strumentale e la capacità di comunicare con il pubblico. Altra cosa è il Beethoven demònico e visionario. In questa fisionomia, che costituisce la sua singolarità e la sua atemporalità non condizionata dal gusto di un'epoca ma anticipatrice di tutto ciò che la musica più traumatica e rivoluzionaria dirà nei due secoli venturi, si collocano le sonate per violino e pianoforte, la più celebre delle quali, la Sonata in la maggiore op.47 "a Kreutzer" (1803), costituì un esempio addirittura peccaminoso di destabilizzazione dell'animo nel celebre romanzo di Tolstoj. Le sonate per violino e pianoforte sono tuttavia espressione di un demònico incline all'immaginazione pittorica, alla sperimentazione armonica e timbrica, e consumano la propria carica visionaria all'interno dei grandi problemi della forma e dell'invenzione. I trii per pianoforte, violino e violoncello rappresentano un grado superiore di fantasia, con suggestioni extramusicali ottenute con mezzi rigorosamente musicali. Questo miracolo dell'arte avviene soprattuto nel Trio in re maggiore op.70 "degli spettri" (1808) e nel Trio in si bemolle maggiore op.97 "Arciduca" (1811). A un grado ancora superiore di originalità sono le due tenebrose Sonate per violoncello e pianoforte op.102 (1805). I sedici quartetti per archi sono il vertice della produzione cameristica e, forse, di tutta la musica composta da Beethoven: opere che si liberano progressivamente da ogni norma che non sia l'invenzione di mondi sempre nuovi e inesprimibili con parole, dove due forme supreme, la variazione e la fuga, suggellano conclusivamente una compiuta visione del mondo manifestata che, forse, nessuno in quell'epoca poteva comprendere nella sua vera essenza.
di Quirino Principe (Il Sole 24 Ore, 10 ottobre 1993)
6 commenti:
Ho scoperto questo blog e pur essendo un "profano" completamente a digiuno di teoria musicale e da poco avvicinatosi con "timore e tremore" all'ascolto della musica classica ti faccio i più sinceri complimenti perché gli articoli (quelli per me accessibili) sono davvero interessantissimi. Mi piacerebbe molto se qualche volta scrivessi qualcosa sulla nona sinfonia di Beethoven e in particolare sul terzo movimento, che mi ha letteralmente incantato. Grazie ancora e ad maiora
Il professor Principe ha sempre ragione.
Scusami per non averti scritto più, ma, in genere, i tuoi post sono sempre compiuti, tanto da non lasciar spazio a commenti!!!
Un abbraccio
Cecilia
www.ceciliaraba.ilcannocchiale.it
In effetti gli scritti sono più che compiuti.
Ma l'importante è che siano stimolanti all'approfondimento dell'universo musicale.
Ricambio l'abbraccio.
Ciò che mi stupisce molto, al di là dei contenuti, sempre ben selezionati e con un occhio attentissimo alla qualità, è il vasto archivio da cui peschi queste chicche. Grazie anche per la dedizione con cui trascrivi tutte queste cose! Il tuo impegno non è per niente banale... a meno che, ovviamente, tu non sia Quirino... ;)
Moltissimo materiale mi è passato tra le mani... e l'occhio mio, particolarmente allenato, raramente lo disperde. Peccato non disporre di adeguato tempo.
Onore al Principe!
I confirm. I join told all above.
Posta un commento